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Ambiente e diritti umani: il diritto all’informazione ambientale

Autore


Valentina Rossi

Istituto di Studi Giuridici Internazionali del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Sede di Napoli

Ricercatore in Diritto internazionale

Indice


  1. L’informazione ambientale e il ruolo della conoscenza nei processi decisionali ambientali     
  2. Tutela internazionale dell’ambiente e diritto all’informazione 

  3. Tutela internazionale dei diritti umani e informazione ambientale 

  4. La Convenzione di Århus: per un modello di “democrazia ambientale” 

  5. Evoluzione normativa a livello comunitario e nazionale

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S&F_n. 02_2009


  1. L’informazione ambientale e il ruolo della conoscenza nei processi decisionali ambientali

La risorsa “informazione” e il diritto all’informazione, inteso nei suoi molteplici aspetti, rivestono un ruolo particolare nel perseguimento degli obiettivi di tutela dell’ambiente. Ciò dipende dalle peculiari caratteristiche delle questioni ambientali, contraddistinte da interdisciplinarietà, coinvolgimento di una pluralità di attori portatori di interessi diversi, asimmetria distributiva dei costi e dei benefici, distribuzione non uniforme dell’informazione e sviluppo nel tempo delle conoscenze disponibili. Le politiche di tutela dell’ambiente e le normative ambientali sono fortemente condizionate dal progresso scientifico, ossia dall’evoluzione delle conoscenze scientifiche relative agli impatti che le attività antropiche producono sugli equilibri naturali e alle soluzioni che possono essere adottate al fine di eliminare o minimizzare tali impatti. In tale contesto, un adeguato patrimonio informativo rappresenta una condizione essenziale per favorire l’efficacia delle azioni poste in essere. Da un lato, infatti, la corretta raccolta, gestione, integrazione delle informazioni relative all’ambiente, costituisce uno strumento indispensabile a supporto delle politiche ambientali, sia nella fase di pianificazione degli interventi sia in quella di verifica della loro efficacia; dall’altro, la pubblicità e la diffusione delle informazioni ambientali consentono di modificare il ruolo che i cittadini svolgono nel perseguimento degli obiettivi di tutela dell’ambiente, trasformandoli in soggetti attivi, in grado di fare scelte consapevoli e di esercitare un controllo sull’operato dei soggetti pubblici.

Un processo di crescente coinvolgimento della società civile nella elaborazione e attuazione delle politiche ambientali è emerso, negli ultimi anni, come uno degli elementi fondamentali di un nuovo modello di governance, finalizzato a favorire la sostenibilità delle politiche di sviluppo e l’effettiva integrazione degli aspetti ambientali, economici e sociali all’interno dei processi decisionali pubblici. La partecipazione pubblica si è affermata quale espressione di un principio democratico, esteso a forme di democrazia partecipativa che integrano e completano il concetto classico di democrazia rappresentativa e, allo stesso tempo, come strumento volto all’adozione di scelte più efficaci ed eque sotto il profilo ambientale[1]. Il coinvolgimento dei soggetti interessati garantisce la trasparenza dei processi decisionali, consente la legittimazione delle scelte adottate, favorisce la costruzione di un consenso che riduce l’opposizione sociale nella fase di attuazione, permette di acquisire un più ampio quadro informativo e favorisce la correzione dell’iniqua distribuzione dei costi e dei benefici ambientali. Qualunque sia l’espressione utilizzata, “partecipazione pubblica”, “coinvolgimento dei cittadini”, “consultazione delle comunità locali”, si è andata affermando l’idea secondo cui le scelte suscettibili di produrre significative conseguenze ambientali devono essere adottate con il coinvolgimento dei soggetti su cui esse sono destinate a ripercuotersi. È evidente il ruolo nevralgico che il tema dell’informazione riveste in tale ottica: l’autonomia di giudizio necessaria all’esercizio dell’attività partecipativa richiede la conoscenza delle problematiche emergenti e delle possibili soluzioni nonché degli elementi di valutazione delle stesse in termini impatto ambientale, sanitario, economico e sociale.

La tematica della protezione dell’ambiente viene, così, ad arricchirsi di una dimensione soggettiva, quella della percezione delle questioni ambientali da parte dei soggetti interessati (cittadini, imprese, comunità locali, consumatori, popolazioni indigene…) e rivela la stretta connessione con il tema dei diritti umani. I diritti associati al concetto di partecipazione pubblica sono riconosciuti da anni come diritti umani fondamentali, la libertà di espressione e di informazione, il diritto alla partecipazione politica, la libertà di associazione e quella di assemblea. Questi diritti, tuttavia, stanno andando incontro a una riformulazione e a un’espansione in relazione all’emergere di nuove problematiche e al riconoscimento di nuovi diritti umani, quali il diritto all’ambiente o il diritto allo sviluppo.

La configurabilità, alla luce del diritto internazionale vigente, del diritto all’ambiente tra i diritti dell’uomo, rappresenta ancora oggi una questione controversa: numerose sono le difficoltà incontrate nella sistematizzazione dei profili sostanziali di tale diritto, dalla definizione dell’esatto contenuto all’individuazione dei presupposti di azionabilità. Notevoli progressi sono stati, invece, compiuti nell’elaborazione dei profili procedurali del diritto umano all’ambiente, su cui si è concentrata l’attenzione del legislatore internazionale e di parte della dottrina[2].

2. Tutela internazionale dell’ambiente e diritto all’informazione

La Carta Mondiale della Natura adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, nel 1982, è uno dei primi documenti in cui si afferma che ogni individuo deve avere l’opportunità di partecipare, individualmente o collettivamente, all’elaborazione delle decisioni che riguardano direttamente il suo ambiente e che, al fine di consentire una partecipazione efficace, determinate tipologie di informazioni devono essere rese pubbliche[3]. Tale approccio è ripreso, pochi anni più tardi, nel Rapporto finale della Commissione Mondiale su Ambiente e Sviluppo (cd. Commissione Bruntland), il quale prevede che gli Stati «shall establish systems for the collection and the dissemination of data» e «shall inform all persons in a timely manner of activities which may significantly affect their use of a natural resource or their environment»[4]. Disposizioni analoghe compaiono, in quegli anni e negli anni successivi, in diversi altri strumenti di soft law adottati a livello regionale[5] nonché in alcuni strumenti a carattere vincolante[6]. È, tuttavia, in seno alla Conferenza delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo, svoltasi a Rio de Janeiro nel 1992, che la necessità di un approccio partecipato alle problematiche ambientali è consacrata sul piano internazionale. Il principio 10 della Dichiarazione di principi adottata in quella sede stabilisce che:

At the national level, each individual shall have appropriate access to information concerning the environment that is held by public authorities, including information on hazardous materials and activities in their communities, and the opportunity to participate in decision-making processes. States shall facilitate and encourage public awareness and participation by making information widely available. Effective access to judicial and administrative proceedings, including redress and remedy, shall be provided[7].

L’idea di fondo è che il riconoscimento agli individui di alcuni diritti ambientali “procedurali” o “funzionali”, quali il diritto di ottenere informazioni sullo stato dell’ambiente, di partecipare ai processi decisionali e di avere accesso a idonei mezzi di tutela, consenta a ciascuno di collaborare alla creazione di un ambiente migliore, esercitare un controllo sull’attività degli Stati in campo ambientale e tutelare, in ultima analisi, il proprio diritto a vivere in un ambiente sano[8]. In tale prospettiva, un’importanza fondamentale è riconosciuta all’accesso all’informazione ambientale, logica e necessaria premessa per l’esercizio degli altri diritti, e al compito spettante agli Stati di rendere le informazioni ampiamente disponibili al fine di accrescere la consapevolezza e la partecipazione pubblica.

Negli anni successivi alla Conferenza di Rio si avvia a livello internazionale un processo ampio e trasversale finalizzato all’implementazione del principio 10; sempre più spesso, il diritto internazionale dell’ambiente non riguarda più solo il rapporto tra sovranità statale e protezione ambientale ma coinvolge direttamente la persona umana, quale titolare di diritti e obblighi[9]. Un numero crescente di accordi ambientali multilaterali, adottati sia a livello universale che regionale, in diversi settori, pone a carico degli Stati obblighi precisi in tema di informazione ambientale, individuando le tipologie di informazioni da rendere accessibili, i soggetti legittimati a richiedere l’accesso, le condizioni e i termini per il suo esercizio[10]. Una considerazione particolare merita la Convenzione di Århus “sull’accesso all’informazione, la partecipazione del pubblico al processo decisionale e l’accesso alla giustizia in materia ambientale”. Tale accordo, oggetto a seguire di un’analisi approfondita, rappresenta l’unico atto ambientale vincolante ad aver dato attuazione al principio 10 della Dichiarazione di Rio, secondo un approccio complessivo e strutturato.

3. Tutela internazionale dei diritti umani e informazione ambientale

Un contributo rilevante al chiarimento del legame esistente tra ambiente e diritti umani è stato apportato dagli organismi internazionali che operano nel campo della protezione dei diritti dell’uomo. Nonostante l’assenza di specifiche norme sul diritto dell’uomo all’ambiente in quasi tutti gli atti adottati a livello internazionale[11], la giurisprudenza internazionale sui diritti umani ha riconosciuto agli individui un crescente grado di tutela in casi concernenti episodi di inquinamento, svolgimento di attività pericolose, sfruttamento eccessivo delle risorse naturali[12].

Un esempio di questa tendenza evolutiva è rappresentato dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. Sebbene manchi nel testo della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU)[13] il diritto all’ambiente o qualsiasi riferimento alla nozione di ambiente, la Corte è andata, nel tempo, riconoscendo un notevole grado di protezione all’individuo in relazione a fenomeni di inquinamento e degrado ambientale. La Corte ha ritenuto, infatti, che tali fenomeni possano tradursi in illecite interferenze nel godimento di alcuni diritti espressamente garantiti, quali il diritto alla vita privata e familiare (art.8) e il diritto alla vita (art.2)[14]. È significativa, in proposito, l’attenzione che la Corte dedica ad alcune garanzie di natura procedurale riconosciute all’individuo in relazione a scelte pubbliche suscettibili di produrre significativi effetti sull’ambiente e violare tali diritti[15]. Secondo la giurisprudenza ormai costante della Corte, quando uno Stato deve affrontare questioni complesse di politica ambientale ed economica, quale ad esempio lo svolgimento di attività industriali altamente inquinanti o pericolose, il processo decisionale deve comportare lo svolgimento di inchieste e studi volti a valutare anticipatamente gli effetti sull’ambiente e sui diritti degli individui, al fine di conseguire un equilibrio tra i tutti gli interessi in gioco. A tale obbligo, si affianca quello di assicurare l’accesso del pubblico ai risultati di tali studi e a tutte le informazioni necessarie a valutare i rischi cui esso può essere esposto. Sulla base di tali informazioni, i soggetti interessati hanno il diritto di presentare osservazioni e ricorrere contro le decisioni adottate laddove ritengano che i propri interessi non siano stati tenuti in considerazione.

La Corte, dunque, in particolari circostanze, giunge a configurare un «diritto del pubblico all’informazione»[16]. Tale diritto, tuttavia, non è ricondotto alla disposizione della Convenzione che tutela la libertà di informazione (art. 10) il quale, secondo la Corte, comporta solo un obbligo (negativo) dello Stato di astenersi da qualsiasi attività volta a interferire con la libertà dell’individuo di ottenere informazioni e non un obbligo (positivo) di raccogliere e divulgare informazioni[17]. Il diritto all’informazione ambientale, inteso nei termini di una pretesa giuridicamente tutelabile a ottenere dati e notizie detenuti dall’autorità pubblica, è, dunque, distinto dalla più generale “libertà di informazione”, coincidente con la con la semplice assenza di ostacoli alla libera circolazione delle informazioni, e gioca un ruolo in quanto aspetto procedurale di altri diritti sostanziali. La libertà di informazione, tutelata dall’art. 10, ha assunto, invece, rilevanza in materia ambientale al fine di garantire la libertà di individui e gruppi (in particolare le associazioni ambientaliste) di raccogliere e diffondere informazioni su questioni ambientali, alimentando il dibattito pubblico e svolgendo un ruolo di «public watchdog»[18].

La Convenzione di Århus: per un modello di “democrazia ambientale”

La Convenzione di Århus «sull’accesso all’informazione, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale»[19] è la prima convenzione internazionale in materia ambientale che, similmente agli accordi per la tutela dei diritti umani, impone agli Stati degli obblighi nei confronti degli individui. La Convenzione, riconosciuto il fondamentale diritto umano a un ambiente salubre, individua quali mezzi per farlo valere l’accesso all’informazione, la partecipazione ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia, tre “pilastri” su cui costruire un nuovo modello di democrazia ambientale. Sebbene il termine “diritti” sia generalmente evitato all’interno della Convenzione, che disciplina nel dettaglio gli obblighi che gravano sugli Stati, l’obiettivo, la struttura e il contesto sono indubbiamente «right oriented»[20].

Il primo pilastro è naturalmente l’accesso all’informazione ambientale. Gli obblighi che gravano sugli Stati contraenti sono definiti secondo due approcci: da un lato, le Parti sono tenute ad assicurare l’accesso su richiesta alle informazioni ambientali detenute dalle autorità pubbliche (ruolo passivo), dall’altro, esse hanno l’obbligo di raccogliere e divulgare l’informazione rilevante (ruolo attivo). L’oggetto di tali obblighi, l’«informazione ambientale», è definito in maniera estremamente ampia; la nozione comprende non solo le informazioni riguardanti lo stato degli elementi dell’ambiente (aria, acqua, suolo, paesaggio, biodiversità..) ma anche le informazioni attinenti agli elementi che possono influenzare lo stato dell’ambiente, vale a dire, «i fattori», come sostanze, energia, rumore e radiazioni, ma anche «le attività» e «le misure» (provvedimenti amministrativi, politiche, normative, piani e programmi, incluse le analisi economiche utilizzate nei processi decisionali) suscettibili di influire sull’ambiente. La definizione comprende, inoltre, le informazioni riguardanti lo «stato di salute e la sicurezza umana» e «lo stato dei siti culturali» nella misura in cui sono influenzati dallo stato dell’ambiente. Legittimato a esercitare il diritto di accesso alle informazioni ambientali in possesso delle autorità pubbliche è il «pubblico», definito in maniera estremamente ampia e generica, in modo da evitare qualsiasi discriminazione sulla base della cittadinanza, nazionalità o domicilio. L’accesso, inoltre, deve essere consentito senza necessità di dimostrare un interesse, entro termini prestabiliti, a un costo ragionevole. Infine, sono individuate nel dettaglio le cause che possono legittimare un rifiuto da parte dell’autorità pubblica, al fine di ridurre i margini di discrezionalità degli Stati nell’individuazione delle informazioni accessibili. Uno degli elementi più innovativi della Convenzione di Århus è, tuttavia, costituito dalla previsione di precisi obblighi di divulgazione «attiva» delle informazioni ambientali. A tal fine, le autorità pubbliche devono possedere e aggiornare l'informazione ambientale utile per l'esercizio delle proprie funzioni; istituire meccanismi obbligatori che garantiscano un adeguato flusso di informazioni su attività suscettibili di produrre un significativo impatto sull'ambiente; in caso di minaccia imminente alla salute o all'ambiente, diffondere immediatamente tutta l'informazione utile a prevenire o mitigare i danni. Tra le informazioni che le autorità pubbliche sono tenute a diffondere rientrano le normative, i piani, le politiche in materia ambientale (inclusi i rapporti sulla loro implementazione e i fatti e le analisi rilevanti per la loro elaborazione) e le informazioni sul modo in cui l’amministrazione, a tutti i livelli, esercita le funzioni pubbliche o fornisce i servizi pubblici relativi all’ambiente. Affinché il diritto all’informazione sia effettivo la Convenzione prevede, poi, obblighi cd. di “meta-informazione”, ovvero l’obbligo di fornire al pubblico informazioni sul tipo e sullo scopo dell'informazione ambientale detenuta dalle autorità pubbliche e sulle condizioni e le procedure per ottenerla. La Convenzione, infine, indica nel dettaglio quali sono le informazioni che devono essere rese pubbliche al fine di garantire una partecipazione “informata” ai processi decisionali: esse comprendono tanto le informazioni relative al processo decisionale (tipologia, tempi, responsabile, atto finale...) quanto le informazioni rilevanti all’interno del processo decisionale (attività proposta, effetti ambientali, alternative possibili…).

Evoluzione normativa a livello comunitario e nazionale

In un gioco di influenza reciproche, la Convenzione di Århus ha costituito un forte stimolo all’evoluzione della normativa comunitaria in tema di informazione e partecipazione ambientale. Firmata e ratificata la Convenzione, la Comunità europea ha dato avvio a un profondo processo di revisione della normativa vigente, al fine di adeguarla alle disposizioni convenzionali. Tale processo ha riguardato due diversi ambiti: le istituzioni comunitarie e gli Stati membri. Il Regolamento 1367/2006/Ce ha disciplinato l’applicazione delle disposizioni della Convenzione alle istituzioni e agli organi comunitari; per quanto attiene agli Stati membri, il primo passo verso l’adeguamento è stato compiuto con la Direttiva 2003/4/CE sull’accesso all’informazione ambientale. La Direttiva, in linea con l’approccio adottato nella Convenzione, persegue l’obiettivo di garantire, non più «la libertà»[21], bensì «il diritto» di accesso all'informazione ambientale e dà piena e dettagliata attuazione alle disposizioni convenzionali, in particolare per quanto attiene al ruolo «attivo» delle autorità pubbliche nella diffusione dell’informazione ambientale, aspetto in precedenza non disciplinato.

La Direttiva 2003/4/CE è stata attuata in Italia con il D.Lgs. 195/2005 che persegue l’obiettivo di «garantire il diritto di accesso all'informazione ambientale» e «garantire che l'informazione ambientale sia sistematicamente e progressivamente messa a disposizione del pubblico e diffusa». Nell’ordinamento italiano, l’accesso alle informazioni ambientali «si inserisce nel vasto ambito della tutela del diritto di accesso del pubblico ai documenti amministrativi» che, ai sensi del novellato art. 22 della L.241/1990[22], attiene «ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali ex art. 117, co. 2, lett. m della Costituzione»[23]. La crescente domanda di trasparenza dell’attività delle pubbliche amministrazioni e la tendenza a intendere l’accesso come uno strumento per realizzare tale obiettivo hanno comportato, negli ultimi anni, di significative evoluzioni del quadro normativo di riferimento. Basti menzionare quanto disposto dal cd. “Codice dell’amministrazione digitale”[24] circa il diritto di esercitare l’accesso ai documenti amministrativi mediante l'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione. In tale quadro, la materia dell’accesso alle informazioni ambientali, in virtù della priorità del bene tutelato, il bene ambiente, è oggetto di una disciplina speciale e derogatoria che conferisce al diritto di accesso una qualificazione giuridica e una forza positiva del tutto eccezionale[25]. Tale disciplina risponde all’esigenza di instaurare, in materia ambientale, un controllo sociale diffuso sulle attività delle pubbliche amministrazioni[26], delineando una nuova configurazione del rapporto tra governanti e governati.


[1] T. Tonchia, Diritti dell’uomo e ambiente, la partecipazione dei cittadini alle decisioni sulla tutela dell’ambiente, Cedam, Padova 1990, pp. 4 ss. Sul nesso tra democrazia e ambiente si veda S. Gates, N. Petter Gleditsch, E. NeuMayer, Environmental Commitment, Democracy and Inequality, Background Paper to World Development Report 2003, World Bank, Washington 2002. Sul concetto di partecipazione e sulla sua evoluzione si veda A. Savignano, Partecipazione Politica, in «Enciclopedia del Diritto», Giuffrè, Milano 1982, vol. XXXII, pp. 1-14.

[2] P. Kromarek (a cura di), Environnement et droits de l’homme, UNESCO, Paris 1987; P. Cullet, Definition of an Environmental Right in a Human Rights Context, in «Netherland Quarterly of Human Rights», XIII, 1, 1995, pp. 25 ss.; A. E. Boyle, M.R. Anderson (a cura di) Human rights approaches to environmental protection, Clarendon Press, Oxford 19982; M. Castellaneta, L’individuo e la protezione dell’ambiente, in «Rivista di Diritto Internazionale», LXXXIII, 3, 2000, pp. 914 ss.; M. Déjeant-Pons, M. Pallemaerts (a cura di), Droits de l’homme et Environnement, Council of Europe Publishing, Strasbourg 2002; J. Hancock, Environmental Human Rights, Power, Ethics and Law, Ashgate, London 2003; E. R. Acuňa (a cura di) Profili di diritto ambientale da Rio de Janeiro a Johannesburg, Giappichelli, Torino 2004.

[3] Risoluzione 37/7 del 28 Ottobre 1982, (UN Doc. A/37/51), artt. 23 e 16.

[4] Experts Group on Environmental Law of the World Commission on Environment and Development, Our Common Future, 1986, (UN Doc. WCED/86/23/Add. 1), artt. 4 e 6.

[5] Tra queste la Carta Europea sull’Ambiente e la Salute, WHO 1989; la Dichiarazione per lo Sviluppo Sostenibile in Asia e nel Pacifico, Bangkok 1990; la Dichiarazione Araba su Ambiente e Sviluppo e Prospettive Future, Cairo 1991.

[6] A titolo esemplificativo è possibile menzionare le tre convenzioni elaborate dalla Commissione Economica delle Nazioni Unite per l’Europa (UNECE) che inseriscono il principio di partecipazione pubblica nel contesto transfrontaliero: la Convenzione di Espoo, del 1991, sulla valutazione di impatto ambientale in un contesto transfrontaliero e le due Convenzioni di Helsinki, del 1992, sugli incidenti industriali transfrontalieri e sui fiumi e laghi internazionali.

[7] Rio Declaration on Environment and Development (A/CONF.151/26/Rev.1), Rio de Janeiro, 1992. Si veda in proposito S. Marchisio, Gli atti di Rio nel diritto internazionale, in «Rivista di Diritto Internazionale», LXXV, 3, 1992, pp. 581-621; T. Treves, Il diritto dell’ambiente a Rio e dopo Rio, in «Rivista Giuridica dell’Ambiente», VIII, 3-4, 1993, pp. 577-584; L. Pineschi, La Conferenza di Rio de Janeiro su Ambiente e Sviluppo, in «Rivista Giuridica dell’Ambiente», VII, 3, 1992, pp. 705-712.

[8]  A.E. Boyle, The Role of International Human Rights Law in the Protection of the Environment, in A.E. Boyle, M.R. Anderson (a cura di) op. cit, pp. 43 ss.; S. Douglas-Scott, Environmental Rights in the  European Union: Partecipatory Democracy or Democratic Deficit?, ibid, pp. 109 ss.; D. Nelkin, Participation du public à la mise en oeuvre d’un droit a l’environnement,  in  P. Kromarek (a cura di), op. cit.,  pp. 39 ss.; B. Jadot, Les procédures garantissant le droit à l’environnement, Ibid, pp. 51 ss.;  D.N. Zillman, A.R. Lucas, G.R. Pring (a cura di) Human rights in natural resources development, Oxford University Press, New York, 2002. Si noti, tuttavia, che né l’accesso all’informazione relativa all’ambiente, né la partecipazione ai processi decisionali, né l’accesso alla giustizia sono formulati nella Dichiarazione in termini di situazioni giuridiche individuali. Si veda S. Marchisio, Gli atti di Rio…,  cit., p. 582.

[9] M. Iovane, Soggetti privati, società civile e tutela internazionale dell’ambiente, in A. Del Vecchio, A. Dal Ri Jùnior (a cura di) Il diritto internazionale dell’ambiente dopo il vertice di Johannesbourg, Editoriale Scientifica, Napoli 2005, pp. 133 - 182.

[10] Si veda per un’analisi dettagliata G. Pring, S. Y. Noè, The Emerging International law of Public Participation affecting global mining, energy, and resources development, in D.N. Zillman, A.R. Lucas, G.R. Pring (a cura di), op. cit., pp. 28 ss.; D. Shelton, Human Rights and Environment Issues in Multilateral Treaties Adopted between 1991 and 2001, Joint UNEP-OHCHR Expert Seminar on Human Rights and the Environment,  Background Paper n. 1, Geneva 14-16/01/2002 .

[11] Le uniche eccezioni sono rappresentate da due Convenzioni di carattere regionale: l’African Charter of Human and Peoples’ Rights (Banjul, 1981) e l’Additional Protocol to the American Convention on Human Rights in the area of Economic, Social and Cultural Rights (San Salvador, 1988). Si veda in proposito R. R. Churchill, Environmental rights in existing human rights treaties, in A.E. Boyle, M.R. Anderson (a cura di), op. cit., pp. 89 ss.

[12] D. Shelton, Human Rights and the environment: jurisprudence of human rights body, Joint UNEP-OHCHR Expert Seminar on Human Rights and the Environment,  Background Paper n. 2, Geneva 14-16/01/2002.

[13] La Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali (CEDU), Roma 1950,  è stata elaborata nell’ambito del Consiglio d’Europa ( http://www.coe.int ).

[14] M. De Salvia, Ambiente e Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in «Rivista Internazionale dei Diritti dell’Uomo», X, 2, 1997, pp. 246-257 ; M. Dejeants-Pons, Les droits de l’homme à l’environnement dans le cadre du Conseil de l’Europe, in «Revue trimestrielle des droits de l'homme», XV, 60, 2004, p. 861 - 888 ; Lambert, Le droit de l’homme à un environnement sain, in «Revue trimestrielle des droits de l'homme», XI, 43, 2000, pp. 565-580.

[15] Per una ricostruzione dell’evoluzione della giurisprudenza della Corte in materia si veda P. Frumer, Protection de l'environnement et droits procéduraux de l'homme: des relations tumultueuses?, in «Revue trimestrielle des droits de l'homme», IX, 36, 1998, p. 813-833 ; D. G. San Jose’, Environmental protection and the European Convention on Human Rights, Human Rights File No. 21, Council of Europe Publishing, Strasbourg 2005; Steering Committee for Human Rights, Final Activity Report, Human Rights and the Environment, Strasbourg 2005. Si vedano, in particolare, i casi Guerra et al. c. Italia, 1998; Hatton et al. c. Regno Unito, GC, 2003; Taskin c. Turchia, 2004; Öneryildiz c.Turchia, 2004; Fadeyeva c. Russia 2005; Giacomelli c. Italia 2006; Lemke c. Turchia 2007; Tatar c. Romania, 2009. Tutte le sentenze sono reperibili all’interno del sito della Corte europea dei diritti del’uomo (http://www.echr.coe.int/ECHR/EN/Header/Case-Law/HUDOC/HUDOC+database/ ).

[16] Sentenza emessa nel caso Öneryildiz c.Turchia , 2004, para. 90.

[17] Caso Guerra et al. v. Italia, 1998.

[18] Si vedano i casi Steel and Morris c. Regno Unito, 2005 e Vides Aizsardzibas Klubs c. Latvia, 2004.

[19] Il testo della Convenzione, sottoscritta sotto l’egida dell’UNECE nel 1998 ed entrata in vigore nel 2001, è disponibile all’interno del sito dell’UNECE (www.unece.org/env/pp)

[20] J. Ebesson, Information, Participation and Access to justice: the model of the Århus Convention, Joint UNEP-OHCHR Expert Seminar on Human Rights and the Environment,  Background Paper n. 5, Geneva 14-16/01/2002.

[21] Articolo 1 della previgente Direttiva 90/313/CEE.

[22]  Legge 241/1990 “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi” come modificata dalla L. 15/2005 e dalla L. 80/2005.

[23] Si veda la sentenza n. 399 del 01/12/2006 della  C. Costituzionale, sul riparto di competenze in materia tra Stato e Regioni.

[24] D.Lgs. 82/2005, art. 3.

[25] G. Recchia (a cura di), Informazione ambientale e diritto di accesso, Cedam, Padova 2007, p. XIV.

[26] Vietato in linea generale dall’art. 24, co.3, della L. 241/1990.

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