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Ernst Cassirer e la biologia: dall’evoluzionismo alla paleoantropologia come scienza trascendentale dell’uomo

Autore


Luigi Laino

Università degli Studi di Napoli Federico II

Luigi Laino è dottore di ricerca in Scienze Filosofiche e svolge attività di ricerca all’Università degli Studi di Napoli Federico II

Indice


  1. Causalità e finalità
  2. Un passo verso l’oggettività: il concetto di tipo
  3. L’essere come divenire fra morfologia idealistica ed evoluzionismo
  4. La paleontologia come scienza trascendentale dell’uomo

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S&F_n. 16_2016

Abstract


Ernst Cassirer and Biology: from Evolutionism to Paleoanthropology as human Transcendental Science

In the present paper I will deal with the special epistemological problem of setting the basic conditions of a transcendental science of man in the spirit of Cassirer’s critical philosophy. Bearing in mind this aim, I will particularly analyze the section Cassirer dedicated to the history and epistemology of biology in his Erkenntnisproblem IV, and I will focus, on the one hand, on the emergence of the theory of types, and on the other hand, on the rise of the theory of evolution. In considering that the empirical data we now possess are pushing us towards the refutation of a too continuous concept of evolution, I will try to shed some light on how the modern palaeontology, and not properly the evolutionary theory, could represent the very basis of such a transcendental theory of man.

  1. Causalità e finalità

Sembra che lo studio della fisica e quello della biologia presentino una differenza di fondo afferrabile anche in primissima approssimazione: la fisica, tramite il suo linguaggio matematico, è in grado di accedere in maniera non problematica all’universale; dal canto suo, invece, la biologia sembra essere costretta a un particolarismo che ne mina la concettualizzazione a priori. Si deve inoltre aggiungere che, storicamente, facendo riferimento diretto al contesto coevo a Kant, la biologia appariva come un sistema non autosufficiente gnoseologicamente, e che in particolare si vedeva costretta, per gareggiare con l’inflessibile causalità della fisica, a introdurre al suo interno ipotesi di ordine metafisico. Da questo punto di vista, la causalità come principio trascendentale della costituzione dell’ambito oggettivo della meccanica sembrava fagocitare, per dominio e contegno teorico, l’altro principio fondamentale che doveva muovere la biologia, e cioè quello di finalità.

Secondo Cassirer, però, il grande merito di Kant, a partire dalla Kritik der Urteilskraft, è quello di aver separato i piani, e averne perciò al contempo permesso una rappresentazione distinta e autonoma. L’approccio kantiano si basava, in perfetto spirito critico, sull’interpretazione di tali concetti in chiave prettamente euristica, la qual cosa finiva con l’ascrivere al principio di causalità una funzione «costituiva», mentre alla finalità doveva spettare una connotazione «regolativa»: piuttosto che esprimere un rapporto fra le cose che a sua volta viene reso come qualità di una sostanza, bisogna considerare causalità e finalità come principi della formazione dell’esperienza. In questo modo, essi vengono resi epistemologicamente coerenti e possono coesistere armonicamente nell’edificio della conoscenza: «La causalità considera la successione obiettiva degli eventi nel tempo, l’ordine nel divenire; la finalità considera la struttura di quelle classi di oggetti empirici, alle quali diamo il nome di organismi»[1].

Certamente, dal punto di vista sistematico, per quanto questa posizione rappresenti un progresso rispetto ai Metaphysische Anfangsgründe der Naturwissenschaft (1786), in cui compariva una netta distinzione, dal punto di vista del valore di verità, fra «historische Naturlehre» (cui corrisponde grossomodo l’ideale classificatorio della scienza biologica di Linneo) e «Naturwissenschaft», considerando che vi è appunto tanta scienza quanta è la fondabilità matematica degli enunciati di questa scienza[2], non possiamo ancora affermare di essere in presenza di una transizione decisiva verso la possibilità di una rappresentazione di una scienza trascendentale dell’uomo, poiché non guadagniamo alcun principio empirico in grado di incidere costitutivamente sulla formazione dell’a priori, come per esempio sembra essere in grado di fare la concezione della misura di Einstein nella teoria della relatività[3]. Se questo è infatti certamente problematico per la definizione stessa del trascendentale, è anche vero che la determinazione di un principio la cui portata risulta essere così tanto vicina al fittizio non può essere ancora sufficiente a porre le basi di una filosofia scientifica non solo della natura, ma anche dell’uomo:

Kant sceglie per lo stesso il nome di principio della finalità formale, e dichiara che questo principio non è, come i principi di sostanzialità e causalità, una pura legge della ragione, ma un principio del «giudizio riflettente». Esso non rappresenta una legge riguardante il contenuto dei fenomeni; addita invece una via ben determinata alla nostra considerazione, alla nostra riflessione sui fenomeni. Esso contiene una regola che vale, non tanto per gli oggetti della natura come tali, quanto e piuttosto per le nostre indagini su questi fenomeni. Secondo questa regola, noi dobbiamo sempre far la premessa che non solo la natura, considerata come un tutto, è sottomessa a leggi, ma che essa presenta un’organizzazione comune anche nei suoi particolari, in modo che si verifichino fra tutte le sue forme certe relazioni di somiglianza maggiore o minore […]. Noi presupponiamo quest’affinità, senza poterla dimostrare a priori; ma non è nemmeno necessario dimostrarla, se ci ricordiamo e teniamo ben in mente che qui non abbiamo da fare con un principio obiettivo, ma con una massima. Se questa massima sia attendibile, se sia possibile ottenere una sistematica delle forme della natura secondo classi e specie, famiglie e ordini: ciò può essere insegnato dalla sola esperienza. Ma non si potrebbe trovare un tale sistema nella natura, senza avervelo cercato[4].

Una definizione della prima introduzione della terza critica, poi soppressa, può fornirci ulteriori indicazioni sulla funzione del giudizio riflettente e sulla concezione della finalità in Kant:

Il giudizio riflettente procede quindi con apparenze date, per riportarle sotto concetti empirici di determinati oggetti naturali [von bestimmten Naturdingen], ma non schematicamente, bensì tecnicamente [technisch]; non per così dire in modo meccanico, come uno strumento sotto la guida dell’intelletto e dei sensi, bensì ad arte [künstlich], secondo il principio generale, ma allo stesso tempo indeterminato, di un ordinamento teleologico [zweckmäßig] della natura in un sistema, come se esso fosse in favore della nostra capacità di giudizio, nell’appropriatezza delle sue leggi particolari (su cui l’intelletto nulla dice) per la possibilità dell’esperienza di un sistema, senza la cui premessa non possiamo sperare di cavarcela in un labirinto di molteplicità [quale quello] delle leggi particolari possibili[5].

Il valore euristico della finalità si fa dunque palese, e per la verità qui sembra gettare un’ombra particolare anche sullo stesso concetto della natura come sistema, che nella Vorrede dei Metaphysische Anfangsgründe appariva in una luce molto più determinata, improntato com’era sulla fisica matematica[6].

Quello cui però dobbiamo fare particolare attenzione, appunto, è che la trasposizione epistemologica del valore di verità della massima rischia di trovare diminuito il valore stesso della conoscenza biologica, come lo stesso Cassirer rileva a proposito di Linneo e del valore «artificiale» della sua tassonomia. In sostanza, i principi seguiti da quest’ultimo nella sua monumentale opera di classificazione degli esseri viventi non rivelerebbero la piena portata della definizione del fenomeno biologico, e piuttosto ne esprimerebbero soltanto un colpo d’occhio molto parziale (per esempio quello basato sugli organi sessuali delle piante[7]).

 

 

  1. Un passo verso l’oggettività: il concetto di tipo

Nella storia della biologia, i tentativi di mettere ordine nella messe di problemi suscitati, da un lato, dall’introduzione di forze occulte e metafisiche nel campo naturale e, dall’altro, dal pericolo sempre in agguato di cedere a una rappresentazione anti-sistematica e iper-particolare dell’oggetto empirico, devono necessariamente orientarsi secondo due intenti di base: 1) la fissazione di un modello ontogenetico che non riduca la singola manifestazione biologica a una pura occasione, e 2) l’indicazione di un modello filogenetico capace di esibirne uno sfondo saldo, in modo da reintegrare l’evidenza stessa del divenire naturale nell’essere biologico. La prima tendenza speculativa viene soddisfatta dalla definizione del concetto di «tipo», mentre alla seconda corrisponde più specificamente il motivo che caratterizza dapprima il darwinismo e poi la filosofia della vita.

Sin dalla sua prima comparsa, il concetto di tipo sembra allora assolvere il compito di ridurre l’impatto della particolarità del fenomeno organico, per restituirne invece un aspetto più generale, che essa pondera in termini strutturali: «L’organismo non è un aggregato di parti; piuttosto, già in ognuna delle sue singole parti noi possiamo scorgere la forma del tutto»[8]. Questo ideale, pone a livello epistemologico la necessità di fare perno attorno all’anatomia comparata, la quale, tramite lo studio degli attributi specifici di determinati organismi, può evidenziare una sorta di schema di base cui possono essere riferite tutte le possibili manifestazioni reali di un dato fenomeno biologico. L’indirizzo platonico di questo approccio è prima facie chiaro, e può anche essere letto nei termini di un «realismo strutturale»[9]: «Il generale, che si cerca, non è rappresentato da leggi di trasformazione, come nella fisica e nella chimica, ma da pure relazioni di struttura»[10]. Con questo, e si guarda qui innanzitutto a Cuvier, verrebbe introdotta una forma peculiare di necessità la quale rappresenterebbe una risposta del tutto autosufficiente all’inesorabilità delle leggi fisico-chimiche della materia.

L’individuazione di questo piano strutturale – «Bauplan» è un’espressione di Jakob von Uexküll molto cara a Cassirer[11] –, in effetti, dispiega la tensione propria della gnoseologia biologica verso una forma di deduzione che consentirà allo scienziato un dominio oggettivo dell’orizzonte fenomenico che va ben al di là di una pura conoscenza induttiva dei casi particolari: secondo Cuvier, infatti, uno specialista di anatomia può ben ricostruire la struttura di un essere vivente a partire da semplici dati sulle sue parti. Se esiste un’armonia generale fra queste ultime, che viene compendiata nel concetto di tipo, ne consegue che si può parimenti passare dalle parti al tutto con estremo rigore e in piena liceità; una metodologia vergata da queste parole pronunciate dallo stesso Cuvier nel suo celebre Discours:

In una parola, la forma del dente comporta la forma del condilo, la forma della scapola quella delle unghie, proprio come l’equazione di una curva comporta tutte le sue proprietà; e allo stesso modo in cui assumiamo ciascuna proprietà separatamente, come base di un’equazione particolare, si ritrovano sia l’equazione ordinaria sia tutte le altre proprietà, così l’unghia, la scapola, il condilo, il femore e tutte le altre ossa prese isolatamente ci restituiscono il dente e si determinano reciprocamente. Cominciando da ciascuno di essi, colui che conoscesse razionalmente le leggi dell’economia organica potrebbe ricostruire tutto l’animale[12].

Questo vero e proprio manifesto di una scienza a malapena nata, secondo Cuvier[13], e che nel suo impulso metodico di fondo costituirà il propellente della paleontologia, nasconde però per Cassirer un ulteriore problema. Difatti, nel guadagno di oggettività, sembra che il concetto di tipo così pensato sacrifichi sull’altare della staticità ontogenetica la dinamicità intrinseca dei fenomeni biologici, innescando sin dal principio quel rapporto critico che il metodo paleontologico intratterrà con gli argomenti dell’evoluzionismo. Come per esempio si evince chiaramente da alcune pagine di André Leroi-Gourhan, il concetto di una perfetta continuità zoologica, come è quello propugnato dalla canonica teoria dell’evoluzione, è osteggiato dalla paleontologia, poiché non rispondente ai dati che possiamo ricavare dallo studio dei fossili; per arrivare alla conclusione degli evoluzionisti, dovrebbero essere aggiunti elementi ulteriori al semplice fenomeno della variazione che regge la teoria dei tipi e la possibilità di un loro confronto[14]. Il principio di specificazione[15] è in essa destinato a rimanere più potente e influente dell’omogeneità richiesta dal concetto di evoluzione progressiva delle specie.

Dunque il trionfo dell’approccio tipologico dovette essere avvertito in modo problematico all’interno della biologia, se è vero che, in seguito, gli studiosi si orientarono verso una più precisa e preponderante determinazione dell’aspetto filogenetico del fenomeno biologico.

  1. L’essere come divenire fra morfologia idealistica ed evoluzionismo

«Neppure un frammento esprime il pensiero che tutte le cose si trovino in un flusso, che dappertutto vi sia solo transito e cambiamento, e che non sia mai da trovarsi da nessuna parte durata e permanenza […]. Il pensiero fondamentale di Eraclito è anzi il più esatto opposto pensabile alla dottrina del flusso: il permanere nel cambiamento, la costanza nella variazione, tauton nel metapiptein, metron nel metaballein, l’unità nel dissidio, l’eternità nella caducità»[16]. Questa classica citazione di Karl Reinhardt su Eraclito può essere adoperata con relativa agilità per comprendere gli sviluppi del pensiero biologico che conducono al primato dell’aspetto filogenetico nella posizione del movente gnoseologico di fondo della biologia stessa. L’affermazione di un tale paradigma sembra comunque meno lineare di quanto non fosse avvenuto per il concetto di tipo, e conosce almeno due imponenti ramificazioni: la morfologia di Goethe e l’evoluzionismo vero e proprio.

In generale, la figura di Goethe è fondamentale per comprendere la Wendung zur Kultur che interessa il pensiero di Cassirer e la nascita delle forme simboliche, di cui probabilmente Goethe è, assieme a Hegel, la fonte principale[17]. Agli occhi di Cassirer, infatti, la morfologia goethiana rappresenta il grande modello epistemologico alternativo alla scienza matematica e al relativo impianto platonico, con la matematica a fare da tramite fra pensiero ed essere[18]; in lui, invece, l’aspirazione massima è quella di giungere a una teoria per la quale nessuno iato sussisterebbe fra la determinazione ideale e quella empirica, e in cui il vero sapere non possa fare altro che dimostrare la sua coappartenenza alla realtà. Secondo una tipica espressione di Goethe che Cassirer sovente cita, si tratta di penetrare in un ordine concettuale per cui «ogni fatto sarebbe già teoria»[19].

L’effetto più caratteristico dell’approccio di Goethe è quello di trasformare il concetto stesso di tipo, che in Cuvier – e in De Candolle – rimaneva, come visto, essenzialmente statico, in un elemento dinamico. Se per Cuvier, infatti, il tipo era essenzialmente una struttura formale che conservava relazioni «fisse e invariabili» con l’esemplare particolare, in Goethe la determinazione di questo dato permanente viene inchiodata alla manifestazione stessa del processo, e cioè al tempo piuttosto che allo spazio. In tal senso, la verità del fenomeno biologico può essere data soltanto da una scienza intuitiva, capace di concepire il tipo come risultato della sua genesi effettiva: soltanto in questo modo si poteva evitare il rischio di intendere la comprensione biologica come un atto meramente classificatorio. Osserviamo quindi una progressiva soluzione del metodo biologico, che incide direttamente sulla verità del fenomeno, andando a costituirne ben più di un semplice compendio: «Tutti gli organismi superiori seguono, come vediamo, un prototipo, che varia più o meno solo nelle sue parti meno stabili e si sviluppa e modifica continuamente, per mezzo della propagazione»[20].

Per Cassirer, però, il metodo goetheano non può essere equiparato sic et simpliciter all’ideale di Lamarck o di Darwin, poiché esso poggia su di una diversa concezione del rapporto fra particolare e individuale: mentre, infatti, nel contesto evolutivo e biologico in generale si dovrebbe parlare di «sussunzione logica», dal momento che ogni specie particolare viene appunto ricondotta al genere cui appartiene, per quanto riguarda Goethe bisognerebbe invece concentrarsi sul primato di una «rappresentazione ideale o simbolica»[21].

Come noto, l’impostazione simbolica vorrebbe rigettare ogni possibile concettualizzazione metafisica, che nel caso della logica del concetto genere è quella classicamente connessa alla rappresentazione sostanziale della realtà, concezione che rischia infine di presentare, al tribunale della ragione, l’ente come una cosa la cui datità non può che costituire, in questi termini, un enigma insolubile. In che senso, infatti, ammetteremmo una logificabilità dell’ente, e pertanto una sua apprensione secondo verità, se esso è davvero la cosa? Nell’ottica simbolica, la deriva metafisica viene scongiurata sia verso l’alto sia verso il baso, poiché l’idea non è né semplicemente l’archetipo e modello delle cose, né tantomeno il substrato di una forma concreta del divenire.

All’approccio morfologico va dunque ascritto il merito di azionare una fruttuosa fluidificazione fra teoria e realtà; da un punto di vista interno alla gnoseologia della biologia, questo ci permette anche di dare un senso rispetto alla dinamizzazione del tipo di cui abbiamo parlato in precedenza. Cassirer però puntualizza che questo processo previsto da Goethe è tuttavia differente, nel suo carattere fondamentale, da quanto vorrà l’evoluzionismo vero e proprio, poiché il suo concetto di metamorfosi è piuttosto da intendersi in senso precipuamente «dinamico» e non «storico»: in sostanza Goethe non sarebbe mai arrivato a porre la questione in termini, per così dire, meccanici o reali, e avrebbe pertanto prescisso dall’indicazione di alberi genealogici definiti e in generale da una «teoria della discendenza»[22].

Le spinte decisive alla formazione della vera e propria teoria dell’evoluzione provennero dall’embriologia e della botanica. Affinché l’ideale dell’evoluzione fosse definitivamente pronto, bisognava infatti intendere, secondo le parole di Ernst Haeckel, l’ontogenesi come «una ricapitolazione abbreviata e incompleta della filogenesi»[23], in modo da porre le basi per una fissazione generale dell’«idea di una successione ascendente di organismi», secondo uno schema per cui ogni tipo doveva giustappunto recare con sé la storia dell’intera evoluzione, e porsi come specificazione di una forma precedente più semplice – da questo modo di pensare, proviene per esempio l’idea combattuta aspramente dalla paleontologia contemporanea che l’uomo discenda dalla scimmia[24]. Tuttavia, per la teoria dei tipi e per la mentalità scientifica in genere, questo procedimento doveva rimanere problematico, perché alcune differenze strutturali non possono essere soppresse (per esempio in nessuno stadio dello sviluppo embrionale dei mammiferi appare la respirazione branchiale).

Come dicevo, è in ogni caso la botanica, tramite l’opera soprattutto di Schleiden, a fornire il sostrato empirico decisivo per l’affermazione dell’ideale evolutivo: «Il vero modo di farsi un’idea, conforme alla natura, degli organismi vegetali è di considerarli come una serie continua di forme e stati derivanti l’uno dall’altro»[25]. Due sono però gli aspetti cruciali: 1) da un lato, in Schleiden sarebbe evidente che il concetto di evoluzione abbia un carattere esplicitamente regolativo[26]; 2) dall’altro, rispetto a Goethe, sarebbe altresì palese il passaggio da una «morfologia idealistica» a una «morfologia sperimentale»[27].

Quello che però succede con la teoria dell’evoluzione vera e propria è davvero singolare. L’idea di Darwin di individuare una specie lungo il filo di una lunga catena di forme preesistenti e che nella sua definizione abbisogna di una complessa rete metodologica, determinata dall’interazione svolta dai concetti di «selezione naturale», «adattamento», «lotta per l’esistenza» ecc., per essere sviluppata, viene ben presto transfunzionalizzata nella ricezione delle sue idee, e sembra assumere connotati extra-empirici. Per esempio, secondo Cassirer, nell’opera di Haeckel, che aveva decretato il più grande risultato di Darwin nell’espulsione di ogni riferimento teleologico dalla biologia, viene reintrodotto un elemento schiettamente metafisico nella rappresentazione della forza plastica della cellule[28]. Questo peculiare contrasto fra depurazione e rimetafisicizzazione sarebbe evidente anche in Darwin stesso, se Cassirer stesso afferma che «un vasto spazio è offerto all’ipotesi e all’argomentazione indiretta, che spesso sembra elevarsi audacemente al di sopra di tutti i fatti osservabili»[29]. Pur ammettendo, in sostanza, che l’evoluzionismo porterebbe a compimento l’ideale critico del concetto di finalità, in quanto avrebbe concentrato la sua attenzione non soltanto sulla definizione di alcune proprietà strutturali caratterizzanti il tipo, ma sulla totalità delle manifestazioni vitali, esattamente la posizione del concetto centrale di «conservazione della specie» orienterebbe il piano teorico verso un punto specifico, ovverosia verso un fine metaempirico. Il rischio, quindi, è tornare a un atteggiamento dogmatico, e all’incapacità di constatare che gli organismi possano essere interessati da relazioni ed eventi che vanno al di là dei meccanismi di adattamento e selezione naturale. Va detto che Cassirer riconosce che Darwin stesso sia stato molto più flessibile dei suoi seguaci, come peraltro traspare da un’autocritica su cui lo stesso scienziato inglese venne in chiaro in The Descent of Man: qui Darwin dichiara di essersi affidato troppo acriticamente all’idea che «ogni specie è stata creata intenzionalmente», motivo per cui non sarebbe stato possibile accettare che una determinata mutazione avesse potuto non rispondere alla finalità intrinseca del principio della selezione[30].

Possiamo arrestare la nostra rapida ricostruzione per porre infine una questione di ordine gnoseologico più sistematico, relativa allo statuto di una scienza trascendentale dell’uomo. Prima di fare ciò, due osservazioni conclusive: 1) l’importanza dell’evoluzionismo, per Cassirer, non si esaurisce nella sua collocazione all’interno dello sviluppo della biologia, ma risponde anche più in generale all’affermazione del fondamentale paradigma della conoscenza storica, che sarà caratteristico dell’Ottocento, come contraltare della concezione meccanicistica della natura[31]; 2) di per sé, a dispetto di qualche somiglianza nell’approccio e in alcune argomentazioni, i dati presentati da Darwin, per quanto frutto di un’indagine empirica dotata di acribia lodevole, non possono non scontrarsi con la «disillusione» che essi devono provocare al cospetto delle più recenti scoperte paleontologiche, insoddisfazione particolarmente vivida se si pensa alla serissima impossibilità di rappresentare l’uomo come il prodotto di una «serie ascendente di esseri viventi»[32].

Questo ci riporta dunque direttamente alla questione paleontologica, se dobbiamo pensare di fondare un’antropologia filosofica anzitutto su basi scientifiche, e non intenderla già come filosofia della cultura tout court.

 

  1. La paleontologia come scienza trascendentale dell’uomo

Tornando a Cuvier e all’impostazione di base della sua biologia, possiamo ricavare importanti elementi per la definizione della paleontologia come scienza trascendentale dell’uomo. È chiaro, infatti, che il programma dei Metaphysische Anfangrsgründe debba essere ampliato, poiché la determinazione scientifica e indipendente della natura biologica è ormai un fatto assodato, e non si può semplicemente precipitare nel campo della psicologia. D’altra parte, se il grande problema, dal punto di vista trascendentale, era quello di stabilire i confini esatti fra il puro corpus logico della prestazione critica e l’armamentario empirico, secondo una soluzione che nei Metaphysische Anfangsgründe tende a una più coerente osmosi del momento filosofico e di quello scientifico, nell’ambito della biologia non abbiamo un peso così determinante della matematica nell’applicazione del trascendentale. Ora, infatti, sebbene l’ammissione di elementi impuri nell’esercizio dell’autentico magistero critico possa sembrare paradossale, essa lascia pur sempre adito a una chiara scomposizione delle fonti metodologiche, di modo che sia cioè sempre in ultima analisi possibile distinguere fra puro e empirico, benché nel concreto adattamento del metodo all’esperienza si sia costretti a riconoscere che il peso di quest’ultimo elemento risulti essere in qualche modo superiore a quanto preventivato in una pura architettura della ragione – la soluzione adottata nell’opera del 1786, infatti, consisteva essenzialmente nello studiare il modo in cui di determinati concetti empirici si potesse consentire un uso a priori, dettando dunque nuove linee per il concetto stesso di «condizioni di possibilità». Ma nell’applicazione biologica questa distinzione sfuma ulteriormente, e la coappartenenza di teoria e prassi si fa molto più evidente.

Se apriamo ancora le pagine di Leroi-Gourhan, troviamo una definizione caratteristica di umanità, espressa esattamente nei termini delle sue condizioni di possibilità; per il paleoantropologo francese, difatti, sono tre i tratti distintivi del tipo umano: 1) stazione eretta; 2) diminuzione del prognatismo e contestuale liberazione della mano; 3) sviluppo di una facoltà tecnica[33]. Come è evidente, queste condizioni non corrono il rischio di essere scambiate con del materiale puramente dianoetico, poiché la loro costruzione si basa su evidenze anatomiche. Tuttavia, è altrettanto pacifico che il pensiero qui intervenga proprio nei termini delle inferenze della teoria dei tipi e della particolare specie di deduzione da esso ammessa e descritta già molto bene da Cuvier. Il concetto di tipo, come abbiamo visto (cfr. supra §. 2), afferma il primato di un’affinità strutturale delle parti che rappresenta il vero eidos di una forma organica: si tratta di una mediazione molto peculiare fra una lettura platonica e una aristotelica dell’eidos, in cui la forma stessa di un ente viene concepita come struttura che non è ideale in termini schiettamente matematici, ma che nemmeno è al contempo interpretata come una sottodeterminazione della cosa. Il risultato di questa mediazione consiste nella disattivazione del pericoloso circuito dell’individualità e della signoria della concretezza, nemica, se presa in senso assoluto, di ogni scienza; in questa prospettiva, il ricercatore biologico opera, né più né meno, che come il fisico quando questi è alla ricerca, al di là delle apparenze dei fenomeni, di una legge della loro connessione: «Qui l’occhio filosofico dello scienziato deve trovar il modo di penetrare dall’apparenza esteriore all’essenza delle cose. La simmetria delle parti, che rappresenta l’essenza dello studio del naturalista, non è altro che il “tutto” riunito, che si manifesta per mezzo dell’ordine reciproco delle parti»[34].

Da questo punto di vista, ritengo che la paleontologia stessa possa proporsi in maniera già perfettamente determinata come scienza trascendentale dell’uomo, in quanto capace di indicare le condizioni di possibilità del tipo umano. Naturalmente, però, essa non esaurisce di per sé l’intero spettro della dimensione dell’uomo, che è innanzitutto culturale, come peraltro riconosciuto anche da Leroi-Gourhan almeno a partire dal tardo musteriano e dallo chatelperroniano (ca 35000 a.C.) con lo sviluppo del grafismo[35]; la possibilità, infatti, di interpretare i vari gesti di affrancamento dall’organicità biologica da parte dell’uomo in termini simbolici esprimono quantomeno la possibilità di connettere il concetto di «biologia della tecnica» con quello della simbolicità che per Cassirer caratterizza l’uomo stesso come animale[36]. Sembra dunque possibile suggerire che se alla filosofia della cultura deve essere sempre premessa una antropologia scientifica, in maniera altrettanto ineludibile ogni considerazione biologica dell’uomo non può fare a meno di pensare al rovesciamento culturale come a un momento determinante della sua stessa zoologia[37].

 

 


[1] E. Cassirer, Storia della filosofia moderna, IV, tr. it. Einaudi, Torino 1958, p. 196.

[2] Cfr. I. Kant, Principi metafisici della scienza della natura, tr. it. Bompiani, Milano 2003, p. 103 e sgg. Cassirer rimanda nel testo dell’Erkenntnisproblem sulla biologia più volte a questo passo di Kant; sulla sua problematicità, si veda almeno: P. Pecere, La filosofia della natura in Kant, Edizioni di pagina, Bari 2009, p. 321 e sgg.

[3] Se si legge l’epistolario di Cassirer, questa tensione empiricizzante viene esplicitamente ammessa (Cassirer an Einstein, 16. Juni 1906, in Cassirers Nachgelassene Manuskripte und Texte, Bd. 18: Briefe. Ausgewählter wissenschaftlicher Briefwechsel, Meiner, Hamburg 2009, p. 47). Si veda poi naturalmente: E. Cassirer, Teoria della relatività di Einstein, tr. it. Newton, Roma 1981.

[4] E. Cassirer, Storia della filosofia…, IV, cit., pp. 202-203.

[5] I. Kant, Erste Einleitung in die Kritik der Urteilskraft [1790], hrsg. von B. Kellermann, in Kants Werke [ed. Cohen-Cassirer], Bruno Cassirer, Bd. V, Berlin 1922, p. 194. Cit. in E. Cassirer, Storia della filosofia…, cit., p. 204.

[6] Cfr. I. Kant, Principi metafisici…, cit., p. 95 e sgg.

[7] Cfr. E. Cassirer, Storia della filosofia…, IV, cit., p. 204 e sgg.

[8] Ibid., p. 207.

[9] Questa interpretazione del trascendentale cassireriano in filosofia della fisica è molto in voga; su di essa ho qualche riserva, relativa al fatto che una completa metrologizzazione dell’a priori è da Cassirer osteggiata in virtù della teoria degli invarianti logici (si veda almeno: E. Cassirer, Sostanza e funzione, tr. it. La Nuova Italia, Firenze 1973 e 1999); sono però più propenso a ritenerla valida proprio per la filosofia della biologia, per i motivi che andrò chiarendo in seguito. Sul concetto di «realismo strutturale», cfr. G. Ibongu, Cassirer’s Structural Realism, Logos Verlag, Berlin 2011.

[10] E. Cassirer, Storia della filosofia…, IV, cit., p. 208.

[11] Ibid., p. 207. Si veda anche J. von Uexküll, Theoretische Biologie, Springer, Berlin-Heidelberg 1928, pp. 104-107.

[12] G. Cuvier, Discours sur le révolutions de la surface du globe et sur les changementes qu’elles ont produit dans le règne animal, Dufour et D’Ocagne, Paris-Amsterdam 1826, p. 49. Cit. in E. Cassirer, Storia della filosofia…, IV, cit., pp. 209-210.

[13] Cfr. G. Cuvier, Discours…, cit., p. 13.

[14] Cfr. A. Leroi-Gourhan, Il gesto e la parola, vol. I: Tecnica e linguaggio, tr. it. Einaudi, Torino 1977, pp. 10-31. Si aggiunga che, per Cassirer, sulla scorta di de Vries, «la presunta continuità dell’evoluzione darwiniana viene spezzata in stadi che separano nettamente la forma della specie successiva da quella precedente, da cui è derivata» (S. Vasta, Lo specchio a una faccia. Morfologia e darwinismo in Ernst Cassirer, in «Annali della facoltà di Scienze della forma. Università degli Studi di Catania», 4, 2005, p. 251).

[15] Cfr. I. Kant, Kritik der reinen Vernunft, B693/A665 e sgg.

[16] K. Reinhardt, Parmenides und die Geschichte der griechischen Philosophie, Cohen Verlag, Bonn 1916, pp. 206-207.

[17] Per un orientamento generale, si consultino M. Ferrari, Ernst Cassirer. Dalla scuola di Marburgo alla filosofia della cultura, Olschki, Firenze 1996; e D. P. Verene, Kant, Hegel, and Cassirer: The Origins of the Philosophy of Symbolic Forms, in «Journal of the History of Ideas», 30, 1, 1969.

[18] Si tratta di un topos del neo-trascendentale marburghese. Si vedano almeno E. Cassirer, Cartesio e Leibniz (1902), tr. it. Laterza, Roma-Bari 1986; e H. Cohen, Platons Ideenlehre und die Mathematik, in C. Fuchs, Ad novi rectoris inaugurationem die XIII m. Octobris anni MDCCCLXXVIII, Marburg 1879.

[19] J. W. Goethe, Massime e riflessioni, tr. it. RCS Libri, Milano 1996/2004, n. 575.

[20] E. Cassirer, Storia della filosofia…, IV, cit., p. 229.

[21] Cfr. ibid., p. 231.

[22] Ibid., pp. 236-237. In uno scritto precedente, Goethe und Platon, Cassirer afferma: «Il divenire, che per Platone significava il limite della conoscenza, si trasforma in Goethe in un presupposto e in una forma della conoscenza. La genesis smette di designare un momento meramente negativo, un mero limite dell’essere e del sapere: essa dispiega la sua forza e fecondità positiva, in quanto si comprende e dimostra come metodo genetico» (in Cassirers Gesammelte Werke, Bd. 16: Aufsätze und kleine Schriften 1922-1926, Meiner, Hamburg 2003, p. 415).

[23] E. Cassirer, Storia della filosofia…, IV, cit., p. 242.

[24] Cfr. A. Leroi-Gourhan, Il gesto e la parola, vol. I: Tecnica e linguaggio, cit., p. 10 e sgg.

[25] E. Cassirer, Storia della filosofia…, IV, cit., p. 247.

[26] Cfr. M. Schleiden, Grundzüge der wissenschaftlichen Botanik [1842-1843], Engelmann, Leipzig 18503, pp. 1 e sgg.

[27] E. Cassirer, Storia della filosofia…, IV, cit., p. 249.

[28] Ibid., pp. 256-257.

[29] Ibid., p. 254.

[30] Cfr. Ch. Darwin, L’origine dell’uomo e la selezione sessuale, tr. it. Newton, Roma 20034, pp. 64-65.

[31] Cfr. E. Cassirer, Storia della filosofia…, IV, cit., pp. 267 e ss.

[32] Ibid. Le affinità più rilevanti fra la rappresentazione di Darwin e quelle autorizzate dall’odierna paleontologia riguardano soprattutto le relazioni fra postura eretta e liberazione della mano, con annesso sviluppo della facoltà tecnica, e spiccata attenuazione del prognatismo. Il contrasto invece più problematico sembra sussistere per quanto concerne la corretta interpretazione della direzione delle influenze meccaniche dello scheletro e del cranio sullo sviluppo del cervello e sulle attività tipicamente razionali dell’uomo stesso (cfr. Ch. Darwin, L’origine dell’uomo…, cit., pp. 55-61).

[33] A. Leroi-Gourhan, Il gesto e la parola, vol. I: Tecnica e linguaggio, cit., pp. 25-31.

[34] E. Cassirer, Storia della filosofia…, IV, cit., p. 218.

[35] Per la questione del grafismo in Leroi-Gourhan: Il gesto e la parola, vol. I: Tecnica e linguaggio, cit., pp. 221 e ss.

[36] Si veda almeno E. Cassirer, Saggio sull’uomo (1944), tr. it. Longanesi, Milano 1948.

[37] A. Leroi-Gourhan, Il gesto e la parola, vol. I: Tecnica e linguaggio, cit., p. 172 e sgg. Il concetto di «biologia della tecnica» è inoltre già esplicitamente connesso, in Leroi-Gourhan, con un cambiamento specifico dei rapporti e dei ritmi evolutivi propri della specie umana, quando si passa dall’analisi del phylum a quella del «corpo sociale», in cui quest’ultimo rivela la sua autonomia dal «corpo biologico». Si veda anche Id., Il gesto e la parola, vol. II: Memoria e ritmi, cit., p. 264 e sgg.

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