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Voci dal passato. Dalle allucinazioni uditive all’origine del linguaggio

Autore


Alberto Gualandi

Università degli Studi di Urbino Carlo Bo

è autore e curatore di numerose opere dedicate al problema della natura umana, al rapporto tra scienza e filosofia, alla filosofia della biologia, della psicoanalisi e della psichiatria; svolge attività di ricerca all’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo

Indice


  1. L’enigma delle allucinazioni uditive e l’estesiologia
  2. Voci dal passato autobiografico: analisi fenomenologico-ermeneutiche della sindrome schizofrenica
  1. Il loop fono-uditivo e la funzione mediatrice dell’udito
  2. Voci dal passato ancestrale: lateralizzazione cerebrale, ominazione culturale e schizofrenia

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S&F_n. 10_2013

Abstract


The hypothesis of this paper is the need of a new formulation of the question of the origin of human verbal language starting from the concept of “technology”. The paper has a regard for the possible definition of human language as “species-specific” body technology applied to particular needs. So, not only the language but the whole body results a technology: thus the author reads the question of Exaptation by Gould and Vrba. So, the human verbal language represents a “speech-making technology” just like the “tool-making technology”, and both evolved for the same social tasks.

 


  1. L’enigma delle allucinazioni uditive e l’estesiologia

Nel suo recente Allucinazioni, Oliver Sacks ci ricorda che gli schizofrenici non sono i soli a “udire voci” e che le allucinazioni uditive sono un fenomeno molto più comune di quanto si pensasse fino a pochi decenni fa[1]. Nel corso dell’esistenza, molti di noi hanno vissuto momenti di grande pericolo “fisico” o di estrema difficoltà “morale”, in cui una voce, talvolta senza provenienza o nome, ci intima di non compiere quel gesto, di raccogliere le nostre forze e di non soccombere alle avversità. Secondo Sacks, la differenza tra queste voci e quelle che affliggono gli schizofrenici starebbe tutta nella tonalità emotiva con cui esse ci parlano: da un lato, voci benevole e salvifiche che leniscono e soccorrono, dall’altro, voci denigratorie e beffarde che accusano, scherniscono, ordinano e comandano, e inducono infine al suicidio o all’automutilazione. Ciò che Sacks tuttavia non spiega è perché quest’esperienza, così frequente tra coloro che soffrono di deprivazione sensoriale, organica o sociale, colpisca gli schizofrenici con una frequenza ben superiore ad altre forme di allucinazione[2] (visive, tattili, olfattive etc.), e che rapporto ci sia tra la modalità fono-uditiva e questo potere di persuasione e comando – salvifico o distruttivo – proprio delle voci.

Fin dagli anni ‘30 e ‘40, una risposta a tali domande fu fornita da Erwin Straus, un medico psichiatra, appartenente alla scuola fenomenologico-esistenziale, cui appartennero autori come Ludwig Binswanger ed Eugène Minkowski[3]. Attraverso un’analisi fenomenologica precisa dei caratteri strutturali a priori propri di ogni attività sensoriale, Straus mostrò che la modalità uditiva presenta caratteristiche estesiologiche opposte a quelle della modalità visiva. Mentre quest’ultima è una modalità prevalentemente analitica e attiva che ci permette di stabilizzare la realtà in base a relazioni spaziali, ripetibili e variabili in modo coordinato e regolare, l’udito è un senso sintetico e temporale che ci informa del ritmo del mondo e dell’accadere dell’evento[4]. Mentre la modalità visiva ci consente di tenere a distanza il mondo controllandone la molteplicità e il divenire, l’udito è una modalità fondamentalmente passiva che, in ragione della sua incapacità di opporre qualsiasi resistenza a suoni che sembrano «penetrarci» annullando ogni distanza tra noi e il mondo, ci espone irrimediabilmente al potere accerchiante e soverchiante dell’Altro – sia tale potere quello del mondo naturale (Allon, nella terminologia di Straus), sia quello del mondo interumano (Heteros)[5]. Secondo Straus, è di fronte a tale potere soverchiante che soccombono coloro che odono voci «atmosferizzate» che provengono da ogni parte e che infrangono ogni distinzione tra l’interno e l’esterno, tra ciò che è “mio” e ciò che è “tuo”, scardinando la relazione strutturale d’insieme che regola il rapporto tra «l’Io-e-il mondo»[6]. Ma come spiegare nelle sue caratteristiche fenomenologiche specifiche questa sindrome che deforma radicalmente l’appercezione trascendentale del proprio Io pensante e dell’appartenenza a sé dei propri atti di coscienza? E come rendere conto del fatto che la voce silenziosa che sento al fondo della mia coscienza può risuonare alle mie orecchie come la voce di un Altro che, talvolta, può avere anche un nome?

 

  1. Voci dal passato autobiografico: analisi fenomenologico-ermeneutiche della sindrome schizofrenica

Riattualizzando approcci e questioni tipiche della psichiatria fenomenologico-esistenziale novecentesca, l’analisi delle allucinazioni uditive elaborata da Philip Thomas, Ivan Leudar e collaboratori occupa un posto significativo nel dibattito scientifico contemporaneo[7]. Punto di partenza di questi autori è l’esigenza di porsi a monte rispetto a ogni separazione tra il psicologico e il neurofisiologico. Tale separazione è viziata da presupposti epistemologici e ontologici di matrice cartesiana che informano inavvertitamente anche gli approcci neuroscientifici e cognitivisti che pretendono superare il dualismo cartesiano riducendo il linguaggio della psicologia a quello delle scienze naturali o stabilendo un’analogia tra i processi mentali e gli algoritmi di un calcolatore. Secondo Thomas e Leudar, ciò che permane alla base di tutti questi tentativi è infatti la distinzione tra mondo esterno e coscienza interiore, una distinzione topologico-metaforica che, come abbiamo tentato di mostrare in altri luoghi, nessun psichiatra fenomenologico-esistenziale ha criticato in modo più radicale di Erwin Straus[8].

Per superare tale separazione, secondo Thomas e Leudar bisogna elaborare un nuovo framework filosofico in grado innanzi tutto di fornire alla pratica psichiatrica una nuova fenomenologia della condizione schizofrenica. La fenomenologia corrente, ereditata da Jaspers, è viziata infatti da una indebita separazione tra coscienza interna e mondo esterno, di matrice epistemologica husserliana, che deve essere rimpiazzata da una fenomenologia ontologica, di matrice heideggeriana e merleau-pontyana, centrata sul concetto di “essere-nel-mondo”. Riadattando in numerosi articoli e applicazioni le analisi di Merleau-Ponty, concernenti l’arto fantasma, alla descrizione di casi clinici di pazienti schizofrenici da loro stessi trattati, Thomas e collaboratori mostrano in modo convincente che l’esperienza dell’udire voci può assumere di nuovo quel significato che le è stato negato da ogni approccio neuroscientifico e cognitivista: un significato situazionale e incorporato in cui le allucinazioni uditive sono strettamente connesse con la biografia, la cultura e la religione del paziente, con i ricordi e le emozioni legate a una storia passata, da cui riaffiorano con forza come modalità peculiari dell’“essere-nel-mondo” e dell’“essere-con-l’Altro”. Esse sopravvivono al passato – per esempio alla morte del marito di cui Sue continua a udire la voce, i sospiri e le parole denigranti – così come l’arto fantasma sopravvive alla sua amputazione come possibilità di rapporto cinestesico e aptico col mondo sedimentata nel corpo. Secondo gli autori, tale approccio situazionale e incorporato permette inoltre di reinterpretare l’esperienza del sentire voci non soltanto come un disordine, un deterioramento e degenerazione, ma anche in una prospettiva etica e autopoietica, come un modo creativo e quasi-intenzionale di affrontare la propria esperienza dolorosa e frammentaria del mondo. Le tecniche individuali e di gruppo che permettono al paziente di alleviare la sofferenza prodotta dal sentire voci testimonierebbero di questa capacità di influire sul decorso della propria malattia secondo una dinamica top-down che nessun modello neuroscientifico e cognitivo è ancora in grado di spiegare[9]. Ma, riconosciuta l’importanza delle analisi di questi autori, alcune questioni restano ancora da chiarire. Perché questa modalità di “essere-nel-mondo” peculiare alla schizofrenia si esprime principalmente nella forma dell’udire voci piuttosto che in quella delle allucinazioni tattili o visive? E che relazione esiste tra il percepire i propri pensieri (o “discorso interiore”) in forma alienata, come le voci di un Altro, e l’inquietante effetto di straniamento che percepiamo udendo la nostra voce che, riverberata da un’eco o registrata da una segreteria telefonica, ritorna ai nostri orecchi come proveniente dall’ambiente? Ed esiste un rapporto tra la dissociazione di coscienza che sta alla base della schizofrenia e la sgradevole sensazione di sfasamento che talvolta si produce tra i nostri pensieri e la nostra voce quando ci troviamo di fronte a una platea che, anticipatamente, ci immaginiamo malevola e ostile?

 

  1. Il loop fono-uditivo e la funzione mediatrice dell’udito

In nostri precedenti lavori, abbiamo messo a confronto due diverse applicazioni teoriche del concetto di “essere-nel-mondo” al problema della schizofrenia: la concezione top-down di Binswanger e la concezione bottom-up di Straus[10]. Mentre la prima offre il vantaggio di rendere conto del carattere situato storicamente, biograficamente e intersoggettivamente della malattia, la seconda offre il vantaggio di rendere conto dei caratteri incorporati di essa, e in particolare di spiegare perché la modalità uditiva sia quella maggiormente riguardata dalla schizofrenia. Nonostante alcune ambiguità e incertezze, ben messe in luce da Binswanger nella sua lettura critica dell’opera di Straus[11], la concezione strausiana ci è parsa inoltre offrire il vantaggio di fornire alcuni elementi utili per aprire un varco teorico e tentare di conciliare queste due concezioni opposte della schizofrenia. Oltre a elaborare un’analisi estesiologica della modalità uditiva, Straus ha offerto alcuni elementi utili per comprendere il singolare loop sensomotorio messo in atto dall’apparato fonatorio umano e dalle anticipazioni/ricognizioni dell’udito. Secondo Straus, nei soggetti che soffrono di allucinazioni uditive è ipotizzabile un ritardo o uno sfasamento di tale apparato sensomotorio – analogo a quello prodotto da un riverbero o da un’eco che rinvii ai nostri orecchi il suono autoprodotto come se provenisse dall’ambiente esterno – all’interno del quale s’inserisce l’esperienza dell’alienazione fono-uditiva. Poiché per Straus – e per estesiologi come Gehlen e Plessner, cui Straus si è in parte ispirato – il dialogo interiore che chiamiamo pensiero non è altro che linguaggio esonerato dall’azione di produzione fonica effettiva, e poiché la funzione di controllo esercitato dal nostro udito opera (per gli psicoanalisti delle relazioni oggettuali, ma anche per filosofi del linguaggio come Ernst Tugendhat[12]) una sorta d’interiorizzazione/antici­pazione del giudizio di assenso o negazione apposto alle nostre enunciazioni da parte di partner comunicativi con cui fin dalla prima infanzia siamo in rapporto, tale sfasamento del sistema sensomotorio fono-uditivo fornirebbe una plausibile ipotesi di spiegazione per la sindrome schizofrenica in cui la relazione distorta con l’Heteros avrebbe il potere di deformare la stessa relazione con l’Allon. La modalità fono-uditiva offrirebbe in altre parole la possibilità di operare una sorta di mediazione tra le concezioni top-down e bottom-up della fenomenologia e dell’eziologia schizofrenica.

Tale concezione mediatrice ci pare in parte in accordo con alcuni recenti modelli forniti dalla neuropsichiatria. I modelli patofisiologici che, tramite tecniche di neuroimaging, cercano di fornire una spiegazione delle allucinazioni fonouditive conoscono in realtà una disseminazione teorica che secondo alcuni autori ricalcherebbe la variabilità e “plurivocità” della fenomenologia schizofrenica[13]. Benché molti studi mettano in correlazione l’esperienza dell’alienazione uditiva con anomalie strutturali e funzionali della corteccia uditiva, e in particolare con le aree incaricate del monitoraggio delle fonti interne o esterne della produzione e percezione linguistica, secondo David rimarrebbe tuttavia ancora da chiarire che ruolo specifico giochino le istanze cerebrali connesse con la memoria volontaria e involontaria, con l’immaginazione uditiva “eccessiva”, con l’automonitoraggio on-line e l’apprezzamento e valorizzazione dei contenuti semantici veicolati da ciò che le voci dicono. Secondo Seal, Aleman e McGuire[14] (2004), è invece possibile e necessario tentare di unificare questi differenti modelli in una concezione integrata in cui processi bottom-up e processi top-down convergono verso un centro di monitoraggio fono-uditivo che, rilevando una forte discrepanza tra meccanismi in feedforward di anticipazione dell’emissione vocale e meccanismi in feedback di ricognizione del suono prodotto e percepito, entrerebbe in una sorta di cortocircuito sensomotorio. Predisposto da fattori genetici, ma favorito e amplificato anche da fattori top-down connessi con le aspettative, gli stati d’animo, gli atteggiamenti valutativi, le distorsioni comunicative e relazionali, i framework linguistici deliranti, tale cortocircuito fonouditivo rappresenterebbe secondo Seal e collaboratori il luogo al contempo strutturale e funzionale in cui si innesca l’esperienza delle allucinazioni fono-uditive (cfr. immagine).

 

(In M.L. Seal, A. Aleman, P. McGuire, Compelling imagery, unanticipated speech and deceptive memory, cit., p. 64).

Ritraducendo tale teoria nei termini dell’estesiologia strausiana, si potrebbe quindi sostenere che “Io”, Allon e Heteros cortocircuitano, fondono e scambiano surrettiziamente i propri ruoli di uditore e allocutore grazie al “potere transazionale” primario – tipico della condizione originaria del neonato e del bambino – dell’unica (complessa e articolata) realtà sensoriale autoprodotta dall’uomo: il suono della propria voce.

 

  1. Voci dal passato ancestrale: lateralizzazione cerebrale, ominazione culturale e schizofrenia

Secondo altri autori[15], tale modello si troverebbe tuttavia nell’incapacità di spiegare due cose: come dal discorso silenzioso e interiore che identifichiamo col «pensiero muto» si passerebbe all’udire «realmente» delle voci, e perché, nella maggior parte dei casi, tali voci verrebbero percepite come provenienti dal mondo esterno (nonostante che coloro che le percepiscono appaiano assai di frequente meno abili dei soggetti normali nel localizzare la sorgente dei suoni reali, in particolare se provenienti dal lato destro del corpo). Per rispondere a tali questioni bisogna a nostro avviso innestare l’estesiologia su una più esplicita antropobiologia: innesto teorico compiuto solo in parte da Straus e realizzato in modo più esplicito da Gehlen e dall’ultimo Plessner[16]. L’antropobiologia gehleniana, in particolare, ci offre un modello teorico potente grazie al quale si può tentare di ricostruire la genesi del discorso silenzioso che chiamiamo autocoscienza o riflessione interiore a partire da un processo di progressivo esonero dei sensi e del corpo realizzato dalla modalità fono-uditiva, la quale viene a sua volta esonerata dall’azione fonica effettiva, per mezzo della funzione anticipatrice e ricognitiva messa in atto dalla sola immaginazione uditiva (o, nei termini di Changeux, dalla pre-rappresentazione uditiva[17]). Nei termini impiegati dagli studiosi contemporanei che hanno esteso alla neurobiologia e alla paleoantropologia le dottrine evoluzionistiche elaborate da Stephen J. Gould, Richard Lewontin e Elisabeth Vrba[18], tale processo può essere concettualizzato dal punto di vista filogenetico come un complesso e progressivo susseguirsi di exaptations ristrutturanti a un grazie ai quali strutture anatomiche, neurologiche e cognitive vengono in tutto o in parte liberate da funzioni precedenti e cooptate per nuovi scopi biologici e culturali non previsti dall’evoluzione [19]. Così come, la mano è stata esonerata, secondo Ian Tattersall, dalla funzione della deambulazione e rifunzionalizzata per nuovi scopi esplorativi e manipolatori[20], così l’occhio e la mano sono stati liberati – secondo la teoria dell’innesco sinestetico del linguaggio elaborata da Vilayanur Ramachandran[21] – dalla funzione di esplorazione e identificazione sinestetica della realtà per mezzo del predicato e del nome[22]. Secondo Steven Rose e Michael Corballis, tali exattamenti neuroanatomici confluiscono in montaggi sensomotori, in parte regolati e stabilizzati socialmente, che producono inevitabilmente una ricaduta sullo stesso processo di evoluzione biologica, per il tramite della selezione sessuale e culturale[23]. Secondo l’ipotesti già ventilata da Philip Lieberman[24], il linguaggio audio-vocale apparirebbe quindi per questi autori come un caso contingente e particolare di exaptation anatomica e neurobiologica ben riuscita che, rifunzionalizzando un patchwork di organi e strutture precedentemente inutilizzati (laringe allungata) o utilizzati per altri scopi (apparato respiratorio e digerente), ha permesso di ottenere un vantaggio adattativo rispetto ad altre specie di ominidi che, come i Neandertal, si sono limitati a impiegare un linguaggio (prevalentemente) segnico e gestuale. Ciò che, in aggiunta a tale ipotesi filogenetica, le analisi di Straus, Plessner e Gehlen, ci permettono di intravedere, è che anche l’autocoscienza – ovvero il discorso interiore, che ci permette di dislocarci “eccentricamente” rispetto a noi stessi, e al mondo in cui è “centricamente” inserito il nostro corpo, come se ci vedessimo o sentissimo parlare con gli occhi o gli orecchi di un Altro – non sarebbe altro che linguaggio esonerato dalla produzione fonica effettiva grazie alla funzione di anticipazione e ricognizione silenziosa exattata (tramite montaggi sensomotori consolidatisi progressivamente nel corso del processo biologico-culturale di ominazione) dalle aree corticali originariamente connesse con l’udito.

Secondo Michael Corballis, questa interazione tra evoluzione biologica e culturale spiegherebbe infatti anche il progressivo aumento della lateralizzazione cerebrale prodottosi (circa 50.000 anni fa) in corrispondenza con le fasi tecnologicamente e linguisticamente cruciali del processo di ominazione[25]. Benché le rudimentali strutture sintattico-semantiche del linguaggio audiovocale vengano ad innestarsi, secondo Corballis, sulle strutture sensomotorie ridondanti e ricorsive già consolidate dall’attività manipolatoria della mano durante fasi filogenetiche più arcaiche in cui sono emersi i linguaggi gestuali, l’exattamento di tali strutture operato dal linguaggio vocale si è rivelato così vantaggioso dal punto di vista adattativo – per la sua facilità e velocità di esecuzione, anche in assenza di campo visivo, ma anche, principalmente, per la possibilità di accompagnare, scandire e commentare la trasmissione culturale della manipolazione tecnica e delle sue sequenze di azione – da comportare una ristrutturazione cerebrale più funzionale all’implementazione del loop fonouditivo che permette di anticipare e controllare in modo rapido e preciso la produzione articolata di fonemi. Secondo Julian Jaynes e Timothy J. Crow, si potrebbe quindi supporre che l’inversione di tale processo d’interazione evolutiva biologico-culturale – processo contingente e precario in quanto il linguaggio vocale fu probabilmente inventato per gioco o per caso da un gruppo di bambini circa 100.000 anni dopo la comparsa della specie[26] – spieghi il breakdown cui è soggetto il paziente schizofrenico in strutture di coscienza precedenti a quelle rese possibili dal processo neurobiologico che ha permesso di allocare i centri per la produzione, anticipazione e ricognizione del suono in un emisfero dominante, «trascinando» a destra l’intera struttura sensomotoria del corpo: la lateralizzazione cerebrale[27].

Non è possibile ricostruire qui nei dettagli la teoria neuropsichiatrica di Crow, la quale si rifà alla teoria della lateralizzazione cerebrale e linguistica di Marian Annett[28], e alle teorie di Bühler e Chomsky concernenti la struttura indessicale e proposizionale del linguaggio. Ci basti ricordare che essa tenta di mostrare che i soggetti che, per ragioni genetiche, si trovano vicini al punto d’indistinzione cerebrale per la lateralizzazione, rischiano il crollo delle strutture quadripartite che regolano in modo coordinato l’anticipazione e la ricognizione percettiva del suono prodotto, e l’anticipazione e la ricognizione semantica del senso da esso veicolato. Scardinando in tal modo la struttura indessicale profonda, che è alla base del linguaggio, ciò che viene a destrutturarsi è secondo Crow il meccanismo che provvede all’indicizzazione dei ruoli di allocutore e uditore della propria voce e della voce dell’Altro, tramite l’attribuzione dei termini deittici (io, tu, qui, là, ora, prima, dopo) ai propri contenuti di coscienza[29]. Ma poiché, come aveva già scoperto Cartesio, in ogni giudizio o proposizione è contenuta implicitamente una proposizione metalinguistica introdotta da un deittico che chiarisce riflessivamente l’intenzione di colui che pensa tale giudizio o lo dice – io affermo (qui e ora) che “l’erba è verde”; tu dubitavi che io credessi (là e prima) che “è giusto agire così” etc. – ciò che viene scardinato da tale crollo dei meccanismi neurologici fono-uditivi sono le stesse strutture ricorsive e metalinguistiche che hanno reso possibile il fenomeno dell’autocoscienza. Sulla base di questa teoria, si può quindi concludere che la schizofrenia è interpretabile come il prezzo che l’umanità continua a pagare per avere acquisito al termine di un lungo processo di ominazione biologico-culturale quei montaggi sensomotori, esoneranti ed exattanti, che ci hanno permesso d’interiorizzare l’Altro nei meccanismi anticipativi e ricognitivi dell’udito[30] (Crow 1997; Crow 2000). Una teoria che, in negativo o in controluce, ci permette di gettare un nuovo sguardo sui vantaggi, rischi e sofferenze che la specie umana ha dovuto affrontare per essersi dotata – per caso o forse per gioco, durante il suo tortuoso e imprevedibile percorso di evoluzione – di quella tecnica o strategia di esonero del corpo e potenziamento eccentrico dell’esperienza che si è istituzionalizzata nella pratica socialmente condivisa del linguaggio audio-vocale.


[1] Cfr. O. Sacks, Allucinazioni, tr. it. AdeLphi, Milano 2013, p. 62 sgg.

[2] Cfr. P. Pancheri (a cura di), Schizofrenia, in Trattato italiano di psichiatria, ed. elett. Masson, Milano 1999.

[3] Cfr. A. Gualandi, E.W. Straus. Profilo della vita e delle opere, in E. W. Straus, Il vivente umano e la follia. Studio sui fondamenti della psichiatria, tr. it. Quodlibet, Macerata 2013.

[4] Cfr. E. Straus, Vom Sinn der Sinne, Springer, Berlin 1935, p. 212 e id., Die Ästhesiologie und ihre Bedeutung für das Verständnis der Halluzinationen, in «Zeitschrift für Psychiatrie und Neurologie», 182, 1949, p. 245.

[5] Cfr. Id., Il vivente umano e la follia, cit.

[6] Cfr. Id., Vom Sinn der Sinne, cit., p. 382 e id., Die Ästhesiologie und ihre Bedeutung für das Verständnis der Halluzinationen, cit., p. 257.

[7] Cfr. P. Thomas, P. Bracken, I. Leudar, Hearing voices: A phenomenological-hermeneutisch approach, in S.A. Spence, A.S. David, (eds.), Voices in the Brain: The Cognitive Neuropsychiatry of Auditory verbal Hallucinations, Cognitive Neuropsychiatry, Psychology Press, 2004.

[8] Mondo esterno e mondo interno non sono infatti altro per Straus che costruzioni secondarie, linguistiche e metaforiche, prodotte a partire da un terreno primario e incontrovertibile: il terreno del sentire, superficie estesiologica senza esterno/interno e senza spessore a partire dal quale, come su una sorta di anello di Möbius ripiegato su se stesso, viene a costruirsi storicamente e culturalmente – grazie a montaggi sensomotori che confluiscono nell’impalcatura eccentrica ed excarnata del linguaggio filosofico e scientifico – il mito di un’interiorità solitaria separata dal mondo esterno e dall’altro uomo (cfr. A. Gualandi, Estesiologia della solitudine. Terapia filosofica e guarigione psichiatrica in Erwin Straus, in Il vivente umano e la follia, cit.).

[9] Cfr. G. Cockshutt, (2004), Choices for voices: A voice hearer’s perspective on hearing voices, in S.A. Spence, A.S. David, (eds.), Voices in the Brain, cit., e T. Wykes, Psychological treatment for voices in psychosis, in ibid.

[10] Cfr. A. Gualandi, Voci dell’Altro, Sensorialità, comunicazione, alienazione in Erwin Straus e Ludwig Binswanger, in S. Besoli (a cura di), Ludwig Binswanger. Esperienza della soggettività e trascendenza dell’altro, I margini di un'esplorazione fenomenologico-psichiatrica, Quodlibet, Macerata 2006.

[11] Cfr. L. Binswanger, Vom Sinn der Sinne. Zum gleichnamigen Buch von Erwin Straus, in «Archiv für Neurologie und Psychiatrie», XXXVIII, 1, 1936.

[12] Cfr. S.A. Mitchell, Relational Concepts in Psychoanalysis. An Integration, Harvard University Press, Cambridge, Mass.-London 1988; cfr. H. Kohut, La ricerca del sé (1978), tr. it. Bollati Boringhieri, Torino 1982; cfr. E. Tugendhat, Vorlesungen zur Einführung in die sprachanalytische Philosophie, Suhrkamp, Frankfurt a.M 1976.

[13] Cfr. A. S. David, The cognitive neuropsychiatry of auditory verbal hallucinations: An overview, in S.A. Spence, A.S. David, (eds.), Voices in the Brain, cit.

[14] Cfr. M.L. Seal, A. Aleman, P. McGuire, Compelling imagery, unanticipated speech and deceptive memory: Neurocognitive models of auditory verbal hallucinations in schizophrenia, in S.A. Spence, A.S. David, (eds.), Voices in the Brain, cit.

[15] Cfr. M. D. Hunter, Locating voices in space: A perceptual model for auditory hallucinations, in S.A. Spence, A.S. David, (eds.), Voices in the Brain, cit.; e S. Jones & R. C. Fernyhough, Thought as action: Inner speech, self-monitoring, and auditory verbal hallucinations, in «Consciousness and Cognition», 16, 2007, pp. 391–399.

[16] Cfr. A. Gehlen, Der Mensch, Athenaion, Berlin 1940-1950 e H. Plessner, Die Frage nach der Conditio Humana, in Propyläen-Weltgeschichte, (G. Mann, A. Heuss Hrsg.),Verlag Ullstein, Frankfurt-Berlin 1961.

[17] J. P. Changeux, L’homme de vérité, Odile Jacob, Paris 2002.

[18] Cfr.S. J. Gould & R. C. Lewontin, The spandrels of San Marco and the Panglossian paradigm, in «Proc. R. Soc. Land.», B205, pp. 581-598, tr. it. I pennacchi di San Marco e il paradigma di Pangloss, in «Micromega», 1, 2006; e S. J. Gould & E. S. Vrba, Exaptation. A missing Term in the Science of Form, in «Paleobiology», 8, 1982.

[19] Vale la pena ricordare che condizione biologica imprescindibile di tale processo di exaptations ristrutturanti ripetute e progressive è la singolare natura “ultraneotenica” dell’uomo, un essere che, per Gould come per noi, nasce un anno in anticipo (rispetto a mammiferi di taglia equivalente) e sovraespone il proprio cervello plastico e prematuro per un tempo incomparabilmente lungo all’ambiente familiare e naturale (S. J. Gould, Ontogeny and Philogeny, Harvard University Press, Cambridge 1977; cfr. A. Gualandi, L’occhio, la voce e la mano. Una teoria comunicativa dell’esperienza umana, Mimesis, Milano 2013, e Id.,«La neotenia è il veicolo di ogni rivoluzione». Gould e la rifondazione delle scienze dell’uomo, in Cavazzini, Gualandi, Turchetto, Turriziani Colonna, L’eterocronia creatrice. Temporalità ed evoluzione in S.J. Gould, Unicopli, Milano 2013). Sulle conseguenze per la psicoanalisi e la psichiatria di tale concezione neotenica dell’uomo, cfr. A. Gualandi, Psicoanalisi, neotenia, comunicazione, ibid.

[20] Cfr. I. Tattersall, Becoming Human, Harcourt Brace, New York 1998.

[21] Cfr. V. S. Ramachandran, The Emerging Mind, Profile Books, London 2003.

[22] Cfr. M. Tomasello, Origins of Human Communication, MIT Press, Cambridge 2008.

[23] Cfr. M. C. Corballis, From Hand to Mouth: the Origins of Language, Princeton University Press, Princeton 2002 e S. Rose, Il cervello del ventunesimo secolo. Spiegare, curare e manipolare la mente, tr. it. Codice edizioni, Torino 2005.

[24] Cfr. P. Lieberman, Uniquely Human, Harvard University Press, Cambridge 1993.

[25] Cfr. M. C. Corballis, From Hand to Mouth, cit.

[26] Cfr. ibid.

[27] Cfr. J. Jaynes, The Origin of Consciousness in the Breakdown of the Bicameral Mind, Houghton Mifflin, Boston 1976; cfr. T. J.Crow, Is schizophrenia the price that Homo sapiens pays for language?, in «Schizoph. Research», 28, 2-3, 1997, pp. 127-141; Id., Schizophrenia as the price that homo sapiens pays for language: a resolution of the central paradox in the origins of the species, in «Brain Res. Rev», 31, 2-3, 2000, pp. 118-129; Id., Auditory hallucinations as primary disorders of syntax: An evolutionary theory of the origins of language, in S.A. Spence, A.S. David, (eds.), Voices in the Brain, cit.

[28] Cfr. M. Annett, Left, Right, Hand and Brain, Erlbaum, London 1985; e Id., The theory of an agnosic right shift gene in schizophrenia and autism, in «Schizophr. Research», 39, 3, 1999, pp. 177-182.

[29] Cfr. T. J. Crow, Auditory hallucinations as primary disorders of syntax, cit.

[30] Cfr. Id., Is schizophrenia the price that Homo sapiens pays for language?, cit.

 

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