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Pluralità dei mondi, vita, cosmo. Il sogno di Giordano Bruno

Autore


Paolo Amodio - Giovanni Covone - Luca Lo Sapio


 

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S&F_n. 30_2023

Abstract


Plurality of Worlds, Life, Cosmos. Giordano Bruno’s Dream

In La Cena delle Ceneri Giordano Bruno wrote that “the moon is no more a heaven for us than we are a heaven for the moon”, anticipating, in some ways, what would later be called the principle of mediocrity or the Copernican principle: we are not privileged observers and the Earth is by no means a special place in the cosmos. For a long time this insight, supported by the belief that life is a widespread phenomenon in the Universe, drove speculation and thus the search for intelligent life forms on other celestial bodies. However, the first images of the Martian soil already gave a bleak picture, and the same happened a few years later with Venus, only in appearance similar to Earth, in fact a burning hell surrounded by an atmosphere of carbon dioxide.

The belief that we are not in a privileged position, on a special planet, has given way to new interpretative hypotheses, on the basis of which life, a fortiori intelligent life, would be a rarer phenomenon than we might have expected.

Recent advances in the field of astrobiology have made it possible to detect more than 5,000 exoplanets in our galaxy, and this undoubtedly opens up new exploration pathways for the search of extra-terrestrial life as well.

Many questions arise: will we be able to recognise extraterrestrial life forms once we have them in front of us, or will they be so different as to be unrecognisable? Should such a discovery occur, will we have any direct duties towards alien ecosystems and exobiospheres? Who will decide what principles should guide future interactions and what criteria should be adopted? If, on the other hand, such contact never occurs, would our cosmic importance be magnified? Would our duties toward our common home be strengthened? And again: do we have a duty to protect our planet exclusively, or should the possibility of abandoning it to colonise new celestial bodies not be excluded?

This Dossier aims to shed light on these and other questions, in the wake of a reflection that is now well-established. The philosophical reflection on astrophysics and astrobiology, in its various articulations, represents a field of investigation that for some years now has been trying to provide answers on the nature and impact of new scientific achievements, in ethical, socio-political and epistemological terms. At the same time, it also opens up new questions and new challenges that need to be explored in a spirit of interchange and fruitful collaboration.


Non più la luna è cielo a noi, che noi a la luna.

Giordano Bruno

 

 

– Cossì dunque gli altri mondi sono abitati come questo?

– Se non cossì e se non megliori, niente meno e niente peggio.

Giordano Bruno

 

 

A volte credo che ci sia vita negli altri pianeti, a volte credo di no. In qualsiasi dei due casi la conclusione è sorprendente.

Carl Sagan

 

 

 

La nostra unicità nell’universo! ohimè, è una cosa fin troppo inverosimile! Gli astronomi, a cui tocca talvolta realmente di scrutare un orizzonte staccato dalla terra, fanno capire che la goccia di vita che è nel mondo è senza importanza per il carattere totale del mostruoso oceano di divenire e trapassare: che un numero indeterminato di astri presentano condizioni simili a quelle della terra per la produzione della vita, moltissimi cioè, e però sempre un gruppo ristretto in confronto agli infiniti altri che non hanno mai avuto la vivente eruzione o che ne sono da lungo tempo guariti; che la vita su ognuno di questi astri, misurata sulla durata della sua esistenza, è stata un attimo, una vampata, con lunghi, lunghi spazi di tempo dietro di sé, e dunque in nessun modo la meta e lo scopo ultimo della sua esistenza. Forse la formica nel bosco immagina altrettanto fortemente di essere meta e scopo dell’esistenza del bosco, come facciamo noi quando alla fine dell’umanità, nella nostra fantasia, ricolleghiamo quasi involontariamente la fine della terra: anzi siamo ancora modesti quando ci fermiamo a ciò e non organizziamo, per i funerali dell’ultimo uomo, un crepuscolo universale del mondo e degli dèi. Anche l’astronomo più spregiudicato quasi non può immaginare la terra senza vita altro che come lo splendente e fluttuante tumulo dell’umanità.

Friedrich Nietzsche

 

 

 

La prova che nell’universo esistono altre forme di vita intelligente è che non ci hanno ancora contattato.

Bill Watterson

 

 


Da Epicuro a Giordano Bruno, da Kant a Hegel sono molti i filosofi che si sono interrogati, talvolta con piglio scettico, talaltra meno, sulla possibile esistenza di forme di vita extraterrestre[1]. Peter Szendy, in un recente lavoro su Kant, ha evidenziato come il tema dell’alieno rappresenti quasi un fil rouge nella produzione del filosofo di Königsberg, presente in opere come Storia universale della natura e teoria del cielo del 1755 e nell’Antropologia dal punto di vista pragmatico del 1798[2]. Nella terza sezione del Canone della ragione pura Kant scrive, a proposito dell’esistenza di forme di vita extraterrestre, che «se fosse possibile stabilirlo per mezzo di qualche esperienza, io potrei scommettere tutto il mio, che almeno in qualcuno dei pianeti che vediamo ci sono abitanti. Quindi dico, che non è una semplice opinione, ma una più salda fede (sulla cui esattezza arrischierei molti beni della vita), che vi sono anche abitanti di altri mondi»[3]. Nella Storia universale della natura e teoria dei cieli, invece, afferma che «la maggior parte dei pianeti è certamente abitata, e quelli che non lo sono, lo saranno un giorno»[4]. L’alieno, per Kant, rappresenta l’altra specie potenzialmente dotata di razionalità e, dunque, accostabile alla nostra. L’unica specie, altresì, che ci consentirebbe di attivare un reale processo di autocomprensione, che ci permetterebbe di capire chi siamo, all’interno di un confronto produttivo.

Oggi le riflessioni che Kant proponeva più di due secoli fa assumono una nuova veste grazie ai viaggi spaziali che hanno consentito tra il 1969 e il 1972 all’umanità di raggiungere sei volte il nostro satellite naturale (Missioni Apollo 11,12,14,15,16,17)[5]; una mappatura del Pianeta rosso che ha rivelato una storia affascinante, con un passato geologico in cui probabilmente era presente acqua[6]; i primi dati sui satelliti di Giove e Saturno, rispetto ai quali crescono le attese per la possibile rilevazione di acqua allo stato liquido nel sottosuolo[7]. Insieme ad una sempre più fine esplorazione del sistema solare, oggi sappiamo, grazie a metodi di rilevazione indiretta e, probabilmente tra non molto, anche per mezzo di osservazioni dirette, che esistono altre terre e altri soli dai quali, forse in modi che al momento non possiamo neanche immaginare, dipendono forme di vita più o meno assimilabili alla nostra[8].

La filosofia oggi ha a disposizione nuovi strumenti che le potrebbero consentire di esplorare temi e problemi sulla base di un solido bagaglio di dati, abbandonando dunque la mera speculazione. Non è, probabilmente, un caso che stiano guadagnando sempre più credito nella comunità scientifico-filosofica settori di studio come la Space Ethics[9], l’Astrobioetica[10], la Geoetica[11] e la Filosofia della cosmologia[12]. Difatti, è oggi più che mai necessario, sia elaborare risposte a interrogativi urgenti (la governance dello spazio e delle sue risorse, ad esempio) sia anticipare possibili problemi che emergeranno se e quando avverrà il primo contatto con forme di vita extraterrestre. Ci sono, altresì, interrogativi sull’origine della vita, sui modelli tassonomici che usiamo per catalogarla, sulla natura del linguaggio e delle leggi fisiche, sull’universalità della biologia e sul rapporto tra fisica, chimica e biologia.

Per molti anni, sotto la spinta della Rivoluzione scientifica e il superamento della contrapposizione tra mondo sub-lunare e mondo-sovralunare vigente nel sistema aristotelico-tolemaico, si è ritenuto che l’essere umano e il pianeta che lo ospita non fossero eccezionali. Il cosiddetto principio copernicano (o principio di mediocrità) spodestava l’essere umano dal centro del cosmo e lo estrometteva dalla sua posizione privilegiata[13]: noi non siamo osservatori privilegiati e la Terra non è un luogo speciale. Questo apriva alla possibilità che i mondi abitati fossero molteplici e che la vita fosse un fenomeno cosmico[14]. Non sono mancate a tal proposito contrapposizioni più o meno radicali e idee tra loro inconciliabili che hanno visto protagonisti autori come Jaques Monod, Ernst Mayr, Christian De Duve e Paul Davies[15].

Da un lato, i sostenitori della vita come “imperativo cosmico”, dall’altro i sostenitori della teoria del Grande silenzio che, soprattutto nella forma dell’Ipotesi della terra rara[16], evidenziava che la vita, a fortiori la vita intelligente nelle sue forme più complesse, potrebbe essere un fenomeno raro, dati i numerosi vincoli necessari a vederla fiorire.

Oggi con la scoperta di oltre 5000 pianeti extrasolari le speranze di trovare tracce presenti o passate di vita sembra essersi riaccesa.

Tuttavia, a fare da contrappunto a questa speranza ci sono le immagini del suolo marziano che - oggetto di aspettative enormi da parte della comunità scientifica – ci hanno restituito uno scenario arido, in cui nessuna traccia evidente per ora di vita, anche in forme elementari è stata rivelata.

Di fronte a questi scenari, non sempre conciliabili sono molti gli interrogativi che esigono una risposta: saremo in grado di riconoscere forme di vita extraterrestre una volta che le avremo di fronte o saranno così diverse da risultare irriconoscibili? Nel caso tale scoperta dovesse avvenire, avremmo dei doveri diretti nei confronti degli ecosistemi e delle esobiosfere aliene? Chi deciderà quali principi dovranno guidare le future interazioni e quali criteri adottare? Se invece non dovesse mai avvenire tale contatto, la nostra importanza cosmica risulterebbe accresciuta? I nostri doveri nei confronti della nostra casa comune risulterebbero rinforzati? E ancora: abbiamo il dovere di tutelare il nostro pianeta in modo esclusivo o l’ipotesi di abbandonarlo per colonizzare nuovi corpi celesti non deve essere esclusa?

Il presente Dossier intende gettare luce su questi e altri interrogativi, nel solco di una riflessione che è ormai consolidata. La riflessione filosofica sull’astrofisica e l’astrobiologia, nelle sue varie articolazioni, costituisce un ambito di indagine che da alcuni anni prova a fornire risposte sulla natura e l’impatto delle nuove acquisizioni scientifiche, in termini etici, socio-politici ed epistemologici. Allo stesso tempo, apre anche a nuove domande e nuove sollecitazioni che devono essere esplorate in un’ottica di interscambio e proficua collaborazione.

P.A.  Giovanni Covone  L.L.S.


[1] Cfr. E.J. Thomas, Siamo soli nell’universo? Filosofia degli extraterrestri, Il Melangolo, Genova 2017.

[2] P. Szendy, Kant e gli extraterrestri. Cosmopolitica e vite interstellari, Luiss University Press, Roma 2023.

[3] I. Kant, Critica della ragione pura (1781), tr. it. Laterza, Roma-Bari 2005, p. 506.

[4] Id., Storia universale della natura e teoria dei cieli (1755), tr. it. Bulzoni, Roma 2009, p. 172.

[5] G. Caprara, Breve storia dello spazio. Avventure e scoperte di uomini e robot, Salani, Firenze 2021; R. Cantore, Dalla Terra alla luna. Rocco Petrone, l’Italiano dell’Apollo 11; Rubettino Editore, Catanzaro 2019.

[6] M.G. Andretta, Dalla Terra a Marte. L’affascinante avventura del Pianeta rosso, Carocci, Roma 2022.

[7] Cfr. G. Covone, Altre Terre. Viaggio alla scoperta dei pianeti extrasolari, HarperCollins, Milano 2023.

[8] A. Balbi, Dove sono tutti quanti? Un viaggio tra stelle e pianeti alla ricerca della vita, Rizzoli, Milano 2016.

[9] B.P. Green, Space Ethics, Rowman & Litterfield, Londra 2022.

[10] A. Octavio Chon-Torres, Astrobioethics, in «International Journal of Astrobiology», 17, 1, 2018, pp. 51-56.

[11] S. Peppoloni, G. Di Capua, Geoetica. Manifesto per un’etica della responsabilità verso la Terra, Donzelli, Roma 2021.

[12] K. Chamcham, J.Silk et al., The philosophy of cosmology, Cambridge University Press, Cambridge 2017.

[13] Cfr. C. Sharf, Il complesso di Copernico. Il nostro posto nell’universo (2014), tr. it. Codice Edizioni, Torino 2015.

[14] Cfr. P. Davies, Are we alone? Philosophical Implications of the discovery of extraterrestrial life, Basic Books, New York 1996.

[15] Si potrebbe affermare, in termini generali, e non senza qualche forzatura, che i biologi sono generalmente meno propensi, rispetto ai fisici, a ritenere che la vita sia un fenomeno diffuso nel cosmo. Probabilmente, la ragione di questa divergenza di fondo va ricercata nella maggiore attenzione dei biologi per i vincoli evoluzionistici necessari allo sviluppo della vita, dalle sue forme elementari a quelle più complesse, rispetto ai fisici che sottolineano, al contrario, maggiormente l’universalità delle leggi della fisica e di principi come quello di omogeneità e isonomia con riferimento all’evoluzione cosmica e, dunque, alla possibilità dell’emergere della vita (cfr. R.M. Hazen, Chance, necessity and the origins of life: a physical sciences perspective, in «Philosophical Transactions of the Royal Society», A375, 20160353, 2017, pp. 1-12; E. Morin, La sfida della complessità (2011), tr. it. Le Lettere, Firenze 2017; J. Beatty, Replaying Life’s Tape, in «The Journal of Philosophy», 103, 7, 2006, pp. 336-362; C. De Duve, Constraints on the Origin and Evolution of Life, in «American Philosophical Society», 142, 4, 1998, pp. 525-532; C. De Duve, Vital Dust. Life as a Cosmic Imperative, Basic Books, New York 1995; E. Mayr, C. Sagan, The search for extraterrestrial intelligence: scientific quest or hopeful folly?, in «The planetary report», 8, 3, 1996, pp. 4-13).

[16] Cfr. S. Webb, If the universe is teeming with aliens…where is everybody? Seventy-five solutions to the Fermi Paradox and the problem of extraterrestrial life, Springer, Berlin 2015; J.W. Halley, How likely is extraterrestrial life?, Springer, Berlin 2012.

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