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È la particella di Higgs, finalmente…

Autore


Crisostomo Sciacca

Università degli Studi di Napoli Federico II

insegna Fisica Sperimentale all’Università degli Studi di Napoli Federico II. È Associato di Ricerca dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, Sezione di Napoli e Ricercatore sperimentale in Fisica delle Particelle Elementari

Indice


  1. Prologo: Higgs fu
  2. Per una genealogia del bosone
  3. Invarianze e simmetrie
  4. Verifica sperimentale
  5. Impazienze
  6. Ma la caccia continua... E Higgs fu

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S&F_n. 09_2013

Abstract


Higgs boson discovery is now a reality, after fifty years of hard hunting. It has been a great success along the road toward comprehension of nature at its fundamental level. Here briefly depicted is the story of an impressive international effort along two parallel lines, theoretical ideas and experimental research, a battle never seen until now in science. Deep principles, like symmetries, transformations, invariances, conservation laws, and experimental skillness, are the texture where hypotesis and solutions have emerged around one of the main mysteries of nature, the origin of matter mass at the elementary constituent scale, with profound impact at the opposite side, on the cosmological picture of our universe.


  1. Prologo: Higgs fu

4 luglio 2012, ore 9.00, Main Auditorium del Cern di Ginevra. La sala è stracolma. Decine di persone hanno passato la notte davanti alla porta di ingresso per non perdersi “lo spettacolo” e molte altre sono arrivate all’alba. Solo i fisici “vip” possono contare sui posti riservati nelle prime file, come nelle grande occasioni che negli anni avevano visto il Cern celebrare le sue fondamentali scoperte. E questa era una di esse, la più importante di tutte.

Il seminario verrà proiettato in altre 10 sale del Cern, è in streaming su internet (l’audience misurata sarà di circa mezzo milione di collegamenti) e a Melbourne, dall’altra parte del mondo, i 700 congressisti della principale conferenza dell’anno, la International Conference on High Energy Physics, ICHEP 2012, interrompono i loro lavori alle 17 ora locale per seguire sul grande schermo ciò che avviene al Cern.

L’occasione è davvero storica, dalle spokeperson dei grandi esperimenti del Large Hadron Collider, Fabiola Gianotti per Atlas e Joe Incandela per Cms il mondo si aspetta una sola risposta: i “sospetti” presentati a dicembre 2011 si sono trasformati in certezze o si sono dissolti, la particella di Higgs è stata finalmente scoperta o i fisici sono stati illusi da una “fluttuazione statistica”? Per pochi mesi, gli italiani non dominano completamente la scena: il responsabile di Cms fino al dicembre precedente era Guido Tonelli che, secondo la ferrea regola di rotazione applicata in quasi tutti i grandi esperimenti, aveva appena terminato il suo mandato (ma il nuovo spokeman è di origini italiane...).

Ambedue gli esperimenti, con felice coerenza assai apprezzata in situazioni così impegnative, diranno che sì, è stata rivelata una nuova particella che ha molte delle caratteristiche previste per il bosone di Higgs, ma ancora servono altre conferme sperimentali per affermare che sia proprio “lei”. La prudenza è d’obbligo in simili occasioni, ma l’annuncio è pieno di cauto ottimismo: a marzo 2013, alla conferenza di La Thuile, in Val d’Aosta, le ultime riserve verranno sciolte e da quel momento, “Higgs fu”.

 

  1. Per una genealogia del bosone

Ma quando era iniziata la storia? Dobbiamo fare un play back di quasi 50 anni, saltando indietro al 1964.

In quegli anni stava consolidandosi una delle principali “speranze” della fisica delle particelle elementari, ciò che per tanti anni era stato il sogno di Albert Einstein, l’unificazione delle forze esistenti in natura. I fisici preferiscono chiamarle “interazioni fondamentali”, e se ne conoscevano quattro. Due di esse si manifestano con fenomeni che fanno parte dell’esperienza quotidiana, cioè l’interazione “elettromagnetica” (i nostri cinque sensi da essa dipendono, in un modo o nell’altro) e quella “gravitazionale” (i corpi “pesano”, i pianeti del sistema solare girano attorno al Sole). Ebbene, per queste due forze il processo di unificazione aveva già avuto successo. James Clerk Maxwell, nella seconda metà dell’‘800, aveva dimostrato con le sue celebri quattro equazioni che fenomeni apparentemente diversissimi, quelli elettrici e quelli magnetici, sono in realtà manifestazioni della stessa interazione, da quel momento in poi detta “elettromagnetica”. Quasi duecento anni prima, un altro “gigante” della fisica, Isaac Newton, dimostrava che ciò che ci tiene saldi sulla Terra e ciò che condiziona il moto dei corpi celesti sono due manifestazioni di una stessa forza, la gravitazione.

Le rimanenti due interazioni sono altrettanto importanti nella costruzione dell’universo, anche se più lontane dall’esperienza comune. La più intensa è quella “forte”, che tiene insieme i nuclei atomici, contrapponendosi alle intensissime forze di repulsione che agiscono tra i protoni costituenti, costringendoli a rimanere legati. L’ultima delle quattro è la forza “debole”, responsabile di fondamentali processi nel mondo subnucleare, ad esempio regola la trasformazione tra quark diversi, può causare radioattività naturale in nuclei atomici (i “raggi beta” del primo ’900), è l’unica interazione che conta nel mondo dei neutrini.

I fisici sono spinti dal desiderio di dare dell’universo il quadro concettualmente più semplice, riducendo gli ingredienti a quelli essenziali: è naturale quindi che la strada dell’unificazione delle forze, coronata da successo nella gravità e nell’elettromagnetismo, abbia un fascino irresistibile in chi si occupa dei principi primi, alla ricerca di un’unica interazione che si presenti poi con aspetti diversi in tutti i fenomeni della natura. È la storia della ricerca di semplicità ed eleganza formale nella descrizione di un mondo che invece si presenta multiforme e complesso. È la storia della ricerca di “simmetrie” profonde nelle leggi della natura, al di là delle apparenze che tendono a nasconderle.

La storia della fisica, dall’inizio del ‘900 in poi, vede innumerevoli esempi di successi guidati da esigenze di simmetria, di invarianza delle leggi di base a fronte di trasformazioni, di esistenza di principi di conservazione.

Casi classici sono quelli che gli studenti di fisica incontrano già nel primo anno di studio. Ad esempio, accettiamo tranquillamente l’affermazione che il risultato di un esperimento non dipenda dal momento in cui viene effettuato, a parità di tutte le condizioni sperimentali: ebbene, da questa affermazione “ovvia” si può dedurre che l’energia totale di un sistema isolato non può variare, emerge così uno dei più importanti “principi di conservazione”.

E si può andare avanti: ci sembra scontato che l’universo sia simmetrico, non abbia cioè regioni privilegiate, che esperimenti identici in luoghi diversi abbiano lo stesso risultato: da ciò “sboccia” la conservazione, in un sistema isolato dal resto del mondo, di un’altra grandezza meccanica, la “quantità di moto” totale del sistema.

Un’altra “simmetria” ci riporta indietro nel tempo, molto indietro, nel 1632. Galileo Galilei pubblica il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo e in un celebre passo descrive un esperimento ideale:

Rinserratevi con qualche amico nella maggiore stanza che sia sotto coverta di alcun gran navilio, e quivi fate d'aver mosche, farfalle e simili animaletti volanti: siavi anco un gran vaso d'acqua, e dentrovi de' pescetti; sospendasi anco in alto qualche secchiello, che a goccia a goccia vada versando dell'acqua in un altro vaso di angusta bocca che sia posto a basso; e stando ferma la nave, osservate diligentemente come quelli animaletti volanti con pari velocità vanno verso tutte le parti della stanza. [..] Osservate che avrete diligentemente tutte queste cose, benché niun dubbio ci sia mentre il vascello sta fermo non debbano succedere così: fate muovere la nave con quanta si voglia velocità; ché (pur di moto uniforme e non fluttuante in qua e in là) voi non riconoscerete una minima mutazione in tutti li nominati effetti; né da alcuno di quelli potrete comprendere se la nave cammina, o pure sta ferma.

 

È la “Relatività Galileiana”, l’invarianza delle leggi della meccanica viste in due sistemi in reciproco moto uniforme: il movimento uniforme ha la stessa “dignità” della quiete. Questa simmetria potrebbe sembrare strana in una prospettiva terrestre, ma tra due astronavi che si muovono liberamente nello spazio intergalattico, in direzioni diverse e a motori spenti, ha senso parlare di “velocità vera”? Velocità “rispetto a che cosa”? Naturalmente, si può solo parlare di velocità di una astronave rispetto all’altra, nessuna di esse è “privilegiata” ed esperimenti identici a bordo dei due “navilii” devono portare a identici risultati.

Nel 1905 Albert Einstein fa un “piccolo” passo in più rispetto a Galileo: perché limitarsi a esperimenti di meccanica? Se per essi vige la “democrazia” tra sistemi in moto reciproco, purché rettilineo e uniforme (“sistemi inerziali”), la stessa democrazia deve valere per tutti gli esperimenti, in particolare per quelli che riguardano i fenomeni elettromagnetici. A prima vista sembrerebbe più che naturale, e si è disposti ad accettare l’idea. Così facendo, diventa però inevitabile accettarne le conseguenze, ed esse sono sconvolgenti: si devono abbandonare concetti radicati profondamente nella nostra mente. Ad esempio, eventi che appaiono simultanei in una delle due astronavi non lo sono nell’altra, le lunghezze dei corpi, e la velocità di scorrimento del tempo, dipendono da chi le misura, e così via. Per non parlare di E=mc2, centrali nucleari, bombe termonucleari, urti tra particelle elementari dai quali scaturiscono particelle di tipo e massa diverse da quelle iniziali...

 

  1. Invarianze e simmetrie

Come si vede, invarianze e simmetrie portano assai lontano e aprono prospettive illuminanti. Ma ritorniamo agli anni ’60 del secolo scorso, e ai tentativi di unificazione delle interazioni fondamentali. Di nuovo, emerge il ruolo di simmetria e invarianza nella descrizione dei fenomeni, in questo caso assai più sottile rispetto ai casi precedentemente ricordati. Appare infatti una “invarianza di calibrazione locale” (in inglese, “di gauge”): esistono trasformazioni che lasciano invariate la descrizione matematica del sistema (si ha quindi una simmetria) e, per di più, non è necessario che le trasformazioni siano le stesse per tutto lo spazio-tempo, possono addirittura essere applicate indipendentemente in ogni punto dell’universo (ecco perché l’invarianza è detta “locale”, in contrapposizione a quella “globale” che coinvolge nello stesso modo tutto lo spazio-tempo). L’invarianza di gauge locale era già presente nell’elettromagnetismo di Maxwell, messa in evidenza nel 1918 da Herman Weyl nel tentativo di unificazione di elettromagnetismo e di gravità, ma venuta in auge solo negli anni ’50 del secolo scorso nei primi tentativi di mettere ordine nell’apparente disordine della fisica delle particelle elementari, che venivano incessantemente scoperte durante lo sviluppo di acceleratori ed esperimenti via via più potenti. Come esempio della potenza dei concetti di invarianza e simmetria, può essere ricordati che da essi emerge, nell’elettromagnetismo, un altro fondamentale principio di conservazione, quello della carica elettrica!

Nei primi anni ’60 del secolo scorso, apparve estremamente promettente l’applicazione dell’invarianza di gauge locale in vista dell’unificazione di elettromagnetismo e interazione debole. Un aspetto importante che si andava consolidando postulava che le forze tra particelle fossero dovute allo scambio reciproco di “mediatori”, e quindi di altre particelle, in contrapposizione alla visione classica di “campo” (ad esempio, una particella carica riempie lo spazio con un campo elettrico da essa generato, e altre particelle che lo attraversano vedono solo il campo e non la sorgente della forza). Nella teoria oggi accettata, la “Teoria Quantistica dei Campi”, la situazione è più articolata, esistono sia campi che le particelle, “increspature” dei campi, granuli concentrati come i fotoni sono “quanti” del campo elettromagnetico.

Quindi, “interazioni, campi, mediatori” ma con un “piccolo problema”: per la coerenza della teoria, i mediatori dovevano avere massa nulla. Per i fotoni del campo elettromagnetico va tutto bene, l’assenza di massa è stata misurata con estrema precisione, ma per le interazioni deboli vi era invece evidenza di mediatori dotati di massa: la simmetria era “rotta” e la situazione appariva priva di speranza. Ma solo fino al 1964, anno fondamentale nella nostra storia. In tre diversi articoli, dapprima F. Englert assieme a R. Brout, poi P. Higgs e appena più tardi G. S. Guralnik, C.R. Hagen e T.W.B. Kibble proponevano la soluzione del problema. Diffuso in tutto l’universo esiste un campo speciale, il “campo di Higgs”, assieme alla sua manifestazione corpuscolare (il “bosone” di Higgs, bosone perché una sua caratteristica quantomeccanica, lo “spin” doveva essere un numero intero, 0,1,2... in opportune unità di misura), e la massa dei mediatori (nonché degli altri costituenti elementari, i quark e i “leptoni”) è legata all’intensità con la quale il campo interagisce ciascuna particella: maggiore è l’interazione e tanto più alta sarà la sua massa. La simmetria c’è, ma non si vede...

A rigore, associare al solo nome di Peter Higgs la paternità di questa ipotesi è “ingiusta”. In realtà, fino ai primi anni ‘70 questi lavori passarono piuttosto inosservati. Erano necessari molti successivi lavori, che videro in campo numerosi altri fisici teorici, affinché l’idea iniziale acquistasse forza; da allora, le citazioni di quegli articoli sono innumerevoli. “Meccanismo di Higgs”, “particella di Higgs” furono termini usati all’inizio, e i nomi sono rimasti gli stessi. Comunque, paternità e storia saranno problemi dell’Accademia delle Scienze di Stoccolma!

 

  1. Verifica sperimentale

Accenniamo ora all’altra faccia della medaglia, la necessaria verifica sperimentale: come si poteva produrre e rivelare in laboratorio il bosone di Higgs? Le previsioni teoriche sulla sua massa, e quindi l’energia necessaria per produrli, erano praticamente inesistenti. Nel 1975, uno dei primi lavori teorici (di tre brillanti fisici, J.R. Ellis, M.K. Gaillard e D.V. Nanopulos) scritto con l’obiettivo di guidare la caccia sperimentale si concludeva mestamente con la frase:

 

We should perhaps finish our paper with an apology and a caution. We apologize to experimentalists for having no idea what is the mass of the Higgs boson, ..., and for not being sure of its couplings to other particles, except that they are probably all very small. For these reasons, we do not want to encourage big experimental searches for the Higgs boson, but we do feel that people doing experiments vulnerable to the Higgs boson should know how it may turn up.

 

Se non una resa, qualcosa di molto simile... E infatti, le proposte sperimentali di quegli anni non accennavano esplicitamente a ricerche dedicate. La prima caccia sistematica iniziò nella seconda metà degli anni ’90 del secolo scorso al Large Electron Positron del Cern, il Lep, un gigantesco anello sotterraneo lungo 27 km dove fasci di elettroni e positroni di altissima energia si scontravano frontalmente in quattro zone sperimentali, nelle quali giganteschi apparati (Aleph, Delphi, L3 e Opal) ricostruivano i prodotti degli urti, selezionando in tempo reale un enorme numero di dati da sottoporre all’analisi successive. Lep non era stato progettato per rivelare l’Higgs, il suo programma scientifico prevedeva lo studio sistematico dei mediatori delle interazioni deboli, i bosoni carichi W+ e W- e quello neutro, Z0. Furono raccolti e analizzati milioni di eventi con produzione di queste particelle, determinandone le caratteristiche con estrema precisione. Altri fondamentali risultati confermarono il trionfo del cosiddetto “Modello Standard”, nome ingiustamente modesto per quella che è una teoria che ha avuto strepitosi successi, con previsioni accuratissime e stringenti conferme sperimentali (ma sappiamo che molti misteri da esplorare ancora rimangono...).

Nella seconda parte degli anni ’90, gli esperimenti al Lep accentuarono la ricerca del bosone di Higgs: nessuna traccia, fino a masse vicino al limite raggiungibile con l’acceleratore, la cui energia era stata gradatamente aumentata con l’aggiunta di elementi superconduttivi proprio per estendere al massimo la regione di massa esplorata.

Va qui detto che il Lep era stato progettato venti anni prima con l’idea di riutilizzo del tunnel con la grande macchina successiva, che lo avrebbe totalmente sostituito, il Large Hadron Collider, Lhc. Questa macchina aveva invece proprio l’Higgs come principale obiettivo scientifico, e intorno a essa si erano concentrate enormi risorse tecniche e finanziarie. Due grandi esperimenti, Atlas e Cms, avevano messo a punto i progetti sperimentali, varie migliaia di fisici e ingegneri erano in attesa che Lep terminasse il suo programma sperimentale per iniziare il suo smontaggio, e la successiva sostituzione con le chilometri di magneti superconduttori; altrettanto impazienti erano le grandi collaborazioni sperimentali, che dovevano istallare i loro apparati costruiti in lunghi anni in laboratory di tutto il mondo.

 

  1. Impazienze

Il 2000 era l’anno in cui Lep doveva chiudere la sua attività ma, negli ultimi mesi, colpo di scena: inizialmente l’esperimento Aleph e poi anche L3 avevano rivelato alcuni eventi che potevano essere evidenza della produzione di particelle di Higgs! Che fare? Da una parte la comunità Lep chiedeva l’estensione del programma sperimentale per avere maggiori certezze, dall’altra la “macchina” Lhc (industrie, gruppi sperimentali, costruttori dell’acceleratore) non volevano rimandare programmi che li avevano visti impegnati già da oltre un decennio.

Alla fine, la decisione finì sulle spalle del Direttore Generale in carica, l’italiano Luciano Maiani, che dovette prendere una decisione che immagino sia stata fra le più difficili della sua vita: brevissima estensione della vita del Lep, e poi la sua chiusura.

A posteriori, si può dire che fu la decisione giusta, nei mesi successive i quattro esperimenti del Lep fecero una analisi congiunta, mettendo insieme i loro dati, e risultò chiaro che gli eventi con massa di circa 114 GeV, 120 volte maggiore di quella del protone, erano eventi reali ma presumibilmente dovuti a processi “standard”, non erano segnali del bosone di Higgs. Partiva l’avventura di Lhc, con ancora molti anni di costruzione e senza dati.

 

  1. Ma la caccia continua... E Higgs fu

Ma la caccia continuava oltre atlantico: due grandi esperimenti al Fermilab di Chicago avevano apparati e acceleratore in grado di raggiungere l’Higgs. L’unico handicap era rappresentato dal numero di eventi al secondo che l’acceleratore poteva produrre, parametro che gli addetti ai lavori chiamano “luminosità”. Per molti anni i gruppi hanno lavorato con enorme impegno, raffinando fino agli estremi limiti gli apparati e le tecniche di analisi, e raggiungendo solidi limiti sperimentali: con la statistica a disposizione erano riusciti a escludere con certezza alcune regioni di massa, ma in altre regioni si doveva sospendere il giudizio.

Nel frattempo, il 10 settembre 2008 veniva inaugurato Lhc a Ginevra, il Fermilab aveva ora un competitore agguerrito. Lhc non creò buchi neri in grado di divorare la Terra, come una certa psicosi collettiva aveva temuto, con atmosfera da fine del mondo diffusa da media e personaggi a caccia di notorietà. Lhc creò invece problemi seri a se stesso: appena 9 giorni dopo la trionfale inaugurazione, trasmessa in tutto il mondo, una saldatura lungo le migliaia di chilometri del cavo superconduttore cedette, innescando un disastroso processo a catena. Ne seguì la fermata di un anno per riparare i danni e prendere le opportune precauzioni: Fermilab era di nuovo solo, e molti al Cern temettero di trovarsi bruciati sul filo di lana.

Ma a novembre 2009 Lhc ripartiva, e a marzo 2010 ci furono le prime collisioni. Il resto è noto, Atlas e Cms hanno scoperto la particella di Higgs. Rimarrà impressa l’immagine di alcuni dei protagonisti del fatidico anno 1964, ormai anziani signori, che il 4 luglio 2012, alla “festa” del Cern, assistono commossi alla conferma della loro ipotesi “coraggiosa”, di cinquanta anni fa.

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