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L’essenza fenomenologica della relatività. Questioni di confine tra Husserl e Einstein

Autore


Giorgio Jules Mastrobisi

Università del Salento

Dottore di ricerca in Ermeneutica filosofica presso l’Università del Salento, Post Doc. Fellow presso la stessa Università, ha lavorato in collaborazione con gli Archivi Albert Einstein di Gerusalemme all’edizione critica di alcuni manoscritti inediti

Indice


  1. L’originaria domanda di senso
  2. Matematica e fisica nella Relatività. La Weltbild einsteiniana
  3. Il Mondo-della-vita all’origine del campo gravitazionale: dall’etere al campo
  4. La fenomenologia come epistemologia: l’essenza fenomenologica della Relatività

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S&F_n. 15_2016

Abstract


The phenomenological Essence of Relativity. Matters concerning the Border between Husserl and Einstein


According to Hermann Weyl, Einstein’s Relativity Theory is a method that combines “analysis of essence” and “mathematical construction”. From this point of view, in this article I try to establish a parallelism between the formulation of Einstein’s Theory of Relativity and Husserl’s Phenomenology based on the comparison of the original texts and manuscripts. From this analysis, e.g. the conception of the gravitational field, as important result of the General Relativity Theory, seems to be nothing else but a new type of “essence”, a phenomenological essence, in an environing objective world that is the “world-of-life”. In this world, pre-scientific world of the everyday life experience, the reality is given us as a relativistic reality dependent on the subjective activity of the individual knowers. On the basis of the consciousness data, we reconstruct the real and objective world of experience as starting point for every mathematical and physical construction of the world comprehension. This study seeks to present a convincing case both that Husserlian phenomenology influenced 20th Century natural science in an important way.


  1. L’originaria domanda di senso

Nella Crisi delle scienze europee, Edmund Husserl si chiede se sia veramente possibile separare la ragione e l’essente, pensiero e realtà, considerando che è proprio la ragione, nel processo conoscitivo, a determinare ciò che l’essere è[1]. Che cos’è allora l’essere, la realtà? Posso io mettere in dubbio le salde certezze della vita pratica, quelle che concernono le cose del mondo fisico circostante, posso seriamente mettere in dubbio l’essere reale della mia vita?[2] E pertanto ciò che è oggetto delle mie acquisizioni scientifiche corrisponde in qualche misura a una realtà oggettiva o è soltanto un riflesso della mia attività teoretica soggettiva?

Queste domande potrebbero essere rilette alla luce dell’annoso dibattito ‒ a onor del vero alquanto sterile ‒ sul rapporto tra filosofia e scienza[3], che, se da un lato si declina nella presunzione di efficacia della filosofia della scienza, dall’altro, si piega alle pretese di autonomia teoretica da parte delle scienze esatte, contrarie a qualsiasi sconfinamento filosofico e al tentativo di imperialismo fondativo da parte della stessa filosofia[4].

Ma almeno nello svolgimento delle nostre analisi non ci faremo coinvolgere in questo tranello retorico. Piuttosto, l’intento di questo breve saggio sarà quello di rileggere alcune delle istanze teoretiche provenienti dalla riflessione sulla Teoria della Relatività di Albert Einstein nell’ottica della Fenomenologia trascendentale di Edmund Husserl, compito che implicitamente definirà i limiti e le possibilità di tale impresa.

Se come afferma Albert Einstein: «i concetti che utilizza il fisico nelle sue teorie non possono essere ristretti a quelli del loro campo specifico, ma egli deve considerare come necessariamente fondativi i concetti che derivano dal pensiero comune»[5], dal pensiero pre-scientifico, allora bisognerà rivolgere la nostra interrogazione di senso direttamente al mondo concreto-oggettivo pre-scientifico, alle condizioni di possibilità degli eventi che il fisico indaga. Ci si renderà conto che in questo mondo esiste un tipo di «Relatività» originaria, che «rimane invariata nel normale decorso della vita» (Relativität bleibt unauffällig im normalen Gang des Lebens), vale a dire una relatività che è semplicemente determinata dalla posizione sempre diversa che viene assegnata a un soggetto che esperisce l’attuale orizzonte spazio-temporale nella sua coscienza soggettiva[6].

La caratteristica propria dell’atteggiamento scientista ‒ o “positivista” che dir si voglia ‒ è quella di muoversi sul terreno del mondo già dato come ovvio nell’esperienza e di perseguirne la verità oggettiva, incondizionatamente valida per ogni essere razionale. La realizzazione di questo compito, a ben vedere, spetta a una riflessione filosofica sul senso d’essere del mondo-della-vita (die Lebenswelt), del mondo pre-scientifico, che sottende a ogni formazione concettuale e che si viene esplicitando ‒ nella Fenomenologia trascendentale husserliana ‒ come formazione soggettiva della vita esperiente, pre-scientifica appunto, che non rimane contenuta nei limiti della sfera interiore di una soggettività pura trascendentale[7], ma che diviene criterio di giudizio e termine di validità dell’intero mondo di oggettività possibili. La Fenomenologia trascendentale dischiude un mondo originario e reale di relatività soggettive cui la Teoria della Relatività implicitamente e indirettamente rimanda.

A tale prospettiva ermeneutica si cercherà di ricondurre l’espressione einsteiniana secondo la quale: «la scienza non è altro che l’affinamento di un pensiero pre-scientifico»[8]. In tale pensiero si costituisce il senso e la validità d’essere del mondo, di quel mondo che vale realmente per colui che realmente lo esperisce; il mondo oggettivamente vero della fisica non è altro che una formazione di grado più alto fondata sull’esperienza e sul pensiero pre-scientifico, nonché sulle sue operazioni di acquisizione. Queste modalità di formazione sono, però, meramente soggettive, cioè fanno riferimento a una soggettività che produce, nelle maniere scientifiche come in quelle pre-scientifiche, le concettualizzazioni del mondo e dei suoi contenuti; produce la fondamentale domanda di senso sul che cosa e sul come delle realizzazioni logiche, rendendo accessibile la verità oggettivamente data e raggiungendo il senso d’essere ultimo del mondo.

La prima e incontestabile realtà da cui bisogna prendere le mosse, dunque, non è il mondo nella sua indubitabile realtà e ciò che gli inerisce oggettivamente, ma la soggettività, in quanto essa pone ingenuamente l’essere del mondo e poi lo razionalizza, ovvero lo rende oggettivo[9]. La realtà prima è allora la relatività soggettiva, l’insieme delle relazioni fondative di senso del mondo-della-vita pre-scientifico.

Pertanto, nell’esperienza sensibile quotidiana il mondo ci è dato ma solo soggettivamente-relativamente[10]. La fenomenologia trascendentale husserliana, che si occupa in primis di tale relatività, mette mano proprio al problema della comprensione di tale mondo soggettivo-relativo anche e soprattutto nell’ambito della scienza. Quest’ultima, infatti, possiede al suo interno qualcosa che continua a rimanere incomprensibile (etwas Unverständliches); allo stesso modo, tutta la conoscenza della natura fisica, come si è andata fino a ora sviluppandosi, non può costituirsi come conoscenza assoluta del mondo (Welterkenntnis), ma sembra essere relativa alla soggettività conoscente (relativ zur erkennenden Subjektivität) [11].

Ma che significato ha questa relatività? Dovrebbe essere una difficoltà considerare l’elemento soggettivo come inscindibilmente connesso alla costruzione scientifica della natura?

 

  1. Matematica e fisica nella Relatività. La Weltbild einsteiniana

In realtà, l’uomo cerca di formarsi un’immagine del mondo (Weltbild), chiara e semplice, e di dominare così il mondo della vita (Welt des Erlebens), sforzandosi di rimpiazzarlo in una certa misura mediante questa immagine, così come fanno, ognuno a modo proprio, il pittore, il poeta, il filosofo teoretico e il fisico. Ma «l’immagine del mondo del fisico ‒ secondo Einstein ‒ comporta un altissimo grado di rigore ed esattezza nella rappresentazione delle connessioni, delle relazioni reciproche, che solo il linguaggio matematico può garantire»[12]. Tuttavia, l’estrema chiarezza e certezza non si ottengono che a spese della completezza di una descrizione adeguata e completa della natura, che effettivamente afferra una parte così piccola di essa e trascura, invece, tutto ciò che vi è di più sottile e complicato[13].

Per Husserl il linguaggio matematico ha creato un mondo obiettivo (-oggettivo), cioè una totalità infinita di oggettualità ideali determinabili metodicamente, generalmente e per chiunque; e pertanto, essa ha mostrato come un’infinità di oggetti soggettivi-relativi, e pensati soltanto in una vaga rappresentazione generale, siano realmente pensabili mediante un metodo onnicomprensivo a priori, come siano obiettivamente determinabili e in sé determinati; e più precisamente come questa infinità di oggettualità sia preliminarmente definita, determinata in tutti i suoi oggetti e in tutte le sue proprietà e relazioni di proprietà[14]. Eppure la matematica non sarebbe altro che un metodo per costruire sistematicamente ‒ e in certo modo anche preliminarmente ‒ il mondo, l’infinità delle sue causalità, a partire da una riduzione di ciò che può essere rilevato solo nella compagine di una mera relatività e che insieme permetta di verificare in modo incontestabile questa costruzione e le sue conseguenti formazioni concettuali.

Ma ora diventa estremamente importante rilevare che nell’applicazione di tali regole al mondo-della-vita, cioè al mondo che ci è costantemente e realmente dato nella nostra vita concreta nell’infinità aperta di un’esperienza possibile, noi utilizziamo un ben confezionato abito ideale, quello delle cosiddette verità oggettivamente scientifiche, attraverso un metodo realmente praticabile e costantemente verificato: proprio così attingiamo la possibilità di una previsione degli accadimenti concreti del mondo, di quegli eventi che non sono più o non sono ancora realmente dati, degli eventi cioè intuitivi del mondo-della-vita. Questo abito ideale o simbolico, che è rappresentato dalla matematica e dalle teorie simbolico-matematiche, abbraccia e riveste ‒ secondo Husserl ‒ tutto ciò che per gli scienziati rappresenta il «mondo esterno in quanto natura oggettivamente vera e reale»[15].

Noi, in questo modo, non facciamo altro che spacciare per vero essere quello che invece è soltanto un metodo, un metodo che deve servire a migliorare mediante previsioni scientifiche le previsioni grezze, le uniche possibili nell’ambito di ciò che è realmente esperito ed esperibile nel mondo-della-vita[16]. Einstein ritiene che i concetti matematici utilizzabili debbano essere suggeriti dall’esperienza, ma mai esserne dedotti e che in nessun caso essi abbiano una validità assoluta, in quanto l’esperienza resta naturalmente l’unico criterio per utilizzare una costruzione matematica per la fisica[17]. La scienza fisica, dal canto suo, esige una fondazione ancora più profonda, una fondazione che può essere attinta soltanto attraverso una riflessione sull’agire teoretico della soggettività e un chiarimento della sua validità obiettiva[18]. Per questa ragione è fondamentale per la fisica della Relatività mettere al centro delle proprie acquisizioni scientifiche obiettive l’importanza da attribuire al ruolo del soggetto/osservatore dell’evento fisico[19]. Per Einstein la Lebenswelt, il mondo-della-vita husserliano, si trasforma in causale-reale Aussenwelt[20], mondo esterno al soggetto conoscente, mondo trascendente, alla cui descrizione sistematica contribuiscono i concetti di oggetto corporeo e di oggetti corporei di varia conformazione.

Ma che cos’è un oggetto fisico corporeo?

Considerato da un punto di vista logico, questo concetto non si identifica con la totalità delle impressioni sensoriali cui si riferisce, ma rappresenta una creazione arbitraria della mente umana. D’altra parte, questo concetto trae il proprio significato e la propria giustificazione esclusivamente dalla totalità delle impressioni sensoriali che noi gli associamo. Il secondo passo consiste nel fatto che nella nostra concezione teorica (che è quella che determina le nostre previsioni) noi attribuiamo a questo concetto di oggetto materiale un significato in gran parte indipendente dalle impressioni sensoriali che hanno presieduto al suo sorgere. Questo è ciò che intendiamo quando attribuiamo all’oggetto corporeo un’esistenza reale[21].

 

L’esistenza di qualsiasi corpo, per Einstein, riposa esclusivamente sul fatto che, mediante tali concetti e le connessioni tra di essi, riesce agevole orientarsi nel labirinto delle impressioni sensoriali che si riferiscono a un oggetto e sulla conseguente certezza che «queste nozioni e relazioni, per quanto siano libere convenzioni della nostra attività intellettuale, ci appaiono più solide e inalterabili della stessa esperienza sensoriale individuale, di cui non è mai completamente garantito che non sia il prodotto di un’illusione o di un’allucinazione»[22]. D’altra parte, queste relazioni di concetti, che sono alla base della costruzione degli oggetti reali e in generale dell’esistenza del mondo reale (Realen Welt), «posseggono una giustificazione solo in quanto sono collegati con le impressioni sensoriali tra le quali essi stabiliscono una connessione mentale»[23].

Per Einstein il grande merito della concezione dell’a priori kantiano risiede proprio in questo: nel riconoscimento che la costruzione di un mondo esterno reale sarebbe priva di senso senza la sua comprensibilità e il successo dei risultati rappresenta il fattore determinante che ci guida nella creazione di un tale ordine fra le esperienze sensoriali e nell’enunciazione di un gruppo di regole, senza le quali l’acquisizione della conoscenza nel senso desiderato sarebbe impossibile[24].

Tuttavia, Kant si ostinava nella scelta di rendere comprensibile il reale con categorie fisse e definitive: la connessione dei concetti elementari del pensiero comune con i complessi delle esperienze sensoriali può venir intesa solo intuitivamente e non è suscettibile di una determinazione scientificamente logica. Mediante queste connessioni i teoremi puramente concettuali della scienza divengono proposizioni riguardanti i complessi delle esperienze sensoriali[25].

D’altra parte, però, la totalità dei concetti e delle relazioni ottenuta in questa maniera manca di omogeneità logica. Infatti, la scienza attuale, in cui questi livelli rappresentano successi parziali, successi problematici che si sostengono l’un l’altro, manifesta incongruenze di fondo negli attuali sistemi di concetti[26]. Queste incongruenze, secondo Husserl, costituiscono una vera e propria alienazione di senso, uno svuotamento di senso che si compie in pure formule numeriche, in formazioni logico-algebriche, in una tecnica aritmetizzante e matematizzante, che dimentica il vero universo esperito ed esperibile del mondo-circostante-della-vita[27],per divenire così scienza delle pure molteplicità pensabili in generale attraverso un compiuto sistema di assiomi.

è possibile pensare, quindi, che la natura si dia soltanto nelle formule e che soltanto in base alle formule essa possa essere pensata?[28] Crediamo che si possa rispondere di no a questa domanda, anche e soprattutto in funzione delle riflessioni che seguono sull’evoluzione del concetto di spazio nella Teoria della Relatività generale, che adesso illustreremo brevemente seguendo alcuni testi inediti di Einstein[29].

 

  1. Il Mondo-della-vita all’origine del campo gravitazionale: dall’etere al campo

Se si domanda ad un uomo intelligente, ma non colto, che cosa sia lo spazio, allora questi forse risponderà così: se noi pensiamo a tutte le cose corporee, tutte le stelle, tutta la luce, proveniente dall’universo, rimane solo qualcosa come un enorme recipiente senza pareti, che può essere quindi indicato come spazio[30].

L’indagine dei fenomeni di interferenza e di moto della luce nella prima metà del XIX secolo fece risultare che la concezione di Huygens della natura ondulatoria della luce rispetto alla teoria dell’emissione di Newton fosse la più esatta. I fisici di allora erano convinti che tutti gli eventi naturali dovessero essere spiegati meccanicamente, così pensarono di interpretare la luce come moto di onde di un corpo ipotetico che chiamarono in seguito etere. L’introduzione di un particolare mezzo luminoso, accanto ad altra materia, era ovvia dal momento che la luce sembrava si propagasse in uno spazio vuoto, ossia – nel senso solito – libero da materia e certamente con una velocità c ben definita e indipendente dalle lunghezze d’onda.

Subito nacque la questione di come si doveva pensare un tipo di corpo come l’etere. Il fatto della polarizzabilità della luce portò alla rappresentazione che le oscillazioni luminose fossero oscillazioni trasversali, come oscillazioni che si presentano con corpi rigidi e non con corpi fluidi. Tutto questo portò alla conclusione che l’etere fosse un tipo di corpo rigido, cioè un corpo le cui variazioni di forma, ossia i moti relativi delle sue parti una contro l’altra, oppongono una vivace resistenza elastica. L’etere, dunque, si comportava proprio come tutte le materie ponderabili che penetrano i corpi quasi-rigidi. Alla stessa conclusione condusse anche l’esperimento fondamentale di Fizeau del 1851, che aveva il compito di rispondere alla questione se la materia mossa, che si conserva in eguali volumi, conduca o no con sé l’etere luminoso. Il risultato di questo esperimento, a sua volta, si fondava sulla constatazione che l’etere luminoso in generale non partecipa al moto della materia, ma che invece l’influsso del moto della materia sulla luce ‒ non mediante il moto dell’Etere luminoso ma in base all’ipotesi dell’Etere luminoso stazionario di Lorentz ‒ sia determinato in modo più completo e soddisfacente[31]. Avvicinandosi alla concezione lorentziana di etere, Einstein ammette:

l’esperimento di Michelson non si può certamente comprendere se si assume che la Terra porti con sé l’Etere. Perché il trasporto dell’Etere non dovrebbe essere dipendente dalle grandezze dei corpi? Non risulterebbe positivo forse l’esperimento di Michelson se si potessero collocare gli stessi corpi a sufficiente distanza da un corpo celeste? Prescindendo dal fatto che una teoria del passaggio parziale dell’Etere attraverso i corpi costringe alla disposizione di più arbitrarie ipotesi e porta necessariamente a grosse complicazioni, questa teoria non è in grado di fornire uno dei tre fatti dell’esperienza, cioè l’aberrazione della luce delle stelle fisse in seguito al moto della Terra intorno al Sole, mentre la spiegazione di questo fenomeno da parte della Teoria lorentziana dell’Etere luminoso stazionario non presenta alcuna difficoltà[32].

 

Inoltre, fu dimostrato che l’inerzia di un corpo non è affatto una costante propria di esso, ma che essa dipende dal suo contenuto di energia: massa ed energia sono essenzialmente uguali (Wesens-Einheit)[33]. Da tale sforzo a comprendere inerzia e gravitazione come Wesens-Einheit, come un’unica unità essenziale, è sorta dunque la Teoria della Relatività generale[34], che, oltre a ciò, afferma che i comportamenti dei corpi e il corso degli orologi dipendono dai campi gravitazionali, i quali, a loro volta sono prodotti dalla materia[35].

Allo stesso modo, il campo gravitazionale e quello elettrico non potevano più essere considerati concetti fondamentali (Grundbegriffe), logicamente indipendenti l’uno dall’altro; bisognava ‒ secondo Einstein ‒ arrivare a concepire un’adeguata fusione dei due campi in uno solo, attraverso un nuovo metodo matematico, che però rimane ancora provvisorio, poiché pur essendo stato formulato da molti, finora non ha trovato alcuna soluzione soddisfacente: l’intento primario sarebbe quello di ricondurre la struttura atomistica della natura al concetto di campo[36].

Tutti questi sforzi si fondano sulla fiducia che l’Essere nella sua struttura sia in completa armonia. Ma noi oggi abbiamo meno ragioni di prima nel lasciarci confondere da questo splendido sogno[37].

 

La Teoria della Relatività generale si fonda proprio sui risultati ottenuti dalla Teoria della Relatività speciale, e in particolare sul fatto empiricamente determinato relativo all’uguaglianza di “massa inerziale” e “massa gravitazionale” dei corpi. Tuttavia, la Relatività generale richiede che la legge di natura sia da formularsi come del tutto indipendente dalla scelta del sistema di coordinate e, inoltre, essa ci fornisce una teoria della gravitazione, in base alla quale le proprietà metriche del continuo quadridimensionale sono di natura non-euclidea. Da ciò segue che questa teoria si presenta come un’immediata connessione tra il campo gravitazionale e la struttura metrica dello spazio: «le proprietà geometriche dello spazio sono influenzate dalla materia ponderabile»[38]. Il che significa: le leggi secondo le quali i corpi solidi si dispongono nello spazio non concordano esattamente con le leggi spaziali della geometria euclidea. Questo è ciò che produce la curvatura dello spazio, così che i concetti fondamentali della geometria come retta, piano, ecc., perdono in fisica il loro esatto significato. La cinematica, la dottrina dello spazio e del tempo, non conserva più alcun fondamento di senso che sia completamente indipendente dal resto del mondo fisico.

Il campo gravitazionale (Gravitationsfeld) assorbe lo spazio-tempo quadridimensionale, anzi esso è lo stesso Continuo quadridimensionale, parte non più minima e minimale del mondo-della-vita, della Lebenswelt, che conferisce all’insieme degli eventi fisici la propria fondazione di senso e la propria cornice ontologica. A questo campo continuo che abbraccia e si identifica con lo spazio-tempo-materia si applica, dunque, la più semplice delle formule, conformemente a una metrica di Riemann, in cui i coefficienti gmn  sono provvisoriamente funzioni qualsiasi delle coordinate x1....x4 e la struttura dello spazio non è realmente determinata che quando queste funzioni gmn siano effettivamente definite. Il campo, da struttura completamente indeterminata, diviene determinata soltanto nel momento in cui si indicano le tre funzioni alle quali soddisfa il campo metrico delle gmn[39].

In Einstein, dunque, si faceva strada la consapevolezza che la realtà/spazio fosse un coacervo di interazioni, relazioni e connessioni, insomma un complesso reticolato determinato dalle forze fisiche sprigionate dalla materia: realtà dinamica, fluttuante, mai definitivamente comprensibile, ma solo relativamente accessibile. Era la percezione di un sottaciuto mondo-della-vita, con le proprie oggettualità esperite in serie infinite e mai definitive di percezioni sensibili, e date per la coscienza come visioni essenziali, che permettevano così, mediante la rappresentazione concettuale del Gravitationsfeld, una descrizione possibile dell’infinita Lebenswelt. In un manoscritto del 1941, Einstein è ancora più esplicito:

Credo che porre una realtà (fisica) indipendente da qualsiasi soggetto percipiente con rigide leggi fisiche di struttura (Materialismo?), non sia stato mai un qualcosa di duraturo. Mi pare infatti che anche l’attuale teoria dei quanti non modifichi nulla, se anche il rigore della legge formulato in essa è cambiato rispetto alla fisica precedente. Questa fuga ‒ che deriva da un momentaneo imbarazzo ‒ in una formulazione statistica delle leggi, non la considero definitiva, sebbene non sia stata ancora trovata una via d’uscita. Un pensiero sarà sempre comprensibile di qualcosa d’altro rispetto all’evento fisico [...]. Tuttavia, nel nostro tempo si sta facendo strada un pensiero nuovo ed originale. Questo tempo ha prodotto un progresso della sfera epistemologica (erkenntnistheoretisch); così infatti mi pare si possa delineare nella conoscenza il fatto che non sia concessa alcuna via plausibile che porti dal semplice esperire (Erleben) al concettuale comprendere (Erfassen) le cose, poiché ogni pensiero alla fine è controllato da una libera costruzione, che deriva sistematicamente attraverso vissuti sensoriali (sinnlichen Erlebnisse), anche dai più remoti[40].

 

Le scienze, quindi, attingono costantemente al mondo-della-vita e costruiscono su di esso le loro teorie fisico-matematiche; ciò non significa, altresì, che esse lo comprendano e lo descrivano scientificamente. Lo stesso Einstein ‒ secondo Husserl ‒ sfrutta questo mondo (gli esperimenti di Michelson-Moreley, ecc.) e tutti gli eventi in esso rientranti, e, sebbene in un atteggiamento tematico orientato verso la verità obiettiva, riceve da esso il marchio del meramente soggettivo-relativo[41]. Egli, però, come qualsiasi altro scienziato, ritiene di dover superare questo elemento, assegnandogli una veste logico-matematica, un substrato di verità-in-sé, alle quali ci si può avvicinare mediante sempre nuove e migliori configurazioni costantemente verificate nell’esperienza.

è proprio l’elemento soggettivo-relativo del mondo-della-vita che funge per il fisico come elemento fondante della validità d’essere di qualsiasi verifica obiettiva, come sorgente di evidenza e anche come termine di verificazione: ciò che è realmente e che è valido nel mondo della vita costituisce quindi una premessa imprescindibile per lo scienziato[42].

 

  1. La fenomenologia come epistemologia: l’essenza fenomenologica della Relatività

«Hier ist alles bloß relativ: Qui tutto è semplicemente relativo»[43] : tutto ciò che è naturale è dato, ma è dato in un certo senso solo relativamente, cioè il suo essere-dato implica necessariamente che esso possa darsi solo con riserva[44]. In altri termini, per Husserl, la realtà fisica nel suo manifestarsi si propone come essere-in-prospettiva (Ansichsein), nel significato di tutte le relatività di esperienza (mit dem Sinn des alle Relativitäten der Erfahrung): i successi innegabili della matematica e della scienza possono essere riconosciuti come il fatto che queste scienze in realtà sono solo dei metodi per orientarsi nella relatività di questo mondo circostante (Relativität der Umwelt)[45].

A questo punto, però, sorge il problema del fondamento primario di verità da assegnare alla vita pre-scientifica (die Probleme der Relativität der vorwissenschaftlichen Lebenswahrheit), ovvero, il problema di come può emergere in modo legittimo l’obiettività del mondo (Weltobjektivität) nella soggettività conoscente e fino a che punto si può dare questo essere “trascendente”, che si mostra soggettivamente permanente in tutta la sua attività; inoltre, che significato dovrebbe avere questa “trascendenza” come formazione soggettiva di senso e come formazione di uno stato di validità ancora soggettivo?[46]

Avendo acquisito che la rappresentazione del campo gravitazionale (Gravitationsfeld) è parte costituente della conoscenza/descrizione del mondo-della-vita (Lebenswelt), non si può tralasciare di precisare che l’applicazione del nostro Weltbild fisico-matematico, abito simbolico delle teorie matematiche, alla realtà di fatto si basi sulla circostanza che ogni realtà racchiude in sé in maniera evidente delle pure possibilità, delle forme possibili di conoscenza, ciò che Husserl chiama con il termine “essenze”.

L’essenza fenomenologica è di un genere diverso: è ciò che caratterizza l’essere proprio (Eigensein) di un’oggettualità[47], il suo quid, che può essere colto in una visione d’essenza (ideazione)[48]. Husserl ritiene che l’eídos, l’essenza che una visione ci offre originariamente (la Wesenschau fenomenologica), può essere adeguata, ma può anche essere più o meno imperfetta, inadeguata, e ciò non soltanto riguardo alla maggiore o minore chiarezza e distinzione. Infatti, secondo Husserl, dipende proprio dal loro carattere specifico se le essenze «si offrano soltanto da un lato (einseitig) o, successivamente, da più lati (mehrseitig[49], ma che non possano mai offrirsi da tutti i lati (allseitig) contemporaneamente, perché ogni visione è sempre soggettiva-relativa. Ciò si verifica per tutte le cose in generale, ma in particolare per ciò che riguarda la conformazione spaziale della cosa fisica, essa si offre – per Husserl – soltanto in una serie di adombramenti (Abschattungen) unilaterali, in formazioni spaziali in divenire infinito, che, pur prescindendo da questa inadeguatezza che perdura per quanto la figura si arricchisca col succedersi delle visioni, lascia aperte nuove e più minute determinazioni spaziali[50].

Da ciò risulta che l’essenza (eídos) è un oggetto di nuova specie. Anche la visione dell’essenza è appunto visione, come l’oggetto eidetico è appunto oggetto. Si stabilisce quindi una correlazione stretta tra visione e oggetto: la visione empirica, cioè, l’esperienza, è coscienza di un oggetto individuale, ossia è consapevolezza di afferrare l’oggetto nell’originale, in carne e ossa ma solo in una sua particolare datità, nella sua possibilità essenziale[51]. Il reale diventa un caso di pura possibilità, accanto a infinite altre possibilità, ugualmente legittime.

Le forme essenziali del corpo fisico, in senso fenomenologico, “energia”, “inerzia”, “gravitazione”, “campo continuo” nella Relatività generale, si fondono insieme in un processo continuo di relazione, integrazione, adeguamento/completamento nell’a priori (trascendentale) dell’attività immanente coscienziale. La matematica della natura esprime in tutte le sue proposizioni tali condizioni a priori per la natura, per la realtà dell’esperienza fisica ‒ le esprime a priori, cioè senza parlare immediatamente della natura come fatto. Il riferimento ai fatti è un qualcosa che pertiene all’applicazione, che è a priori sempre possibile e che, in questa possibilità, è comprensibile in maniera evidente[52].

Ogni pura essenza, ogni eídos come contenuto di un vissuto (Erlebnis), rientra a sua volta in una scienza d’essenza, in un regno conchiuso di razionalità pura, un regno di verità d’essenza oggettivamente connesse, che valgono per il soggetto conoscente e per la comunità in cui vive; e per tale ragione, l’applicazione di questa scienza d’essenza rende pertanto possibile anche la conoscenza teoretica razionale della realtà data e dell’intero ambito di realtà cui essa appartiene.

La conoscenza scientifica della realtà empirica può divenire “esatta”, e così partecipe dell’autentica razionalità, soltanto se riconduce questa realtà alla sua possibilità essenziale, soltanto se, dunque, si applica la relativa scienza d’essenza[53].

Da ogni concreta realtà di fatto e da ogni suo singolo tratto effettivamente esperito o esperibile in rapporto a essa è sempre aperta la via per il regno della possibilità ideale o pura e, pertanto, per quello di un pensiero a priori che ricerchi il fondamento teoretico della propria costituzione. Ciò si mostra appunto negli sforzi per la ricerca di un nuovo fondamento della matematica e della scienza matematica nella Teoria della Relatività[54], efficacemente condensati nell’espressione di Hermann Weyl:

La Relatività generale e la legge di gravitazione, valida in questo contesto per mezzo di esperienze sperimentalmente condotte, costituisce un metodo che combina analisi d’essenza (Wesensanalyse) e costruzione matematica (mathematischer Konstruktion) di sorprendente e magnifica prova[55].

 

Se la scienza, in particolare la fisica della Relatività, come sistema ideale delle funzioni di coscienza ha il proprio correlato nella scienza in quanto “funzione”, cioè in quanto attività conoscente del soggetto, del soggetto umano nella comunità umana di ricercatori, allora la Fenomenologia trascendentale si costituisce, al tempo stesso, come un’epistemologia, ovvero come:

una scienza che risolve tutti i problemi che la scienza oggettiva non tratta, e che tuttavia si riferiscono necessariamente ai suoi oggetti e, per altro verso, alle sue teorie: i meravigliosi problemi che mirano a renderci comprensibile come un’oggettualità sia per la coscienza, e sia per essa determinata in questo e quest’altro modo; come la scienza si sviluppi nella coscienza in forma di esperienza, come l’essere e la verità del tipo di questa scienza siano correlati di nessi di coscienza idealmente possibili, e come, a partire dall’essenza delle strutture di tali nessi e dalle loro necessità eidetiche, nella coscienza di siffatte configurazioni eidetiche, debba necessariamente svilupparsi la conoscenza di quell’essere e di quella verità[56].

 

Non è forse questa l’essenza propria della fisica, l’a priori del suo modo d’essere? Quello di essere, dunque, un’ipotesi e una verificazione infinita, un’infinità di teorie possibili pensabile in continua verificazione, come legata a un infinito processo storico di approssimazione, il cui progresso non produce necessariamente un perfezionamento sempre maggiore, ma almeno permette che essa giunga sempre più a se stessa, come forma di teoria della conoscenza del mondo fisico, e nel contempo a una rappresentazione sempre migliore di ciò che è la vera natura del mondo[57].


[1] Cfr. E. Husserl, La Crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale (19762), tr. it. Il Saggiatore, Milano 2002, p. 41.

[2] Sembrerebbe essere questa la provocazione implicita nel testo di C. Rovelli, La realtà non è come ci appare. La struttura elementare delle cose, Raffaello Cortina Editore, Milano 2014.

[3] A questo proposito cfr. D. Marconi, Il mestiere di pensare, Einaudi editore, Torino 2014, in particolare pp. 39-47 e anche il corposo studio di C. Cellucci, Perché ancora la filosofia, Laterza, Bari 2008, p. 104 sgg.

[4] Mi riferisco al recente dibattito seguito alla pubblicazione del volume del fisico americano L. Krauss, A Universe from Nothing: Why There Is Something Rather than Nothing, Free Press, New York 2012. Cfr. http://www.pausetowonder.org/2013/02/20/philosophy-versus-science-a-fight-where-we-all-lose/

[5] A. Einstein, Physik und Realität (1936), in Aus meinen späten Jahren, Deutsche Verlags-Anstalt, Stuttgart 19843 (19791), pp. 63-64.

[6] E. Husserl, Aufsätze und Vorträge 1922-1937, in Husserliana, a cura di Th. Nenon e H. R. Sepp., The Hague Netherlands 1989, t. XXVII, p. 231.

[7] Come vorrebbe l’obiezione di alcuni critici della filosofia fenomenologica. Cfr. C. Cellucci, op. cit.

[8] A. Einstein, op. cit., p. 63.

[9] Cfr. E. Husserl, Philosophie als strenge Wissenschaft (1911), in Aufsätze und Vorträge (1911-1921), in Husserliana, cit., vol. XXV, pp. 3-62.

[10] Cfr. Id., La Crisi..., cit., p. 53.

[11] Id., Beilage X (zu S. 94): Zum Versagen in der neuzeitlichen Kultur-und Wissenschaftsentwicklung, das Telos der europäischen Menschheit zu verwirklichen. Fünf Texte. 1922/23, in Husserliana, cit., t. XXVII, p. 114.

[12] A. Einstein, Prinzipien der Forschung (1918), in Mein Weltbild, a cura di C. Seelig, Ullstein, Berlin 199826, p. 120.

[13] Cfr. ibid., p. 121.

[14] Cfr. E. Husserl, La Crisi..., cit., p. 61.

[15] Ibid., p. 80.

[16] Cfr. ibid.

[17] Cfr. A. Einstein, Zur Methodik der theoretischen Physik (1930), in Mein Weltbild, cit., p. 130.

[18] Cfr. E. Husserl, op. cit., p. 432.

[19] Cfr. A. Einstein, The Meaning of Relativity, Princeton University Press, Princeton 19565, p. 1.

[20] Id., Physik und Realität, cit., p. 64.

[21] Ibid., pp. 64-65.

[22] Ibid.

[23] Ibid.

[24] Cfr. ibid.

[25] Cfr. ibid., p. 66.

[26] Cfr. ibid., p. 69.

[27] Cfr. E. Husserl, La Crisi..., cit., p. 73.

[28] Ibid., p. 82.

[29] A proposito dell’incongruenza ravvisata da Einstein nelle teorie matematiche dedotte per via formale, in una lettera a H. Weyl si esprimeva così: «la matematica è sì bella ed adeguata, ma la Fisica sembra prenderci per il naso», infatti «ogni prova sperimentale non può essere portata avanti dalla Fisica su base puramente formale», cfr. Lettera di Einstein a Weyl del 23.05.1923, in Albert Einstein Archives Jerusalem (abbr. AEA), Hebrew University of Jerusalem, doc. 24-031, p. 1.

[30] A. Einstein, Die hauptsächlichen Gedanken der Relativitätstheorie (1920), in AEA, doc. 2-069, p. 1.

[31] Ibid., pp. 1-2.

[32] Id., Vorlesung über spezielle Relativitätstheorie (1920), in AEA, doc. 2-081, p. 8-9.

[33] Id., Die hauptsächlichen Gedanken der Relativitätstheorie (1920), in AEA, doc. 2-069-1/7, p. 3.

[34] Id., Ms 02-110, in AEA, p. 1.

[35] Id., Was ist Relativitätstheorie? (1919), in Mein Weltbild, cit., p. 145.

[36] Id., Ms 02-110, cit., pp. 1-4.

[37] Ibid.

[38] Id., Ms 02-114, in AEA, p. 1.

[39] Id., Das Raum-, Äther-und Feld-Problem der Physik (1930), in Mein Weltbild, cit., p. 163.

[40] Id., Ms 02-136-10, in AEA, pp. 1-2.

[41] E. Husserl, La Crisi..., cit., p. 154.

[42] Ibid., p. 155.

[43] Id., Über die gegenwärtige Aufgabe der Philosophie (1934), in Husserliana, cit., p. 190.

[44] Id., Phänomenologie und Erkenntnistheorie (1917), ibid., p. 164.

[45] Id., Über die gegenwärtige..., cit., ibid., pp. 190-201.

[46] Id., Das Grundproblem der Weltwahrheit fundiert die Grundlagenprobleme der Einzelwissenschaften und der Mathematik (1934), ibid., p. 225.

[47] Cfr. Id., Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie. Erstes Buch: Allgemeine Einführung in die reine Phänomenologie, in «Jahrbuch für Philosophie und phänomenologische Forschung», I, 1, 1913, p. 10.

[48] Ibid.

[49] Ibid.

[50] Ibid.

[51] Ibid.

[52] Cfr. Id., Die Methode der Wesensforschung (1924), in Husserliana, cit., p. 16.

[53] Ibid., p. 17.

[54] Id., Zum Versagen in der neuzeitlichen Kultur- 15 und Wissenschaftsentwicklung, das Telos der europäischen Menschheit zu verwirklichen. Fünf Texte.1922/23, in Id., Husserliana, cit., p. 115.

[55] H. Weyl, Erkenntnis und Besinnung, Librairie de l’Université, Lausanne 1956, p. 26; cfr. anche in K. Chandrasekharan (a cura di), Gesammelte Abhandlungen Hermann Weyl, New York, Springer-Verlag 1968, pp.631-649.

[56] E. Husserl, Phänomenologie und Erkenntnistheorie (1917), cit., p. 205.

[57] Cfr. Id., La Crisi..., cit., p. 71.

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