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Étienne Klein – Filosofisica [tr. it. di Andrea Migliori, Carocci, Roma 2020]

Ciò che definiamo scienza è storicamente e ontologicamente «figlia della filosofia» (p. 19). Anche per questo «la fisica e la metafisica hanno sempre avuto dei legami, espliciti o nascosti» (p. 22) e sempre li avranno, dato che seppur affrontati oggi in modi che appaiono molto lontani tra di loro – il formalismo matematico da una parte e la teoresi dall’altra – i temi che le costituiscono sono gli stessi: la realtà, la possibilità di conoscerla (epistemologia), il tempo, lo spazio, la causalità, il nulla, la materia.

Uno dei maggiori elementi di continuità/identità tra la metafisica e la fisica è la comune radice platonica, generatasi con il metodo e la visione galileiani ma diventata pervasiva e quasi escludente nella fisica del XX e del XXI secolo: «Il reale immediato è ammesso e capito solo nella misura in cui lo si può considerare come espressione di un secondo reale, nella cui natura – più profonda, più segreta – si cela la chiave per spiegare il primo. Attraverso un gioco di corrispondenze tra il visibile e l’invisibile, tra il concreto e l’astratto, la presenza delle cose viene rimpiazzata dalla sua rappresentazione concettuale, che generalmente è di natura matematica» (p. 114).

Anche da questo elemento matematico si origina uno dei maggiori ostacoli alla comprensione dell’ontologia del tempo: la sua spazializzazione diventata quasi impercepibile, tanto è pervasiva sia del linguaggio ordinario sia delle metafore scientifiche: «Senza neanche rendercene conto, nel rappresentare il tempo come una linea di punti simili a quelli dello spazio ne trasponiamo (o forse ne contraddiciamo?) la natura intrinseca» (p. 48). Il tempo è anche numero del movimento, è anche radice dello spazio ma una sua matematizzazione e spazializzazione integrali producono radicali incomprensioni, tra le quali la riconduzione del tempo a una semplice espressione della mente umana. Al versante psicologico di tale soggettivismo temporale si aggiunge quindi quello matematico e il risultato è l’esclusione del tempo dalla materia. Un esito non soltanto assurdo ma anche – ancora una volta e stancamente –  antropocentrico, clamorosamente antropocentrico.

Infatti, «gli scienziati sono riusciti a stabilire che l’età dell’universo è pari ad almeno 13,7 miliardi di anni, che la Terra si è formata 4,45 miliardi di anni fa e che l’apparizione dell’uomo risale a 2 o 3 miseri milioni di anni fa. […] Il genere umano, specie recentissimo, è ben lontano dall’aver vissuto tutto quello che l’universo ha conosciuto o ha attraversato: 2 o 3 milioni di anni su 13,7 miliardi sono pari a un rapporto di 1:6.850 nel primo caso e di 1:4.560 nel secondo…[…] Questo “paradosso dell’ancestralità” è stato messo in evidenza da molti autori, e a ragion veduta: relegare il tempo nel soggetto, infatti, o pretendere che la realtà del tempo sia puramente soggettiva, non equivale forse a precludersi la spiegazione della comparsa del soggetto nel tempo?» (pp. 46-47). La domanda da porre è ancor più decisa: non equivale tutto questo a precludersi la spiegazione del mondo? Esso è infatti costituito da una miriade incalcolabile di enti le cui componenti atomiche e molecolari sono in uno stato di perenne vibrazione, movimento, trasformazione. Sono eventi.

È a partire dalla struttura temporale dell’essere che diventa possibile e intellegibile anche il nulla. Un’approssimazione del nulla (anch’essa naturalmente complessa ed enigmatica) è il vuoto. Una definizione offertane da Gaston Bachelard può indicare la giusta direzione nella quale guardare: «Il vuoto è come un fattore di annientamento che porta in ogni sostanza il contagio del suo niente» [Les intuitions atomistiques. Essai de classification, Vrin, Paris, 2016 (I ed. 1933) p. 36]. Un fattore quindi sostanziale e dinamico, dove i due elementi sono inseparabili poiché la sostanzialità-dinamismo dell’essere è costituita dalla sua continua potenzialità di mutamento, cioè di diventare ciò che ancora non è. Questo non essere è la pienezza del vuoto che rende possibile l’essere. Un’intuizione del matematico e metafisico Pascal è in questo senso molto chiara: «C’è tanta differenza tra il nulla e lo spazio vuoto quanta ve n’è tra lo spazio vuoto e il corpo materiale; […] dunque lo spazio vuoto occupa il posto medio tra la materia e il nulla» (Risposta al padre Noël, rettore dei Gesuiti a Paris, il 29.10.1647; Pensieri, opuscoli, lettere, a cui di A. Bausola, CDE, Milano 1998, p. 394).

È un’intuizione analoga – pur nelle ovvie differenze – a quella di molti fisici contemporanei, per i quali «il vuoto quantistico costituisce lo stato fondamentale della materia, che ne emerge senza mai recidere il proprio cordone ombelicale» (p. 83). Anche sul tema interamente metafisico dell’essere e del nulla, risulta dunque fecondo il concetto fisico di campo, che si rivela del tutto contiguo a quelli di materia e, appunto, di nulla: «La fisica dei quanti non introduce differenze fondamentali tra uno stato fisico che contiene della materia e uno che ne è privo. Gli oggetti fondamentali della teoria sono dei “campi quantistici” che si estendono in tutto lo spazio e che possono rappresentare la materia o la radiazione. Invece di parlare dell’elettrone propriamente detto, quindi, la teoria dei quanti invoca un “campo elettronico” che possiede la proprietà di essere “sempre presente”, nel senso che le equazioni della fisica quantistica non consentono di immaginare una situazione in cui il campo è nullo, totalmente assente. Come immaginare il vuoto, dunque? Non lo possiamo più considerare come ciò che resterebbe se togliessimo il campo poiché il campo non può essere eliminato. Diventa così uno stato particolare del campo, lo stato “fondamentale”, quello con la minima energia possibile» (pp. 82-83).

La curvatura gnoseologica ed epistemologica della struttura metafisica dell’essere/nulla si esprime anche nelle diverse opzioni che da tale struttura derivano: il realismo e l’idealismo. Al realismo della scienza/filosofia greca e di Einstein si oppone l’idealismo della scienza/filosofia moderna e di Bohr. Per Einstein, infatti, il compito di una teoria fisica consiste nel descrivere la realtà come essa è indipendentemente da qualunque percezione, umana o di altra natura, e di qualsiasi misurazione che ne venga fatta. L’impianto della fisica quantistica è invece basato interamente sulla impossibilità di qualunque sostanzialità del mondo che sia autonoma dai metodi e dagli strumenti che lo indagano.

Bohr «non poteva accettare l’idea che esistesse una realtà oggettiva, indipendente dallo strumento di misura. Secondo lui, una teoria può aspirare a descrivere unicamente i fenomeni che includono nella loro definizione il contesto sperimentale capace di renderli manifesti» (p. 140). Il compito della fisica consisterebbe dunque non nell’indagare la “natura” ma i modi e le forme dell’indagine umana su di essa.

La prospettiva di Einstein si fondava invece «sulla fede incrollabile nell’esistenza di una realtà indipendente dall’osservatore, il che gli impediva di condividere l’idea di Bohr ripresa dalla cosiddetta “scuola di Copenaghen”: “Ciò che chiamiamo scienza”, scriveva, “ha come unico scopo quello di determinare ciò che è”» (lettera a Maurice Solovine del 1.1.1951, qui a p. 146).

La fisica contemporanea si mostra in questo modo una profonda e compiuta metafisica di natura matematizzante, al cui interno vige un grumo di contraddizioni che incessantemente la interrogano e la spingono verso nuove domande e rinnovate risposte. Questo nucleo è la temporalità, negata per lo più nelle dichiarazioni esplicite ma ben presente nei nuclei concettuali e logici della fisica. La teoria della relatività generale, ad esempio, «afferma che la gravità […] non è una vera e propria forza ma una manifestazione locale della curvatura dello spaziotempo!» (p. 134). Uno dei risultati della fisica dei quanti è che «la massa di un corpo deriva più dalla danza frenetica delle particelle da cui è composto che dalla loro massa propria» (121), deriva quindi dal moto, deriva dal divenire che sta al cuore della materia, che è la materia.

Alberto Giovanni Biuso

07_2021

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