Autore
- L’abitare come presupposto di senso
- Spazio
- Corpo
- Oggetti
- Atmosfera
- Genere
↓ download pdf
S&F_n. 32_2024
Abstract
Space, Body, Objects, Atmosphere, Gender. Notes on an Aesthetics of Dwelling
The appropriate question concerning the sense of space is, what is meant by the sense of dwelling? This article approaches a reading of the aesthetic-sensory relationship of dwelling in several circumscribed domains: space, the body, objects, atmospheres, and gender. A kind of miscellany that suggests new meanings concerning the contextualization of other shared, private, extemporaneous spaces. In the background of all types of spaces, what takes place within them lingers or takes on the role of an advocate.
- L’abitare come presupposto di senso
Le poche stanze che compongono il nostro appartamento danno tutte meno una, su un lungo corridoio: il quale da ultimo piega ad angolo retto e finisce in un piccolo vano celato da una tenda di velluto e contenente valige accatastate, vecchi lumi inservibili ed altri oggetti di scarto. Da un lato di questo ripostiglio s’apre l’uscio di una cameretta che veniva riserbata un tempo alla domestica, ma alla mia venuta qui fu allestita per mio uso, e la domestica relegata in cucina… La congerie d’oggetti che ingombra il ripostiglio ostruisce quasi, a somiglianza d’una barricata, l’accesso alla cameretta, di cui l’uscio può aprirsi soltanto a mezzo. E quest’uscio, e la tenda pesante del minuscolo vestibolo attutiscono alquanto ai miei orecchi i rumori delle altre stanze…In questa cameretta io ho consumato, quasi sepolta, la maggior parte del tempo che ho vissuto in questa casa[1].
Nell’apertura di Menzogna e sortilegio, Elsa Morante descrive minuziosamente i luoghi che la protagonista del romanzo, Elisa, ha vissuto e ancora vive durante le stagioni della sua vita. Sono luoghi che appartengono ad uno spazio preciso, ad una casa che rappresenta la svolta decisiva della sua crescita personale. Entrare nelle stanze, nei cassetti e negli angoli, significa per il lettore, avere la possibilità di entrare subito in connessione con un’intimità svelata solo a pochi eletti. La stanzetta che è contemporaneamente protezione e prigione riunisce numerosi elementi che denotano il senso primigenio dello spazio: quello dell’abitare. Il senso dello spazio si racchiude nella forma esistenziale di quest’ultimo e a questa potremmo aggiungere quella esperienziale.
Benedetto Croce, nel saggio: Di alcune difficoltà concernenti la storia artistica dell’architettura[2] illustra la questione fare architettonico includendo nella dimensione pratica, l’importanza dell’efficacia sentimentale[3] delle forme architettoniche. Ciò si pone alla base di un discorso di fondo a proposito del coinvolgimento spirituale e addirittura psicologico della produzione architettonica che non la esclude da un’attività teoretica ed estetica: «È noto che la prima estetica crociana considerava l’arte come una forma dello spirito autonoma, un’attività teoretica distinta dalla pratica. Tale distinzione, cui si richiamano spesso i critici di Croce per mostrare l’esistenza nel suo sistema di una “duplice verità”, è venuta modificandosi col trasformarsi del primo idealismo del sistema in storicismo»[4]. Come sottolinea De Fusco, Croce insiste, a proposito dell’architettura, sul suo duplice aspetto, non potendo difatti escludere dal fare spazio, il coinvolgimento sentimentale, inteso come empatico e percettivo: «Quel che preme è rivivere, per così dire, il sentimento architettonico originario: processo di riproduzione ideale, che è sempre possibile, posto che si abbia, insieme con la necessaria preparazione, spirito di simpatia. E resta inteso che bisogna guardarsi dal trasportare negli edifizi del passato le nostre fantasticherie, come ne ha dato più volte esempi non imitabili, e tuttavia limitati, il Ruskin»[5].
Le interpretazioni della teoria e critica dell’architettura rimangono infatti lontane da un sistema di cose che vorremmo illustrare a partire dall’importanza primaria del concetto di sentimento architettonico originario. Nel momento in cui, si tratta il senso dello spazio, occorre fare chiarezza sul concetto di abitare che preclude quello del luogo in cui farlo. Ribadendo l’importanza, in questa duplice interpretazione dell’architettura come fare spazio, del concetto di sentimento architettonico che si pone alla base sia dell’interpretazione dello spazio, sia del progettarlo; l’introduzione di Menzogna e sortilegio appare quanto mai appropriata per cogliere l’importanza dell’esperienza dello spazio, come matrice di senso e per approcciare a una sistematizzazione dell’abitare, inteso come processo conoscitivo e sensibile dello spazio.
Alla luce dei profondi cambiamenti della percezione e della configurazione dello spazio nell’epoca contemporanea, occorre soffermarsi sull’importanza del coinvolgimento sensibile che lo spazio ci induce a fare. Spazi pubblici, condivisi, privati, diffusi, virtuali convergono tutti su un primo fondamento che è quello dell’abitare, inteso come forma di esperienza. A questo proposito, sono da annoverare gli elementi che presuppongono tale esperienzialità e come il senso dello spazio apparirebbe più chiaro attraverso di essi.
Un primo elemento è proprio lo spazio, inteso come forma di vissuto estetico e vissuto sensibile; un secondo elemento imprescindibile a questo tipo di relazione è quello del corpo inteso come soggetto vivente; un terzo elemento sono gli oggetti che ci circondano e attraverso i quali praticando un’estetica del quotidiano riassumiamo nei nostri gesti un fare spazio attraverso questi ultimi; un quarto elemento sono le atmosfere, intese come ambienti da percepire e anche da progettare; infine un quinto elemento che crediamo sia proficuo inserire in una declinazione attuale che è quello del genere. Questo tipo di partizione ha a che fare con un timido approccio a ciò che vorremmo definire un’estetica dell’abitare, intesa come una ricerca continua del nostro rapporto con il senso dei luoghi e con i loro profondi significati.
- Spazio
I concetti di spazio, corpo, oggetto ritornano ciclicamente attraverso differenti periodi storici, convergendo tutti nella primigenia questione dell’esperienza: l’esperienza come relazione originaria[6] antecedente ad ogni sapere e ad ogni linguaggio, è anzitutto un’esperienza che prende corpo, qualcosa di coestensivo alla nostra corporeità[7].
Il primo significato dell’origine esperienziale sensibile è quindi da ricercare nell’etimologia e nella nascita della parola greca aìsthesis, il cui significato è riconducibile a: sensazione, percezione, sentimento. Attraverso l’etimologia del termine “estetica” possiamo comprendere perché vi sia una dimensione estetica dell’esperienza anteriore ad ogni autonomia dell’estetico[8]. In questo modo, la sfera esperenziale comprenderebbe la triade spazio-corpo-oggetto e in seguito, il mondo delle atmosfere e la questione di genere. Andiamo per ordine.
Lo spazio è il principio e la naturale conseguenza dell’abitare in quanto sfera predimensionale[9]. Le radici etimologiche latine habere e habitus ci ricorderebbero come quella dell’abitare sia un’attività che implichi il nostro coinvolgimento sensibile in qualità fruitori e di costruttori[10].
Nel primo capitolo di Dell’Abitare, Maurizio Vitta ci ricorda che l’abitare è un’esperienza estetica nella misura in cui essa appartiene alla dinamica quotidiana dell’esperire sensibile[11]. Sentire la realtà che ci circonda diventa in questo modo il punto zero che si antepone all’esperienza stessa[12]. L’abitare è una forma di vita e si riflette nell’immediato della nostra modalità dell’esperire attraverso il senso e la sostanza di umori simbolici[13].
È chiaro che col proposito di illustrare lo spazio nella sua sfera estetica, dovremmo specificarne la natura sensibile. In questo caso, tratteremo le qualità di uno spazio vissuto, inteso come spazio del mondo della vita e come spazio in quanto presenza proprio-corporea: Lo spazio della presenza proprio-corporea rientra essenzialmente nella mia esperienza proprio-corporea, perché esistere in forma proprio-corporea significa sentirsi in un certo ambiente[14]. A questo proposito, Böhme specifica che lo spazio proprio-corporeo appartiene alla sfera post fenomenologica in cui Hermann Schmitz definisce il valore dell’esperienza come imprescindibile[15].
L’azione, lo stato dell’anima e della percezione, diventano le tre sfere attraverso le quali la presenza proprio-corporea si va sviluppando. Lo spazio dell’azione sarà lo spazio del mio agire immediato, in cui attraverso la mia presenza proprio-corporea percepisco ciò che immediatamente è a portata di mano. Lo spazio del mio stato d’animo ricopre la mia sfera emotiva e nello stesso tempo mi aiuta a percepire emotivamente l’atmosfera che mi circonda. Infine, lo spazio della percezione riguarda la mia estensione, esso è lo spazio che si trova al di fuori di me[16].
Dopo aver illustrato il triplice modo della presenza è fondamentale sottolineare la corrispondenza fra lo spazio della presenza proprio-corporea e l’esistenza:
Lo spazio proprio-corporeo è in effetti ogni volta lo spazio in cui sono presente col mio corpo, ma è nel contempo l’estensione o la vastità della mia presenza come tale. Lo spazio dello stato d’animo è lo spazio che mi induce a una certa tonalità emotiva, ma nel contempo la forma estesa del mio stesso stato d’animo. Lo spazio dell’azione è lo spazio in cui posso agire, ma nel contempo lo spazio di gioco delle mie possibilità. Lo spazio della percezione è lo spazio in cui percepisco qualcosa, ma nel contempo l’ampliamento della mia partecipazione alle cose[17].
Un’esistenza quella dello spazio proprio-corporeo che si avvicina al concetto di vissuto, inteso come esperienza. È bene a questo punto, ricordare l’enorme tradizione che contraddistingue la metà del XX Secolo a partire dalla quale si costituisce una vera e propria cultura di un’estetica dell’abitare, a partire dai fondamenti dell’esperienza sensibile.
Il tipo di coinvolgimento sensibile e conseguentemente pratico dell’abitare ci mette difronte ad una summa di autori che trattano la coscienza del sé e l’affermazione dello spazio, attraverso la consapevolezza fisica e corporea. Questo significa che potremmo stilare una lista di teorici che trattano e hanno trattato negli ultimi 50 anni lo spazio da un punto di vista proprio-corporeo.
Di timbro esistenziale o psicopatologico che siano[18], gli spazi vissuti ricoprono il ruolo principale di un’estetica dell’abitare, facendosi promotori di un approccio empatico e percettivo della realtà che ci circonda. A questo proposito potremmo cominciare un percorso a partire dal dasein heideggeriano, inteso come vettore di conoscenza dell’essere in uno spazio e definire quest’intenzione esistenziale attraverso le congetture del costruire, abitare e pensare.
Approdando ad una consapevolezza corporea, intesa come linea di conoscenza, ciò che dobbiamo ritenere del corpo è lo schema che si offre per capire lo spazio. La figura emblematica del corpo vivente (lived body) si offre come chiave di lettura del mondo che ci circonda[19]. Al contesto fenomenologico dello spazio, si aggiunge la predisposizione di Gaston Bachelard ad utilizzare le immagini poetiche per illustrare la realtà delle cose. Bachelard, introduce le immagini della casa, della topoanalisi e del bien-être per introdurre un corpus d’immagini, come quello della casa, capace di delineare i dettami di un abitare sensibile[20]. In questo modo va sviluppandosi il rapporto corpo-spazio a partire dal quale si articolano i primi passi verso un’estetica dell’abitare.
A tracciare una breve parentesi, anch’essa fondamentale per il delinearsi di una cultura dell’esperienza dell’abitare, il testo di Steen Eiler Rasmussen Om at opleve Architektur[21] in cui architettura ed esperienza si trovano sullo stesso piano del sensibile e in cui i principali temi della predisposizione tecnica invadono la sfera fisica e viceversa.
La spazialità esistenziale inizia a trovare una serie di forme capaci di costruire un impianto molto più complesso di quello che voleva profilarsi. In Mensch und Raum[22], Otto Friederich Bollnow riesce a dare un’ingente risposta alla questione del rapporto esistenziale con lo spazio, sottolineando la presenza soggettiva della Stimmung, ma non abbracciandone interamente il significato: da un lato, infatti, saremmo catturati dalla Stimmung dello spazio esterno, dall’altro, però, sarebbe questo a essere “tinto” dalla nostra Stimmung soggettiva. A questo proposito avremo da obbiettare la questione di un soggetto che viene “tinto” da un’emozione esterna.
Riprendendo la questione neofenomenologica dello spazio proprio-corporeo, ci troviamo in una direzione opposta: l’esperienza vitale involontaria è quella che ci permette di comprendere la vita reale degli uomini[23] ed è in questo caso che possiamo ritrovarci con il carattere pre-esistenziale di cui abbiamo fatto riferimento precedentemente. Partendo dal presupposto che la giusta definizione del proprio-corporeo sia non del corpo fisico e tangibile ma il corpo che sentiamo, inteso come l’insieme di questi moti proprio-corporei: angoscia, dolore, godimento, fame, sete, disgusto, freschezza, stanchezza, rapimento, sentimentale[24].
Il sentire, in questo caso è la chiave di lettura dell’abitare, intesa come accesso del corpo-vivente alla realtà e per definire ancora meglio ulteriori passaggi della tradizione novecentesca, sarebbe d’uopo introdurre quel filone dell’architettura che ha introiettato la questione fenomenologica nella caratterizzazione dell’ambiente costruito.
A partire da Christian Norberg-Schulz[25] s’innestano una serie di presupposti tali da rendere decifrabile il senso originario dello spazio. Il cosiddetto genius loci rappresenta un salto in avanti rispetto alle condizioni progettuali del mondo tecnico. Ma chi nell’epoca contemporanea e attuale fa un enorme uso della questione pre-esistenziale e sensibile dell’esperienza spaziale, a proposito del mondo delle atmosfere sono, come vedremo, Juhani Pallasmaa e Peter Zumthor.
In effetti, il passaggio al mondo delle Atmosfere diventerà sempre più presente a partire dall’ultima decade degli anni Novanta, dichiarando un forte legame dell’architettura con la “riscoperta” della fenomenologia[26].
- Corpo
La nostra posizione nei riguardi di una ricerca sull’estetica dell’abitare implica la trattazione del corpo come nesso fra noi e lo spazio. A questo proposito, potremmo trattare due tipologie di corpo: 1) Il corpo merleau-pontiano inteso come mezzo attraverso il quale arrivare alla conoscenza della realtà soggettiva, 2) Il soma shusteriano, punto cardine della Somaestetica[27] disciplina intesa come pratica a partire dalla quale recepire un miglioramento della qualità delle nostre vite.
A questo proposito, l’introduzione del concetto di corpo nell’estetica dell’abitare è proficua nel momento in cui questo riassuma una serie di azioni di cui siamo naturalmente provvisti, ma anche quando esso può rivelarci un modo in cui abitare meglio. Studi come quelli della prossemica e della cinestesia affrontano l’abilità del corpo che si muove nello spazio e quanto lo spazio sia una prosecuzione del movimento.
Partendo dalla congiunzione che Merleau-Ponty introduce nel campo della filosofia occidentale attraverso i concetti basilari della fenomenologia, capiamo che il nesso del corpo con lo spazio è contestualizzato in un margine trascendentale. Il corpo per Merleau-Ponty è fonte di percezione e di azione, di conoscenza e di esperienza sensibili. Merleau-Ponty sviluppa la sua interpretazione distintiva del metodo della fenomenologia, informata dalla sua nuova familiarità con i manoscritti inediti di Husserl e dal suo profondo impegno con altri pensatori di questa tradizione, come Eugen Fink e Martin Heidegger.
La Fenomenologia della percezione attinge di nuovo ampiamente alla teoria della Gestalt e alla ricerca contemporanea in psicologia e neurologia. La prima delle tre grandi parti della Fenomenologia riguarda il corpo. Come abbiamo visto, la percezione trascende sé stessa verso un oggetto determinato "in sé", culminando in un'interpretazione oggettiva del corpo. La prima parte mostra i limiti di questo conto oggettivo e abbozza una comprensione alternativa del corpo attraverso una serie di domini, tra cui l'esperienza del proprio corpo, lo spazio vissuto, la sessualità e il linguaggio.
Mentre la relazione del corpo con il mondo serve come sfondo essenziale per l'esperienza di qualsiasi cosa particolare, il corpo stesso è sperimentato in modi che lo distinguono in natura da tutte le altre cose: è una parte permanente del campo percettivo, anche se non si può in linea di principio sperimentare tutto direttamente; ha "sensazioni doppie", come quando una mano tocca un'altra, che attuano una forma di riflessività; ha esperienze affettive che non sono solo rappresentazioni; e il suo senso cinestetico dei propri movimenti è dato direttamente:
Il possesso di un corpo comporta la facoltà di cambiare livello e di “comprendere” lo spazio, come il possesso della voce quella di cambiar tono. Il campo percettivo si raddrizza e alla fine dell’esperienza lo identifico senza concetti perché vivo in esso, perché mi porto per intero nel nuovo spettacolo e vi colloco, per così dire, il mio centro di gravità.[28]
La presa di coscienza del proprio corpo indica le misure attraverso le quali “sentiamo” le distanze e le misure del nostro spazio abitativo. Merleau-Ponty riesce a comparare la propria fisionomia a quelle della propria casa, sottolineando l’importanza del corpo come misura necessaria dell’esperienza vitale, di conseguenza abitativa.
Sulla conoscenza e auto-coscienza corporea si è lungamente soffermato Richard Shusterman, confermando la propria tesi contemporanea dell’esistenza della disciplina della Somaestetica:
La somaestetica può essere provvisoriamente lo studio critico, migliorativo dell'esperienza e dell'utilizzo del proprio corpo come sede di fruizione estetico-sensoriale (aisthesis) e di autonomia creativa. Essa, pertanto, si occupa di conoscenza, discorsi, pratiche e di discipline corporee che strutturano questa cura somatica o possono migliorarla. Se lasciamo da parte il tradizionale pregiudizio filosofico contro il corpo e ricordiamo semplicemente gli obiettivi centrali della filosofia di conoscenza, autoconoscenza, giusta azione, e la sua ricerca di una vita buona, allora il valore filosofico della sua estetica dovrebbe risultare chiaro sotto diversi aspetti.[29]
Durante gli anni Novanta, Shusterman introduce la Somaestetica non solo come una disciplina ma soprattutto come una pratica. Praticare il proprio corpo per migliorare la qualità della vita. Ed ancora, riuscire a sentire il proprio corpo vivente in sintonia con l’approccio sensibile della realtà. Ciò significa, che per Shusterman è fondamentale che il corpo esprima una propria autonomia nel mondo della conoscenza del vissuto e contestualmente ad una logica esperienziale. Ciò che manca alle teorie contemporanee del corpo a partire dal concetto di embodiment è la relazione fra la teoria e la pratica che fa sì che la Somaestetica si possa concepire come frutto di una filosofia pragmatica.
Alla luce della grave mancanza, nella maggior parte dei discorsi accademici sull'embodiment, di un chiaro orientamento pragmatico - qualcosa che l'individuo possa chiaramente impiegare o applicare alla propria vita in termini di discipline per migliorare la pratica somatica. Secondo Shusterman, la somaestetica integra il miglioramento della vita, tramite il miglioramento corporeo come risvolto produttivo e coerente.
A proposito di Merleau-Ponty, Shusterman si sofferma sulla condizione “silente” del corpo merleau-pontiano[30] sottolineando l’esigenza di rendere merito ad un corpo che è descritto da Merleau-Ponty come “zoppicante”. Secondo Shusterman, la debolezza del corpo merleau-pontiano vorrebbe mettere in risalto l’importanza filosofica, mettendo da parte una fisicità che invece appare essere fondamentale, soprattutto nella sfera dell’esperienza.
A partire dal modello esperienziale potremmo quindi trattare un corpo capace di abitare, in quanto soggetto di un’azione che fa riferimento all’esperienza sensibile e alla sua messa in pratica. Il risvolto pragmatico è allora un altro tassello del nostro excursus, in quanto motore attivo di una predisposizione propriocettiva nello spazio da riempire attraverso i nostri movimenti e le nostre sensazioni.
- Oggetti
Come sono gli oggetti dell’abitare? Come s’inseriscono in un’estetica dell’abitare Maurizio Vitta nell’elencare le differenti categorie che contraddistinguono gli oggetti nel mondo dell’Abitare descrive le varie stanze di una casa (camera da letto, bagno, cucina) e conseguentemente gli usi che facciamo di esse (igiene, salute, cucinare, nutrire) ma anche ciò che rappresentano (ritualità, devianza, ordine, disordine, stile)[31]. A partire dal concetto di collezione l’oggetto assume una propria identità, lasciando da parte la destinazione d’uso o la necessità come prime caratteristiche entrando a fare parte di un contesto di estetizzazione, un processo inteso come pratica quotidiana e sociale[32].
Dal punto di vista progettuale, l’oggetto assume un ruolo fondamentale nel mondo dell’arredamento. Non possiamo fare a meno di aprire una parentesi sull’importanza estetizzante che l’oggetto d’arredo guadagna dalla Rivoluzione Industriale in poi[33]. Storicamente, infatti, s’innesta in Inghilterra durante la Rivoluzione industriale (1760-1830), con cui avviene l’incontro fra le arti applicate e il moderno disegno industriale, che acquista un suo statuto. Il legame col passato e che radicalmente danno vita a una vera e propria disciplina, quella del design, che si afferma fra la fine degli anni Venti e l’inizio dei Trenta.
Partendo dai primi modelli dell’artigianato capaci di mettere in produzione un oggetto in serie e finendo al mondo del design contemporaneo, ad oggi l’oggetto s’introduce nel contesto dell’abitare come un continuum fra lo spazio, il corpo e l’oggetto stesso. La crisi dell’ornamento fa da apripista ad una nuova predisposizione che ridimensiona l’oggetto come parte integrante del progetto abitativo e non ne fa un elemento a sé. Con l’inizio del Movimento Moderno l’arredo comporta un ruolo fondamentale nella qualità estetica abitativa della casa.
L’architettura non riflette più unicamente nel dentro/fuori ma nell’assunzione totalizzante di oggetti che vivono e che vivificano la casa. L’arredo diventa una forma pregiudiziale dell’ambiente domestico, della sua vivibilità e di una sua propria esperienza sensibile.
Da un punto di vista contemporaneo, attraverso l’assunto del design, l’oggetto assume una connotazione storicamente identitaria e fenomenologicamente estetica, ci vuol dire che l’assunto teorico del progetto non l’unico punto di partenza per interpretare il prodotto industriale. La stratificazione semantica del design, infatti, si basa sulla storia dell’utilizzo di un oggetto piuttosto che di un altro. A questo proposito nascono una serie di termini come “handcraft”, “Kunstgewerbe”, “art décoratif”, che indicano ancora un’incertezza sospesa fra passato e presente[34]. Il design, in questo modo, diventa un ponte fra l’arte e la tecnica, spianando la strada a una vera e propria forma di cultura. Nel passaggio fra le arti applicate e il design e nell’implementazione estetica dello stesso, spesso viene lasciato in sospeso un trait d’union a nostro avviso fondamentale per un’analisi completa di questo processo: quello dell’artigianato. Esso riassume concretamente, già dai primordi, un primo approccio di esperienza sensibile con l’oggetto attraverso la semplice manualità, atto fondamentale sia nella lavorazione sia nell’utilizzo dell’oggetto stesso. Un coinvolgimento estetico egregiamente illustrato dalle teorie dell’handcraft o dell’handmade. Attraverso quest’ultimo approccio potremmo consolidare, di nuovo, il concetto di estetica dell’abitare anche attraverso il rapporto sensibile con gli elementi e con la materia, mettendo in rilievo il carattere pragmatico dell’esperienza dell’oggetto, sia nella dimensione progettuale che esperienziale.
- Atmosfere
Ad oggi il termine “Atmosfera” nel contesto filosofico estetico s’introduce attraverso una dicitura che si basa sui concetti classici di aura, stimmung, e genius loci.
Tonino Griffero, introduce il concetto di Atmosfera ampliando la visione del termine a partire da un contesto Neo-fenomenologico (E. Schmitz) sul quale già ci siamo soffermati. Volendo però approfondire il contesto del senso di spazio, è bene riprendere la questione delle Atmosfere, soprattutto nei contesti progettuali. A questo proposito due esempi a cui ricorrere sono sicuramente Juhani Pallasmaa e Peter Zumthor, che dalla metà degli anni Novanta hanno creato una vera e propria corrente di Fenomenologia dell’architettura a partire da una domanda fondamentale: si possono progettare le Atmosfere?
Tra le opere più note di Pallasmaa figurano The Eyes of the skin (1996) e Questions of perception: Phenomenology of Architecture (1994), scritto in collaborazione con Alberto Perez-Gomez e Steven Holl. L'interesse per il rapporto tra fenomenologia e architettura ha portato Pallasmaa ad avvicinarsi al mondo delle atmosfere, impresa che viene illustrata principalmente in The thinking hand: Existential and embodied wisdom in architecture (2009).
Gli ultimi sviluppi della sua teoria delle atmosfere nella progettazione architettonica possono essere riferiti a una sistematizzazione della dimensione preconscia dell'esperienza architettonica, in cui confluiscono i concetti di natura multisensoriale della percezione, di architettura come spazio della memoria e dell'immaginazione e, infine, di esperienza del corpo che si muove nello spazio. La relazione tra il concetto estetico di atmosfera e il mondo dell'architettura risiede per Pallasmaa nella concezione di una nuova Gestalt, intesa come forma di principio del progetto. Si tratta di una capacità che non può essere sottovalutata nella concezione di nuovi spazi da vivere e condividere. Pallasmaa usa però un tono polemico riferendosi al mondo dell'architettura e al suo uso del concetto di atmosfera: l'atmosfera, secondo gli architetti, sembra essere considerata come qualcosa di romantico e superficiale, un “divertissement”. Inoltre, la tradizione architettonica occidentale, con la sua inclinazione seriosa, si basa interamente sul concetto di architettura come oggetto materiale e geometrico, percepito da una visione centralizzata. Le immagini architettoniche classiche privilegiano la chiarezza piuttosto che la transitorietà e l'atmosfera.
Alla luce di queste considerazioni, potremmo anche citare il riconoscimento di Pallasmaa a Peter Zumthor, uno dei primi architetti contemporanei ad aver introdotto il concetto di atmosfera nella pratica architettonica. Secondo Zumthor, la riflessione sulle atmosfere non è mai disgiunta dal progetto architettonico. Insieme a elementi fondamentali come la luce, i materiali, i suoni, la rielaborazione dei ricordi, la memoria e le reminiscenze fanno parte di un sistema progettuale totalizzante. Il perno centrale è quello dell'emozione: L'architecture c'est pour émouvoir[35], e l'atmosfera si costituisce attraverso la memoria dei luoghi.
Zumthor nella conferenza tenuta al Wendlinghausen Castle nel 2003, illustra gli elementi attraverso i quali saper progettare le Atmosfere nell’architettura. Il primo elemento è una presenza materiale nell'opera architettonica, il corpo dell'architettura. Il secondo punto è l'assemblaggio degli elementi. L'architettura influisce sull'importanza sensoriale della nostra esperienza di essi, sulla consonanza dei materiali, cioè sulla creazione di un'armonia delle parti in cui pietra, legno e vetro fanno parte dello stesso disegno, con l'unica condizione di far vibrare l'architettura stessa. Il terzo aspetto è quello del suono dello spazio che si crea grazie al coinvolgimento armonico degli elementi, ma anche suscitato dalla memoria. Il quarto elemento è la temperatura dello spazio, il quinto gli oggetti che ci circondano. Il sesto punto è la proiezione tra calma e seduzione, il settimo è il rapporto dialettico tra interno ed esterno. L'ultimo elemento è il livello di intimità di uno spazio, un condensato di tutti i valori che abbiamo enumerato finora.
I modelli progettuali di Zumthor che potremmo illustrare a proposito del mondo delle Atmosfere sono molti, ma crediamo che i più significativi siano: il “Museo della Miniera Allmannajuvet” a Sauda, Norvegia e “The Vals Therme” in Svizzera. Entrambi gli spazi affrontano un rapporto primigenio con la natura che li accoglie, ma soprattutto attraverso la scelta dei materiali, Zumthor riesce a creare un’atmosfera adeguata alla forma di utilizzo. Nel Museo della Miniera di Allmannajuvet, lo zinco e i minatori ricoprono il ruolo principale del Museo, in cui vi è una significativa immersione all’interno nel mondo delle risorse minerarie e la facciata ricorda una torre di vedetta. Le Vals Therme, riecheggiano il soggetto principale che è l’acqua ma in tutte le sue forme e gradazioni, prevalentemente costruite in marmo, volutamente riprendono quel carattere proprio corporeo inteso dalla Nuova Fenomenologia. Il mondo delle Atmosfere nell’architettura è fondamentale se vogliamo ricorrere ad un’estetica dell’abitare, intesa come attività pre-dimensionale e pre-giudiziale.
- Genere
Abbiamo volutamente lasciato il genere alla fine del nostro discorso su un’estetica dell’abitare, perché ci siamo resi conto che rispetto agli ultimi sviluppi del fluid gender, o genere ibrido, occorre fare chiarezza anche (soprattutto) in un contesto di esperienza sensibile. Fino ad ora abbiamo messo in evidenza come poter approcciare allo spazio dal punto di vista sensibile, argomentare ad oggi l’abitare è di grande importanza, forse perché ci troviamo sempre di più difronte a scenari inaspettati. Gli spazi nomadi, gli spazi lisci, striati, fluidi[36] ci ricordano come l’etica post-moderna si muova attraverso nuovi binari e nuove strade. Nell’attualità delle coincidenze del post-umano[37], c’è da chiedersi come rispondere alla questione del sesso debole in materia di approccio sensibile? Come l’evocazione di un genere terzo sia proficuo nell’introdurre un’estetica dell’Abitare?
L’esperienza corporea del secondo genere ha delineato una serie di sfaccettature nel mondo Moderno, così come la Braidotti per le condizioni del post-umano. Introdurre le condizioni di un genere binario è forse la risposta alla questione dell’abitare. Essa-Esso conterrebbero tutti i valori per esperire senza nessun tipo di distinzione. Ciò significherebbe che nei progetti e nelle Scuole di Architettura, sarebbe d’obbligo, non solo introdurre la questione di genere nel campo tecnologico e nella sua storia ma anche, illustrare la questione binaria soprattutto nella prima fase del progetto, in cui la committenza appare al primo posto di considerazione. L’architettura dovrebbe porsi l’obiettivo di educare ad una committenza ibrida, intendere il progetto come predisposizione sensibile all’Abitare ma anche alla relazione con visioni future. Dovremmo imparare dai nostri antenati, dai Greci, dai Romani, dagli Indiani, dai Nativi Americani, che nei millenni hanno creato una solida base culturale che lentamente ci siamo dimenticati e che speriamo possa riaffiorare anche con l’aiuto di un nuovo modo di Abitare.
[1] E. Morante, Menzogna e sortilegio, Einaudi, 1° ed. 1948, Torino 2014, p. 16-17.
[2] B. Croce, Di alcune difficoltà concernenti la storia artistica dell’architettura in La storia delle arti figurative, Laterza, Bari 1946, pp. 76-84.
[3] Ibid., p. 82.
[4] R. De Fusco, L’idea di architettura. Storia della critica da Viollet-le-Duc a Persico, Edizioni di Comunità, Milano 1964, p. 218.
[5] B. Croce, op. cit., p. 84.
[6] F. Desideri fa riferimento alla nozione di esperienza come relazione originaria in M. Merleau-Ponty, Il visibile e l’invisibile (1964), tr. it. Bompiani, Milano 2003. (IV ed. riveduta)
[7] F. Desideri, Origini dell’estetico. Dalle emozioni al giudizio, Carocci, Roma 2019, p. 8.
[8] Ibid., p. 13.
[9] T. Griffero, Atmosferologia. Estetica degli spazi emozionali, Mimesis, Milano 2017.
[10] M. Heidegger, Abitare, Costruire, Pensare, in Saggi e Discorsi (1936), tr. it. Ugo Mursia Editore, Milano 2019, pp. 96-109.
[11] M. Vitta, Dell’abitare. Corpi, spazi, oggetti, immagini, Einaudi, Torino 2008, p. 17.
[12] J. Dewey, Art as experience, Balch & Co, New York 1934.
[13] M. Vitta, op. cit., p. 18.
[14] G. Böhme, Atmosfere, estasi, messe in scena. L'estetica come teoria generale della percezione (2001), tr. it. Marinotti, Milano 2010, p. 85.
[15] H. Schmitz, Nuova Fenomenologia, Un'introduzione (1980), tr. it. Marinotti, Milano 2011.
[16] G. Böhme, op. cit., pp. 90-92.
[17] Ibid., p.92.
[18] T. Griffero, op. cit., p. 208.
[19] M. Merleau–Ponty, Phénoménologie de la perception, Gallimard, Paris 1945.
[20] G. Bachelard, La poétique de l’espace, PUF, Paris 1957.
[21] S.E. Rasmussen, Architettura come esperienza (1964), tr., it. Pendragon, Bologna 2006.
[22] O.F. Bollnow, Mesch und Raum, Kohlhammer, Stuttgart 1963.
[23] H. Schmitz, op. cit., p. 27.
[24] Ibid., p. 55.
[25] C. Norberg - Schulz, Esistenza, Spazio e Architettura (1971), tr. it. Officina Edizioni, Roma 1975; Id., Genius Loci. Paesaggio Ambiente Architettura (1980), tr. it. Electa, Milano 1979.
[26] F. De Matteis, Vita nello spazio. Sull'esperienza affettiva dell'architettura, Mimesis, Milano 2019, p. 9.
[27] R. Shusterman, Pragmatist Aesthetics. Living beauty rethinking art, Rowman & Littlefield, Oxford 1992.
[28] M. Merleau-Ponty, La Fenomenologia della percezione (1945), tr. it. Bompiani, Milano 2003, p. 335.
[29] R. Shusterman, Estetica Pragmatista (1992), tr. it. Aesthetica Edizioni, Palermo 2010, p. 220.
[30] Id., Soggettività somatica e soggiogamento somatico. Simone de Beauvoir su genere e invecchiamento, in «Rivista di Estetica», 58, 2015, pp. 149–182.
[31] M. Vitta, op. cit.
[32] Sull’estetica del quotidiano: V. Y. Saito, Everyday Aesthetics, Oxford University Press, Oxford 2010.
[33] R. De Fusco, Storia del Design, Laterza, Bari 1984.
[34] R. De Fusco, Filosofia del Design, Einaudi, Torino 2012.
[35] J. Jenger, Le Corbusier. L’architecture pour émouvoir, Découvertes Gallimard, Paris 1993.
[36] G. Deleuze, F. Guattari, Millepiani (1980), tr. it. Orthotes, Napoli 2017.
[37] R. Braidotti, Posthuman, Polity, Cambridge 2013.