Abstract
Applied ethics as singular or plural? Disciplinary Pluralism and the Centrality of Science in the new Horizons of Bioethics
The accelerated scientific and technological advancements of the 20th and 21st centuries have, on the one hand, created a gap between Sapiens’ technical abilities and its moral psychology. On the other, it has offered our species unprecedented possibilities for hybridisation with the world outside. The need for a well-structured reflection on the ethical-philosophical aspects of the new scenarios was the driving force behind the transformation of Ethics. Toulmin, in a 1982 paper How medicine saved the life of Ethics, emphasised the key role that medicine played in giving new life to ethics and stimulating the birth of Bioethics, a kind of Applied Ethics at the center of a vast debate. In fact, to take up Toulmin’s expression and, in some ways, revive it, not only medicine, but the sciences of the biosciences as a whole, engineering in its various forms, information technology right up to the leading sectors of artificial intelligence and synthetic biology have fostered the emergence of new areas of reflection and the multiplication of applied ethics. Each area of applied ethics somehow claims its own autonomy, in terms of the elaboration of specific analytical tools, distinctive problems and specific skills that a scholar within that area should exhibit. Nonetheless, it is also clear that the common denominator between the various fields and the connecting elements that emerge in the differences and beyond them should not be overlooked. Faced with these scenarios, there are two main themes that the present Issue intends to focus on.1) To try to answer the question of whether disciplinary autonomy and pluralism in relation to Applied Ethics are the regulatory ideal to which we should adhere or rather (at least in some cases) an obstacle that prevents us from finding a more general framework for sectors of ethical reflection that often present points of contact and interconnected problems that it would be more effective to address by overcoming the hyper-specialisation that today seems to be the ultimate destiny (even) of the philosophical disciplines; 2) starting from the observation that in applied ethics the object of enquiry cannot be a mere Gegenstand (something that is in front of) but an active part of the process of reflection, a further question to be examined will be: what space in an ethics of science must scientific knowledge of reference occupy, in order to avoid making it the mere object of an external reflection?
Le verità scientifiche non si decidono a maggioranza.
Galileo
I danni dello scientismo? Forse. Ma quelli del “filosofismo”?
Jean Rostand
Forse l’etica è una scienza scomparsa dal mondo intero. Non fa niente, dovremo inventarla un’altra volta.
Jorge Luis Borges
1. Il rapido sviluppo tecno-scientifico del XX e XXI secolo da un lato ha generato un gap tra le capacità tecniche di sapiens e la sua psicologia morale[1]. Dall’altro, ha offerto alla nostra specie inedite possibilità di ibridazione con il mondo esterno. L’esigenza di una riflessione strutturata intorno agli aspetti etico-filosofici connessi ai nuovi scenari dischiusi dallo sviluppo tecno-scientifico ha costituito il volano per la trasformazione dell’Etica. Toulmin, in un paper del 1982 How medicine saved the life of Ethics, in tal senso, ha evidenziato il ruolo chiave che la medicina ebbe nel dare nuova vita all’Etica e, allo stesso tempo, impulso alla nascita della bioetica, una delle più note forme di etica applicata[2].
Di fatto, volendo riprendere l’espressione di Toulmin e, in qualche modo, rilanciarla, non solo la medicina ma le scienze del bìos nel loro complesso e alcuni dei settori di punta delle scienze coeve – l’ingegneria nelle sue varie articolazioni, le nanobiotecnologie, l’intelligenza artificiale, la biologia sintetica, etc. – hanno favorito l’emergere di nuovi ambiti di riflessione e, con essi, la moltiplicazione delle forme di etica applicata.
In tale contesto, ciascuna forma, in qualche modo, ha rivendicato una propria autonomia, nell’elaborazione di specifici strumenti di analisi, peculiari problemi e specifiche skills che uno studioso, all’interno di quell’ambito, dovrebbe esibire.
Nonostante ciò, con sempre maggior forza è venuta emergendo anche la necessità di non trascurare il comun denominatore tra i vari ambiti e gli elementi di raccordo tra di essi.
Di fronte a questi scenari, il Dossier ha provato a fornire alcune risposte. In particolare, ha cercato di individuare possibili linee di riflessione e orizzonti per lo sviluppo del dibattito, considerando se l’autonomia disciplinare e il pluralismo che caratterizzano le etiche applicate siano l’ideale regolativo al quale attenerci o piuttosto (almeno in alcuni casi) un ostacolo che ci impedisce di trovare un inquadramento più generale per aree tematiche che presentano numerosi punti di contatto, forse da affrontare superando l’ottica di iperspecializzazione che oggi sembra essere il destino ultimo (anche) delle discipline filosofiche; e – tema che attraversa come un fil rouge i vari interventi – ha provato a indicare una strada: dal momento che nelle etiche applicate l’oggetto di indagine non può essere un mero Gegenstand (qualcosa che sta di fronte) ma parte attiva del processo di riflessione, è fondamentale comprendere quale spazio in un’etica delle scienze e delle tecniche debba rivestire il sapere scientifico di riferimento, per evitare di farne il semplice oggetto di una riflessione esteriore.
2. Jonsen, in un noto articolo del 2000, Why has bioethics become so boring?[3], metteva in evidenza che, a seguito della fase di istituzionalizzazione tra gli anni Ottanta e Novanta, la bioetica avrebbe perso parte del suo mordente. Le battaglie contro il paternalismo medico e a favore del principio di autonomia avrebbero ceduto il passo a una bioetica protocollarista la cui facies visibile si esprimerebbe nei Comitati di bioetica, luoghi in cui la riflessione filosofica sarebbe compressa da esigenze pratiche che, benché legittime, metterebbero in secondo piano l’approfondimento teoretico e l’animus filosofico della disciplina (talvolta a vantaggio di istanze medico-legali e biogiuridiche).
Nello stesso articolo, Jonsen, tuttavia, segnalava anche nuove opportunità, legate all’attuale fase di evoluzione della disciplina, ossia che uscendo dal perimetro della filosofia nordamericana di ascendenza analitica e pragmatista e aprendosi ai nuovi contesti culturali europei (e non solo) essa potesse arricchirsi incorporando nuove istanze e nuovi strumenti di investigazione[4]. Dall’analisi di Jonsen sono ormai trascorsi oltre venti anni e potrebbe, pertanto, essere il momento di tracciare un bilancio critico. La questione può essere letta anche secondo altri punti di vista. Non solo che cosa è oggi la bioetica, e come si sia trasformata in questi anni, ma anche chi è il bioeticista, qual è la sua expertise. È qualcuno con una competenza filosofica, che legge i problemi etici all’interno delle scienze, oppure è uno scienziato che riflette sui problemi etici senza nessuna particolare competenza tecnica di tipo filosofico? Cosa fa dunque il bioeticista oggi? E dove opera? In accademia o all’interno di un laboratorio, fianco a fianco di chi manovra provette? Anche in questo si vede la pluralità dei modi di fare bioetica e delle strade che la disciplina ha preso o può potenzialmente intraprendere.
3. Frankena, uno dei maggiori Filosofi morali del ‘900, oltre ad aver proposto una delle classificazioni delle teorie morali più note e utilizzate (quella tra teorie teleologiche e deontologiche) ha offerto anche una rappresentazione, in seguito altrettanto seguita e utilizzata, delle maggiori aree di ricerca dell’Etica[5]. L’Etica sarebbe suddivisa, almeno, in un’area Normativa, un’area Metaetica e un’area, a sua volta molto articolata al suo interno, Applicata. A questa, sulla base delle indicazioni dello stesso Frankena, possiamo aggiungerne una quarta, l’Etica descrittiva.
Come alcuni autori hanno messo in evidenza, l’area descrittiva starebbe, sempre più, diventando appannaggio, della psicologia morale e delle neuroscienze della morale[6], che attraverso l’indagine empirica sarebbero in grado, almeno in parte, di fornire risposte che i filosofi morali hanno cercato via speculativa, senza ottenere risultati affidabili.
L’Etica normativa, che secondo alcuni si sarebbe avvitata in modelli contrappositivi senza via d’uscita (consequenzialismo vs. Teoria deontologica; Etiche della cura vs. Etiche di stampo consequenzialista e deontologico; tecno-pessimismo e tecno-entusiasmo), sarebbe oggi alla ricerca di nuovi modelli, nuovi linguaggi, nuove strategie argomentative che dovrebbero, pur nella conservazione critica dei precedenti modelli, analisi e strategie argomentative, rinnovare il repertorio e consentire di acquisire strumenti per affrontare in modo adeguato le sfide della contemporaneità.
La Metaetica, uscita dalle strettoie di un approccio eccessivamente improntato alla filosofia linguistica, che aveva caratterizzato, in particolare, la filosofia anglosassone di matrice analitica, è oggi aperta a confrontarsi con questioni stricto sensu di natura metafisica ed epistemologica, in tal modo, però, uscendo da una presunta autosufficienza della riflessione morale che sarebbe altro rispetto alla riflessione epistemologica e ontologica.
Infine, le etiche applicate, tra cui la bioetica, che avrebbero a disposizione tre differenti approcci, come suggerito da Francis Kamm[7]. Possono limitarsi ad applicare principi e regole a fattispecie particolari; possono applicare principi e regole a fattispecie particolari, essendo disposte a modificare tali principi e regole alla luce di specifici casi particolari; infine possono adottare un approccio bottom up che preveda l’elaborazione di principi e regole a partire dall’analisi di fattispecie particolari. Anche in questo caso, sembrerebbe, al di là dei nobili intenti, che spesso prevalga l’approccio 1 piuttosto che 2 e 3.
Di fronte a questo scenario, risulta necessaria una riflessione sull’opportunità che l’Etica non si trinceri dietro un’astensione giustificata, delegando in toto alle scienze empiriche le sue prerogative. In tal senso, pur non negando e anzi partendo dalla constatazione dell’importanza strategica dei dati scientifici per l’indagine morale, uno dei punti all’ordine del giorno dovrà essere di riguadagnare un percorso di presa in carico anche delle questioni che generalmente vengono poste sotto il cappello delle scienze empiriche (in particolare la psicologia morale e le neuroscienze della morale).
Bisogna provare a superare gli steccati tra i diversi modelli etici normativi evidenziando che ciascuno può fornire un contributo alla ricerca di principi e valori per guidare l’agire dell’essere umano contemporaneo, senza mai dimenticare la componente situazionale dello sforzo di elaborazione morale e dei principi che possono costituirne l’esito.
C’è poi bisogno di una reale apertura interdisciplinare che metta nelle condizioni le diverse discipline filosofiche di dialogare, per cui la riflessione metaetica può costituire uno dei banchi di prova di tale confronto.
Infine, le cosiddette etiche applicate, dovrebbero cessare di essere solo dei rivoli con pretese di autofondazione (o con l’abbandono di qualsiasi tentativo di darsi uno statuto chiaro e definito) e provare a convergere in un punto comune che, senza con questo voler ripristinare anacronistiche velleità sistematiche, dovrebbe restituire la ricchezza delle questioni e la realtà delle interconnessioni esistenti in re.
4. In questo la bioetica è posta di fronte a un bivio. Può decidere di seguire il binario dell’iperspecializzazione o può tentare di proporsi come disciplina di raccordo tra le diverse articolazioni dell’etica applicata, recuperando, per altro, almeno in parte, un elemento di auto-riflessione che era parte integrante dei primi sforzi di elaborazione, strutturatisi tra gli anni Sessanta e Settanta. Non stupisce che nel confronto con le diverse aree tematiche che si sviluppano all’interno della bioetica la lista di possibili bioetiche sembri prossima al collasso o all’implosione: bioetica clinica; bioetica delle relazioni; bioetica dell’inizio della vita umana; bioetica della fine della vita umana; bioetica della fase terminale; bioetica della ricerca e della sperimentazione; bioetica ed economia sanitaria; bioetica della qualità della cura; bioetica della terapia; bioetica della salute alimentare; bioetica e comportamenti a rischio; bioetica e comitati etici; bioetica della comunicazione; bioetica del multiculturalismo; bioetica del comunitarismo; bioetica del disagio; bioetica dei servizi; bioetica della terza età; bioetica dell’educazione; bioetica della formazione e addirittura biovolontariato. Quasi a dichiarare, ma senza decidersi, che la bioetica o è per tuttologi o per iperspecialisti. E che, in ogni caso, non è un sapere, ma un servizio.
S&F_ è nata precisamente per andare oltre tutto questo: non una rivista a supporto della bioetica, né tanto meno una rivista contro la bioetica. Le scienze pongono una sfida che il filosofo deve innanzi tutto accettare, per poi sottoporre a scrutinio critico e provare a fornire delle risposte.
Non possiamo non ricordare il padre spirituale della nostra rivista, troppo prematuramente scomparso, l’amico Pietro Greco che, con la sua tipica sobrietà e grazia, ci ammoniva quando nasceva S&F_: “molte domande della filosofia sono nascoste nelle risposte della scienza”.
P.A. L.L.S.
[1] I. Persson, J. Savulescu, Unfit for the future. The need for moral enhancement, OUP, Oxford 2012; Considerazioni simili possiamo rinvenirle in H. Jonas, Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica (1979), tr. it. Einaudi, Torino 2009.
[2] S. Toulmin, How Medicine saved the life of Ethics, in «Prospectives in Biology and Medicine», 25, 4, 1982, pp. 736-750.
[3] A. Jonsen, Why bioethics has become so boring?, in «The Journal of Medicine and Philosophy: A Forum for Bioethics and Philosophy of Medicine, Volume 25, Issue 6, 1 January 2000, Pages 689–699.
[4] Ibid.
[5] W. Frankena, Etica. Un’introduzione alla filosofia morale (1972), tr. it. Edizioni di comunità, Milano, 1996.
[6] G. Corbellini, E. Sirgiovanni, Tutta colpa del cervello. Un’introduzione alla neuroetica, Mondadori, Milano 2015; P. Donatelli, La filosofia e la vita etica, Einaudi, Torino 2020.
[7] F. Kamm, Morality and mortality, Vol. 1, Oxford University Press, Oxford 1998.