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L’evoluzione del progetto bio-ispirato

Autore


Carla Langella

Seconda Università degli Studi di Napoli

insegna Design della materia e Requisiti ambientali per il prodotto industriale presso il Corso di Laurea in Disegno Industriale della Facoltà di Architettura della Seconda Università degli Studi di Napoli, e lavora all’Hybrid Design Lab presso Dipartimento IDEAS - Industrial Design Ambiente e Storia della Seconda Università degli Studi di Napoli

Indice


  1. La forma segue sempre la funzione
  2. Thompson e la nascita della biomatematica
  3. Biotecnica, ovvero natura inventrice
  4. La bionica come scienza “statica”

 

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S&F_n. 06_2011


  1. La forma segue sempre la funzione

Nella storia dell’uomo la natura ha sempre costituito un importante riferimento, sia formale sia funzionale, in grado di stimolare la nascita di nuove soluzioni tecniche ed espressive. Molti dei più importanti progressi scientifici e tecnologici sono stati indotti dall’osservazione dei fenomeni e delle strutture naturali. Da sempre è stata la biologia la scienza verso la quale i teorici dell’architettura e del design si sono più frequentemente rivolti. Come ha osservato Philip Steadman, autore di una delle trattazioni più approfondite sulla storia e sulla teoria dell’analogia biologica nell’architettura e nel design,

Vi sono aspetti degli oggetti progettati dall’uomo, quali ad esempio le costruzioni, e aspetti dei modi in cui i loro progetti sono realizzati, i quali, osservati entrambi sia ad un livello individuale che culturale, si prestano particolarmente bene ad essere descritti e spiegati tramite la metafora biologica. I concetti di “completezza”, “coerenza”, “correlazione” e “integrazione” usati per esprimere le relazioni non certo casuali tra le parti di un organismo biologico, possono essere utilizzati per descrivere simili qualità nei manufatti progettati con criterio. L’adattamento e la perfetta corrispondenza dell’organismo all’ambiente in cui esso vive, possono essere paragonati all’armoniosa relazione tra una costruzione e lo spazio circostante e, più astrattamente, alla concordanza tra il design e i vari scopi cui esso è stato destinato. Probabilmente tra tutte le scienze, è la biologia quella che prima, più significativamente, affronta il problema centrale della teleologia del design in natura; quindi, per questo motivo, è perfettamente naturale che, fra tutte le scienze, sia quella che debba attrarre l’interesse dei designers. Inoltre, da un punto di vista storico, è stata la biologia la scienza verso la quale i teorici dell’architettura e del design si sono più frequentemente rivolti[1].

Gli antichi Greci individuarono negli organismi naturali un modello di perfezione e di armonia tradotto nell’ideale classico di bellezza. Nella Storia Naturale di Aristotele compare già l’analogia tra natura e arte in termini di equilibrio e proporzione tra le parti. Ma in Le parti degli animali l’analogia si spinge fino alla teorizzazione di un’estetica funzionale secondo cui «ognuna delle parti del corpo è in vista di un fine, il fine poi è una certa funzione, è manifesto che il corpo nel suo insieme è costituito in vista di una funzione complessa. […] Il corpo è in qualche modo finalizzato all’anima, e ognuna delle sue parti alla funzione alla quale è destinata per natura»[2]. Teorie che come osserva Steadman verranno poi approfondite da Felix Vicq d’Azyr e soprattutto da Georges Cuvier, con la sua regola di anatomia fondata sulla correlazione delle parti, secondo cui «Tutti gli organi di uno stesso animale formano un sistema unico, le cui parti sono tutte concatenate, agiscono e reagiscono l’una rispetto all’altra, e non vi può essere alcun mutamento in ognuna di esse, senza che ciò non comporti una analoga modificazione in tutte»[3].

Nella metà dell’Ottocento lo scultore e scrittore Horatio Greenough, iniziò a porre le basi teoriche del funzionalismo moderno in architettura e nel design, osservando nella molteplicità delle forme naturali una corrispondenza tra forma e funzione da cui derivò l’utilità di fare riferimento allo studio delle strutture degli scheletri e delle pelli degli animali e degli insetti nell’elaborazione dei criteri morfologico-strutturali su cui fondare architetture e oggetti[4].

Se le teorie di Greenough si mantenevano su di un piano generale, Louis Sullivan, provò, alcuni anni dopo, a prospettare un’applicazione pratica nell’architettura di questo principio. In un articolo del 1896 Sullivan scriveva che «Tutte le cose in natura hanno un aspetto, cioè, una forma, una sembianza esterna, che ci spiega che cosa sono, che le distingue da noi stessi e dalle altre cose. Senza dubbio in natura queste forme esprimono la vita interiore dei sistemi naturali, la qualità originaria, di animali, alberi, uccelli, pesci […]. Nella traiettoria del volo dell’aquila, nell’apertura del fiore di melo, nella fatica del lavoro duro del cavallo, nello scivolare gaio del cigno, nella ramificazione della quercia che si aggroviglia intorno alla base nel movimento delle nubi e sopra tutto nel movimento del sole, la forma segue sempre la funzione, e questa è la legge. Dove la funzione non cambia, la forma non cambia […]. È la legge che pervade tutte le cose organiche e inorganiche, tutte le cose fisiche e metafisiche, tutte le cose umane e sovraumane di tutte le manifestazioni concrete della testa, del cuore, dell’anima, che la vita è riconoscibile nella sua espressione, che la forma segue sempre la funzione. Questa è la legge»[5].

La natura reale di ogni problema, dunque, contiene e suggerisce la soluzione. Alcuni anni dopo la famosa frase di Sullivan “form ever follows function” venne riproposta da Ludwig Mies van der Rohe nella versione più netta: “form is function”.

 

  1. Thompson e la nascita della biomatematica

Il biologo D’Arcy W. Thompson, autore di On Growth and Form, è considerato un precursore di quella disciplina che oggi viene definita bio-matematica. Nel testo Thompson propone di tradurre, attraverso funzioni matematiche lineari e non lineari, le morfologie rilevate in natura per individuare possibili analogie tra organismi biologici e ipotizzare similitudini funzionali con le forme e i meccanismi realizzati dall’uomo.

A questo scopo D’Arcy W. Thompson propone e illustra, in maniera molto puntuale, un campionario di analogie tra le strutture e le morfologie create dalla natura e i sistemi architettonici e meccanici prodotti dall’uomo. Nel trattato viene evidenziato come l’efficacia funzionale osservata nella natura possa essere in grado di stimolare soluzioni altrettanto efficaci nel mondo degli artefatti.

Il testo, ricco di affascinanti illustrazioni ha ispirato, e ancora ispira, generazioni di biologi, architetti, artisti, designer e matematici. Una delle sue parti più interessanti e note è il capitolo XVII, dal titolo The Comparison of Related Forms, nel quale viene utilizzato il metodo delle trasformazioni cartesiane per interpretare le relazioni tra forme affini di diverse strutture biologiche. Metodo che ha ispirato successivamente numerosi studi scientifici di embriologia, tassonomia, paleontologia ed ecologia. Nell’epilogo del testo si legge che

L’armonia del mondo si manifesta nella forma e nel numero, e il cuore e l’anima e tutta la poesia della filosofia naturale si incarnano nel concetto della bellezza matematica. Tale è la perfezione della bellezza matematica che ciò che più è aggraziato e regolare, insieme è più utile e perfetto[6].

Alla trattazione di Thompson non è stato attribuito un valore scientifico nell’ambito della ricerca biologica. È un lavoro che rientra, infatti, nella tradizione descrittiva, nel quale l’autore non ha articolato le sue osservazioni in forma di ipotesi sperimentali da esaminare e dimostrare scientificamente. Nel testo vengono proposti problemi e osservazioni che, pur essendo lasciati in gran parte irrisolti, aprono senari interpretativi, stimolando curiosità e immaginazione. Ed è proprio questa capacità immaginifica che ha contraddistinto il grande successo di questo lavoro. Thompson era consapevole del valore di ispirazione concettuale, più che di esaustiva trattazione scientifica del suo testo del quale affermava: «Questo libro non richiede un’introduzione molto estesa perché è esso stesso una prefazione dall’inizio alla fine»[7].

 

  1. Biotecnica, ovvero natura inventrice

Ma è soprattutto nella modernità che il riferimento naturale diviene modello scientifico, in grado di legittimare il progetto razionalista. Le equivalenze esatte tra forma e funzione e tra problema e soluzione che la scienza moderna di inizio secolo scorso riconosceva nei processi e nelle strutture naturali, costituivano gli ideali fondamenti per un progetto scientificamente rigoroso. Come afferma Steadman

Il tema meccanicistico nel funzionalismo fu ampiamente ripreso dai teorici dell’architettura e del design del diciannovesimo secolo; anche negli studi teorici del movimento moderno, l’argomento maggiormente ricorrente, è ancora una entusiastica esaltazione delle realizzazioni delle nuove tecniche, nelle quali “razionalisti” e funzionalisti vedevano gli esiti della fedeltà agli stessi principi di produttività e a quel diretto e immediato adattamento agli scopi pratici che essi avevano lodato nelle forme della natura[8].

Alan Colquhoun osserva che dalla profonda fede espressa dal movimento moderno in architettura nei confronti del determinismo biotecnico deriva l’evoluzionismo culturale del diciannovesimo secolo[9]. L’origine della concezione biotecnica proviene da una tradizione di testi divulgativi sul tema delle analogie tra la natura e le macchine, di cui il primo fu Nature’s teachings: human invention anticipated by nature di John George Wood, in cui afferma che per quasi tutte le invenzioni dell’uomo esiste un “prototipo” in natura. Nel testo le analogie tra “invenzioni” della natura e “invenzioni” dell’uomo sono raggruppate in funzione dei settori di attività antropiche[10].

Il termine Biotechnik viene introdotto per la prima volta da Raoul Heinrich Francé nel testo Die Pflanze als Erfinder, nel quale indaga sulle forze meccaniche che governano i processi di crescita e le morfologie strutturali delle piante facendo riferimento alle opportunità offerte dalla conoscenza di tali fenomeni nel progetto di artefatti[11]. Francé e il suo approccio alla biotecnica vennero scelti come riferimenti da Laszlo Moholy-Nagy alla Bauhaus[12].

Su queste tematiche Steadman scrive:

Il concetto della “biotecnica” o “biotecnologia”, che tra il 1920 e 1930, attirò l’attenzione di alcuni designers. In sostanza, la teoria avanzata era questa: nell’evoluzione delle piante e degli animali la natura stessa aveva già realizzato una grande varietà di “invenzioni”, rappresentate nei design degli organi, o negli adattamenti degli arti. Queste invenzioni avevano risolto in maniera ingegnosa tutti i tipi di problemi funzionali ed ingegneristici – strutturali, meccanici, persino chimici ed elettrici. Ciò che si richiedeva era una studio accurato della ingegneria della natura; l’uomo avrebbe così trovato la soluzione per tutte le esigenze tecniche, dal momento che bastava soltanto ricopiare i modelli naturali nel design di macchine e strutture. In questo modo, invece di una soluzione tecnologica che richiedeva un grande dispendio di tempo, si poteva “prendere in prestito” il tempo già impiegato nell’evoluzione organica di questi equivalenti naturali dei manufatti prodotti dall’uomo[13].

  1. La bionica come scienza “statica”

Alla fine degli anni Cinquanta, in continuità con le teorie biotecniche, ma con un’attenzione particolare alle nuove tecnologie, viene introdotta una nuova branca dell’ingegneria definita bionica, nella quale si ritrovano le radici dei più recenti studi di cibernetica. La bionica nasce con l’intento di simulare i sistemi naturali creando artefatti che ripropongono le loro caratteristiche strutturali, formali e funzionali. Il termine bionic venne utilizzato la prima volta nel 1960 da Jack Ellwood Steele, della US Air Force, che la definì come: «the science of systems which have some function copied from nature, or which represent characteristics of natural systems or their analogues»[14]. L’approccio nato con la biotecnica e sviluppatosi attraverso la bionica trae ispirazione dallo studio del funzionamento delle strutture naturali interpretate come perfetti “meccanismi”, esempi di assoluta efficienza. Nel design e nell’architettura spesso tali teorizzazioni sono state tradotte in ricerche progettuali fondate sul mutuare staticamente forme e geometrie dalla natura, nelle quali le strutture biologiche vengono interpretate nell’accezione funzionalista.

Oggi, alla luce della conoscenza sempre più profonda dei principi che governano i sistemi biologici, appare evidente il limite della bionica classica nell’interpretare la natura come modello fondamentalmente statico di rigore funzionalista.

I progressi scientifici e tecnologici guadagnati negli ultimi cinquanta anni hanno consentito di osservare e conoscere la natura sempre più a fondo, fino a giungere alla comprensione delle strutture e dei fenomeni biologici un tempo imperscrutabili, nei loro minimi dettagli. Un punto di vista così ravvicinato ha consentito all’ingegneria di riuscire a interpretare l’osservazione della biologia, non solo come fonte di ispirazione, ma anche come strumento di innovazione. Diventa possibile comprendere e riprodurre i processi che sono alla base di quei meccanismi che avevano affascinato e incuriosito i teorici della biotecnica. Le nuove conoscenze scientifiche e gli strumenti tecnologici consentono di creare “replicanti” sempre più fedeli, non solo nelle forme ma anche nelle logiche di concezione. Sono le premesse fondative per uno dei settori più vivaci e fertili del panorama scientifico contemporaneo: la biomimetica.

 


[1] P. Steadman, L’evoluzione del design. L’analisi biologica in architettura e nelle arti applicate, tr. it. Liguori Editore, Napoli 1988, p. 209.

[2] Aristotele, Opere, vol. V: Parti degli animali, Riproduzione degli animali, tr. it. a cura di D. Lanza e M. Vegetti, Laterza, Bari 1973.

3 G. Cuvier, Rapport Historique sur les progrès des sciences naturelles depuis 1789 et sur leur état actuel, Paris 1808, p. 330; cit in P. Steadman, op. cit., p. 55.

[4] H.A. Small (ed. by), Form and Function. Remarks on Art, Design and Architecture, University of California Press, Los Angeles 1947; versione riveduta di H. T. Tuckerman (ed. by), Memorial of Horatio Greenough, G.P. Putnam, New York 1853; testo che si rifaceva a sua volta a Horas Benmder [pseud. H. Greenough], The Travels, Observations and Experience of a Yankee Stonecutter, G.P. Putnam, New York 1852.

[5] Liberamente tradotto da L. H. Sullivan, The tall office building: artistically considered, in «Lippincott’s Magazine», 57, marzo 1896.

[6] D. W. Thompson, Crescita e forma (edizione ridotta a cura di J. T. Bonner), tr. it. Bollati Boringhieri, Torino 1969, p. 350.

[7] Ibid., p. 351.

[8] P. Steadman, op. cit., p. 25.

[9] A. Colquhoun, Typology and Design Method, in «Perspecta», 12, 1969.

[10] J. G. Wood, Nature’s teachings: human invention anticipated by nature, William Glaisher, Londra 1875.

[11] R. H. Francé, Die Pflanze als Erfinder, Frank´sche Verlagshandl, Stuttgart 1920.

[12] L. Moholy-Nagy, Von Material zu Architektur, Münich 1929.

[13] P. Steadman, L’evoluzione del design. L’analisi biologica in architettura e nelle arti applicate, cit., p. 209.

[14] J. F. V. Vincent, Stealing Ideas from Nature Chapter 3, in S. Pellegrino (ed. by), Deployable structures, Springer-Verlag, Wien 2001.

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