Percorsi evolutivi. Lezioni di filosofia della biologia nasce da un’esperienza seminariale svolta nel corso di Filosofia delle scienze del vivente della Sapienza di Roma. L’incontro di giovani studiosi sul vasto tema dell’evoluzionismo – nella sua genesi, interpretazione e ricezione – è proficuo sotto molti punti di vista. Il libro è didattico nel senso più puro del termine: è ben concepito e ben strutturato. È diviso per sezioni tematiche, tutte precedute da una sempre pertinente nota della curatrice Elena Gagliasso, che illustra i nodi focali dei contributi nelle loro ortodossie e, più frequentemente eterodossie, intorno a Darwin e alla teoria evolutiva. L’ampiezza del tema, infatti, canalizza esiti della ricerca ben al di là della disciplina biologica da cui ha avuto origine ed esige un approccio interdisciplinare: dalla meta-filosofia all’eziologia, dall’ecologia alla psicologia, dalla medicina alle neuroscienze. Così nella prima sezione il saggio di Morganti (La teoria di Darwin nel suo contesto storico) s’interroga circa le condizioni di possibilità dell’emergere della teoria darwiniana a partire dalla domanda provocatoria di Sheets-Johnstone su come mai non fosse stato Lamarck a formulare per primo la teoria della selezione naturale. Morganti si sofferma sull’esistenza di precise ragioni storiche e culturali, come il modo in cui la teologia naturale seppe mediare alla società inglese il materialismo della scienza francese, specialmente di Lamarck, o la diffusione capillare degli scritti di Chambers e Powell che contribuirono alla creazione di un clima favorevole al discorso evoluzionistico.Il contributo di Sterpetti (Le implicazioni metafilosofiche del darwinismo) invece si sofferma più sulle conseguenze che sulle premesse del darwinismo e sulla difficoltà di assumere realmente l’eredità darwiniana per la filosofia. Se s’interpreta la filosofia come una scienza generale e a priori, il darwinismo – con il suo bagaglio di empiria – non può che risultare un pasto indigesto. Nello spostamento del baricentro della ragione da ciò che è vero e necessario a ciò che è o è stato utile, la filosofia è chiamata a ripensare se stessa, la propria autonomia e legittimità proprio alla luce delle scienze che indagano l’origine e il funzionamento del pensiero umano. Nella seconda sezione centrale è la questione del ripensamento della Sintesi Moderna volto a moltiplicare i livelli causali rilevanti per l’evoluzione oltre ai geni. Come nota Passariello (La spiegazione sistemica dello sviluppo e le sue implicazioni per l’evoluzione) a proposito di Eric Davidson le reti regolative dell’espressione genica nello sviluppo si autoorganizzano in obbedienza a precisi design principles ingegneristici, e hanno una stabilità evolutiva superiore a quella dei geni che le compongono. L’autrice analizza dunque la transizione da una spiegazione ontogenetica classica, “gene-centrica” a una spiegazione sistemico-dinamica che getta luce su caratteristiche dell’ontogenesi non implicite nella spiegazione genetica. Nel saggio di Di Paolo (Cultura: evoluta e in evoluzione. I legami tra l’evoluzione e la storia) c’è un interessante apertura all’etologia e alle scienze cognitive. Quando una specie più definirsi culturale? L’evoluzione culturale non è separata da quella biologica, d’altronde come sottolinea Di Paolo se biologico indica tutto ciò che ha a che fare con il vivente, compresi i processi e i cambiamenti cui i soggetti sono sottoposti durante l’evoluzione, allora che restino separate è solo frutto di una convenzione. I saggi della terza sezione fanno i conti con la teoria sistemica. Il saggio di Campanella (Selezioni, sviluppo e comportamento. Un dialogo tra J.M. Baldwin, J. Piaget e P. Weiss), trova proprio nella mediazione della biologia sistemica di Paul Weiss il punto d’incontro tra la teoria del ruolo causale del comportamento nell’evoluzione di Baldwin e il Piaget biologo fin troppo misconosciuto. Il testo di Fabris (Process view versus substance view: sviluppi ed implicazioni nell’epigenetica di Conrad Hall Waddington) è un corpo a corpo con le teorie di Waddington e la sua ontologia del fenotipo in contrasto con quella della Sintesi Moderna, che riduce ogni dinamicità degli enti biologici a successioni statiche, escludendo lo sviluppo dell’ereditarietà.Nella quarta sezione viene analizzato il problema della causalità dal punto di vista delle scienze mediche e nell’ultima sezione invece si parla di neuroscienze. Estremamente interessante è il saggio di Della Rocca (Sulla questione ideologica nelle neuroscienze) che chiude la collettanea. È possibile, è lecito, è indispensabile parlare di un’ideologia della scienza? L’autore ricorda una scena della Vita di Galileo di Brecht, laddove Galilei rammenta ad Andrea Sarti che la pratica scientifica non può essere fuori dalla storia. Se anche la scienza non è avulsa da narrazione, compito del filosofo sarà forse quello di rammendare scienza e storia?
Alessandra Scotti
S&F_n. 18_2017