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Luca Cabassa, Francesco Pisano (a cura di) – Epistemologie. Critiche e punti di fuga nel dibattito contemporaneo [Mimesis, Milano 2023]

Epistemologie solleva tre problemi notevoli. Il primo, di carattere sistematico, si propone di pensare l’epistemologia come pratica plurale, come dominio costituente di un sapere plurale, dunque come ordine irriducibile al canone discorsivo lineare di una scienza progressiva. Che la scienza sia plurale è qualcosa di noto (domini disciplinari plurali, metodi plurali, modelli di realtà plurali); ma che l’epistemologia sia plurale vuol dire che la dicibilità della scienza sia a sua volta plurale. Non si tratta di inquadrare le pratiche disciplinari (fisica, chimica, biologia…) ma le condizioni per cui una scienza sia dicibile ed erigibile a disciplina: è epistemologia trascendentale. In effetti, questo primo problema potrebbe richiamare un ritornello assai nobile. L’antichista esperto, ad esempio, non tarderebbe nel rivendicare l’unità logica dell’episteme in fiero contrappunto con la pluralità instabile della doxa. Un filosofo della scienza poco inserito nel dibattito contemporaneo, al contrario, potrebbe rivendicare l’urgenza e la canonizzazione del pluralismo già a partire da Kuhn, da Popper, da Feyerabend o dal meno noto Fleck, autori per i quali la linearità progressiva del discorso scientifico si pluralizza in base alle modulazioni dei contesti storici, delle tendenze dello spirito e degli stili di ragionamento che distinguono i modelli storici del sapere senza opporli l’un l’altro. Ecco due obiezioni al pluralismo dell’epistemologia trascendentale: la prima, quella dell’antichista, nega l’utilità del pluralismo epistemologico in favore dell’unità necessaria di un principio universale. Gli aithémata di Euclide, ad esempio, non sono degli assiomi da cui dedurre un possibile e conveniente modello di realtà; essi postulano naturalmente dei veri principi nei quali incardinare la metafisica (lo stesso può essere pensato per l’arithmós inteso come molteplicità ordinata nell’unità, ma anche per il segno del Perí Hermeneías aristotelico, in virtù del quale ogni elemento è sfumatura molteplice e parziale di una costruzione logica unitaria, nient’altro che una resa metafisica della democrazia). L’obiezione del filosofo della scienza ingenuo, invece, riduce il pluralismo a ramificazione diacronica del sapere, o le modulazioni delle scienze a costituenti di un contesto. Ciò significa che, tanto sul piano diacronico che sul piano sincronico della storia della scienza, un dominio disciplinare non può essere rivoluzionato (o, peggio ancora, non può essere inventato) senza che il nuovo sia inscritto in un orizzonte di senso modulato in precedenza: nihil sub sole novi. Queste due obiezioni, nient’altro che due modi di enunciare uno stesso pluralismo epistemologico debole, si scontrano ben presto con il pluralismo forte di Epistemologie. Essa conserva il carattere innovativo della pluralità epistemologica, ma soprattutto ne rivendica una pluralità di ibridazioni possibili. Pluralità del pluralismo, dunque, può essere una formula vincente per sciogliere il nodo di un pluralismo forte. Non ci sono solamente delle proliferazioni di modelli del sapere nella progressione storica della scienza lineare, ma vi sono soprattutto delle linee non progredite di una scienza non lineare (con grande lucidità, Epistemologie menziona persino il problema dei finanziamenti e dei fondi economici dei bandi di ricerca, che troppo spesso dirigono gli sviluppi della scienza). Tali non-linearità sono l’oggetto del pluralismo forte in epistemologia, ma è chiaro che qualsiasi tentativo enunciativo rischierebbe di inscrivere l’eterogeneità epistemica in un logos omogeneo. Il pluralismo si enuncia in maniera intrinsecamente eterogenetica: ogni ontologia è cosmogonia, ogni cosmologia è ecologia singolare di un modello del sapere. Non vi sono modelli che siano eretti a cosmologia, né ci sono ontologie che non alterino il mondo intero, e non soltanto una certa resa disciplinare della realtà. Ciò significa che il pluralismo forte non enuncia sistemicamente le non-linearità epistemiche, ma indaga cosa è possibile fare a partire dalla tensione tra modelli eterogenei. Il primo problema di Epistemologie, quello di carattere sistematico, si propone allora di perseguire la seguente ambizione: come collaudare una pratica epistemologica eterogenetica? Il problema è aperto, e risponde al nome di Pluralismo Critico. «Possiamo ora riassumere il nostro pluralismo critico in tre tesi. La prima: un’epistemologia lucida e impregiudicata, oggi, può essere solo un’epistemologia pluralista, che respinga qualsiasi idea rigida del proprio oggetto tematico e dei propri stessi metodi in favore di un atteggiamento flessibile e aperto. La seconda: nessuna teoria epistemologica è efficacemente estraibile dai nessi storico-culturali entro i quali si sviluppa […] La terza: indagare le scienze come pratiche concrete, plastiche e unificabili soltanto in senso dinamico, significa rendere questa indagine inestricabile da tutta una serie di domande su verità e conoscenza, da un lato, e sulle politiche e le pratiche scientifiche, dall’altro» (p. 19).

È questo primo nodo sistematico a dare ragione dell’organizzazione interna del volume. Epistemologie, ampio volume edito da Mimesis, si presenta come antologia di testi eterogenei tra loro. I diciannove contributi, messi per la prima volta a disposizione del lettore italiano, sono tutti accompagnati da un commento introduttivo, mentre l’intero volume è aperto dai curatori Luca Cabassa e Francesco Pisano con una preziosa introduzione e concluso dalla dotta postfazione di Roberta Lanfredini. Tre sono le sezioni che articolano il susseguirsi dei testi: Unità e Pluralità, è «imperniata sulla problematica consistenza della ‘scienza’ come forma unitaria – ontologica, metodologica, linguistica, semantico-categoriale? – della sterminata varietà di pratiche scientifiche osservabili e praticabili (p. 10, in questa sezione rientrano i testi di G. Simondon, F. Laruelle, T. Williamson, K. Barad, R. Negarestani); Politica e Scienza è la sezione che «prende le mosse dai problemi propri delle scienze come pratiche effettive, aventi luogo entro un contesto sociale e storico» (ibid., in questa sezione rientrano i saggi di G. Bachelard, G. Canguilhem, H. E. Longino, D. Haraway, Y. Hui); Casi di Studio presenta infine «saggi epistemologici che lavorano su una specifica disciplina scientifica per trarne concettualizzazioni dal valore critico più generale e trasversale, cioè concettualizzazioni ‘filosofiche’» (ibid., in questa sezione rientrano i saggi di G. Châtelet, J. Ismael e B. C. Van Fraassen, G. Longo e M. Montévil, D. Lestel, T. Fuchs, P. Mirowski, B. Karsenti, S. Krämer, J.-C. Milner). Eppure, la corrispondenza di un testo con la propria sezione è solo un suggerimento, una costruzione possibile di senso, o magari proprio la proposta di uno stile critico del ragionamento epistemologico che esaurisca la fertilità di un pluralismo.

Il primo problema di Epistemologie, quello del Pluralismo Critico, ne implica immediatamente un secondo: come studiare epistemologia oggi? La domanda non è banale, perché dovunque si intraprenda l’ampia questione delle condizioni di una didattica, in quello stesso luogo si starebbe aprendo il dibattito sulla comunicabilità di una scienza e sulla sua percepibilità in un modello del sapere – e poi, a oltranza, si svelerebbero per via negativa i comportamenti della disciplina scientifica in un modello del sapere, ma anche le mutazioni e le alterazioni del modello del sapere in quanto tale. «Per chi comincia oggi a studiare epistemologia in un’università italiana, è opportuno individuare strade alternative a un insegnamento accademico spesso legato a programmi culturali di corto respiro, disorganici e – nei casi peggiori – obsoleti rispetto a una discussione che, data la sua dipendenza dai molteplici fattori complessi in gioco nell’attualità delle pratiche scientifiche, può ormai svolgersi soltanto su un piano internazionale» (p. 9). È a partire da questo piano internazionale che il pluralismo si integra con il problema dello studio; oppure, meglio ancora, lo studio diviene pratica scientifica di pluralizzazione. Tale pluralizzazione avviene in più di un modo, ma soprattutto essa avviene in virtù della differenziazione di un modello del sapere attuale da una sua controparte obsoleta e proiettata nell’attualità. Come studiare (la scienza) oggi? Se è ancora possibile costituire una comunità scientifica, essa prenderebbe le mosse da un metodo di studio, da una sensibilità a temi e problemi che esorbitano la tradizione accademica di una formazione fin troppo generica. La pedagogia della scienza ha spesso affrontato queste questioni basandosi sulla categoria dello stile. Si pensi ad esempio al caso eclatante della matematica, entro cui la pedagogia più aggiornata è solita far rientrare l’elaborazione di uno stile di formulazione (ma anche di dimostrazione, di calcolo, di risoluzione) che non si riduca alla ricerca della più elegante formalizzazione possibile, ma tenga presente gli stili di ragionamento propri di una comunità, di un corso di studi, di una fase di apprendimento, e in che misura essi producano realtà [R. Borromeo Ferri, On the influence of mathematical thinking style on learners’ modeling behavior, «Journal für Mathematik-Didaktik» 1 (2010), 31, pp. 99-118]. Come studiare (la scienza) oggi? significa quindi: a quale realtà è possibile ambire oggi? È in questo preciso istante che il problema didattico diviene politico. Per di più, l’importanza della didattica sollevata da Epistemologie starebbe anche nell’integrazione definitiva del problema pedagogico della scienza nella riflessione sullo statuto epistemologico delle varie discipline: cosa permette a una pratica scientifica di definirsi contemporanea?

Il terzo problema di Epistemologie, infine, si propone di mettere in questione il ruolo dell’epistemologo, ma anche quello dello scienziato e del filosofo della scienza. Ecco il punto: declinare Epistemologie al plurale non è solamente il modo per enunciare silentemente un pluralismo critico, né è soltanto il modo di postulare un pluralismo didattico dello studio epistemologico. Epistemologie è plurale perché è la pratica epistemologica, oggi, a essere divenuta plurale. Non è un caso che il volume contenga un totale di trentasei firme. Insomma, è necessario che gli epistemologi non siano più solamente «intellettuali dotati di un capitale conoscitivo specializzato che, costituitisi come classe di mediatori culturali, distribuiscono conoscenze scientifiche di seconda mano adattate ad un pubblico o di nicchia (se diretto ad altri epistemologi o filosofi) o generale (nella fora della divulgazione)» (pp. 16-17). In ognuno di questi propositi obsoleti non tarderebbe a manifestarsi il Sapere come pratica costituita, come un procedimento che articola composti: l’ingenuità del Faust. Al contrario, Epistemologie, nel clamore del suo plurale, propone la figura di un epistemologo dinamico, composizionale, in grado di superare tanto i volgari vincoli inter-disciplinari, quanto le asfissianti stratificazioni dei registri divulgativi.

Che sia forse proprio questo rapporto con l’esteriorità disciplinare, tanto sistematica e didattica quanto pratica, la più preziosa lezione di metodo di Epistemologie.  

 

Andrea F. de Donato

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