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Scienza, creatività e genio ludico

Autore


Giacomo Scarpelli

Università di Modena e Reggio Emilia

sceneggiatore cinematografico e storico della filosofia e delle idee, insegna all’Università di Modena e Reggio Emilia. È Fellow della Linnean Society of London e della Royal Geographical Society

Indice


  1. Imperituro spirito dell’infanzia
  2. L’arte di diventare maturi restando ragazzi
  3. Creatività e necessità

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S&F_n.  20_2018

Abstract


SCIENCE, CREATIVITY AND PLAYFUL GENIUS


This essay analyzes play as a genuine expression of the spirit of childhood, characterized by curiosity and ability of thinking and creating: it links the boy to the scientist and to the artist. The thinking of Huizinga, author of Homo ludens, and of Freud, exegete of Schliemann, the playful disposition of Darwin and Fabre, the Einstein’s desire to remain children all life long, are in relation with the art of Klee and Hergé and the poetry of Saba and Fellini, and finally with the philosophy of Nietzsche.

  1. Imperituro spirito dell’infanzia

L’elemento ludico, l’essenza dello spirito dell’infanzia, argomentava un pensatore sempre sorprendente quale fu Johan Huizinga, giace al fondo di ogni cultura, intesa come sistema sociale nel senso più ampio. «Si possono negare quasi tutte le astrazioni», sosteneva, dalla giustizia alla bellezza, alla verità, persino Dio, «ma non il gioco»[1]. Ciò di cui tratteremo in queste pagine è per l’appunto come la pratica della scienza e, prima ancora, quella della conoscenza, costituiscano il gioco dei giochi, e per attuarlo sia necessaria la qualità più elevata del bambino, ossia una curiosità ingorda, contrassegnata da un’immaginazione potente e immediata. Cercheremo inoltre d’individuare in che modo questa fiamma della creatività infantile continui ad ardere nell’individuo provvisto di genialità sia scientifica sia artistica.

Albert Einstein era persuaso che «lo studio e la ricerca della verità e della bellezza» rappresentassero «una sfera di attività in cui è permesso rimanere bambini per tutta la vita»[2]. Lo scrittore e pittore ebreo Bruno Schulz, autore delle Botteghe color cannella (1933), gli fece eco, proclamando che il suo ideale di vita era «una “maturazione” verso l’infanzia». Purtroppo fu una maturazione interrotta da una pallottola nazista, nel 1942. Ma il medesimo concetto risulta ribadito in un episodio riguardante Paul Klee. Un giorno, una signora, contemplando un dipinto dell’artista, caratterizzato dalle tipiche campiture vivide e figure triangolari, osservò che «cose simili saprebbe dipingerle anche mio figlio di sei anni». Con un sorriso Klee replicò: «Bisognerà vedere se saprà ancora farle quando ne avrà quaranta»[3].

Fu tuttavia Sigmund Freud, per il quale sbrigliare l’immaginazione, lavorare e divertirsi erano tutt’uno, il primo a identificare gli indizi del legame sotteso tra le forme più elevate dell’ingegno e il permanere di componenti psichiche infantili. «Ho comperato La scoperta di Troia di Schliemann», scriveva nel 1899, riguardo alla scopritore della città omerica, «e mi ha fatto grande piacere leggere il resoconto della sua infanzia. Egli ha trovato la felicità con il tesoro di Priamo, poiché la felicità deriva unicamente dal soddisfacimento di un desiderio infantile»[4]. Dieci anni più tardi aggiungerà una chiosa: «I grandi eroi hanno spesso facce da bambino»[5].

Se il bisogno della specie umana di conservare un’originaria propensione ludica, biologicamente generata quale mezzo a disposizione del cucciolo che si prepara alla vita apprendendo e sperimentando, è irrinunciabile, subito sorge legittima la domanda su che cosa sarebbe accaduto qualora gli uomini di genio, frequentemente afflitti da malanni mentali di varia entità e natura, si fossero sottoposti a terapie di tipo psichiatrico. Ancora Einstein, a un discepolo di Freud che si era proposto di analizzarlo, si affrettò a comunicargli che preferiva rimanere «nell’ignoranza di chi non è stato psicoanalizzato». Era probabilmente consapevole che altrimenti avrebbe corso il pericolo di diventare un cittadino più rispettoso, ma sicuramente meno creativo[6]. Un caso per certi versi complementare al precedente riguarda Umberto Saba. Si narra che egli, mentre attraversava un periodo di depressione, si decidesse a rivolgersi a uno psicanalista della sua Trieste: Edoardo Weiss, primo e unico allievo italiano di Freud. Una volta sdraiato sul lettino, nel rivelare che oltre a mandare avanti una libreria era poeta, Saba fu colto da un sospetto; chiese se la terapia avrebbe potuto modificare o danneggiare in qualche modo la sua vena lirica. Weiss ripose in tutta sincerità che non poteva escluderlo. Saba interruppe la seduta, convinto che convivere con le proprie incertezze psichiche sarebbe stata tutto sommato una prospettiva preferibile a quella della perdita del dono di scrivere versi[7]. Entrambi, Saba e Weiss, alla promulgazione delle leggi razziali del fascismo, saranno costretti a rifugiarsi all’estero.

Un’analisi approfondita di un genio si arrischiò a compierla Freud e, giudiziosamente, di uno dei tempi andati, che non avrebbe vista scombussolata la propria interiorità: Leonardo da Vinci. Il quale secondo Freud rimase per tutta la vita una natura assolutamente infantile[8]. Oltre ai giocattoli scientifici per i quali lo si celebra, dai velivoli ai sottomarini, dalla bicicletta allo scafandro, Leonardo concepì e costruì altri trastulli, come certi animaletti modellati nella cera, che si alzavano in volo allo zefiro più leggero. Oggetti che sicuramente procuravano al suo creatore un piacere intimo, similmente delle lettere (ritrovate tra i manoscritti milanesi) a immaginari vassalli di sultani babilonesi, intessute di cronache di viaggi in Oriente. Un epistolario che ha messo a lungo sulla strada sbagliata i biografi e che si è rivelato il parto della fantasia di Leonardo, dove dava pieno sfogo alla sua infantile brama di avventura e di esplorare terre remote e avvolte nel mistero.

La letteratura riesce a penetrare gli eventi e lo Zeitgeist di un’epoca che la storiografia deve necessariamente rendere schematiche. Non si esagererà affermando che esiste un rapporto non evidente, ma solido e fertile, tra letteratura e arte in genere e scienza, e che le une a volte precedano l’altra. Potremmo avventurarci a dimostrare come il romanzo di Henry James Il giro di vite, del 1898, anticipi in ammaliante chiave simbolica (e servendosi di un ingegnosissimo ribaltamento di atmosfere rispetto alla tradizione neogotica, il panico a mezzogiorno) uno dei più conosciuti casi clinici di Freud, L’uomo dei lupi, pubblicato due decenni più tardi. E potremmo addentrarci nell’analisi comparata delle due opere, poiché entrambe hanno come nucleo le vicende e le conseguenze di un atto di corruzione di due fratellini, una lei e un lui, esercitato dai domestici nell’ambiente di una signorile villa di campagna[9]. Ma incalza un’altra questione, e cioè come l’energia immaginativa dell’infanzia riesca a presagire la scienza anche nella sua concreta forma di applicazione, la tecnologia. In quest’ambito letteratura per ragazzi, cinema e fumetto hanno dato il loro contributo.

Forse alcuni sanno che un certo evolutissimo cellulare da polso immesso qualche anno fa sul mercato è la tardiva realizzazione commerciale delle videoricetrasmittenti da polso in dotazione al detective di carta hard boiled Dick Tracy, creato dal grande fumettista Chester Gould, nel 1931[10]. E sicuramente pochissimi sanno che il VASH, il più piccolo sommergibile al mondo, dalle forme di cetaceo, con pinne e sfiatatoi, costruito da Doc Rowe e Dusty Kaiser negli Stati Uniti nel 1994, è la copia praticamente identica di quello apparso in un’avventura di Tintin, Il Tesoro di Rakham il Rosso, disegnata da Hergé mezzo secolo prima. Si trattava dell’invenzione di un personaggio che faceva in quell’albo la prima comparsa, il professor Girasole (Tournesol), scienziato eccentrico, svagato e duro d’orecchio, sorta di caricatura irresistibile di Auguste Piccard, fisico ed esploratore dei fondali oceanici e della stratosfera. Le avventure di Tintin, reporter baldo e coraggioso, con il suo fox-terrier Milù e con i suoi amici Haddock, lupo di mare etilista, Dupond e Dupont, poliziotti assai tardi, Girasole, geniale e tra le nuvole, conservano e ripropongono con potente empito parodistico la tradizione della narrativa d’azione e di mistero, nel cui sostrato si ravvisano strutture e figure della letteratura per ragazzi francese e inglese, da Verne a Boussenard, da de La Hire a Rider Haggard. Non è un caso che Steven Spielberg, il quale ha portato sullo schermo Tintin e il segreto dell’Unicorno (2011), ha sempre dichiarato di realizzare i film che gli sarebbe piaciuto vedere da piccolo.

A questo punto non sarà fuori luogo riferire quanto il compianto storico dell’architettura e del design Gianni Koenig ci confidò, e cioè che Wernher von Braun, il padre dei progetti spaziali americani, aveva ispirato i suoi missili a quelli delle pellicole mute di Georges Méliès, pioniere del cinema fantastico (a loro volta tratte da romanzi futuribili di Verne). Von Braun vi aveva assistito nella Prussia natale quando portava i calzoni corti. Va aggiunto che nel 1929, allorché lo scienziato entrò in contatto con Hermann Oberth, il progettista aeronautico che sarebbe diventato il suo mentore, questi era impegnato ad allestire il razzo commissionatogli dal regista Fritz Lang per Una donna sulla luna, prototipo dei film di fantatecnologici.

 

  1. L’arte di diventare maturi restando ragazzi

Il filosofo francese Michel Serres, in un suo saggio su Hergé, ha scritto che il genio si determina «per il rapporto segreto che intrattiene con le due manifestazioni positive della vita: il comico e l’infanzia»[11]. È un’osservazione che ha valore anche per buona parte degli scienziati e degli artisti che abbiamo fin qui accostato. «Una predisposizione alla curiosità di oggi diventerà il sostrato della scienza di domani», diceva Robert Louis Stevenson, «poiché dalla mente di un bambino si può pescare più storia e filosofia che in tutti i volumi stampati di una biblioteca»[12]. Una verità definitiva quella dell’autore dell’Isola del Tesoro e dello Strano caso del Dottor Jekyll e di Mister Hyde, un autore impareggiabile nell’insegnare l’arte di diventare maturi, proprio lui che era rimasto fondamentalmente un ragazzo, come ha giustamente puntualizzato Pietro Citati[13].

Identificate quelle che paiono le condizioni necessarie per il manifestarsi dell’ingegno creativo, non ci si può esentare dal tirare in ballo un’altra figura che con le sue concezioni modificò radicalmente il modo di pensare contemporaneo: Charles Darwin. Il suo collega naturalista nonché co-ideatore della teoria della selezione naturale, Alfred R. Wallace, sosteneva che in lui la curiosità infantile sembrava non aver perduto nulla della sua forza[14]. E il principale diffusore dell’evoluzionismo darwiniano, Thomas H. Huxley, affermava che il maestro era la personificazione massima dello scienziato capace di risolvere problemi cruciali in virtù di un candore conoscitivo inestinguibile, che lo poneva nei confronti della natura nella medesima umile e feconda disposizione d’animo di Cenerentola verso prìncipi e regge[15]. La signora Emma Wedgwood Darwin, prosaicamente ma con grande senso pratico, aveva definito il marito Charles «un bambino troppo cresciuto». E, a dire il vero, egli stesso l’aveva già ammesso all’indomani del loro fidanzamento: «Riconosco di essere davvero come un bambino troppo cresciuto con un nuovo giocattolo»[16]. Un’ultima significativa testimonianza ci è stata tramandata da Bernard Darwin, nipote dell’autore dell’Origine delle specie (1859), giornalista e campione di golf, riferita a Miss Jessie Brodie, la bambinaia di casa Darwin, che in precedenza lo era stata delle figlie del romanziere Thackeray. Un giorno Miss Brodie si era sentita in dovere di insinuare nella padrona il dubbio che Mister Charles fosse uno sfaccendato, dato che se ne stava ore intere beatamente assiso sulla nuda terra a guardare i nidi delle formiche. Del signor Thackeray non si poteva dire che facesse un lavoro serio, ma almeno passava le giornate chino allo scrittoio[17].

«Il Bambino è padre dell’Uomo», aveva stabilito Wordsworth, il poeta più amato da Darwin[18]. Di quest’ultimo l’immagine che emerge è insomma quella di un scienziato tenacemente costante, che riuscì a far breccia nei meccanismi reconditi del mondo vivente, utilizzando quale strumento della propria indipendenza intellettuale un candore che era espressione della meraviglia e della disposizione ludica mai placata che accomunano precisamente il bambino al filosofo.

A conclusione della nostra rassegna non sarà ozioso accennare a come anche al celebre naturalista Jean Henri Fabre, che ci ha lasciato i suoi impareggiabili Ricordi di un entomologo e che con Darwin era in un rapporto epistolare talvolta conflittuale (attribuiva agli insetti doti meramente istintuali e non intellettive), fosse capitato di essere incompreso e frainteso. Durante i suoi appostamenti nell’assolata campagna della Provenza per studiare i costumi degli imenotteri, Fabre era stato scambiato per un vagabondo o un malintenzionato dal guardiacaccia e, in un’altra occasione, per lo scemo del villaggio da un terzetto di vendemmiatrici, colpite dai suoi panni frusti e dalla sua posizione statica su una pietra, in un posto desolato: «Mentre mi passavano avanti», narra Fabre, «vidi una delle ragazze portarsi il dito in mezzo alla fronte e mormorare alle altre in dialetto locale “è un povero innocente, peccato!” Tutte e tre si fecero il segno della croce»[19].

 

  1. Creatività e necessità

Il gioco, peculiarità dell’infanzia, va forse concepito quale punto al tempo stesso più alto e più profondo dell’esistenza, generatore della creatività. Poi si verifica la discesa tra le necessità e le costrizioni del quotidiano, e la creatività si attenua o scompare, se non coltivata. Per la gran parte degli scienziati, degli artisti e dei pensatori che abbiamo incontrato, la creatività perdurò grazie all’essere rimasti in buona misura animati dello stesso spirito, intimo e vivificante, di quando erano ragazzi. Una simile argomentazione vale anche per un cineasta come Federico Fellini. Chi scrive queste pagine ha avuto modo di conoscerlo, poco prima che fosse colto dall’ictus che lo avrebbe condotto alla fine. Entusiasta, traboccante di idee e ancora di voglia di fare, dimostrava quell’inconfondibile, inutile, fondamentale attenzione che il bambino mette nel suo gioco. Un atteggiamento febbrile, un infantile lampeggiare dello sguardo nel Fellini alle soglie di una vecchiaia che non avrebbe mai raggiunto, neppure se fosse vissuto cent’anni. In un mondo che stava diventando interamente elettronico-digitale, lui continuava a darci sotto con le forbici, lo spago, la colla, il fil di ferro e il carboncino, magari per realizzare sequenze con onde, transatlantici, rinoceronti e nasi di cartone, come un ragazzino d’altri tempi. In sostanza, l’evento di cui fu artefice consistette nell’aver reso i ricordi che portava dentro di sé – residui dell’infanzia struggenti, vividi e inafferrabili come quelli di ciascuno di noi – materiale sufficiente per erigere edifici narrativi immensi e felici. La sua lunga, inesauribile adolescenza Fellini l’ha dipinta, scolpita e monumentalizzata fino a farla diventare quella di tutti.

Fellini e le altre geniali personalità in cui ci siamo imbattuti, pur senza esserne consapevoli, tennero tutte fede al principio enunciato da Nietzsche: la maturità dell’uomo «significa aver ritrovato la serietà che da fanciulli si metteva nei giochi»[20].


[1] J. Huizinga, Homo ludens (1938), tr. it. Einaudi, Torino 2002, p. 6.

[2] A. Einstein, Il lato umano (1979), tr. it. Einaudi, Torino 1980, p. 77. Vedi anche il fondamentale saggio di storia della fisica di G. Holton, L’immaginazione scientifica (1978), tr. it. Einaudi, Torino 1983.

[3] Cfr. E. Lisciani-Petrini, Il suono incrinato. Musica e filosofia nel primo Novecento, Torino, Einaudi 2001, p. 195.

[4] S. Freud, Lettere a Wilhelm Fliess 1887-1904 (1896), tr. it. Bollati Boringhieri, Torino 1990, p. 391.

[5] Id., Ms. del 13 settembre 1909 (Annotazioni su volti e uomini), in Il nostro cuore volge al Sud (2002), tr. it. Bompiani, Milano 2003, p. 258.

[6] A. Einstein, Il lato umano, cit., p. 33.

[7] Su Weiss vedi R. Corsa, Edoardo Weiss a Trieste con Freud. Alle origini della psicoanalisi italiana, Alpes, Roma 2013; su Saba vedi E. Bizjak Vinci, S. Vinci, La libreria del poeta, Hammerle, Trieste 2008.

[8] S. Freud, Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci (1910), tr. it. in Opere, Bollati Boringhieri, Torino, 1989, VI, pp. 213-284.

[9] H. James, Il giro di vite (1898), tr. it. Rizzoli, Milano 1959; S. Freud, Dalla storia di una nevrosi infantile (Caso clinico dell’Uomo dei Lupi) (1914), tr. it. in Opere, cit., VII, pp. 487-593.

[10] La 2-way wrist-radio (poi TV) di Dick Tracy, inserita nel 1946 da Chester Gould nelle sue storie, fu commercializzata per anni come giocattolo; ma si sarebbe dovuto aspettare l’arrivo del microchip per realizzare un cellulare multifunzionale autentico.

[11] M. Serres, Hergé mon ami (2000); tr. it. Portatori d’Acqua, Pesaro 2017, p. 24.

[12] R.L. Stevenson, Random Memories: Rosa quo Loquorum (1896), in The Works of Robert Louis Stevenson, Chatto & Windus, London 1907, XV, p. 382.

[13] P. Citati, Il male assoluto. Nel cuore del romanzo dell’Ottocento, Mondadori, Milano 2000, p. 425.

[14] A.R. Wallace, Darwin’s ‘The Expression of the Emotions in Man and Animals’, in «Quarterly Journal of Science», XXXVII, January 1873, p. 113.

[15] L. Huxley (a cura di), The Life and Letters of Thomas Henry Huxley, Macmillan, London 1900, I, p. 235.

[16] Lettera del 20 gennaio 1839 in F. Darwin e A.C. Seward (a cura di), More Letters of Charles Darwin, Murray, London 1903, I, p. 30. Vedi anche A. La Vergata, Images of Darwin, in D. Kohn (a cura di), The Darwinian Heritage, Princeton University Press, Princeton 1983, pp. 901-1099; e G. Scarpelli, Infantilismo e genio scientifico, in «Intersezioni», XV, 1995, pp. 181-185.

[17] B. Darwin, Green Memories, Hodder & Stoughton, London 1928, p. 22.

[18] Vedi la poesia W. Wordsworth, My Heart Leaps Up, 1802.

[19] J.H. Fabre, Ricordi di un entomologo (1879), tr. it. Einaudi, Torino 1972, p. 98. Traduzione leggermente modificata.

[20] F. Nietzsche, Al di là del bene e del male (1886), tr. it. Adelphi, Milano 1977, IV, 94.

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