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Nicchie ecologiche e nicchia ontologica. Una riflessione tra le teorie della niche construction e la Lichtung di Peter Sloterdijk

Autore


Massimiliano Latina

Università degli Studi di Napoli Federico II

ha conseguito la Laurea Magistrale in Filosofia all’Università degli Studi di Napoli Federico II

Indice


  1. Intro
  2. Gli “inizi” con von Uexküll
  3. Nicchia ecologica
  4. Nicchia ontologica
  5. Conclusioni. Sistemi topologici

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S&F_n. 10_2013

Abstract


This paper aims to examine in depth and to compare some latest developments in the field of Biological Sciences and Philosophy about the concept of “Space”. In particular it reports the theories of niche construction by F. J. Odling-Smee, K. N. Laland and M. W. Feldman compared with the thought of contemporary German philosopher Peter Sloterdijk.


  1. Intro

In questo articolo si vogliono approfondire e confrontare alcuni tra i più recenti sviluppi nel campo delle scienze biologiche e della filosofia, nello specifico si fa riferimento alle teorie della niche construction di F. J. Odling-Smee, K. N. Laland e M. W. Feldman e al pensiero del contemporaneo filosofo tedesco P. Sloterdijk. Il perno concettuale delle analisi viene rintracciato in una particolare accezione della categoria spazio che costituisce uno dei principali elementi dell’intelaiatura teorica nel contemporaneo paradigma costruttivista[1]. All’interno di questo nuovo orizzonte concettuale vengono messi in discussione alcuni crismi decisivi che contraddistinguono la tradizione occidentale; tra gli altri, decisivo per i nostri interessi, è quello che concerne il rapporto soggetto-oggetto. N. Luhmann è chiarissimo su questo punto: bisogna abbandonare ogni forma di realismo ingenuo, ma anche ogni tentativo di restaurazione del soggetto trascendentale[2]. Il presupposto teorico da cui partire è la presa d’atto di un campo di significazione che “precede” sia il soggetto che l’oggetto, in quanto si dà solo nella loro reciproca relazione. La conoscenza non è né mero rispecchiamento di un reale già dato, né il tracotante risultato di un io che pone in maniera solitaria l’oggetto innanzi a sé; la conoscenza è letteralmente un’attività, è la capacità di dialogare, inter-agire con l’alterità – da ciò consegue che, quando soggetto e oggetto si incontrano, la loro azione simultanea o circolare “apre” uno spazio di interazione co-costruito, in cui entrambi vengono continuamente definiti e ridefiniti. Passando alla biologia[3], l’applicazione di tale approccio epistemico permette di rivedere sia le tradizionali teorie adattamentiste, secondo cui il vivente è il semplice prodotto passivo dell’attività plasmatrice della natura, sia la biologia che possiamo definire alla von Uexküll, che, nonostante segni il passo proprio in direzione degli sviluppi suddetti, sembra proclamare in modo speculare l’assoluta autonomia dell’organismo. Secondo questa biologia “costruttivista”, invece, ogni forma di vita è il risultato, il prodotto, di una co-evoluzione con l’ambiente, il quale, beninteso, non è in sé, realtà esterna che trascende l’organismo, ma è lo stesso spazio di cui si circonda l’organismo interagendo con una serie di fattori esterni ineliminabili (pressione atmosferica, gravità ecc.) tramite la propria struttura e le sue performatività. L’esito del processo evolutivo è, in altri termini, il delinearsi di uno spazio che non solo contiene il vivente, ma è anche – e soprattutto – un luogo approntato e costruito dal vivente stesso – la nicchia.

  1. Gli “inizi” con von Uexküll

Nonostante la riserva espressa in precedenza, si è concordi a rinvenire i prodromi teorici di questo tipo di ricerca e di approccio al vivente nei lavori di J. von Uexküll. Il biologo prussiano, nel suo lavoro del ’33, Ambienti animali e ambienti umani. Una passeggiata in mondi sconosciuti e invisibili, si pone l’obiettivo di: «mettere in crisi in modo definitivo un pregiudizio antropocentrico, l’idea che le varie specie animali, le meduse, i gatti, i lombrichi e i ricci, vivano in uno spazio senso-motorio identico al nostro [l’uomo], come se le nostre modalità di senso e di azione costituissero il punto di riferimento per la vita di qualunque organismo»[4]; nel demolire questo pregiudizio l’autore raggiunge un risultato che non possiamo non condividere, in quanto è tra i primi a negare la possibilità di un macro-mondo che tutto e tutti contiene, e a rivendicare invece l’esistenza di micro-mondi sconosciuti e silenziosi, che solo parzialmente sono accessibili[5] all’uomo. Ma c’è di più. Una volta contestata l’esistenza di un contenitore extra-large per tutti i viventi, Uexküll afferma che per studiare il singolo organismo vivente occorre ri-collocarlo nel proprio spazio ambientale, e inoltre tenere sempre ben presente che anche questo spazio non è dato una volta per tutte, ma è il risultato di un circuito che parte dal sistema vivente (azione) e a esso ritorna (retroazione o feedback): questa circolarità[6] di base – l’azione congiunta del “segno percettivo” (Merkzeichen) e del “segno operativo” (Wirkzeichen) con le ambientali variabili ineliminabili – determina la costruzione, mediante chiusura del sistema, della Umwelt dell’unità vivente[7] – ciò che Maturana e Varela chiamano dominio cognitivo e Luhmann chiusura operativa. Così è possibile dedurre che come non esiste un unico ambiente-contenitore per tutti i viventi, così la nicchia non è un luogo statico; nel caso di animali più complessi come l’uomo, essa può essere formata dall’incastro mobile di ben tre spazi: lo spazio operativo, lo spazio tattile e lo spazio visivo.

  1. Nicchia ecologica

Nonostante Uexküll abbia descritto, nelle sue ricerche sui soggetti viventi, uno spazio in movimento, ha mancato, come si è soliti dire, un treno importante: il darwinismo. Il biologo è tra coloro che criticano con decisione l’approccio di Darwin[8], in quanto ritenuto lacunoso nell’attribuire agli animali un atteggiamento troppo passivo nel loro modo di adattarsi a un ambiente comune per tutti; ma così facendo egli descrive a sua volta un universo statico, nel quale gli organismi e le loro Umwelt più o meno complesse, seppur perfettamente e reciprocamente adattati – o, forse dovremmo dire, proprio in quanto tali – non sembrano avere alcuna possibilità di evolversi: movimento senza mutamento[9].

Sono i teorici della niche construction, come Odling-Smee, a integrare la biologia di von Uexküll proprio su questo aspetto, compensandone le lacune dal punto di vista dell’evoluzione. Scendendo subito in medias res, gli esponenti della niche construction hanno constatato non sono solo che gli organismi trasmettono alle generazioni successive i loro geni, ma che possono farlo anche con le modificazioni relative alle loro nicchie; un vero e proprio processo di trasmissione culturale[10]. Questi studi si possono considerare, quindi, una felice sintesi tra il tradizionale approccio darwiniano e i risultati più fecondi delle ricerche di von Uexküll.

Tra i più influenti contributi, che si ricollegano oltre che al biologo prussiano, anche ai nomi di G. E. Hutchinson[11] e R. Lewontin[12], troviamo una serie di lavori teorici e sperimentali che fanno capo al già citato F. J. Odling-Smee[13], il quale conferma la possibilità, per il sistema vivente, di adattarsi all’ambiente ritagliandosi il proprio spazio vitale – la costruzione della nicchia – tramite l’attività metabolica[14]. Uno dei più importanti risultati di tale ricerca è la scoperta della possibile trasmissibilità di alcune caratteristiche extra-genetiche da una generazione all’altra, anche di quella che era «the principal exception»[15] della teoria evoluzionistica classica, ovvero la cultura – Scheler aveva già intravisto questa possibilità, in quanto mediante i due atteggiamenti dell’imitazione e del copiare «si verifica quel fatto fondamentale rappresentato dalla “tradizione”, un fatto capace di aggiungere all’eredità biologica la dimensione, completamente nuova, della determinazione del comportamento animale grazie alla vita passata dei suoi simili»[16]. Questa scoperta è molto complessa ma significativa; dato che i sistemi viventi costruiscono il proprio ambiente, ciò che può essere il risultato solo di un’ontogenesi fortunata diventa, con le giuste condizioni, una caratteristica della specie (filogenesi). Quando i processi che conducono a una modificazione dell’ambiente sono sporadici e casuali, non abbiamo alcuna trasmissione extra-genetica da un organismo alle generazioni successive; «se, però, ogni organismo cambia ripetutamente il proprio ambiente ontogenetico sempre allo stesso modo, […], l’organismo ancestrale può modificare una fonte di selezione naturale per i suoi discendenti attraverso la reiterata costruzione di nicchie»[17]. Quella che all’inizio era solo una modificazione ambientale causata dal vivente, può diventare, attraverso una serie di feed-back (positivi), la fonte di una nuova pressione selettiva che, seppur in tempi molto lunghi, induce a una modificazione genetica della specie cui apparteneva lo stesso organismo. I viventi ricevano così una doppia eredità dai genitori: i geni relativi al loro ambiente selettivo, ma anche le fonti della selezione modificate (le nicchie)[18].

In base a quanto analizzato su alcuni tra i più affascinanti sviluppi della biologia tra von Uexküll e Odling-Smee, ricaviamo che gli organismi, tramite la loro particolare struttura morfologica e mediante specifiche abilità, strutturano il proprio ambiente, modificando così anche se stessi; in tal modo pongono anche le condizioni per indirizzare (seppure parzialmente) l’evoluzione, la quale, «based on cycles of causation and feedbacks»[19], è sempre una co-evoluzione, che si esprime come co-costruzione[20], organismo-ambiente.

  1. Nicchia ontologica

È bene esplicitare questa inusuale definizione; il concetto di nicchia ecologica, lo spazio ambientale proprio di ciascun organismo, dà ragione sia delle capacità “costruttive” del vivente che della sua storia evolutiva, ma se ci collochiamo nella prospettiva teorica del filosofo P. Sloterdijk e focalizziamo la nostra attenzione sull’uomo, allora dobbiamo giocoforza utilizzare, per spiegare il suo campo d’azione, quella elaborata idea che è la “nicchia ontologica”: questo perché, per Sloterdijk, lo spazio dell’uomo altro non è che la Lichtung di Heidegger.

L’approccio metodologico del filosofo di Karlsruhe è tipicamente costruttivista, in quanto Sloterdijk sostiene che per poter ragionare sulle complessità dell’uomo e ricostruire la sua genealogia evolutiva, dobbiamo guardare contemporaneamente «al divenire uomo dei preominidi, sia al divenire mondo del premondo»; ovvero, dobbiamo entrare, come hanno già fatto von Uexküll e gli esponenti dell’antropologia filosofica prima (per ragioni diversi anche Heidegger), e i teorici della niche construction dopo, in un circolo spaziale, nel quale siamo continuamente rimandati dal soggetto all’oggetto, dall’organismo all’ambiente. Sloterdijk per raggiungere questo obiettivo decide, in breve, di riprendere il concetto heideggeriano di Lichtung, di ripetere l’interpretazione ontologica dell’esistenza, ma declinandola in una onto-antropologia – ciò significa attraverso l’utilizzo di alcune tra le più aggiornate e recenti scienze dell’epoca post-metafisica (teoria dei media, paleontologia, biologia, linguistica comparata, cibernetica ecc.).

Così come Odling-Smee ha chiarito, che nella “storia” filogenetica di una specie o di un determinato individuo, oltre a una trasmissione genetica, vi è anche un’altra importante eredità, che per le sue specifiche caratteristiche può essere descritta come extra-genetica o culturale, ovvero la trasmissione delle nicchie e delle Umwelt di ciascun sistema vivente, anche Sloterdijk sostiene che la «premessa decisiva […] consiste nell’accettare che la storia dell’uomo [intesa sia come biologica, che come svolgimento delle azioni attribuibili all’homo sapiens sapiens pianamente sviluppato] debba essere compresa come il dramma silenzioso del suo creare spazi»[21]. Questo è evidente fin dal primo volume della trilogia Sfere, dove Sloterdijk stabilisce che tanto il Sé individuale quanto il Sé collettivo (popoli, nazioni), sia nel loro strutturarsi interno che nella loro storia[22], dipendono dalla Sfera – un altro modo per definire la Lichtung o la nicchia ontologica dell’uomo – quale matrice di tutti gli spazi possibili: le sfere, al pari delle nicchie animali, sono letteralmente entità «ontologiche» che si «co-costruiscono» e che come quelle possono essere «preesistenti», «date» e soprattutto «trasmesse»[23].

Aggiungiamo, inoltre, che come per i teorici della niche construction non ci sono nicchie vuote nell’ambiente, zone franche e libere che possono essere occupate dalla prima specie che ha fortuna di accedervi[24], ma assistiamo sempre a una co-evoluzione organismo-ambiente, così per Sloterdijk «è impossibile che l’uomo, come se stesse facendo una passeggiata nel bosco, d’improvviso entri in una Lichtung che stava aspettando soltanto lui»: «Lichtung e divenire uomo sarebbero due espressioni per dire la stessa cosa»[25].

A proposito quindi delle «biologiche esperienze di plasmazione»[26], i processi che hanno portato a questi inediti e inauditi risultati, vengono chiamati da Sloterdijk antropotecniche primarie[27] e sono definiti dalla terminologia della paleontologia: il meccanismo di insulazione[28], il meccanismo della liberazione dei limiti corporei[29], il meccanismo della pedomorfosi o neotenia (con cui è designata la progressiva infantilizzazione e il ritardo delle forme corporee)[30] e il meccanismo della trasposizione che rende comprensibile perché l’uomo possa essere “in cammino verso il linguaggio”. Presi insieme questi meccanismi si possono considerare come la versione antropologica di ciò che negli animali è stato definito nei termini di dotazione morfologica; solo che, nel caso dell’uomo, la circolarità di tali processi di accasamento ha come esito la formazione di uno spazio domestico, di una zona mediana tra il chiuso del cerchio ambientale degli animali (e delle piante) e il puro Aperto di Heidegger e Rilke[31]: la sfera (o antropo-sfera), nella quale solo è possibile (feed-back) il passaggio evolutivo dal proto-uomo all’uomo e l’inizio dell’autentico divenire storico[32].

  1. Conclusioni. Sistemi topologici

Sarebbe erroneo rinvenire in questi processi, nonostante la peculiarità eccezionale dei loro esiti, la “prova” della ricercata differenza ontologica o essenziale ( à la Scheler) tra ànthropos e la dimensione generale della zoé: come hanno ben argomentato Maturana e Varela, la differenza tra uomo e animale sta solo nella maggiore complessità del primo, anche per ciò che concerne le sue facoltà superiori (linguaggio, pensiero rappresentativo e auto-coscienza[33].

L’analisi bio-fenomenologica dei due biologi succitati consente, quindi, un ulteriore movimento di focalizzazione sull’intrinseca affinità strutturale che stiamo cercando tra gli spazi animali e lo spazio proprio dell’uomo. Questo è possibile perché le ricerche di Maturana e Varela non vertono sui contenuti, cioè la “materia” di cui sono composti i singoli organismi, ma solo sui processi che realizzano il sistema vivente (uomo incluso). Gli autori sono fenomenologicamente interessati alla completa formalizzazione del bìos, a trovare le regole basilari della sua organizzazione[34], le quali sono indipendenti dalle strutture specifiche in cui poi vengono a realizzarsi; viene coniato così il concetto di autopoiesi e i viventi definiti macchine autopoietiche – Maturana e Varela sono convinti che «la nozione di autopoiesi è necessaria e sufficiente per caratterizzare l’organizzazione dei sistemi viventi»[35].

Se nelle varie prospettive teoriche analizzate si è sempre affermata, come fondamentale, la relazione tra l’organismo e il suo spazio, Maturana e Varela si spingono ancora più in là, stabilendo l’identità del sistema vivente con il proprio spazio: le macchine atutopoietiche sono “unità topologiche”, ovvero “non sono altro” che una determinata e determinante rete (o dominio) di circolari relazioni spaziali con l’“ambience”[36]. I biologi sono radicali, in quanto riducono il vivente, riprendendo le pioneristiche parole di Plessner, a un centro spazializzante[37] e il “vivere” in quanto processo a un “processo cognitivo” – ma la cognizione, a questo livello di descrizione, non è l’antropologica attività razionale, ma indica la «creazione di un campo di comportamento [il dominio cognitivo]», l’insieme di quei spaziali rapporti costitutivi nel quale ogni sistema può e deve agire «in maniera pertinente al mantenimento di se stesso»[38]. Lo spazio si arricchisce così di un significato, che è stato chiarificato ancora da Luhmann con l’espressione spazio immunologico: la possibilità del sistema – non solo vivente – di preservare l’identità dipende dalla sua capacità di assicurare i confini del proprio spazio, il quale è il più importante “scudo protettivo” contro i pericoli provenienti dall’esterno”[39]. L’immunologia spaziale, in ultimo, si può considerare vero e proprio organon del filosofare di Sloterdijk che, non a caso, definisce così la Sfera: «una struttura morfo-immunologica» soltanto all’interno della quale gli uomini «possono prolungare il loro processo di generazione e far progredire le rispettive individuazioni»[40].


[1] Cfr. La realtà inventata. Contributi al costruttivismo, a cura di P. Watzlawitck, tr. it. Feltrinelli, Milano 2006. Si veda anche Le vie del costruttivismo, a cura di C. Giaconi, Armando Editore, Roma 2008.

[2] Cfr. N. Luhmann, Conoscenza come costruzione, tr. it. Armando Editore, Roma 2007, p. 55. Come riconosce lo stesso Luhmann in queste pagine, ci sono sempre importanti eccezioni; basti ricordare solo due nomi: Vico e Nietzsche.

[3] Passaggio che avviene in modo quasi spontaneo dal momento che tra i maggiori teorici del costruttivismo ci sono sia biologi – oltre agli esponenti della niche construction, su tutti Maturana e Varela – sia studiosi che si sono interessati di biologia, come Heinz von Foerster, Luhmann e lo stesso Sloterdijk.

[4] M. Mazzeo, Introduzione a J. von Uexküll, Ambienti animali e ambienti umani, cit., p. 9.

[5] Dal momento che la conoscenza non rispecchiamento di un oggetto già dato, non è un porre solitario da parte della io monadico, ma è dialogo con l’alterità, viene problematizzata la possibilità, da parte del soggetto epistemico uomo, di accedere in modo “puro”, senza esserne coinvolto, nell’altro da sé. Icasticamente Maturana e Varela affermano: «Tutto ciò che è detto è detto da un osservatore», H. Maturana e F. J. Varela, Biologia della cognizione in, Autopoiesi e cognizione. La realizzazione del vivente, tr. it. Marsilio Editori, Venezia 2004, p. 53.

[6] In tale azione circolare si possono individuare molte caratteristiche del processo che è alla base della cibernetica moderna, il feed-back. Dobbiamo specificare che probabilmente Uexküll aveva cognizione solo del feed-back negativo. Cfr. anche M. Scheler, La posizione dell’uomo nel cosmo, tr. it. Franco Angeli, Milano 2000, pp. 82-83; e M. Heidegger, Concetti fondamentali della metafisica. Mondo – finitezza – solitudine, tr. it. Il Melangolo, Genova 1999, p. 317.

[7] Cfr. J. von Uexküll, Ambienti animali e ambienti umani, cit., p. 47; cfr. anche H. R. Maturana, F. J. Varela, Autopoiesi e cognizione, cit., p. 104, dove gli autori affermano che è necessario un “substrato” indipendente affinché si realizzino le interazioni con lo spazio; lo stesso pensiero si ritrova in N. Luhmann e R. De Giorgi, Teoria della società, Franco Angeli, Milano 2011, p. 184.

[8] Critiche similmente riprese da Maturana e Varela, cfr. H. Maturana e F. J. Varela, Autopoiesi e cognizione, cit., p. 126. Basti vedere, come possibile smentita, C. Darwin, La formazione della terra vegetale per l’azione dei lombrichi con osservazioni intorno ai loro costumi, tr. it. UTET, Torino 1882.

[9] Ciò si spiega perché, come abbiamo detto, von Uexküll conosceva probabilmente solo ciò che definiamo feed-back negativo.

[10] Cfr. K. N. Laland, W. Hoppit, Do animals Have a Culture?, in «Evolutionary Anthropology», 12, 2003, pp. 150-159.

[11] Cfr. G. E. Hutchinson, Clouding Remarks, Cold Spring Harbour Symposium in Quantitative Biology, Yale University 1957.

[12] Cfr. R. Lewontin, Gene, organismo e ambiente, tr. it. Laterza, Bari 1998.

[13] J. Odling-Smee, K. N. Laland, M. W. Feldman, Niche construction in «American Naturalist», 147, 4, 1996, pp. 641-648.

[14] Odling-Smee: «Organisms, through their metabolism, their activities, and their choices, define, partly create, and partly destroy their own niches» (J. Odling-Smee, K. N. Laland, M. W. Feldman, Niche construction, cit., p. 641).

[15] K. N. Laland, G. R. Brown, Niche construction, Human behavior and adaptive-lag hypothesis, in «Evolutionary Anthropology», 12, 2006, p. 98.

[16] M. Scheler, La posizione dell’uomo nel Cosmo, cit., p. 109.

[17] Ibid. p. 644 (trad. mia).

[18] Cfr. ibid.

[19] K. N. Laland, G. L. Brown, Niche construction, Human behavior and adaptive-lag hypothesis, cit., p. 97.

[20] Cfr. P. E. Griffiths e R. D. Gray, Darwinism and Developmental Systems, Cycles of Contingency: Developmental Systems and Evolution, Cambridge, MIT 2000: «Organism and their ecological niches are co-constructing and co-defining» (pp. 31-32).

[21] Cfr. P. Sloterdijk, La domesticazione dell’essere. Lo spiegarsi della Lichtung, in Non siamo ancora stati salvati. Saggi dopo Heidegger, cit., p. 125 (corsivo mio).

[22] Sloterdijk, grazie alla sua sferologia, compie la provocatoria spazializzazione della storia, con un approccio che, non a caso, da un lato ricorda Spengler, dall’altro Schmitt: egli infatti interpreta alcune epocali transizioni storiche della tradizione occidentale nei termini sia di un cambiamento nella forma dell’organizzazione (territoriale e simbolica) e sia come mutamento del medium spaziale (il passaggio, tipicamente schmittiano, dalla terra all’acqua e, infine, all’aria), cfr. Id., Il mondo dentro il capitale, tr. it. Meltemi, Roma 2006, capitoli 7, 12 e 36.

[23] Id., Sfere I, tr. it. Meltemi, Roma 2009, p. 97.

[24] Cfr. G. E. Hutchinson, Clouding Remarks, cit., pp. 415-427.

[25] P. Sloterdijk La domesticazione dell’essere. Lo spiegarsi della Lichtung, in Non siamo ancora stati salvati. Saggi dopo Heidegger, cit., p. 126 (corsivo mio). Si veda a riguardo i Concetti fondamentali della metafisica, cit., pp. 111-453, dove Heidegger accenna alla circostanza per cui la creazione del Mondo è «il termine che determina l’esserci umano nel nocciolo della sua essenza» e non è un accadimento unidirezionale, in quanto «siamo inclusi noi stessi».

[26] P. Sloterdijk, Sulla stessa barca. Saggio sull’iperpolitica, tr. it. in «Il giornale della filosofia», 9, 2003, pp. 3-11.

[27] Cfr. per la distinzione tra antropotecniche primarie e secondarie Id., La domesticazione dell’essere. Lo spiegarsi della Lichtung, in Saggi dopo Heidegger. Non siamo ancora stati salvati, cit., p. 159.

[28] Cfr. H. Miller, Progress and Decline. The Group in Evolution, Pergamon Press, Oxford 1964.

[29] Cfr. P. Alsberg, In Quest of Man, a biological approach to the problem of man’s place in nature, Pergamon Press, 1970, ch. V, p. 38.

[30] Cfr. L. Bolk, Il problema dell’ominazione, tr. it. Derive Approdi, Roma 2006, p. 92 nota 6.

[31] Cfr. M. Heidegger, Concetti fondamentali della metafisica, cit., p. 342  sgg. Sulla dicotomia uomo-animale interpretata come antitesi tra Mondo e ambiente concordano anche Scheler e Gehlen; cfr. rispettivamente La posizione dell’uomo nel Cosmo, cit., pp. 120-121; e L’uomo. La sua natura e il suo posto del mondo, cit., p. 119 (in particolare per Gehlen l’aver attribuito agli animali un Mondo è una delle “maggior deficienze” della ricerca di von Uexküll). Un’analisi critica di queste posizioni, invece, è quella di G. Agamben in L’Aperto. L’uomo e l’animale, Bollati Boringhieri, Torino 2002, pp. 63-73.

[32] Cfr. O. Sloterijk, Prologue, in Sphères II, Globes, tr. fr. Pluriel, Paris 2010, p. 32.

[33] Cfr. H. Maturana e F. J. Varela, Autopoiesi e cognizione, cit., pp. 171-184. Dobbiamo dire comunque che, nonostante il lessico, maturato da Heidegger, possa dar adito a fraintendimenti, Sloterdijk non vede nell’uomo il risultato di un teleologico processo destinale, ma, come ripete spesso, semplicemente il prodotto di un contingente e alquanto improbabile processo evolutivo (cfr. P. Sloterdijk, Devi cambiare la tua vita. Sull’antropotecnica, tr. it. Raffaello Cortina Editore, Milano 2010, pp. 146-147). Inoltre, nello specifico, Sloterdijk conosce la moderna biologia e metabiologia dell’autopoiesi (cfr. Id. Luhmann, avvocato del diavolo. Del peccato originario, dell’egoismo dei sistemi e delle nuove ironie, in Saggi dopo Heidegger, cit., p. 90).

[34] Cfr. per il passaggio da un’analisi dei “contenuti” a una sulle “regole” dell’organizzazione vivente F. Gambardella, _von Uexküll_Heidegger_, in P. Amodio, C. Fuschetto, F. Gambardella, Undescores. Darwin_Nietzsche_von Uexküll_Heidegger_Portmann_Arendt, Giannini Editore, Napoli 2012, p. 57.

[35] Cfr. H. Maturana e F. J. Varela, Autopoiesi e cognizione, cit., p. 135. Gli autori, in ogni caso, non credono di aver riprodotto l’effettiva organizzazione del vivente; se “tutto ciò che è detto è detto da un osservatore”, anche queste conclusioni “sono appropriate entro il dominio di descrizione e di valutazione degli osservatori” (ibid.).

[36] Si è preferito lasciare l’originale “ambience” perché, come nota la traduttrice dell’edizione italiana di Autopoiesi e cognizione, il termine inglese non indica l’ambiente in sé, ma «denota lo spazio entro cui [già] vive il sistema vivente» (ibid., nota 1 p. 54). Cfr. anche N. Luhmann, Conoscenza come costruzione, cit., p. 64.

[37] Cfr. H. Plessner, I gradi dell’organico e l’uomo, tr. it. Bollati Boringhieri, Torino 2006, p. 262.

[38] H. Maturana e F. J. Varela, Autopoiesi e cognizione, cit., pp. 59-100 (corsivo mio).

[39] N. Luhmann, Osservazioni sul moderno, tr. it. F. Pistolato, Armando Editore, Roma 2006, p. 51

[40] P. Sloterdijk, Sfere I, op. cit., p. 96 (corsivo mio). Cfr. anche J. von Uexküll, Ambienti animali e ambienti umani, op. cit., p. 51: in riferimento alla configurazione dello spazio, il biologo afferma che «La sicurezza [per il vivente] è più importante della ricchezza».

 

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