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Schema corporeo: tra Paul Schilder e Maurice Merleau-Ponty

Autore


Francesco Lamberti

Università degli Studi di Napoli Federico II

Ha conseguito la Laurea Magistrale in Filosofia presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II

Indice


  1. Introduzione
  2.  Immagine di sé e schema corporeo
  3. Lo schema corporeo nella fenomenologia di Merleau-Ponty

 

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S&F_n. 28_2022

Abstract


Body schema: between Paul Schilder and Maurice Merleau-Ponty

This article aims to investigate the theme of body schema in Paul Schilder’s work, The Image and appearance of human body, and Merlau-Ponty’s writings of 1940s. The choice of dealing with this topic is motivated by the importance of the notion for the comprehension of the embodied existence, essential field of study in both science and philosophy. Therefore, starting with a brief introduction to the topic and emphasizing the importance of some crucial studies in the development of the concept, the article analyzes subsequently some significant aspects of Schilder’s conception: unity, synesthesia, movement, driving and emotional elements in the structuring of the image. The second part is mainly focused on Merleau-Ponty’s Phenomenology of perception, in order to show how the French philosopher surpasses a mere psychological conception of the schema to reach a phenomenological one.

 

  1. Introduzione

Una delle caratteristiche fondamentali della nozione di schema corporeo è che essa non appartiene al dominio di un’unica disciplina, ma è stata oggetto, e lo è ancora, di studi e ricerche di diversi ambiti del sapere: neurologia, psicologia, pedagogia, filosofia ecc. La sua importanza risiede nel fatto che essa offre una rappresentazione del darsi dell’esistenza corporea.

Tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, la necessità di introdurre un nuovo modo di concepire il sentimento del proprio corpo nacque soprattutto dall’insufficienza che i modelli tradizionali dimostravano quando si trattava di comprendere quelle patologie che modificano la percezione del corpo proprio. Fu Pierre Bonnier (1861-1918), un medico francese, che utilizzò per primo l’espressione “schema corporeo”. Prima di lui, in ambito medico si faceva uso del concetto di cenestesi e con ciò si affermava l’idea secondo cui il senso generale del corpo proprio si originerebbe dalla somma di sensazioni e sollecitazioni interne ed esterne, subliminalmente e disgiuntamente operanti. Gli studi di Bonnier, invece, evidenziavano come il soggetto avesse il proprio corpo come un “senso di spazio” e come questo fosse causato da «tutte le parti della sensibilità, sia periferiche che centrali, che contribuiscono alla definizione dell'orientamento oggettivo e dell'orientamento soggettivo»[1]. Ciascun individuo è consapevole, più o meno distintamente, di occupare un luogo personale e lo schema corporeo non è altro che questo senso, dal quale deriva sia l’orientamento nello spazio oggettivo, che la localizzazione delle parti del corpo proprio.

Prima del 1935, anno di pubblicazione di Immagine di sé e schema corporeo di Paul Schilder, furono molti gli studi sul vissuto corporeo. Solo pochi studiosi però fecero uso dell’espressione “schema corporeo”. Arnold Pick (1851-1924), per esempio, sostenitore di una concezione del sentire corporeo come ciò che si istituirebbe nella relazione tra immagini mentali scaturite dalla percezione visiva del corpo e sensazioni tattili e cinestesiche, lo chiamerà “autopoagnosia”. Jean Lhermitte (1877-1959), invece, parlerà di “immagine corporea” e con essa intenderà una sintesi di percezioni (soprattutto visive) e rappresentazioni che si costruisce e modifica nel corso del tempo[2].

Punto di svolta importante nella trattazione del concetto furono gli studi di Henry Head e Gordon Holmes, due neurologi inglesi. In Sensory disturbances produces by lesionios of the cerebral cortex, essi ipotizzarono l’esistenza di un dispositivo cerebrale centrale che compara, relaziona e modella gli stimoli a cui il corpo è sottoposto. Gli stimoli “vecchi” sono integrati ai nuovi per mezzo di una misurazione preconscia. Così, «ogni nuova postura e movimento è registrata su questo schema plastico e l’attività della corteccia mette in relazione con esso ogni nuovo gruppo di sensazioni evocate dalla postura alterata»[3] . Questo processo dà vita a una molteplicità di schemi, perché gli stimoli registrati sono qualitativamente differenti. L’integrazione di essi costituisce una struttura in costante divenire che è la coscienza che abbiamo del nostro corpo.

 

  1. Immagine di sé e schema corporeo

L’opera di Paul Schilder costituisce un vero e proprio spartiacque negli studi sullo schema corporeo. Prima di lui, il sentire corporeo veniva ricondotto interamente alla sfera del fisiologico. Schilder fu il primo che, in maniera sistematica e dettagliata, mise in evidenza la rilevanza dei fattori psicologici e sociali nella costituzione e disgregazione dell’immagine corporea[4]. Se precedentemente infatti si cercava di comprendere disturbi come l’arto fantasma e la somatoagnosia considerandoli come meri effetti di danni alla struttura fisiologica del soggetto; con la descrizione di Schilder, ecco che anche fattori ambientali e comportamentali assunsero una certa rilevanza.

Il primo lavoro di Schilder sullo schema corporeo è da considerarsi Das Körperschema: Ein Beitrag Zur Lehre Vom Bewusstsein Des Eigenen Körpers del 1923, un piccolo manoscritto che anticipa alcuni dei temi che verranno trattati in maniera più ampia e sistematica in The Image and Appearance of the Human Body del 1935. La trattazione schilderiana fu particolarmente influenzata dagli studi di Wernicke su somatopsiche, autopsiche e allopsiche, e dalla psicobiologia di Adolf Meyer. Inoltre, grande importanza ebbero i risultati della psicologia della Gestalt, da cui Schilder recuperò la terminologia e alcuni concetti fondamentali. L’idea di Gestalt viene applicata da Schilder allo schema corporeo, ma, a differenza del tradizionale modo di considerare la forma, in Schilder essa non è una struttura statica, ma dinamica e in divenire. Questo perché l’essere al mondo del soggetto, il suo sentirsi corporeo al mondo, è caratterizzato dal continuo mutare e trasmutare, processo a cui partecipano tanto i mutamenti fisiologici quanto quelli psichici e sociali. Il modello posturale del corpo «è stabile solo per un breve tempo, poi cambia immediatamente», la stabilità «segna probabilmente solo una fase passeggera alla quale si può contrapporre la fase successiva»[5].

Nell’Introduzione al testo del ’35, Schilder fornisce una definizione, non priva di una certa oscurità, del concetto di schema corporeo. Con questa espressione si intenderebbe «il quadro mentale che ci facciamo del nostro corpo, vale a dire il modo in cui il corpo appare a noi stessi»[6]. Se si considera l’esperienza globale che ciascun individuo ha del proprio corpo, al di là delle molteplici sensazioni (impressioni tattili e visive, impressioni dolorose, sensazioni originate dalle deformazioni muscolari ecc.), si può constatare l’esperienza dell’esistenza di un’unità corporea. Essa però non è né semplicemente una percezione, perché di fatto comprende anche schemi e rappresentazioni mentali, né solamente un’immagine mentale, proprio a causa della sua natura percettiva. Tanto è vero che alla costruzione dell’immagine corporea partecipano sia strati corticali che puri processi psichici.

Come va considerata allora questa unità in cui fisico e psichico sono profondamente connessi? Schilder parla di carattere sinestesico dello schema corporeo. Il modello posturale non ci si prospetta come un insieme di parti, noi possediamo il nostro corpo come un tutt’uno; la divisione in parti (ad esempio, alla divisione dei caratteri tattili cinestesici da quelli visivi) è posteriore al sentire immediato che ne abbiamo. Più precisamente, è la sensazione in generale a essere sinestesica. Prima di ogni considerazione dell’apporto proveniente dai diversi sensi nella costituzione della percezione, vi è la percezione stessa, ed essa è l’apparire di un tutt’uno: «La sinestesia costituisce quindi la situazione normale, mentre la sensazione isolata è il prodotto di un’analisi»[7].

In questo contesto costituito da unità originarie, lo schema corporeo è ciò che permette che molte delle funzioni corporee, anche le più elementari, possano essere correttamente espletate. Tra esse la più rilevante è il movimento[8]. Esiste infatti un legame stretto tra percezione e movimento, ed esso è tale che il danno a una delle due sfere non può che compromettere anche l’altra. La conoscenza e la percezione «non sono prodotti di un atteggiamento passivo, ma vengono acquisite attraverso un processo estremamente attivo, a cui partecipa la motilità»[9]. L’implicazione è reciproca: se da una parte l’agire comporta un mutamento della funzione conoscitiva, dall’altra quest’ultima è all’origine del movimento, perché ogni percezione evoca una risposta motoria. La distinzione tra queste due sfere è quindi puramente artificiale perché nei fatti formano un tutt’uno.

Il movimento è possibile perché esiste un piano anticipatorio che comprende sia i diversi passaggi per portarlo a termine che lo scopo finale, un piano che tuttavia non si manifesta in rappresentazioni esplicite. Se allunghiamo la mano per afferrare qualcosa, nessuna o quasi delle fasi del movimento è presente alla nostra mente e non abbiamo una coscienza chiara neanche dell’obiettivo dello spostamento, perché il piano del movimento «viene dato come un embrione, una conoscenza psichica non sviluppata»[10]. Le immagini sono presenti alla psiche come Bewusstheiten primitive. In realtà, la coscienza chiara e distinta di immagini e rappresentazioni costituisce solo una piccola parte della vita psichica dell’uomo. Schilder ci tiene a sottolineare come in linea di massima «vi sono delle tendenze, sperimentiamo una direzione psichica, una corrente psichica, un’intenzione che va verso uno scopo»[11]. Dello scopo delle azioni abbiamo solo una conoscenza istintiva e le tendenze psichiche sono direzioni interne che costituiscono la relazione Io-mondo. La conoscenza del piano dell’azione implica però anche una coscienza-percezione del proprio corpo e dell’oggetto verso cui ci muoviamo. Questa coscienza è la consapevolezza, anch’essa non perfetta, di star agendo con il proprio corpo. L’inizio del movimento e la sua continuazione richiedono lo schema corporeo, che a sua volta implica la coscienza dell’orientamento spaziale generale del piano sul quale avviene l’azione. In secondo luogo, vi è una certa conoscenza delle qualità dell’oggetto. Noi siamo «sempre indirizzati verso oggetti che ci vengono offerti sia con le qualità visive che con quelle tattili o acustiche; tali qualità possono essere date da percezioni o da immagini potenzialmente a disposizione»[12]. Fissato il target, l’azione deve adeguarsi a esso, cosa che richiede necessariamente una conoscenza. Ed è anche per questo motivo che ad esempio le agnosie, disturbando il corretto riconoscimento dell’oggetto, rendono l’azione imprecisa.

Un’altra caratteristica fondamentale dello schema corporeo schilderiano è l’importanza che in esso riveste il fattore visivo e rappresentazionale. Lo psicoanalista austriaco, infatti, considera il corpo proprio, dal punto di vista visivo, non dissimile dagli altri oggetti della percezione. Non solo ciascun individuo se lo rappresenta come tale, ma anche la percezione tattile si adegua a tale visione. Essa imposta «un punto di osservazione mentale di fronte e di fuori di noi e ci osserviamo come osserveremmo un estraneo»[13].

La trattazione di Schilder, come si è anticipato, non considera lo schema come prodotto di fattori puramente organici. Anche l’elemento pulsionale ed emozionale ha un ruolo determinante nella sua costituzione. La libido, concetto che lo psicoanalista austriaco recupera dalla trattazione freudiana, ha un ruolo centrale, tanto che si può affermare che l’immagine corporea è tenuta insieme dalla libido. Essa investe l’immagine incessantemente e, nel suo tendere al soddisfacimento, produce lo scontro continuo dello schema con il mondo esterno. La libido narcisistica, cioè quella che investe il soggetto, ha proprio lo schema come oggetto, e quindi ai diversi stadi di organizzazione della libido individuati da Freud corrispondono diversi modi di percepire il proprio corpo.

Il modello posturale subisce inoltre gli influssi di aspirazioni, intenzioni ed emozioni del soggetto. Situazioni emotive possono modificare la chiarezza delle diverse parti dello schema, stati angosciosi possono indebolirlo o addirittura frantumarlo.

Le tensioni che si generano negli organi sessuali e sulla superficie corporea forzano l’individuo a toccare, soprattutto con le mani, particolari punti della superficie corporea. Per Schilder, questo contatto è la base della conoscenza che abbiamo del nostro corpo. Quest’ultima però si sviluppa anche nella relazione con l’altro, soprattutto nell’essere toccati. Il contatto con gli altri e il loro interesse per il nostro corpo, che può manifestarsi attraverso azioni, atteggiamenti, parole ecc., contribuisce alla costruzione dell’immagine. La costruzione dell’immagine corporea comincia durante l’infanzia. In questo periodo, il bambino può far proprie sezioni del corpo altrui e assumere nella sua personalità l’atteggiamento che gli altri hanno verso le parti del proprio corpo. C’una connessione tra i modelli posturali, ciascuno fa propria l’immagine corporea altrui, o in parte o interamente (identificazione). Appare evidente allora come, oltre a fattori fisiologici e psicologici, anche il mondo sociale entri nella costruzione dello schema corporeo. Essa è «fondata non soltanto sulla storia singola in un individuo, ma anche sui suoi rapporti con gli altri»[14].

Il mutamento incessante dello schema non ha solo, per così dire, momenti costruttivi, ma anche distruttivi. La stabilità dell’immagine è solo momentanea e, afferma Schilder, anche se nella vita psichica vi è una tendenza a formare un’unità che integri tutti i diversi fattori, essa non può che essere continuamente trascinata via da mutamenti che riguardano tutte le sfere dell’esistenza del soggetto. In tutto questo demolire e costruire, la pars construens è il sottofondo irriducibile della vita umana, in un processo in cui la distruzione «è una fase parziale della costruzione, che è un progetto e la caratteristica generale della vita»[15].

 

  1. Lo schema corporeo nella fenomenologia di Merleau-Ponty

Il tema dello schema corporeo ha un ruolo centrale nell’opera di Merleau-Ponty, soprattutto negli scritti degli anni ’40. In modo particolare, è in Fenomenologia della percezione (1945) che Merleau-Ponty perviene a una esposizione articolata di tale concetto. Ciò perché la Fenomenologia tematizza esplicitamente il darsi corporeo dell’esistenza umana e l’esperienza corporea come luogo della nascita del senso.

Il primo elemento fondamentale riconosciuto nella descrizione dello schema è la percezione indivisa che ciascun individuo possiede del proprio corpo. Il corpo, infatti, non viene percepito come un insieme di parti giustapposte nello spazio, ma come un tutt’uno; le sezioni del corpo non sono sentite come le une accanto alle altre, ma come implicate l’una nell’altra. Una concezione che ricorda la sinestesia schilderiana, ma con una differenza. Se in Schilder una sezione corporea è comunque ancora un’estensione geometrica composta di elementi aggregati tra loro ma omogenei (elemento che emerge soprattutto nell’analisi schilderiana dell’allochiria[16]), in Merleau-Ponty, invece, sentire una parte del corpo non ha nulla a che fare con l’avvertire un insieme di punti. La mano è una struttura organizzata, non un mosaico di valori spaziali. Il corpo è allora possesso indiviso, unità che precede ogni analisi e lo schema è da concepirsi non come un prodotto della cenestesi, ma come la sua legge di costituzione. Esso è l’unità spaziale, temporale e senso-motoria del nostro corpo, è la «presa di coscienza globale della mia postura nel mondo intersensoriale, una “forma” nel senso Gestaltpsychologie»[17]. La forma non è semplicemente il tutto anteriore alle parti, ma riguarda il darsi stesso dell’esistenza. Lo schema, infatti, non ingloba in sé solamente ciò che è realmente parte del nostro corpo, integra invece tutto ciò che ha un valore per i progetti dell’organismo.

La natura dello schema corporeo diventa comprensibile se si tiene conto del fatto che, secondo il Merleau-Ponty della Fenomenologia, la riduzione fenomenologica[18] scopre un soggetto originariamente immerso in un mondo non posto da lui, ma «lì prima di ogni analisi che io possa farne»[19]. In altre parole, se da una parte il mondo si dà perché uno spirito lo costituisce, dall’altra la coscienza non è costituente. La coscienza non è mai una soggettività pura e il mondo non è mai un in-sé. Il fondamento risiede nella relazione Io-mondo, in un soggetto votato al mondo, una datità situazionale storicamente e praticamente situata. L’essere situato della coscienza consiste, dunque, nella sua corporeità e nel senso che in relazione a essa assume il mondo fenomenico.

Nel rapporto Io-mondo, il corpo proprio non è concepibile come un mero oggetto, è «riserva di potenza vaga sui quali si staccano il gesto e il suo scopo»[20], è apertura del mondo e condizione dell’apparire di tutto ciò che si staglia dinanzi al soggetto. Se infatti si considera l’esperienza che ne abbiamo, il corpo proprio manifesta delle caratteristiche che non troviamo negli altri oggetti della percezione[21]. Esso è sempre presente alla percezione, non è possibile abbandonarlo per poi ritrovarlo in un secondo momento. L’ambiente percettivo lo comprende sempre e quello, mostrandoci sempre lo stesso angolo, permette di avere una prospettiva sul mondo[22]. In generale, affinché si possa avere un punto di vista su qualcosa «è anzitutto necessario che il mio corpo me ne imponga uno sul mondo»[23].

Il concetto di schema corporeo, quindi, non riguarda solo la percezione del proprio corpo, ma anche il protendere del soggetto verso un mondo di significati. Il loro prospettarsi è di fatto ciò che permette diverse funzioni, tra cui soprattutto la motricità, ma in un senso diverso dal modo in cui la concepisce Schilder. In prima istanza è da evidenziarsi come la capacità di darsi mondi del soggetto non sia il frutto di un atto volontario, ma di una funzione impersonale, un inconscio corporeo che procede indipendentemente da ciò che si sceglie di fare o essere. L’organismo «esplica al di sotto della mia vita personale, la funzione di un complesso innato»[24], una dimensione a cui appartengono non solo i significati specie-specifici, ma anche gli elementi del nostro agire abituale.

Secondariamente, bisogna distinguere tra due tipologie di movimento: movimenti abituali o concreti e movimenti astratti. Ora, presupponendo che «ogni movimento ha uno sfondo, e che il movimento e il suo sfondo sono “momenti in una totalità unica”»[25], il movimento concreto è rivolto verso una situazione esterna che lo suggerisce, a uno sfondo che è fornito dal mondo stesso. Lo sfondo, in generale, non è semplicemente una rappresentazione associata esteriormente al movimento, ma è ciò che lo sostiene e anima in ogni momento. Per cui, dato che io posseggo il mio corpo «come potenza di un certo numero di azioni familiari, posso quindi installarmi nel mio mondo circostante come insieme di manipulanda»[26]. Le azioni abituali sono progetti stabiliti che la ripetizione ha inscritto nel nostro inconscio corporeo e che il mondo, come sfondo del nostro agire, ci suggerisce attraverso manipulanda, cioè poli dell’azione. Il sarto, per utilizzare gli strumenti del suo lavoro, non ha bisogno di cercarli con la mano, sono gli oggetti stessi, nel loro apparire significativo, che lo mobilitano al lavoro consueto. Così la somma dei poli dell’azione forniti dall’inconscio corporeo costituisce una situazione che richiede una certa opera conosciuta. Lo schema, in questo contesto, va pensato come un sistema di riferimento in base al quale l’azione in un ambiente è pianificata a livello preriflessivo[27].

Il movimento astratto al contrario presuppone la capacità del soggetto di creare uno spazio dell’agire totalmente artificiale attraverso una funzione di organizzazione del mondo secondo i propri progetti. Ciò equivale a essere in grado di proiettare direzioni, frontiere e linee di forza. È la capacità di darsi mondi al di là dei compiti a cui si è polarizzati dal mondo.

Il movimento, e in generale la significazione, dipende dalla funzione simbolica, che consiste essenzialmente «nel centrare una pluralità di esperienze su un medesimo nucleo intelligibile, nel far apparire in esse una unità identificabile sotto diverse prospettive»[28]. L’elemento fondamentale della descrizione merleau-pontiana di questa funzione risiede nell’”avviluppamento” che in essa si determina tra materia e forma. La funzione simbolica, infatti, se da una parte va oltre i contenuti della visione, dall’altra può costituirsi solo sulla base di essi. Nel mondo in cui il soggetto è immerso, i significati si danno avviluppati agli oggetti che si manifestano, tra materia e forma sussiste una relazione di Fundierung in cui la strutturazione del mondo da parte della soggettività non è data una volta per tutte, ma si determina nell’atto stesso del vedere, nel contatto con la fatticità. Nel Fundierung il darsi simbolico della realtà è continuamente arricchito dall’esperienza passata. C’è una sedimentazione di pensieri: concetti, esperienze, giudizi passati modificano l’apparire delle cose presenti. Tra passato e presente però vi è un rapporto scambievole: da una parte il pensiero dispone di queste sedimentazioni, dall’altra esse sono modificate dal pensiero. La sedimentazione è quindi implicita all’essere-nel-mondo, il passato struttura il presente in un processo incessante, è come se fosse incastrato in esso[29].

Il momento della sedimentazione e quello della spontaneità vanno a costituire l’essenza stessa della coscienza. Essa non è altro che quella «di darsi uno o più mondi, cioè di far essere di fronte a sé stessa i propri pensieri come delle cose»[30]. La funzione della coscienza si esplica nel dipanarsi di un arco intenzionale, concetto che Merleau-Ponty utilizza per chiarire il meccanismo di proiezione significativo. L’arco è «un vettore che, come un riflettore, si muove in tutte le direzioni e mediante il quale possiamo orientarci verso qualsiasi cosa, in noi o fuori di noi, e avere un comportamento nei confronti di questo oggetto»[31]. La proiezione è originaria, si determina prima di ogni comprensione intellettuale, e riguarda il nostro passato e il nostro futuro, la nostra situazione fisica, ideologica e morale, i nostri pensieri e pregiudizi; in una parola, la nostra vita. L’arco intenzionale ha sede nel corpo e quindi è il corpo che proietta i significati assegnando a essi un luogo e facendoli essere come cose.

Infine, come in Schilder, anche in Merleau-Ponty lo schema corporeo nell’adulto è il frutto di un processo di sviluppo progressivo. Durante i primi mesi di vita, nella cosiddetta fase di precomunicazione[32], il soggetto non percepisce sé stesso come distinto dall’altro, «le intenzioni dell'altro agiscono in qualche modo attraverso il mio corpo e le mie intenzioni agiscono attraverso il corpo dell'altro»[33]. L’io di questa fase non conosce sé stesso come singolare, acquisizione che si produrrà gradualmente, attraverso una progressiva presa di coscienza del proprio corpo e di ciò che lo distingue dall’altro[34]. Sarà il contatto con l’altro, il diventare coscienti del fatto che vi è una psiche che anima l’altro ad affinare la strutturazione dello schema corporeo. Più precisamente, i due processi sono successivi e complementari: l’uno suscita l’altro in un rapporto che si sviluppa «secondo una intima legge d'equilibrio e come per auto-organizzazione»[35]. Guardare l’altro, toccare l’altro, ma anche prendere coscienza della natura riflessiva dell’immagine del proprio corpo allo specchio sono tutti momenti di un processo globale di sviluppo di un sistema «in cui i diversi aspetti introcettivi ed estrocettivi si esprimono reciprocamente, e che comporta anche delle relazioni almeno in parte abbozzate con lo spazio circostante e le sue direzioni principali»[36].

 

[1] P. Bonnier, Asomatognosia P. Bonnier. L’aschématie. Revue Neurol 1905; 13:605-9, in «Epilepsy & Behavior», 16, 2009, pp. 401-403, p. 401 (trad. mia).

[2] N. Lalli, Dallo schema corporeo all'immagine corporea: la complessità del vissuto corporeo, in Lo spazio della mente – Saggi di psicosomatico, a cura di N. Lalli, Liguori Editore, Napoli 1997, pp. 1-13, p. 3.

[3] H. Head, G. Holmes, Sensory disturbances produces by lesionios of the cerebral cortex, in «Brain», 34, 1911, pp. 102-254, p. 187 (trad. mia).

[4] Come si legge in S. Gallagher, Body Image and Body Schema: A Conceptual Clarification, in «The Journal of Mind and Behavior», 4, 1986, pp. 541-554, p. 542: «Schilder chiama questa rappresentazione imagine corporea o schema corporeo» (trad. mia). In Schilder questi due termini sono utilizzati quasi come sinonimi. Questa scelta non è condivisa dagli studiosi contemporanei, per i quali lo schema corporeo è sostanzialmente inconsapevole, mentre l’immagine corporea è presente alla coscienza. Per approfondire si veda anche Y. Ataria, S. Tanaka, S. Gallagher, Introduction, in Body schema and body image: new directions, a cura di Y. Ataria, S. Tanaka, S. Gallagher, Oxford University Press, Oxford 2021, pp. XIII-XXIX.

[5] P. Schilder, Immagine di sé e schema corporeo (1935), tr. it. PGreco Edizioni, Milano 2019, p 228.

[6] Ibid., p. 35.

[7] Ibid., pp. 66-67.

[8] Sulla centralità della questione del movimento in Schilder e in Merleau-Ponty si veda S. Kristensen, Merleau-Ponty: Körperschema und leibliche Subjektivität, in Leiblichkeit. Geschichte und Aktualität eines Konzepts, a cura di E. Alloa, T. Bedorf, C. Grüny, T. N. Klass, Mohr Siebeck, UTB GmbH, Tubinga 2012, pp. 23-36.

[9] P. Schilder, op. cit., p. 88.

[10] Ibid., p. 80.

[11] Ibid.

[12] Ibid., p. 82.

[13] Ibid., p. 115.

[14] Ibid., p. 175.

[15] Ibid., p. 231.

[16] Ibid., pp. 101-106.

[17] M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione (1945), tr. it. Bompiani, Firenze-Milano 2003, p. 153.

[18] Per approfondire la questione della riduzione fenomenologica in Merleau-Ponty, anche in relazione alla teorizzazione husserliana, potrebbe essere utile consultare C. Pollard, What is Original in Merleau‑Ponty’s View of the Phenomenological Reduction?, in «Human studies», 41, 2018, pp. 395-413.

[19] M. Merleau-Ponty, op. cit., p. 18.

[20] Ibid., p. 154.

[21] Più nello specifico, il concetto merleau-pontiano di corpo-soggetto rigetta non solo il materialismo, ma anche il dualismo mente-corpo e l’idealismo. Su questo tema: S. Priest, Merleau-Ponty’s concept of the body-subject, in «Nursing Philosophy», 1, 2000, pp. 173-174.

[22] J. L. Bermudez, Four Theses about Self-Consciousness, and Bodily Experience: Descartes, Kant, Locke, and Merleau-Ponty, in «Journal of the American Philosophical Association», 6, 2020, pp. 96-116, p. 102.

[23] M. Merleau-Ponty, op. cit., p. 37.

[24] Ibid., p. 133.

[25] Ibid., p. 165.

[26] Ibid., p. 159.

[27] A. Carusi, Merleau-Ponty and the Measuring Body, in «Theory, Culture & Society», 35, 2017, pp. 45-70, p. 54.

[28] Merleau-Ponty, op. cit., p. 176.

[29] E. S. Casey, Habitual body and memory in Merleau-Ponty, in «Man and World», 17, 1984, pp. 279-297, p. 285.

[30] M. Merleau-Ponty, op. cit., p. 185.

[31] Ibid., p. 191.

[32] Terminologia che Merleau-Ponty recupera da Max Scheler.

[33] M. Merleau-Ponty, Il bambino e gli altri (1949), tr. it. Armando Editore, Roma 1975, p. 82.

[34] Per approfondire l’aspetto intersoggettivo della vita del bambino in Merleau-Ponty: R. M. Friedman, The child psychology of Maurice Merleau-Ponty, in «The Psychoanalytic Review», 3, 1975, pp. 469-480.

[35] M. Merleau-Ponty, Il bambino e gli altri, cit., p. 94.

[36] Ibid., p. 88.

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