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Indice
- Premessa
- Biologia sintetica: una breve panoramica
- Da Venter a Esterichia Coli artificiale
- Biologia sintetica e human enhancement
S&F_n. 11_2014
Abstract
This paper aims to organize a reflection about the recent developing field of synthetic biology. It is structured into three main parts. The first one tries to point out the features of this emerging field (the analogies and the differences with the genetic engineering); the second one analyzes the terms and the concepts we can find in the fundamental article by Venter et al. (and in the recent article published by La Jolla Institute’s researchers); the third one delineates the principal outcomes of synthetic biology’s applications, in particular, for the formulation of the concept of life. Therefore it is proposed a connection between artificial life’s science and human enhancement. In fact I think it is possible to clarify human enhancement problem by a specific investigation of synthetic biology’s main characteristics.
- Premessa
Nel 1944 Erwin Schrödinger diede alle stampe un libello dal titolo What is Life? The Physical Aspect of the Living Cell[1], il quale riprendeva le tesi e le argomentazioni sviluppate in un ciclo di conferenze tenute l’anno precedente al Trinity College di Dublino. «Il vasto e importante e molto discusso problema» affrontato nel volume «è il seguente: come possono, la fisica e la chimica rendere ragione degli eventi spazio-temporali che si verificano entro i limiti spaziali di un organismo vivente?» e prosegue: «La risposta pregiudiziale che questo piccolo libro tenterà di dare e di commentare può essere riassunta così: la ovvia incapacità della fisica e della chimica di oggigiorno a dare una spiegazione di tali eventi non è affatto una buona ragione per dubitare che le due scienze possano mai spiegarli»[2].
Dal 1944 a oggi sono stati fatti enormi progressi nella decifrazione dell’enigma della vita, sicché le affermazioni del fisico austriaco appaiono, ai nostri occhi, preveggenti.
In particolare, quello che è interessante sottolineare (e rilanciare) dell’ipotesi di Schrödinger è la messa in evidenza di una parabola (di cui oggi intravediamo gli esiti) entro cui la vita, «fatto elementare che non poteva essere spiegato, ma doveva essere preso come un punto di partenza della biologia»[3], perde il suo carattere misterioso, per divenire qualcosa di spiegabile nei termini dell’analisi scientifica.
Di fatto, la vita non è più oggetto d’indagine della filosofia e/o della teologia ma, essendo stata ricondotta a una dimensione materiale, mero fenomeno di cui analizzare le condizioni di esistenza e di possibilità.
Di conseguenza, l’ancoraggio metafisico di cui essa godeva è svanito e (nello specifico) non sembra più esserci spazio per richiami a elementi che eccedano la dimensione materiale.
Quando (oggi) parliamo di vita non ci riferiamo (più), infatti, a qualcosa di altro dalla materia (con i suoi processi immanenti) ma alla materia stessa in una sua peculiare configurazione. Così dall’ameba all’uomo non vi è che una linea evolutiva differente, essendo i mattoni costitutivi della vita gli stessi (DNA, RNA, cromosomi, processi metabolici e catabolici, geni, proteine, etc). Si potrebbe dire che la domanda di Schrödinger, ancora formulata in un linguaggio metafisico, che va alla ricerca della risposta definitiva e dell’essenza delle cose (enti), non tiene più il campo, essendo, de facto, la vita nient’altro che quei mattoni costituivi che danno origine (grazie alla loro combinazione) a vari livelli di complessità. Entro questa cornice[4] si va dalla scoperta del DNA a opera del biochimico svizzero Friedrich Mieschner alla “creazione” del primo batterio in cui, accanto alle canoniche quattro lettere che costituiscono l’alfabeto della vita, ne sono state aggiunte due realizzate nei laboratori dello Scripps Research Institute di La Jolla[5].
Se, infatti, la vita perde il suo ancoraggio metafisico, che le garantiva, per altro, la conservazione di caratteri definiti e immutabili; se essa diviene tutt’uno con ciò che la costituisce, il passaggio dalla descrizione alla programmazione intenzionale dei suoi tratti non tarda ad arrivare: la biologia sintetica rappresenta la punta più avanzata di questa traiettoria che va dallo spirito (o dagli spiriti vitali) alla materia.
Il presente contributo intende perseguire due obiettivi: a) mettere in luce quale impatto e quali conseguenze hanno le più recenti scoperte della biologia sintetica sul concetto di vita; b) mostrare il legame che unisce la biologia sintetica alla questione del miglioramento umano (human enhancement).
Tali obiettivi saranno perseguiti al fine di argomentare la seguente tesi: la biologia sintetica consente di evidenziare con maggiore precisione di altri ambiti (quello delle neurotecnologie o della neurofarmacologia sono degli esempi) che la costruzione di una filosofia del potenziamento umano (una riflessione adeguata alle sfide che le biotecnologie di II generazione ci stanno lanciando) ha bisogno di un pensiero che non guardi alla modificazione della vita come (semplice) aumento di tratti assegnati, bensì come intervento volto a ridefinire (o dischiudere) nuove condizioni d’essere per l’uomo[6].
La tesi proposta verrà analizzata attraverso la seguente scansione: a) innanzitutto chiarirò cosa si intende per biologia sintetica mostrando, nel contempo, come tale branca della biologia sia esattamente collocabile entro la parabola che va da una considerazione della vita fenomeno altro dalla materia, alla vita come dato che emerge all’interno di una cornice (totalmente) immanente, e in quanto immanente (non ancorata a un fondo) disponibile alla modificazione; b) analizzerò, brevemente, gli articoli di Craig Venter (2010) e dei ricercatori dello Scripps Research Institute di La Jolla a sostegno delle considerazioni svolte nel passaggio precedente; c) farò emergere come le considerazioni sviluppate si leghino, in maniera strutturale, alla questione del miglioramento umano e lo vadano a chiarire nelle sue implicazioni concettuali[7].
- Biologia sintetica: una breve panoramica
La biologia sintetica (genomica sintetica o anche sintesi genica) è un settore della ricerca biologica in cui per mezzo di interventi intenzionali (di carattere bioingegneristico) ci si prefigge lo scopo di controllare i processi vitali e di imprimere a essi una direzionalità non pre-esistente. Non bisogna, però, pensare a essa come una semplice estensione delle tecniche di ingegneria genetica, essendovi tra le due una differenza rilevante. L'ingegneria genetica si basa sulla tecnica del DNA ricombinante, la quale consente di modificare in modo mirato il patrimonio genetico di un individuo. Attraverso questa tecnica è possibile isolare singoli geni e inserirli in un DNA estraneo, ottenendo così un DNA ricombinante. «Con l’utilizzo coordinato degli enzimi di restrizione e dei vettori molecolari è possibile isolare una sequenza di DNA da qualsiasi organismo e inserirla nel DNA di un altro. Le forme viventi che hanno subito tale trasformazione e che contengono un DNA estraneo vengono chiamate transgeniche»[8]. La biologia sintetica, invece, con l’ausilio di varie tecnologie, dalla bioinformatica[9] alla chimica, dall’ingegneria alla genomica mette mano alla sintesi e alla scrittura programmata in laboratorio del DNA (xeno-DNA), in modo che quest’ultimo non interferisca con il DNA naturale. Seguendo le indicazioni dello European Group on Ethics in Science and New Technologies è possibile definire la biologia sintetica come: a) la progettazione e costruzione di sistemi e parti biologiche non presenti in natura; 2) la riprogettazione di sistemi biologici già esistenti in natura aventi lo scopo di svolgere determinate funzioni[10].
Questo significa che tale disciplina consentirà la progettazione di “sistemi biologici” in modo razionale e sistematico.
Più nello specifico due sono gli approcci sperimentali da essa impiegati: a) approccio top-down; b) approccio bottom-up. Il primo approccio consiste nel «degradare un organismo già esistente in natura a semplice “chassis” cellulare, in modo da sfrondarne gli elementi genetici ridondanti, al fine di ridurlo alla sua forma minima, al sua genoma minimo. All’interno di questo “chassis” depurato da sequenze di DNA superflue è poi possibile inserire dei modelli di sintesi contenenti l’informazione relativa a una specifica funzione». In questo caso abbiamo delle evidenti analogie con l’ingegneria genetica, le quali non devono, però, far dimenticare che l’organismo di sintesi è creato con materie prime sintetiche, ossia sintetizzando le basi nucleiche non naturali che vengono, poi, accoppiate seguendo le regole relative alla complementarietà dei legami idrogeno.
Il secondo approccio, quello bottom up, consente di produrre sistemi biologici minimi autonomi e funzionali, assemblando toolkit a base di proteine, concepite e sintetizzate su misura, senza ricorrere a organismi già esistenti in natura.
Una volta chiarite le funzioni biologiche di base: riproduzione, presenza di processi metabolici e capacità di evolvere lo scopo dei ricercatori impegnati nel campo della biologia sintetica non è quello di “creare la vita” a immagine e somiglianza di quella (già) esistente, bensì quello di progettare sistemi biologici in grado di svolgere queste funzioni. Ciò equivale a dire che la vita non è (affatto) una sostanza ma, al contrario, è determinata dall’insieme coordinato delle sue funzioni.
La biologia sintetica può (e potrà) avere diversi ambiti di applicazione. In primis la produzione di antibiotici e vaccini. «Microbi geneticamente modificati con l’impianto di cromosomi artificiali vengono lasciati crescere e proliferare in vasche di fermentazione»[11]. In secondo luogo la produzione di microorganismi in grado di contrastare stress ambientali e inquinamento; infine batteri in grado di potenziare il sistema immunitario da insulti ambientali considerevoli. Tutto questo fa intravedere (già) con chiarezza il profondo intreccio che lega la biologia sintetica alla questione dello human enhancement.
- Da Venter a Esterichia Coli artificiale
Le due tappe che hanno maggiormente segnato il percorso degli ultimi anni nell’ambito della biologia sintetica sono rappresentate da due articoli pubblicati, rispettivamente, nel 2010 da Venter e nel 2014 dai ricercatori dello Scripps Research Institute di La Jolla. L’articolo di Venter rende conto del lavoro condotto dal suo team negli anni 2000 e culminato con la creazione di un genoma sintetico, poi trasferito con successo in un batterio dal quale era stato tolto il DNA naturale. Mycoplasma mycoides JCVI-syn 1.0 è, di fatto, il primo batterio controllato da un genoma sintetico. L’articolo, apparso su Science nel maggio del 2010, mette in evidenza alcuni passaggi cruciali, sui quali intendo soffermarmi. Innanzitutto i ricercatori americani sottolineano, fin dalle prime battute del lavoro, l’importanza decisiva delle tecnologie digitali (bioinformatica) nella funzione di storage dell’informazione genetica. Nel 1995 il primo sequenziamento completo di un genoma, quello di Haemofilus influenzae[12] ha dato la stura a un’attività che, negli anni successivi, è cresciuta esponenzialmente. «La capacità di digitalizzare rapidamente l’informazione genetica è cresciuta di più di otto ordini di grandezza negli ultimi 25 anni» scriveva Venter in un altro articolo apparso su Nature[13] e questa disponibilità (in termini di immagazzinamento delle informazioni) ha permesso di uscire dal mero paradigma della descrizione (il quale guida ancora lo Human genome project) per inaugurare quello della programmazione intenzionale. La differenza rilevante rispetto alle tecniche di ingegneria genetica, infatti, è che queste ultime hanno di mira la modifica del genoma naturale attraverso l’introduzione di inserzioni multiple, sostituzioni o delezioni, mentre la biologia sintetica fornisce una «prova di principio per la produzione di cellule basate su sequenze di geni progettati al computer»[14]. E, continua Venter (e colleghi): «Il sequenziamento del DNA di un genoma cellulare consente di immagazzinare istruzioni genetiche per la vita intesa come vita digitale. Il genoma sintetico descritto presenta solo modeste variazioni rispetto a quello naturale presente in Mycoplasma mycoides. Tuttavia, l’approccio che abbiamo sviluppato dovrebbe essere applicabile alla sintesi e alla trasposizione di più genomi nuovi nella misura in cui la progettazione genomica avanza»[15]. Anche se il citoplasma della cellula recipiente (scaffold cellulare) non è sintetico è possibile riferirsi alla cellula prodotta come cellula sintetica, in quanto essa è controllata da un genoma assemblato da pezzi di DNA sintetizzati chimicamente.
Il cambio di paradigma rispetto alle tecniche bioingegneristiche (di prima generazione) è evidente dal momento che la biologia sintetica si muove sul piano della progettazione intenzionale della vita, a partire dall’interfaccia tra bio-informatica (la fase di digitalizzazione) e genetica di sintesi. Tale frattura epistemologica si evidenzia, ancor più, se spostiamo l’attenzione sull’ultimo lavoro pubblicato su Science da parte dei ricercatori dello Scripps Research Institute di La Jolla. In questo caso, andando oltre la riprogrammazione di un genoma e il suo inserimento in uno scaffold cellulare pre-esistente privato del DNA naturale, si è riusciti a inserire in un batterio di Esterichia Coli un gene in grado di far attraversare la membrana cellulare a due molecole d5SICS e dNaM. Tali molecole si sono aggiunte, come ulteriori mattoni della vita, alle canoniche basi azotate (adenina, timina, guanina, citosina). I ricercatori, più precisamente, dopo aver modificato il genoma di Esterichia Coli, vi hanno introdotto un piccolo frammento di DNA (plasmide) contenente le due nuove basi e hanno visto in vitro la replicazione di questo DNA alieno nei vari cicli di divisione cellulare.
Il lavoro dei biologi di La Jolla ha chiarito ulteriormente non solo gli scopi specifici della biologia sintetica ma ha, altresì, fornito nuovi elementi per una definizione del concetto di vita nell’era 2.0.
La vita non è (più) qualcosa di misterioso, non è qualcosa che si spiega discutendo di scintille o slanci vitali bensì una funzione che si realizza nella misura in cui talune proprietà vengono implementate da un mezzo specifico (senza considerazione per la natura del mezzo).
- Biologia sintetica e human enhancement
La biologia sintetica consente, come ho accennato, di mettere mano (per ora) alla progettazione di microorganismi, le cui funzioni specifiche possono andare dal potenziamento del sistema immunitario dell’uomo, alla ripulitura di ambienti inquinati, all’uso nella terapia genica per la lotta ai tumori, all’inserimento di tratti alieni nel corredo genetico dell’uomo. È, pertanto, evidente la connessione che si instaura tra quest’ambito della scienza biologica e la questione dello human enhancement.
Il potenziamento umano consiste, seguendo le definizioni correnti, in qualsiasi intervento, effettuato tramite l’impiego di tecnologie biomediche, il cui fine è l’implementazione di tratti e/o caratteristiche psico-fisiche del soggetto[16].
Nella trattazione del tema, enhancement è sinonimo di implementazione, aumento, incremento. È, in altri termini, sinonimo di accrescimento quantitativo[17].
Come ho cercato di mostrare in alcuni articoli[18] la caratterizzazione degli interventi enhancing attraverso una logica puramente quantitativa non rende conto, effettivamente, di ciò che le scienze coeve (nella loro dimensione applicativa) stanno proponendo. In particolare, se guardiamo alla biologia sintetica, quasi nessuna delle scoperte provenienti da questa branca della biologia, può essere letta, in termini appropriati, se vi applichiamo la griglia quantitativa.
In effetti, la biologia sintetica ci invita a leggere l’enhancement come processo di apertura a nuove possibilità d’essere per il soggetto umano.
Il rafforzamento del sistema immunitario o la terapia genica mirata a colpire cellule tumorali (senza gli effetti citotossici dei chemioterapici classici) o, ancora, le nuove possibilità aperte nel settore bio-energetico non significano (sic et simpliciter) che l’uomo aumenta la sua capacità di contrastare le forze stressogene ambientali (dell’ambiente esterno e interno) ma che l’uomo si apre a nuove possibilità d’essere.
Così come il passaggio dal nomadismo alla stanzialità, attraverso l’invenzione dell’agricoltura, ha permesso all’uomo di costruire una dimensione dell’abitare completamente nuova e, quindi, una dimensione del proprio essere differente rispetto al passato, o, ancora, come l’introduzione di antibiotici e sulfamidici, insieme a condizioni ambientali più salubri, oppure il cambiamento della dieta alimentare (da prevalentemente cerealicola a carnivora) hanno offerto la possibilità di allungare di decenni la durata della vita (cambiandone, così, radicalmente l’organizzazione e gli equilibri), la biologia sintetica potrebbe consentire di introdurre nuovi modelli dell’esistere per gli uomini.
Se la vita si allungasse ulteriormente, se il cancro non fosse più la principale causa di morte tra gli uomini dell’Occidente, se l’inquinamento fosse drasticamente ridotto, tutto ciò aprirebbe la strada a modelli di vita completamente nuovi (non semplicemente accresciuti).
L’Occidente ha percorso una parabola che, attraverso la rivoluzione scientifica del ‘600 prima, Darwin e le scienze biologiche poi, ha traghettato la vita da una dimensione spirituale a una materiale. Il piano d’immanenza, entro cui tutto viene all’essere e tutto ritorna, desta preoccupazioni e paure in molti individui. La biologia sintetica, quale estrema tappa di questo percorso di desacralizzazione del cosmo, in cui la vita diventa oggetto di programmazione intenzionale, è vista come un vaso di Pandora dal quale rischiano di fuoriuscire nuovi mali, invece di nuove opportunità.
Solo lo sviluppo di un pensiero all’altezza delle nuove sfide può essere in grado di guardare alla biologia sintetica (e a scienze applicate che si muovono nella stessa direzione) e all’enhancement che essa dischiude, come il campo per la definitiva liberazione dell’umanità dalle catene della Trascendenza, invece che come il campo di un’attività prometeica e smisurata nella quale l’uomo cerca di divenire egli stesso Creatore delle cose.
[1] E. Schrödinger, Che cos’è la vita (1944), tr. it. Adelphi, Milano 2006.
[2] Ibid., p. 18.
[3] N. Bohr, Light and Life, in «Nature», 131, 1933.
[4] In alcuni articoli ho definito questa cornice piano d’immanenza (cfr. L. Lo Sapio, Neurobiologia e spazio simbolico. Per un nuovo modello interazionista, in «Scienza e Filosofia», n. 6, 2011, www.scienzaefilosofia.it, pp. 116-124).
[5] D. A. Malyshev et al., A Semi-syntetic Organism with an expanded genetic alphabet, in «Nature», 509, 2014.
[6] Tali nuove condizioni d’essere si manifestano (particolarmente) in tre ambiti: sanitario, ecologico ed esistenziale.
[7] Non mero potenziamento ma riprogrammazione in grado di delineare nuovi modelli di vita.
[8] E. Maestri, Regole per un parco post-naturale globale, in «Notizie di Politeia», XXX, 113, 2014.
[9] Cfr. C. Venter, Il disegno della vita. Dalla mappa del genoma alla biologia digitale: il mio viaggio nel futuro (2008), tr. it. Rizzoli, Milano 2014, in particolare il capitolo Digitalizzare la vita.
[10] European Group on Ethics in Science and New Technologies (http://ec.europa.eu/bepa/european-group-ethics/docs/opinion25_en.pdf)
[11] A. Querci, La syntetic biology e le sue innovative applicazioni in campo farmaceutico: prospettivi, rischi e responsabilità civile, in «Notizie di Politeia», XXX, 113, 2014, p. 53.
[12] R. D. Fleischmann et al., Whole genome sequencing and assembly of Haemofilus influenzae in «Science», 269, 496, 1995.
[13] C. Venter, Multiple personal genomes await, in «Nature», 464, 2010.
[14] Id., Creation of a bacterical Cell, cit.
[15] Ibid.
[16] Cfr. N. Bostrom. J. Savulescu, Human enhancement, Oxford University Press, Oxford 2011.
[17] Cfr. M. Balistreri, Superumani. Etica ed enhancement, Espress Edizioni, Milano 2011.
[18] L. Lo Sapio, Human enhancement technologies, in «Scienza e Filosofia», 9, 2013, www.scienzaefilosofia.it, pp.141-154; e Id., Human enhancement technologies (parte II), in «Scienza e Filosofia», 10, 2013, www.scienzaefilosofia.it, pp. 126-144.