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Fruizione incarnata dei beni culturali tra Dissemination e Interaction Design

Autore


Cristian Fuschetto

Università degli Studi di Napoli Federico II

Indice


  1. Conoscenza e fruizione (incarnata)
  2. Corpo, conoscenza e godimento
  3. Comunicazione scientifica e apprendimento situato

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S&F_n. 14_2015

Abstract


Microgeolocation technologies are ushering in a new way to use of cultural heritage. In particular, among the immersive environments, “Augmented Aurality” projects (soundwalks) distinguish oneself as effective instruments of dissemination. This paper shows some aspects of the relationship between soundwalks and dissemination tools.

 

   


  1. Conoscenza e fruizione (incarnata)

Alla riconquista della soggettività da parte della res extensa contribuisce in modo decisivo l’avanzata delle nuove tecnologie connesse al design di brain-computer interfaces. Siamo di fronte a tecnologie che prolungano gelhenianamente le facoltà del soggetto ridefinendone l’identità[1].

In particolare, dal punto di vista delle teorie dell’apprendimento, sulla scorta dello Human Information Processing (H.I.P.), fino agli anni Ottanta prevale una tradizione prevalentemente cognitivista che considera il computer come un istruttore universale e veicola l’idea della conoscenza come rispecchiamento della realtà. Verso la metà degli anni Ottanta invece, come osserva Antonio Calvani, «Quella particolare solidarietà tra modello della conoscenza (conoscenza come acquisizione-elaborazione di informazioni), modello didattico e di apprendimento (sequenziale e curricolare) e modello tecnologico (computer istruttore)»[2] incomincia a sgretolarsi, e i concetti di corpo e tecnologia trovano un terreno comune laddove all’idea di tecnologie della mente, ancora di stampo cognitivista, si sostituisce l’idea di tecnologie della mente/corpo. È in questo periodo che prende piede la progettazione di ambienti sensibili basati sul rapporto Uomo-Macchina (Human Machine Interface) in un contesto spaziale non circoscritto alla dimensione schermo/mouse con l’utente, ma più marcatamente orientata alla ridefinizione del corpo come nuovo “cursore” con cui muoversi nello spazio digitale/digitalizzato di un ambiente interattivo potenziato per mezzo di esperienze di augmented reality.

Tra esse, in particolare, stanno assumendo una posizione di largo consumo esperienze immersive e interattive definibili di “Augmented Aurality”. Come nel caso della Augmented Reality, i progetti di “auralità aumentata” intendono costruire un’interazione sensoriale con lo spazio che non si sovrappone integralmente al mondo reale nel tentativo di rimpiazzarlo con un’esperienza artificiale, come invece accade nei progetti di Virtual Reality, ma piuttosto di interagire con esso integrandolo con suoni e stimoli sensoriali site specific. I suoni mirano cioè a entrare in relazione dinamica con quanto realmente presente nello spazio e nel tempo della fruizione.

Seminali in questo senso sono le ricerche e le realizzazioni dell’artista americana Janet Cardiff che, attraverso uno studio accurato dei contesti acustici di determinati luoghi urbani e mediante l’utilizzo di tecnologie di registrazione binaurale del suono, realizza delle vere e proprie narrazioni aumentate dello spazio, i cosidetti “soundwalks”, che attraverso voci, suoni e musiche prodotte ad hoc e fruiti mediante cuffie, accompagnano il fruitore nell’esplorazione dei luoghi, estendendone e approfondendone l’esperienza estetica ed emozionale[3]. L’evoluzione tecnologica ha negli ultimi tempi permesso di trasferire l’esperienza dei soundwalks dalla semplice riproduzione su dispositivi portatili (cd portatili, lettori mp3) di tracce sonore pre-registrate, alla possibilità di costruire esperienze di sonorizzazione e narrazione acustica dello spazio nelle quali i contenuti audio non sono pre-organizzati in una logica lineare e secondo un tempo predefinito di fruizione.

 

  1. Corpo, conoscenza e godimento

Nella fruizione di un bene culturale non è solo la ragione ma anche il corpo a trarne godimento. In questo senso le tecnologie connesse alla produzione e fruizione di ambienti sensibili rappresentano la più compiuta smentita del razionalismo soggettivista dominante nella tradizione epistemologica moderna. Con un po’ di fantasia, ma neanche troppa, si potrebbe dire che le tecnologie “sinestetiche”, nell’ampliare il raggio percettivo della visita in un sito archeologico o in un museo, rendono definitivo lo squarcio aperto da Friedrich Nietzsche nel soggettivismo razionalista e astratto lasciatoci in dote dalla modernità. «Con il separare nettamente i sensi dalla capacità di pensare astrazioni, cioè dalla ragione, quasi che si tratti di due facoltà completamente distinte, Platone ha distrutto l’intelletto come tale e ha incoraggiato quella separazione del tutto erronea fra “spirito” e “corpo”, la quale, soprattutto dopo di lui, grava come una maledizione sulla filosofia»[4] sentenzia da par suo Nietzsche nel 1873. Soltanto ora, a distanza di un secolo e mezzo da queste parole, la filosofia pare cominciare a redimersi.

Il crescente interesse delle scienze cognitive e psicologiche per i fondamenti evoluzionistici del pensiero ha infatti indirizzato negli ultimi decenni gli studi filosofici e didattico-pedagogici a indagare il ruolo delle emozioni nella riflessione sulla mente e sui processi di apprendimento. È in particolare il neuroscienziato Antonio Damasio con L’errore di Cartesio[5] a rovesciare in modo definitivo il tradizionale approccio “top-down” connesso allo studio delle “passioni dell’anima”, secondo cui gli stati emotivi dovrebbero essere analizzati in riferimento a ciò che li accomuna al pensare in generale, e a imporre in questo senso uno studio del mentale di tipo “bottom-up”, nel cui solco le corporeità ed emotività diventano il centro di ogni gnoseologia. Dalla filosofia alla medicina, dal diritto alla pedagogia, dall’antropologia alla psicologia, oggi tutte le discipline “umanistiche” rivendicano la centralità del corpo, e nell’ambito degli studi sulla cognizione e sull’apprendimento vanno moltiplicandosi le qualifiche della mente e della cognizione quali “situate”, “embodied” o “distribuite”. In tale prospettiva non c’è da stupirsi se si arriva a riconoscere che «la maggior parte delle conoscenze, specie quelle vitali, sono espresse nella struttura stessa del corpo»[6] il quale non è più considerato come un semplice mediatore tra il nostro cervello e la realtà esterna, ma come un’autentica «macchina della conoscenza»[7].

 

  1. Comunicazione scientifica e apprendimento situato

Le tecnologie di geolocalizzazione e di microlocalizzazione consentono, attraverso i dispositivi mobili comuni (smartphone e tablet), l’attivazione di contenuti multimediali in base alla posizione fisica nello spazio dell’utente. Queste possibilità tecnologiche permettono di reinterpretare in modo radicale il concetto di godimento di un bene culturale, laddove al livello puramente (e astrattamente) cognitivo si affianca e sovrappone quello emotivo e corporeo della sua fruizione. Visitare un museo, una mostra o un sito archeologico con l’ausilio di suoni e stimoli sensoriali site specific significa allora non solo vivere un’esperienza conoscitiva o estetica, ma un’e esperienza di apprendimento situato. Al di là del processo di acquisizione di conoscenze preposizionali, Lave e Wenger definiscono l’apprendimento come un fenomeno strettamente connesso al contesto di specifiche forme di compartecipazione[8]. Nel processo di apprendimento, l’individuo non acquisisce soltanto una quantità definita di conoscenze astratte da applicare successivamente in altri contesti, ma acquisisce l’abilità di agire impegnandosi effettivamente nel contesto di riferimento. Secondo i due autori a giocare un ruolo decisivo nell’apprendimento situato sono l’ambiente realistico e le potenzialità interattive del contesto in cui viene presentato un tipo di conoscenza. In questo senso esperienze “immersive” come i soundwalks impiegati nella pratiche di disseminazione o fruizione culturale e scientifica possono legittimamente configurarsi come episodi di apprendimento situato. Per apprendere è dunque necessario fare esperienza. Da questo punto di vista, l’approccio della cognizione situata suggerisce che l’apprendimento è possibile attraverso la partecipazione e l’interazione diretta con un contesto capace di suscitare un autentico interesse nel discente.

Se l’apprendimento non avviene solo tramite l’imitazione di realizzazioni altrui o l’acquisizione di conoscenze trasmesse per mezzo dell’insegnamento, ma consiste piuttosto nel coinvolgimento diretto in attività, la possibilità di ricostruire un ambiente interattivo e riprodurre in modo realistico un contesto fruibile altrimenti conoscibile solo “per descrizione”, significa porre le condizioni affinché l’“utente-discente” possa essere direttamente coinvolto in un’attività “didatticamente significativa”. Al di là delle applicazioni strettamente scolastiche, esperienze molto importanti in tal senso possono darsi, per fare solo qualche esempio, sia che si percorra un soundwalk in una Domus pompeiana, sia che lo si percorra all’interno di uno Science Center.


 

[1] Cfr. A. Gehlen, L'uomo nell'era della tecnica: problemi socio-psicologici della civiltà industriale, tr. it. Armando, Roma 2003.

[2] A. Calvani, Costruttivismo, progettazione didattica e tecnologie, in D. Bramanti (a cura di), Progettazione formativa e valutazione, Carocci Editore, Roma 1998, p. 34.

[3] Cfr. J. Cardiff, Janet Cardiff: The Walk Book, New York 2005.

[4] F. Nietzsche, La filosofia nell’epoca tragica dei greci e scritti 1870-1873, tr. it. Adelphi, Milano 1991⁷, p. 233.

[5] A. Damasio, L'errore di Cartesio, tr, it. Adelphi, Milano 1994.

[6] G. O. Longo, Dal Golem a Godel e ritorno, Macchine e automi, Laboratorio Interdisciplinare dell'Immaginario scientifico, Cuen, Napoli 1995, p. 67.

[7] Cfr. H. Maturana, Autocoscienza e realtà, tr. it. Raffaello Cortina, Milano, 1990, p. 44.

[8] Cfr. J. Lave, E. Wenger, L’apprendimento situato, tr. it. Erickson, Trento 2006, pp. 67-78.

 

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