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Quer pasticciaccio brutto de l’origine del linguaggio umano

Autore


Delio Salottolo

Università degli Studi di Napoli - L'Orientale

Indice


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S&F_n. 10_2013


Ciò che distingue l’uomo dagli animali inferiori non è la capacità di capire i suoni articolati, perché come tutti sanno i cani comprendono molte parole e intere frasi. Sotto questo aspetto essi sono allo stesso stadio di sviluppo dei bambini di dieci o dodici mesi, che capiscono molte parole e brevi frasi, ma non possono pronunciarne. Non è il solo potere di articolare i suoni che distingue l’uomo dagli altri animali, perché anche i pappagalli ed altri uccelli ne sono capaci. Non è neppure la mera capacità di connettere suoni definiti con idee definite, poiché alcuni pappagalli ai quali è stato insegnato a parlare collegano infallibilmente parole e cose, persone ed avvenimenti. Gli animali inferiori differiscono dall’uomo solo per il potere infinitamente maggiore che l’uomo ha di associare i suoni alle idee più diverse; e ciò ovviamente dipende dal grande sviluppo delle sue facoltà mentali.

Darwin

 

In un angolo remoto dell'universo scintillante e diffuso attraverso infiniti sistemi solari, c’era una volta un astro, su cui animali intelligenti scoprirono la conoscenza. Fu il minuto più tracotante e più menzognero della «storia del mondo»: ma tutto ciò durò soltanto un minuto. Dopo pochi respiri della natura, la stella si irrigidì e gli animali intelligenti dovettero morire. Qualcuno potrebbe inventare una favola di questo genere, ma non riuscirebbe tuttavia a illustrare sufficientemente quanto misero, spettrale, fugace, privo di scopo e arbitrario sia il comportamento dell'intelletto umano entro la natura. Vi furono eternità in cui esso non esisteva; quando per lui tutto sarà nuovamente finito, non sarà avvenuto nulla di notevole. Per quell'intelletto, difatti, non esiste una missione ulteriore che conduca al di là della vita umana. Esso piuttosto è umano, e soltanto chi lo possiede e lo produce può considerarlo tanto praticamente, come se i cardini del mondo ruotassero su di lui. Se noi riuscissimo a intenderci con la zanzara, apprenderemmo che sente il centro – che vola – di questo mondo. Non vi è nulla di abbastanza spregevole e scadente nella natura, che con un piccolo e leggero alito di quella forza del conoscere non si gonfi senz’altro come un otre. E come ogni facchino vuole avere i suoi ammiratori, così il più orgoglioso fra gli uomini, il filosofo, crede che da tutti i lati gli occhi dell'universo siano rivolti telescopicamente sul suo agire e sul suo pensare.

Nietzsche

 

Per tutto ciò che è al di fuori del mondo sensibile il linguaggio non si può usare che allusivamente: mai invece, neppure per approssimazione, comparativamente, dato che, in corrispondenza col mondo sensibile, esso tratta solo del possesso e delle sue relazioni.

Kafka

La Société de Linguistique de Paris fece scalpore quando nel 1866 impose il divieto di presentare relazioni aventi ad oggetto le origini del linguaggio verbale umano e le possibilità di una lingua universale. E questo per un motivo semplicissimo, una ricerca di questo genere si scontra con un dato di fatto inequivocabile: i fossili non parlano e presumibilmente non lo faranno mai, ma ancor di più il fatto che, mentre noi qui stiamo leggendo questa nota e forse ne discuteremo con colleghi e amici, quelle scimmie che tanto ci assomigliano non sembrano proprio avere alcuna voglia di parlare. Da allora, comunque, con quel gusto per la trasgressione che ogni divieto porta naturalmente con sé, non si è smesso di discutere su tale questione e le teorie si sono moltiplicate. Punto di non-ritorno è ancora una volta Darwin, il quale non le mandava certo a dire e il fatto di suscitare scalpore poco gliene importava, e così anche riguardo al linguaggio, caratteristica da sempre ritenuta peculiare dell’umano, sosteneva che in definitiva esso non introduce una discontinuità nella natura, certo resta difficilissimo rincorrere i primi balbettamenti umani ma comunque essi, pur essendo radicalmente differenti dai versi degli animali, non rappresentano una differenza di tipo qualitativo, non rappresentano una “differenza ontologica”. Insomma la questione dell’origine del linguaggio verbale umano o viene affrontata attraverso l’armamentario biologico-evoluzionistico oppure rischia di restare per sempre una domanda mal posta, se non addirittura inutile. In poche parole ci si dovrebbe accontentare di leggere l’avvento del linguaggio umano come un vero e proprio “salto”, una rottura e discontinuità dell’uomo nella natura, e così il problema dell’origine diverrebbe del tutto insensato. Con buona pace di tutti? Forse no. Il problema è che al di sotto di questa questione, all’interno di questo calderone all’interno del quale un po’ tutti dicono la loro, da genetisti a filosofi, da paleoantropologi a neuroscienziati, da linguisti a biologi molecolari, sembra bollire qualcosa d’importante, ma cosa? Né più né meno che la rinnovata forma della solita domanda, vecchia e stantia come il mondo, e che risuona sempre uguale e sempre differente, quel “chi siamo?” che nella seconda modernità, a partire dal problema kantiano del Was ist der Mensch?, ha assunto spesso toni drammatici. Insomma, che lo si voglia o meno, la domanda sull’origine del linguaggio verbale umano, sembra essere l’ultimo luogo dove poter sperare di cercare, e chissà mai di trovare, il senso dell’umano. Sempre che questo senso esista veramente, e, qualora anche esista, sia conoscibile, e, qualora anche sia conoscibile, sia comunicabile a parole.

Cioè attraverso il linguaggio.

Quello verbale e umano.

Appunto. 

 

D.S.

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