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Il caso della Mobile-Health: l’autogestione della salute tra autonomia ed eteronomia

Autore


Lorella Meola

Università degli Studi di Napoli Federico II

Dottoranda di ricerca in Scienze filosofiche presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II

Indice


  1. Mobile-Health: definizione, possibilità e rischi
  2. Una prospettiva biopolitica: vita e salute in Michel Foucault
  3. Ripensarsi in salute. Per una conclusione sulla Mobile-Health

 

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S&F_n. 15_2016

Abstract


The Case Of Mobile-Health: health Self‐Management between Autonomy and Eteronomy


This paper analyses the change in medical practice and, in wider terms, in health-care system, due to the use of mobile health. It helps create patient’s autonomy because it provides technological tools to develop self-care in every moment of life; but, in this way, it encroaches the patient’s life, producing a strong medical addiction. In biopolitics background, in particular connection with Michel Foucault, this paper shows how the use of mobile communication devices in health care could produce an increment of medicalization of life. Furthermore, perpetual attendance of medicine in the patient’s life generates a new relevance of health, becoming increasingly blurred wellness’s ideal.


  1. Mobile-Health: definizione, possibilità e rischi

In un’era sempre più digitalizzata, in cui il web ha cambiato il volto del cittadino, imbrigliandolo in proliferanti connessioni, non sorprenderà che si stia trasformando anche la fisionomia del paziente, intrappolato tra le maglie di sistemi e dispositivi che ne gestiscono la salute. Mano a mano che i nodi della rete web si infittiscono, il sistema sanitario diventa progressivamente più smart, fino a essere contenuto tutto nelle tasche dei pazienti, sempre pronto all’uso. Questo è quanto accade nella ristrutturazione in stile tecnologico del sistema medico-sanitario tradizionale operato dalla mobile health.

Quest’ultima, espressa anche nella formula abbreviata mhealth, fa riferimento a tecnologie portatili, utilizzabili mediante connessione mobile, che forniscono servizi di assistenza medico-sanitaria, diffondono consigli di fitness e benessere, sostenendo pazienti e cittadini in ogni frangente della propria quotidianità e raggiungendoli anche nelle aree più remote del pianeta. L’Organizzazione mondiale della sanità specifica la mhealth come una «pratica medica e di salute pubblica supportata da dispositivi mobili quali telefoni cellulari, sistemi di monitoraggio dei pazienti, PDA, e altri dispositivi wireless»[1].

La mHealth rientra nel più ampio campo della eHealth o «sanità digitale»[2]. Attraverso le funzionalità ICT, la eHealth agevola la pratica medica in tema di prevenzione, diagnosi, trattamento, monitoraggio delle malattie, gestione della salute e dello stile di vita e facilita la gerenza del sistema sanitario. Le coordinate entro le quali si muove sono date dal riconoscimento della centralità del paziente nel campo amministrativo e pratico della medicina, dall’ottimizzazione dei processi professionali, nonché dalla razionalizzazione delle risorse disponibili. I canali di cui si serve sono il fascicolo sanitario elettronico, la digitalizzazione e trasmissione telematica di prescrizioni e certificati medici, la costituzione di centri unici di prenotazione, e infine l’istituzione della telemedicina, che riduce le distanze e velocizza la connessione tra medici e professionisti della salute e, ancora di più, tra medici e pazienti. Tale sistema si propone quali obiettivi l’accertamento della spesa sanitaria, mediante il controllo costante delle domande di prestazione medica, il miglioramento della qualità dei servizi orientati a soluzioni efficaci di governo clinico, al fine di programmare e gestire le attività sanitarie tenendo conto dei bisogni reali dei pazienti. L’innovazione medico-informatica supporta la scelta dei cittadini creando collegamenti tra sistemi, personale sanitario e informazioni; fornisce continuità assistenziale monitorando i livelli essenziali di cura, favorendo l’efficienza dei trattamenti primari, diffondendo strumenti e consigli per la prevenzione attiva. Tali finalità sono amplificate nella loro razionalità mediante l’integrazione dei servizi sanitari e sociali in ogni ambito territoriale, l’equilibrio tra tutte le risorse disponibili e la qualità dell’assistenza sanitaria, la considerazione delle esigenze del paziente e del livello di soddisfazione dello stesso, la promozione di un processo di formazione continua del personale medico e sanitario tutto.

Entro questa ampia cornice della sanità digitale, la mHealth ha obiettivi più specifici poiché fornisce assistenza socio-sanitaria mediante dispositivi mobile-based, caratterizzati da semplicità e prossimità d’uso. Concretamente si tratta di applicazioni istallate su smartphones, tablet e altri sistemi digitali, che, con o senza il supporto di sensori indossabili come braccialetti o orologi, consentono la supervisione e la tutela della salute, del benessere e della qualità della vita del cittadino. La mHealth va infatti dalle applicazioni finalizzate alla misurazione dei parametri vitali, quali, per esempio, pressione sanguigna, ritmo cardiaco, livello glicemico, attività cerebrale, passando per quelle che individuano i primi sintomi legati a stati degenerativi o gestiscono le patologie croniche, fino ai promemoria dei farmaci da assumere; dai consigli dietetici per restare in forma ai suggerimenti dell’attività fisica per il mantenimento delle buone condizioni di salute, fino a quelle che rilevano le alterazioni emotive, calcolano la quantità di calorie ingerite o conteggiano i passi e i movimenti compiuti. A queste si affiancano le app per la raccolta dei dati clinici, fisiologici e ambientali, nonché quelli legati allo stile di vita e alle attività quotidiane di ogni paziente/cittadino, e ancora le app concepite per prenotare visite mediche e ricordare gli appuntamenti fissati.

Appare chiaro che la mHealth richiede e al contempo consente un crescente empowerment[3], mediante il quale il paziente matura consapevolezza e responsabilità che tendono all’aumento del proprio potere sulla sua vita, sul proprio corpo, disponendo degli strumenti attraverso i quali prendersi cura della sua salute, del suo benessere, migliorare la qualità della propria esistenza quotidiana e, al contempo, contribuire al perfezionamento delle condizioni di salute e di benessere collettivi.

La nostra ipotesi è che la mhealth, assicurando assistenza continua e fornendo soluzioni di autogestione della salute, crea, di fatto, forme di dipendenza legate all’onnipresenza e all’onnipervasività della medicina nella vita del soggetto, sano o malato che sia. Essa monitora la quotidianità dell’individuo, opera un minuzioso follow-up e raccomanda stili di vita, incasellando l’esistenza umana in schemi medici. La presenza assidua dei dispositivi mobili nella quotidianità del soggetto consente la piena aderenza tra medicina e vita, ampliando il campo di intervento della prima fino a coprire ogni esigenza che si leva dall’esistenza umana. La problematicità, tuttavia, non è rappresentata dall’uso stesso degli strumenti, quanto dalla mentalità che deriva da tale uso: se ogni evento è connotato da una natura medica, si genera una medicalizzazione della vita, per cui tutti gli aspetti del vivere possono essere medicalmente spiegati e risolti[4]. Questa sorveglianza continua e diffusa produce una patologizzazione dell’esistenza quotidiana, che alimenta ingiustificati timori e diffusa ipocondria anche tra soggetti sani, nel bisogno diffuso di salute. La mhealth, con i suoi multicanali di azione, contribuisce ad ampliare la nozione di salute, fino a far perdere il senso del suo perimetro semantico: le app veicolano consigli di salute e di wellness-fitness, prescrivendoli con uguale intensità e finendo per definire la prima come stato positivo, assimilabile al benessere, alla felicità, al raggiungimento dei propri scopi vitali, alla realizzazione delle proprie potenzialità, alla non alienazione e al conseguente sentirsi a proprio agio con il proprio corpo ecc.

La mhealth sembra così rispondere ai parametri individuati dall’Organizzazione mondiale della sanità quando quest’ultima definisce la salute come «uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non la semplice assenza dello stato di malattia o di infermità»[5].

Questa concezione positiva ci spinge a considerare la salute di un individuo non solo in virtù di assenza o presenza di una patologia, ma anche in relazione al grado di vicinanza o di lontananza rispetto al livello di optimum, ovvero dell’ideale in cui si condensano le possibilità di ottimizzare le condizioni di vita dal punto di vista biologico, fisiologico, psicologico, nonché personale, sociale, culturale. Per esempio, si può dire che un atleta professionista sia, tendenzialmente, più in salute di un filosofo o che un disoccupato sia malato?[6]

La tecnologia informatica gravita intorno a un proprio senso interno e produce dati non certo sterili rispetto alla vita dell’individuo. Essi si articolano intorno al mito dell’uomo sano entro una società del ben-essere. La patologizzazione dunque è l’incurabile malattia causata dalla pressione, dai contorni sfumati, a stare sempre meglio. Secondo la nozione positiva di salute, come si è appena ricordato, sano è il soggetto che non solo non è malato, ma, soprattutto, ha realizzato tutte le sue potenzialità. Queste ultime, tuttavia, non dipendono, nella loro interezza, dal singolo individuo: c’è una forte subordinazione rispetto alle circostanze in cui il soggetto vive e agisce. Perché un individuo sia in salute, occorre che la società sia in salute: ciò attiva una relazione osmotica tra individuo e società, per cui il primo deve contribuire, con la cura di sé, al miglioramento della seconda, laddove la seconda deve offrire le condizioni per cui ciascuno e tutti stiano bene. Questo meccanismo produce degli standard comportamentali che definiscono ed elevano continuamente il livello della società, facendo dell’individuo che non risponde a tali target un soggetto malato, che non può che essere a disagio in un contesto in cui non riesce a essere competitivo.

Questi elementi rapidamente schematizzati sembrano costruire la cornice di scenari bio-politici, di una bio-politica sanitaria, che vigilano sul soggetto invadendo la vita di quest’ultimo attraverso un’attenzione ossessiva verso il corpo.

La biopolitica si colloca nel punto di incrocio tra politica e vita, aprendosi a una interpretazione concettuale varia e sempre più ampia nell’uso ricorrente che se ne fa entro il dibattito filosofico e politico attuale[7]. Il termine biopolitica rimanda a una diretta e stretta implicazione tra vita biologica e strategie di potere che agiscono, attraverso istituzioni, economia, scienze, sul corpo e dunque sulla vita di individui e popolazioni. Tale relazione immediata tra vita e politica si articola in prossimità di un crocevia di discipline – dalla biologia alla medicina, dalla sociologia all’antropologia, dall’economia alla statistica e così via – e trova definizione in una polifonica interpretazione concettuale, che va dalle teorie organiciste della società sviluppate già negli anni Venti del Novecento fino alle analisi contemporanee operate da autori quali Giorgio Agamben, Antonio Negri, Roberto Esposito, o ancora Michael Hardt, Nikolas Rose.

È, tuttavia, negli anni Settanta che la biopolitica viene messa a tema in modo sistematico da Michel Foucault[8]. Quest’ultimo individua nella seconda metà del XVIII secolo il momento in cui la vita degli individui e delle popolazioni viene assunta direttamente dalle strategie performative del potere politico. La salute, l’igiene, la natalità, la longevità, le razze, ovvero i fenomeni specifici dei viventi diventano il campo privilegiato dell’azione politica, orientata alla tutela e alla promozione della vita, attraverso sistemi di protezione e, nello stesso tempo, di invasione della vita degli individui. Da questo punto in poi, la biopolitica, come sguardo che si focalizza sulla trama degli eventi e, nel suo orientamento, costituisce l’oggetto dello sguardo e del pensiero, si potrà intendere come modello interpretativo del vivente e degli avvenimenti a esso connessi.

La nostra analisi farà riferimento al piano teorico pensato da Foucault per poter inquadrare il controllo e l’azione ramificati della mhealth rispetto alla quotidianità del paziente e del cittadino entro la cornice concettuale foucaultiana della società disciplinare e di controllo, che dà forma alla vita delle persone penetrando attraverso i loro corpi, percorrendo le vie tracciate dal sapere e dalla pratica medici. Il richiamo al Pensatore francese ci consentirà di appropriarci del paradigma biopolitico quale schema interpretativo dell’impatto che l’uso della mhealth può avere sul soggetto e sulla propria condizione di vita, a partire dalla percezione che egli matura, nella specificità del contesto in cui vive, rispetto al proprio stato di salute e di malattia, di benessere e di malessere.

 

  1. Una prospettiva biopolitica: vita e salute in Michel Foucault

Michel Foucault indica il mutamento di prospettiva politica che avviene nel passaggio dal potere sovrano al bio-potere evidenziando la trasformazione del «vecchio diritto di far morire o di lasciar vivere» nel «potere di far vivere o di respingere nella morte»[9]. Se la morte aveva a lungo rappresentato lo strumento coercitivo del sovrano, a partire dal XVII secolo essa viene reinterpretata come limite del potere, ciò che gli sfugge e lo rende impraticabile. Sarà allora la vita, considerata come essenza concreta dell’uomo, bisogni e possibilità del vivente, il terreno fertile per il suo esercizio. Si apre un’era di biopotere, in cui il potere, nutrendosi della vita stessa, subordina il biologico e assume la vita nelle proprie strategie di azione: «incomincia a gestirla, a potenziarla, a moltiplicarla, ad esercitare su di essa controlli precisi e regolazioni d’insieme»[10]. Tale intervento positivo del potere sulla vita procede attraverso una tecnologia individualizzante e totalizzante a un tempo: alla «soglia della modernità biologica»[11], il corpo umano in quanto macchina, ovvero l’individuo, e il corpo dell’intera specie, ovvero le popolazioni, entrano nei calcoli storico-politici e fanno dell’uomo moderno «un animale nella cui politica è in questione la sua vita di essere vivente»[12]. Disciplina e biopolitica, rivolti rispettivamente all’individuo e alle popolazioni, si tradurranno in meccanismi continui, regolatori e correttivi, assegnando valore e utilità al vivente[13]. Creando effetti con valore di senso, le strategie di potere, sorveglianza e intervento attivo, modellano i comportamenti degli individui affinché questi ultimi si muovano nella stessa direzione in cui procede la società e definiscano il senso di sé in funzione dell’utilità sociale.

Tale assegnazione di valore e di utilità, che è un’attribuzione di identità e una produzione di efficienza, avviene mediante il riferimento a delle norme nel contesto di una società normalizzatrice, in cui prendono forma gli schemi atti a definire non solo ciò che gli uomini devono fare ma anche ciò che gli uomini sono. La disciplina normalizza ricorrendo a un investimento positivo del corpo, che è sempre più corpo disciplinato, ovvero inscindibile dal sapere e dal potere socio-politici. Un potere costante che esercita la sua forza coercitiva, di sorveglianza e di intervento, di osservazione e di oggettivazione sul corpo vivente[14]; lo lavora nel dettaglio, rendendolo docile e utile, funzionale a ogni livello della società.

Il sodalizio tra sapere e potere medico costituisce uno dei campi in cui in maniera paradigmatica avviene il processo di normalizzazione degli uomini. In Nascita della clinica Foucault evidenzia il nesso intercorrente tra regolazione socio-politica e statuto dei viventi: la crescita del potere della classe medica nazionalizzata da una parte, la diffusione del mito di una popolazione sana dall’altro sono i segni della «coscienza medica generalizzata», che condurrà la Francia della seconda metà del XVIII secolo verso una progressiva medicalizzazione della vita[15]. In quest’ultimo processo, identificato poi come «medicalizzazione indefinita»[16], «essa [la medicina] assume, nella gestione dell’esistenza umana, postura normativa»[17], estendendo il suo campo di sapere e di intervento all’intero spazio sociale e incaricandosi di regolare i rapporti fisici e morali di individui e società. Realizzatasi come pratica sociale[18], la medicina estende i suoi interessi oltre la cura della malattia e del dolore, rivolgendosi alla tutela e al miglioramento della salute, nonché di tutte quelle condizioni che, seppur indirettamente, influiscono sullo stato di salute. Atto di autorità con funzione normalizzatrice[19], il parere medico invade la totalità della vita, la gestisce e la in-forma, ponendosi come strumento di efficacia politica e sociale, con l’obiettivo di raggiungere uno stato di benessere politicamente e socialmente vantaggioso.

La medicalizzazione riflette l’onnipresenza e l’onnipervasività del bio-potere nella vita dell’individuo come della società. Si tratta di un governo capillare della vita, un quotidiano panoptismo che osserva gli uomini e, nell’atto di osservazione, li oggettiva. La sorveglianza diviene lo strumento centrale nel paradigma del bio-potere: conoscere gli individui per poterli gestire e trarne profitto, producendo conoscenza. Il sorvegliato finirà con l’interiorizzare le costrizioni del potere, divenendo sorvegliante di se stesso. «L’uomo, in Occidente, è diventato una bestia da confessione»[20], perché ha introiettato lo sguardo panoptico, la dinamica sorvegliante-sorvegliato, facendo di se stesso ciò che la società ha bisogno che egli sia.

Il punto di arrivo di quello che possiamo definire potere medico panoptico trova compendio nell’immagine dell’uomo modello, l’uomo non malato e l’uomo sano[21]. Il traguardo della salute fonda l’intervento di normalizzazione della società, che agisce sull’intreccio tra storia e vita umana, tra storia e salute/ malattia. La «bipolarità medica tra normale e patologico»[22], paradigma dell’astuzia biopolitica, formula normalizzatrice, sarà il principio intorno al quale far gravitare il buon governo con i suoi programmi di riforma sociale. Ciò che consente l’esercizio di tale meccanismo d’azione è il «biologico, il somatico, il corporale. Il corpo è una realtà bio-politica»[23]. Sorvegliandolo, la medicina normalizza il corpo, rendendolo in perfetta salute, ovvero rispondente alle esigenze della società. Di una società che sta bene.

A partire dal piano Beveridge del 1942, Foucault rintraccia non più nel diritto alla vita, ma nel diritto alla salute la nuova posta in gioco delle tecniche di potere. Nel cuore del secondo conflitto mondiale si fa strada l’impegno della società a farsi carico non già della garanzia della vita degli individui, ma della vita in buona salute «omnes et singulatim»[24]: tutti e ciascuno dei membri della società devono essere garantiti nel diritto alla salute e resi operosi rispetto all’imperativo di utilità sociale. La novità introdotta dal piano Beveridge è l’idea che la salute sia «oggetto di preoccupazione per gli Stati, non per se stessi, ma per gli individui»[25]. Cominciano a farsi tangibili i segni di una «somatocrazia», poi reinterpretata come «nosopolitica»[26], in cui l’interesse dello Stato si rivolge alla cura del corpo vivente, alla salute fisica, producendo la «formulazione di un nuovo diritto, di una nuova morale, di una nuova economia, di una nuova politica del corpo»[27]. La salvezza delle anime lascia il posto alla salute del corpo. Se l’efficacia politica si esprime nell’azione positiva sulla vita, allora sarà il corpo vivente, la sua condizione fisica, il rapporto tra salute e malattia che lo vince a rappresentare la direzione fondamentale in cui il potere dovrà procedere. Perché possa essere esso stesso salvo, il potere deve far presa sulla vita, radicandosi nella materialità del corpo. Lo sviluppo della società passa attraverso la cura del corpo, produttore di risorse socialmente vantaggiose. La spiritualità delle anime salve fa spazio alla materialità del corpo in salute, considerato come oggetto di lusso e desiderio; prodotto di consumo che si introduce nel mercato e acquisisce rilevanza economica. Con la presa in carico della vita, attraverso la subordinazione del corpo, il medico assumerà quale suo primo impegno quello politico, prescrivendo alla società la salute, la virtù, la felicità[28].

 

  1. Ripensarsi in salute. Per una conclusione sulla Mobile-Health

Lo scenario prospettato dalla mhealth richiama le trame dei fili visibili e invisibili di cui è intessuta la maglia biopolitica così come descritta da Foucault. Possiamo dire di più: il progressivo perfezionamento della strumentazione tecnologico-informatica ha prodotto un potenziamento delle strategie performative e di controllo specifiche del regime biopolitico individuato da Foucault. Quest’ultimo passa ora attraverso «un insieme di procedure da eseguire, di programmi da scaricare, di modi d’uso sociale da vivere, di conformismo e di conformità, di disciplina ed auto-disciplina, di stili di vita, di consumi da produrre, di incessante messa in sicurezza della società, di paranoica ricerca di immunizzazione dal contagio della morte»[29]. La bio-tecnica, che dà il nome alla definizione appena proposta e in cui possiamo far rientrare a tutti gli effetti la mhealth, si propone come nuovo e più efficace canale biopolitico. I suoi meccanismi pervadono la vita del cittadino non solo favorendo le condizioni volte a curare, preservare e promuovere la salute, ma producendo e modificando bisogni e desideri, psicologia e comportamenti del soggetto. Disciplinando l’individualità secondo le attese sociali. Bombardato da messaggi continui, il paziente finisce tra le maglie delle connessioni web della medicina: fruendo dei dispositivi accessibili, egli si immerge in essi e nella loro supposta bontà, senza aver coscienza di quanto breve possa essere il passo dalla scelta di utilizzare le app mediche e l’ampiezza delle funzioni da esse veicolate che superano la volontà e le intenzioni del fruitore.

La medicina soggioga la vita infiltrandosi nelle membra del corpo, sempre soggetto a osservazione e misurazione[30]. Si intravede il profilo dell’«individuo somatico»[31], che conosce e pensa se stesso nella dimensione esclusiva del proprio corpo. L’identità letta in chiave somatica riflette il potere delle tecnologie e i giudizi a esse sottesi. Diffondendo e definendo l’informazione, le connessioni web forgiano pensieri, stile di vita e incentivano a interiorizzare certe abitudini. Lo specchio che restituisce l’immagine dell’individualità, singolare e collettiva, è quello di una tecnologia che genera una specifica maniera di pensare e di vivere. Il corpo diventa il luogo privilegiato degli esperimenti relativi alla nostra individualità e veicola opportunità e forme nuove dell’essere persona, rispondenti alle aspettative sociali. Siamo entro la cornice di una biopolitica sanitaria dai toni pervasivi e perversi, che determina le condotte umane in ascolto euforico del corpo, quale possibilità di autorealizzazione, nella prospettiva di soddisfare l’esigenza sociale di salute, di miglioramento delle condizioni di vita, di ben-essere collettivo[32].

La centralità riconosciuta al corpo dalla mhealth è legata innanzitutto alla considerazione che si ha di esso quale fonte primaria di informazioni, automaticamente rilevate dalle app. Nella sua corporeità, il soggetto è sorgente di big data[33], costituendosi, a un tempo, come momento passivo e attivo per la raccolta e gestione di dati di interesse crescente per le circostanze specifiche e attuali del paziente e per una politica e un business sanitari mirati a stati, comportamenti, esigenze diffusi: «chi usa la rete è a sua volta usato»[34]. In questa società di cavie, si innesca una dinamica di bisogno/desiderio e di potere, di osservazione e di oggettivazione, in cui i dati relativi alla salute e allo stile di vita di ciascuno si convertono in risorse per il controllo e per la gestione della salute collettiva[35]. In tale reciprocità senza filtro le norme di salute da un lato contribuiscono a creare applicazioni per la salute, dall’altro esse stesse derivano dall’utilizzo dei sistemi.

La domanda, seppur implicita, del soggetto fonda un meccanismo di produzione che lo vede protagonista in quanto consumatore. Quest’ultimo dà senso alle merci che acquista, in quanto ne è destinatario e, al contempo, con il suo desiderio, ne è l’inventore. Nell’intreccio di domanda e offerta, bisogni, desideri e proposte di mercato, l’uomo sano diviene colui che innesca un’economia produttiva, mentre l’uomo produttivo abita una società sana. Il corpo in perfetta salute come prodotto economicamente e politicamente utile[36].

La propagazione informatica del potere medico evidenzia un’ulteriore zona problematica della mHealth: sul soggetto grava sempre l’ipotesi della malattia. Il controllo assiduo del proprio corpo, alla ricerca smaniosa di salute, crea individui malati: nessuno si sente sano se avverte il bisogno di un instancabile monitoraggio del proprio stato psico-fisico. Il rischio è quello di una patologia salutista, che infetta la società di ipocondria, ovvero sollecita l’attenzione verso ogni variazione del proprio stato psichico e fisico, sviluppando la preoccupazione anche per i dati più insignificanti: tutto ciò che è rilevato dalle app come non conforme a un certo canone di salute è sintomo di mal-essere. La sorveglianza continua, la caccia alla malattia rivelano che la condizione in cui si vive è intrinsecamente patologica, contraddistinta se non già dalla malattia, dalla pre-malattia. Se non si è ancora pazienti si è comunque «pre-pazienti»[37]. Tutto questo non può che contribuire ad acuire la paura verso la malattia e la sfiducia nella capacità di affrontarla. La mHealth risponde a una domanda di salute, che apre le porte a una medicina del futuro, organizzata intorno ai parametri medici di suscettibilità e di ottimizzazione, ovvero prevenzione della patologia e miglioramento della salute, timore che una malattia insorga e speranza in una salute perfetta[38].

La finalità perseguita dalla mhealth sembra aderire ai canoni che hanno ispirato la definizione del concetto di salute, ricordata poc’anzi, da parte dell’OMS[39]. Definizione ampia, nata dall’incontro tra dato biologico e culturale, motivo soggettivo e relazione con l’ambiente, fisico e sociale, che prende forma nella realizzazione delle aspirazioni, nel soddisfacimento dei bisogni e nelle modificazione dell’ambiente circostante[40]. L’estensione semantica è tuttavia tale da far sbiadire i confini della nozione di salute e aprire le porte al diffondersi di norme di comportamento ispirate al salutismo e al consumismo, che pongono, di volta in volta, standard di vita considerati come normali e dunque sani. Chi non ricorre a tali tecnologie e pertanto si colloca al di fuori degli schemi sociali è considerato a-normale, colpevole della sua malattia, nonché responsabile della mancanza commessa nei confronti della collettività[41]. La salute si nutre del vuoto ontologico che lascia trasparire l’insoddisfazione dell’uomo contemporaneo, afflitto dalla sensazione di non aver fatto abbastanza e di avere ancora da fare, in una società che chiede efficienza e competitività, obbediente al dovere di rendersi sempre migliore[42]. L’identità plasmata dal potere/sapere medico-informatico corrisponde a quella del soggetto che vive la propria autonomia come miglioramento del proprio sé[43] per poter essere competitivo in una società in evoluzione verso il proprio perfezionamento. In questo ambiente modificato, organizzato e sorvegliato dalla medicina, in cui la medicina stessa rischia di scomparire nella totalità della politica improntata alla salute, la malattia si volatilizza e intanto si impone il mito dell’uomo sano. Protagonista diviene l’uomo che si crede libero mentre si lascia inconsapevolmente gestire da una medicina che prescrive utilità sociale. Medicina illusionista che, mentre libera gli uomini diffondendo il suo sapere con la semplicità di un’app, si appropria delle loro vite e le determina. Vista in controluce, l’autonomia resa possibile dall’autogestione della salute lascia trasparire la gestione della vita da parte dell’autorità del parere medico. L’immediatezza e la semplicità di un touch imbrigliano il soggetto in una rete di nuove dipendenze, che, annodate intorno al mito della buona salute, riflettono il dovere dell’uomo di essere produttivo in una società efficiente. Il controllo capillare della vita e l’orientamento individualizzante che ne deriva espropria il soggetto della sua autonomia, ponendolo al servizio di esigenze sociali, politiche e economiche, sottese ai nuovi fenomeni medici.

 


[1] WHO, mHealth- New horizons for health through mobile technologies, in www.who.int/en/goe/publications/goe_mhealth_web.pdf, p. 6, (consultato il 31-07-15); trad. mia. Per un’analisi critica della mhealth si veda CNB, Mobile-health e applicazioni per la salute: aspetti bioetici, 28 maggio 2015, in http://presidenza.governo.it/bioetica/pareri_abstract/Mobile-health.pdf, (consultato il 31-07-15).

[2] Cfr. http://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_4.jsp?area=eHealth (consultato il 2-08-15); cfr. C. Da Rold, Sotto controllo. La salute ai tempi dell’e-health, Il Pensiero Scientifico, Roma 2015; C. Clemente, e-Health e social innovation, in «Salute e società», 1, 2015, pp. 102-115.

[3] Cfr. C. Cipolla, A. Maturo (a cura di), Sociologia della salute e web society, Franco Angeli, Milano 2014.

[4] Cfr. A. Ardissone, La rivoluzione digitale in sanità: verso lo sviluppo della medicalizzazione o dell’autocura? in «Salute e società», 2, 2015, pp. 179-190.

[5] OMS, «Costituzione dell’organizzazione mondiale della sanità», in http://www.who.int/net (consultato il 3-07-15)

[6] Cfr. M. C. Amoretti, Filosofia e medicina. Pensare la salute e la malattia, Carocci, Roma 2015, pp. 28-30.

[7] Cfr. L. Bazzicalupo, Biopolitica. Una mappa concettuale, Carocci, Roma 2010.

[8] Il termine biopolitica compare per la prima volta nell’analisi foucaultiana, con particolare riferimento ai fenomeni di medicalizzazione della vita, in Nascita della medicina sociale (1977), tr. it. in Archivio Foucault 2; la questione biopolitica, svincolata da specifico riferimento alla medicina, viene ripresa in Bisogna difendere la società. Corso al Collège de France 1975-1976, tr. it. Feltrinelli, Milano 1997; e ancora in La volontà di sapere (1976), tr. it. Feltrinelli, Milano 2009; cfr. anche Sicurezza, territorio, popolazione. Corso al Collège de France 1977-1978, tr. it. Feltrinelli, Milano 2005; Nascita della biopolitica. Corso al Collège de France 1978-1979, tr. it., Feltrinelli, Milano 2005.

[9] M. Foucault, La volontà di sapere, cit., p. 122.

[10] Ibid., p. 121.

[11] Ibid., p. 127.

[12] Ibid.

[13] Ibid.

[14] Id., Sorvegliare e punire. Nascita della prigione (1975), tr. it. Einaudi, Torino 1976, p. 149.

[15] Id., Nascita della clinica. Una archeologia dello sguardo medico (1963), tr. it. Einaudi, Torino 1998. pp. 44-45.

[16] Id., Crisi della medicina o crisi dell’antimedicina? (1976), in Archivio Foucault 2, Feltrinelli, Milano 1997, p. 210.

[17] Id., Nascita della clinica, cit., p. 48.

[18] Id., Crisi della medicina o crisi dell’antimedicina?, cit., pp. 205-206.

[19] Ibid., p. 210-211.

[20] Id., La volontà di sapere, cit. p. 55.

[21] Id., Nascita della clinica, cit., p. 47.

[22] Ibid., p. 48.

[23] Id., La nascita della medicina sociale cit., p. 222.

[24] L’espressione è tratta da Id., Omnes et singulatim, in O. Marzocca (a cura di), Biopolitica e liberalismo: detti e scritti su poteri ed etica 1975-1984, Medusa, Milano 2001, pp. 107-146.

[25] Id., Crisi della medicina o crisi dell’antimedicina?, cit., p. 203.

[26] Id., La politica della salute nel XVIII secolo (1976), in Archivio Foucault 2, cit., p. 188.

[27] Id., Crisi della medicina o crisi dell’antimedicina?, cit., p. 204.

[28] Id., Nascita della clinica, cit., p. 47.

[29] L. Demichelis, Bio-tecnica, la società nella sua forma tecnica, Liguori, Napoli 2008, p. 13.

[30] Cfr. A. Maturo, m-Health e Quantified Self: sviluppi, potenzialità e rischi, in «Salute e società», 3, 2014, pp. 161-170.

[31] Cfr. N. Rose, La politica della vita, Einaudi, Torino 2008, pp. 176-181.

[32] Ibid.

[33] Cfr. CNB, L’identificazione del corpo umano: profili bioetici della biometria, 29 novembre 2010, in http://presidenza.governo.it/bioetica/pareri_abstract/biometria_26112010.pdf.

[34] A. Pessina, L’io insoddisfatto. Tra Prometeo e Dio, Vita e Pensiero, Milano 2016, p. 88.

[35] Cfr. E. Greblo, Sorveglianza a bassa intensità, in «Aut Aut», 340, 2008, pp. 14-36 e pp. 21-22.

[36] Cfr. L. Bazzicalupo, Il governo delle vite, Laterza, Roma-Bari 2006, p.102- 108.

[37] Cfr. N. Rose, La politica della vita, cit., p. 29.

[38] Cfr. ibid., pp. 135-162.

[39] Cfr. supra.

[40] La definizione proposta dall’OMS è stata ripresa e integrata in occasione del Congresso internazionale sulla promozione della salute, tenutosi nel 1986 a Ottawa, in occasione del quale fu redatta la Carta di Ottawa per la promozione della salute.

[41] Cfr. CNB, Stili di vita e tutela della salute, 20 marzo 2014, in http://www.governo.it/bioetica/pdf/Stili_di_vita_20032014.pdf (consultato il 03-07-15).

[42] A. Pessina, L’io insoddisfatto, cit., pp. 123-137.

[43] Cfr. F.P. Adorno, L’autonomia al confine tra «enhancement» e terapia, in «Iride», XXVI, 70, 2013, pp. 485-504.

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