S&F_scienzaefilosofia.it

Robotica e filosofia della scienza

Autore


Edoardo Datteri

Università degli studi di Milano

insegna Filosofia della Scienza presso l’Università degli studi di Milano

Indice


  1. Introduzione
  2. Scienza e robotica
  3. Dalla robotica alla filosofia della scienza generale
  4. Dalla filosofia alla robotica delle scienze particolari
  5. Riflessioni conclusive: dalla filosofia alla robotica

download pdf

 

S&F_n. 27_2022

Abstract


Robotics and Philosophy of Science

What relationship holds between robotics and philosophy of science? Can robotics research contribute to research in philosophy of science? Conversely, can the results achieved by philosophers of science contribute to the progress of research in robotics? This article will deal with both questions based on the distinction between the so-called philosophy of general science and the philosophy of the particular sciences. It will draw relatively pessimistic conclusions about the possibility that robotics research shed light on questions pertaining to the philosophy of general science, and more optimistic conclusions about the potential contribution of robotics research to the philosophy of particular sciences. The normative aspect of philosophy of science is consistent with the possibility that this field of research, taking robotics as its object of study, provides guidelines and regulative methodological principles for engineers and roboticists. Through these considerations, this article attempts to explore a possible field of interaction between philosophy and scientific-technological research, with reference to a discipline that is assuming an increasingly predominant role in many aspects of daily life.

  1. Introduzione

Quale relazione intercorre tra robotica e filosofia della scienza? La storia della robotica, le sue tecnologie, le sue applicazioni possono fornire stimoli o contributi importanti a chi si occupa di ricerca in filosofia della scienza? Viceversa, i risultati di ricerca raggiunti dalla filosofia della scienza possono contribuire al progresso della ricerca in robotica, nelle sue varie articolazioni? Questo lavoro è dedicato all’analisi delle possibili relazioni tra questi due campi di indagine, così apparentemente distanti tra di loro, e prende le mosse dalla constatazione dell’effettiva sussistenza di un fitto dibattito tra ricercatori delle due discipline, che si articola nella letteratura accademica e nei convegni internazionali di ambo le parti. Vuole dunque contribuire a esplorare un particolare fronte di possibile interazione tra la filosofia e la ricerca scientifico-tecnologica, in riferimento a un campo del sapere che sta assumendo un ruolo sempre più preponderante in molti aspetti della vita, anche quotidiana.

Filosofia e robotica interagiscono già da lunga data a molti livelli. Le applicazioni contemporanee o futuribili delle tecnologie robotiche a supporto delle persone sollevano problemi di carattere etico e sociale di grande importanza e urgenza[1]. Questi problemi trovano una collocazione naturale nell’ambito della filosofia morale, nella misura in cui riguardano il problema di capire (e di capire come poter capire) se sia giusto o sbagliato, rispetto ai rischi e ai benefici che possono portare e in riferimento a certe cornici valoriali, applicare le tecnologie robotiche in particolari contesti di azione umana. Tuttavia, come più volte sottolineato anche nel lavoro appena citato, la filosofia della scienza svolge un ruolo importante nell’analisi di questi problemi. Per chiederci se sia giusto o sbagliato applicare le tecnologie robotiche (o certi robot) a particolari contesti d’uso è necessario comprendere le caratteristiche, i limiti e le potenzialità di tali tecnologie, ovvero formulare dei modelli teorici di tali tecnologie (o sistemi), e valutarli alla luce degli impieghi a cui sono destinate. Ecco il legame con la filosofia della scienza: essa analizza i processi che sottendono la nostra comprensione teorica della realtà, occupandosi naturalmente anche degli oggetti creati da mani umane. Per esempio, nella comunità filosofica e robotica si dibatte sull’opportunità di investire nella ricerca sui babysitter robotici, oggetti che siano in grado non soltanto di affiancare, ma anche di sostituire esseri umani nell’accudimento e nell’intrattenimento dei bambini[2]. Un argomento al centro del dibattito riguarda la possibilità che i robot umanoidi, soprattutto quelli dotati di morfologia, cosmetica e capacità di interazione sociale avanzate, possano indurre i bambini e gli adulti ad attribuire ai robot facoltà mentali ed emotive che essi non possiedono, sopravvalutandone dunque le capacità di assistenza e sottovalutando le conseguenze negative che tale “inganno” potrebbe avere sullo sviluppo del bambino. Per dirimere tale questione è opportuno chiederci quali facoltà mentali ed emotive tali robot abbiano effettivamente, e quali facoltà mentali ed emotive i bambini attribuiscano loro sulla base della loro interazione con essi (e se questi due piani coincidano o meno). È dunque opportuno chiederci se le teorie che i bambini formulano a proposito dei robot coinvolgano delle genuine attribuzioni mentali ed emotive a tali oggetti, e se esse coincidano con le facoltà mentali ed emotive che è lecito attribuire ai robot sulla base delle nostre migliori teorie a proposito di essi[3]. Ciò significa approfondire i metodi e le caratteristiche dei processi di teorizzazione sui robot intrapresi dai bambini, inevitabilmente chiamando in causa problemi centrali nella filosofia della scienza, tra cui quelli legati alla razionalità della teorizzazione cognitiva, al rapporto tra mente e materia, al realismo scientifico.

Queste considerazioni avevano lo scopo di sollecitare il lettore a riflettere sull’importanza che la filosofia della scienza riveste nell’analisi di problemi di carattere etico e socio-politico riguardanti la robotica. L’obiettivo di queste pagine, anticipato in apertura, è però quello di esplorare i rapporti che la robotica intrattiene, per così dire direttamente, con la filosofia della scienza. Per preparare il terreno a tale discussione è opportuno mettere a fuoco gli obiettivi di questa disciplina. Un utile aiuto proviene da Introduzione storica alla filosofia della scienza scritta da John Losee. Un primo senso di «filosofia della scienza», secondo Losee, attribuisce a tale disciplina l’obiettivo di formulare «concezioni del mondo coerenti, e in qualche modo basate su importanti teorie scientifiche; in questo caso il compito del filosofo della scienza è quello di elaborare le più ampie implicazioni della scienza»[4]. Un secondo punto di vista interpreta la filosofia della scienza «come una esposizione dei presupposti accolti dai singoli scienziati»[5] dove la parola “singoli”, qui enfatizzata, avvicina la filosofia della scienza alla psicologia o alla sociologia. In base a un terzo punto di vista, il filosofo della scienza analizza e chiarisce le teorie scientifiche (per esempio, offrendone un’esposizione sistematizzata o divulgativa).

A questi tre compiti si dedicano, talvolta con successo, vari filosofi della scienza del panorama italiano e internazionale. Qui, tuttavia, si assumerà un punto di vista che non coincide con nessuna di queste possibilità. È il quarto punto di vista presentato da Losee, che qualifica la filosofia della scienza come una disciplina di secondo ordine il cui oggetto di studio è quella complessa macchina che chiamiamo “scienza”. La filosofia della scienza tenta di capire “come funziona” la scienza, analizzando la validità delle sue metodologie d’indagine, il significato dei suoi concetti fondamentali (tra cui i concetti di teoria, legge, spiegazione, comprensione, e il concetto stesso di scienza come contrapposta a ciò che scienza non è), le assunzioni che guidano l’interpretazione dei suoi risultati. Il suo compito non è dunque quello di presentare le implicazioni della scienza, di studiare cosa accade nella mente di singoli scienziati, di sistematizzare i risultati della ricerca scientifica, bensì quello di “entrare dentro” la scienza analizzandone le fondamenta e i metodi di analisi. La prospettiva del filosofo della scienza è prevalentemente normativa: «si deve fare una distinzione tra come la scienza è e come si può pensare che la scienza dovrebbe essere», sottolinea ancora Losee[6], ed è su questo ultimo piano di indagine che generalmente si muovono i filosofi della scienza.

Questo testo rifletterà sulle possibili interazioni tra filosofia della scienza e robotica nell’una e nell’altra direzione, ovvero – come anticipato in apertura – nei termini dei contributi che la robotica può offrire alla filosofia della scienza e dei contributi che la filosofia della scienza può offrire alla robotica. Si baserà sulla distinzione, generalmente accettata nella comunità di ricerca, tra la cosiddetta filosofia della scienza generale e la filosofia delle scienze particolari. Trarrà conclusioni relativamente pessimistiche rispetto alla possibilità che la ricerca in robotica illumini questioni di filosofia della scienza generale, e conclusioni più ottimistiche rispetto alla possibilità che la ricerca in robotica sollevi questioni interessanti che riguardano la filosofia delle scienze particolari, nonché la possibilità che la filosofia della scienza fornisca criteri guida normativi a chi si occupa di robotica.

Per non appesantire il flusso del discorso, in questo testo si utilizzerà il genere linguistico maschile interpretandolo però come neutro: l’espressione “filosofo della scienza”, per esempio, sarà usata per denotare una persona che si occupa di filosofia della scienza senza alcuna assunzione specifica sul suo genere.

 

  1. Scienza e robotica

Dato che l’oggetto di studio della filosofia della scienza è il “funzionamento” della scienza, per riflettere sulle possibilità di interazione tra filosofia della scienza e robotica è opportuno interrogarsi sull’intersezione tra ricerca scientifica e ricerca robotica. Un punto di vista largamente diffuso considera scienza e robotica come tipi sostanzialmente distinti di ricerca. La robotica sarebbe una disciplina ingegneristica, il cui obiettivo è quello di progettare e realizzare sistemi robotici che possano assistere o sostituire gli esseri umani in particolari compiti; mentre la ricerca scientifica, nelle sue varie articolazioni, si porrebbe obiettivi conoscitivi e non costruttivi. In base a questo punto di vista è difficile comprendere in che senso la filosofia della scienza possa interessarsi alla robotica – dato che la filosofia della scienza, come discusso nel paragrafo precedente, ha per suo oggetto di ricerca la scienza.

Questo è un punto di vista largamente discutibile. Da una parte, anche se assumiamo che la ricerca scientifica abbia finalità ultime di tipo conoscitivo, esplicativo o predittivo, l’idea che essa coinvolga momenti realizzativi, per esempio finalizzati alla costruzione e all’uso di strumenti sperimentali, è ormai largamente diffusa tra scienziati, filosofi e storici della scienza[7]. All’analisi del ruolo epistemico e della validità degli strumenti sperimentali, anche alla luce della moltitudine di teorie su cui essi sono costruiti, è stata dedicata una gran parte della ricerca in filosofia della scienza soprattutto a partire dalla metà del secolo scorso[8]. Comprendere il funzionamento della scienza significa dunque, anche, occuparsi dei processi ingegneristici che permettono alla scienza di assolvere al suo compito (nella misura in cui l’analisi di questi processi permette di studiare la validità degli strumenti costruiti). Torneremo su questo punto tra poche righe, sottolineando come anche i robot possano costituire strumenti di ricerca scientifica.

Dall’altra parte, anche se assumiamo che la ricerca in robotica abbia finalità ultime di tipo realizzativo, essa riposa sui prodotti conoscitivi della scienza e coinvolge fasi di teorizzazione scientifica. In primo luogo, in robotica – più genericamente, in ingegneria – le teorie scientifiche svolgono una funzione abilitante: la progettazione di un robot chiama in causa una moltitudine di teorie, da quelle fisiche necessarie alla progettazione delle componenti elettroniche e meccaniche a quelle psicologiche necessarie alla progettazione di un’efficace interazione con gli esseri umani (nel caso dei robot cosiddetti sociali). La fiducia nel fatto che i robot costruiti si comporteranno come previsto nei vari contesti d’uso passa anche attraverso l’accettazione, più o meno esplicita, delle teorie che sono state chiamate in causa per costruirli. In secondo luogo, la ricerca in robotica coinvolge essa stessa fasi di teorizzazione scientifica. Durante il processo realizzativo, i prototipi di robot vengono sottoposti a numerosi controlli sperimentali che possono essere intesi come processi di indagine scientifica del tutto analoghi a quelli tipicamente svolti dagli scienziati[9]. Il comportamento del robot viene indagato in particolari ambienti sperimentali controllati e sotto l’azione di particolari stimoli. L’esito di questi esperimenti è tutt’altro che ovvio e noto a priori persino per chi ha partecipato più direttamente alla costruzione del robot: anche i meccanismi più elementari, in condizioni realistiche, manifestano comportamenti praticamente imprevedibili persino a chi ne conosce molto bene la struttura interna[10]. Queste considerazioni ci spingono a ricostruire il processo di progettazione e costruzione di un sistema robotico come un processo che coinvolge la formulazione di teorie sull’oggetto costruito, teorie che vengono progressivamente sottoposte a controllo sperimentale e man mano riviste.

Vi è un ulteriore, importante terreno di intersezione tra ricerca robotica e ricerca scientifica. I sistemi robotici vengono spesso usati, essi stessi, come strumenti di indagine scientifica. In molti casi vengono utilizzati come modelli di sistema vivente. L’uso dei modelli è pervasivo nella scienza: per valutare un’ipotesi teorica a proposito di un certo sistema (vivente o meno), si studia il comportamento di un suo modello, che in tale circostanza svolge la funzione di surrogato per l’indagine scientifica[11]. Naturalmente, questa idea riposa sull’assunzione che il modello possegga le caratteristiche necessarie per poter essere utilizzato in tal modo, altrimenti lo sperimentatore non avrà buone ragioni per accettare le conclusioni teoriche raggiunte; capire quando questa assunzione possa dirsi soddisfatta è un compito arduo per i filosofi della scienza che si occupano del ruolo dei modelli nella ricerca scientifica[12]. In robotica – più specificamente, in un’area della robotica chiamata biorobotica – succede esattamente questo, e il modello è un robot[13].

Esistono due varianti di questa idea di metodo[14]. Nella prima, il robot viene utilizzato come strumento per prevedere come si comporterà, o come si sarebbe comportato, il sistema oggetto di studio in circostanze particolari. L’uso è del tutto analogo all’uso delle simulazioni al calcolatore per ricavare delle previsioni del tempo. Il modello robotico, inteso in questo caso come strumento predittivo, è particolarmente utile quando il sistema oggetto di studio è inaccessibile per motivi di carattere pratico o teorico. Questo è il caso di alcuni studi in cui un modello robotico è stato utilizzato per studiare il comportamento che alcune specie animali estinte avrebbero prodotto in certe circostanze. Il robot, in questi casi, è stato costruito tenendo in considerazione l’analisi di reperti fossili[15].

Nella seconda variante di questa idea di metodo, il robot viene utilizzato non per prevedere il comportamento di un certo sistema vivente, ma per studiare il meccanismo che lo produce. La distinzione che può essere tenuta in mente per comprendere il senso di questa differenza di metodo è quella tra previsione e spiegazione di un certo comportamento. Questa idea di metodo ha una lunga storia: come ha mostrato in modo approfondito il filosofo della scienza italiano Roberto Cordeschi[16], essa affonda le sue radici almeno nei primi decenni del XX secolo, per poi sbocciare ed essere ampiamente percorsa durante la cibernetica degli anni ’40 e l’Intelligenza Artificiale dei padri fondatori Allen Newell e Herbert Simon[17]. Oggi è spesso adottata in biorobotica. Per scoprire il meccanismo che permette a un certo sistema vivente di produrre certi aspetti del suo comportamento, si ipotizza un meccanismo potenzialmente esplicativo; si implementa quel meccanismo in un robot; se il robot è in grado di riprodurre gli aspetti del comportamento in esame, si può essere indotti ad accettare l’ipotesi che il meccanismo realizzato nella macchina sia anche quello che governa il sistema vivente in esame. Altrimenti, l’ipotesi può essere scartata.

Infine, in certe aree di ricerca empirica – psicologica ed etologica – i robot vengono utilizzati come strumenti scientifici in un senso un po’ diverso da quello predittivo ed esplicativo illustrato finora. In queste aree, i robot a volte non vengono considerati surrogati (in altre parole, sostituti) del sistema in esame. Piuttosto, essi vengono fatti interagire con il sistema in esame. Sulla base dell’analisi delle reazioni che quest’ultimo produce in risposta agli stimoli impartiti dal robot, si traggono conclusioni teoriche su di esso[18]. Per esempio, analizzando il comportamento che certi tipi di pesce producono in risposta alla presenza e all’interazione con un robot che riproduce l’aspetto e il comportamento di un predatore, gli sperimentatori traggono conclusioni sulle relazioni preda-predatore in particolari ecosistemi[19]. Il ruolo del robot, in questi casi, non è dunque quello di sostituirsi al sistema in esame come oggetto su cui viene effettuata la sperimentazione (come nel caso predittivo ed esplicativo discusso poco sopra), bensì quello di stimolare il sistema in esame in modo controllato, prevedibile e ripetibile.

Ricapitoliamo. Questo paragrafo ha discusso l’intersezione tra ricerca scientifica e ricerca robotica, sottolineando che

  • la ricerca scientifica coinvolge processi di tipo costruttivo (soprattutto legati alla realizzazione degli strumenti sperimentali).
  • La progettazione e la costruzione di un robot
    1. riposano su teorie scientifiche “abilitanti”,
    2. coinvolgono processi di teorizzazione sul comportamento del robot stesso.
  • I robot possono costituire strumenti di indagine scientifica,
    1. come modelli o surrogati (sostituti) del sistema in esame, su cui lo sperimentatore svolge esperimenti per trarre conclusioni predittive o esplicative a proposito di esso, oppure
    2. come strumenti che impartiscono stimoli controllati, prevedibili e ripetibili al sistema in esame.

Riportiamo queste considerazioni all’analisi dei rapporti tra robotica e filosofia della scienza. La robotica può costituire oggetto di studio per la filosofia della scienza? Queste considerazioni suggeriscono una risposta positiva, almeno in relazione ad alcuni dei punti appena riassunti. Il tema (1) è già da molti decenni oggetto di studio della filosofia della scienza, ma esso non riguarda la robotica in modo specifico. Il tema (2a) solleva riflessioni di filosofia della scienza anch’esse però esterne alla robotica e relative alle discipline (fisiche, psicologiche, e così via) che forniscono la base abilitante per la ricerca in robotica. Il tema (2b) è invece oggetto di potenziale interesse per i filosofi della scienza, perché riguarda la struttura dei processi di indagine scientifica che hanno per oggetto un robot. Il tema (3), nei suoi due sottopunti, è decisamente oggetto di potenziale interesse per la filosofia della scienza e, sotto un certo aspetto, ricade nell’ambito del punto (1), poiché il robot svolge in quei casi il ruolo di strumento sperimentale. L’indagine verte, in questo caso, sull’analisi della validità di tali strumenti: in che misura, e sotto quali assunzioni ausiliarie, è lecito trarre conclusioni sul sistema oggetto di studio, per esempio un essere vivente, sulla base dell’osservazione del comportamento di un suo modello meccanico? Sotto quali assunzioni ausiliarie le stimolazioni impartite dal robot (punto 3b) possono somigliare alle stimolazioni che il sistema vivente in esame riceve nel suo ecosistema naturale, e cosa ciò comporta rispetto all’uso del robot come strumento per indagare il suo comportamento in tale ecosistema?

 

  1. Dalla robotica alla filosofia della scienza generale

La distinzione tra filosofia della scienza generale e filosofia delle scienze particolari è largamente accettata dalla comunità di ricerca come descrittivamente adeguata, almeno a un certo livello di astrazione e di semplificazione. Una fetta della comunità di ricerca si occupa di questioni di filosofia della scienza che sono intese riguardare trasversalmente qualsiasi ambito (o moltissimi ambiti) di ricerca scientifica. Un esempio è legato allo studio del concetto di “modello scientifico”, che abbiamo richiamato nel paragrafo precedente. Cosa rende un certo oggetto concreto o astratto (per esempio, robot) modello di un altro sistema (per esempio, di un pesce)?[20] Chi ritiene che il significato inteso di questo termine non vari significativamente tra le varie discipline scientifiche – per esempio, che i fisici utilizzino modelli scientifici di sistema fisico e i biologi utilizzino modelli scientifici di sistema biologico nello stesso senso di “modello scientifico” – porrà la questione appena introdotta come una questione di filosofia della scienza generale. Un’altra parte della comunità di ricerca si occupa di questioni di filosofia della scienza che sorgono nell’ambito di particolari discipline scientifiche. Per esempio, nell’ambito delle neuroscienze cognitive, è piuttosto comune svolgere le cosiddette inferenze inverse: dal fatto che, in un dato individuo, una certa area cerebrale si attiva durante un certo compito, si inferisce il fatto che tale individuo in quel momento stia attivando un certo modulo o processo cognitivo.

Alcuni filosofi della scienza hanno indagato la legittimità di tali inferenze, legittimità minacciata dal fatto che ogni area cerebrale si attiva in concomitanza con l'attivarsi di molti processi cognitivi). In termini più precisi, si sono chiesti quali assunzioni ulteriori è necessario inserire tra le sue premesse perché la conclusione ne segua logicamente, e se queste premesse possano essere accettate. Dato che questo tipo di inferenza sorge specificamente nella ricerca neuroscientifica e cognitiva, il problema di indagarne i limiti di validità è un problema di filosofia delle scienze particolari[21].

Su queste basi, entriamo nel vivo della questione affrontata in questo lavoro prendendo le mosse dal ramo che potremmo etichettare “dalla robotica alla filosofia della scienza”, chiedendoci anzitutto se la ricerca in robotica possa contribuire alla ricerca in filosofia della scienza generale. Vi sono buone ragioni per dubitare che dalla robotica possano arrivare contributi significativi in tal senso. Uno dei motivi, forse non l’unico, è piuttosto ovvio: la filosofia della scienza generale, proprio per sua natura, produce tesi filosofiche in larga misura trasversali rispetto alle specifiche discipline. Anche qualora tali tesi filosofiche trovino esemplificazione in qualche ambito della robotica, tale esemplificazione fornirebbe un supporto limitato e non decisivo alla validità della tesi, proprio perché essa, in quanto generale, non “parla” né robotica né di particolari discipline scientifiche.

Tentativi in tal senso sono comunque stati compiuti. Cosa siano la mente e le emozioni, e che rapporto esse intrattengano con la materia, sono questioni che, pur avendo versanti empirici, stanno al centro della riflessione filosofica da secoli e possono essere inquadrate come questioni ontologiche (come questioni sul rapporto tra mente e materia in quanto “cose”) e di filosofia della scienza propriamente detta (in quanto questioni sul rapporto tra teorie psicologiche e teorie fisiche o biologiche). Luisa Damiano e Paul Dumouchel, in un testo che discute alcune questioni filosofiche sollevate dalla robotica sociale, sostengono che gli sviluppi in questa area di indagine possono dare un contributo significativo allo sviluppo di nuove prospettive filosofiche sulla natura della mente e delle emozioni. La robotica sociale, secondo loro, «non si limita a prendere posizione nel dibattito sulla natura della mente, ma ne trasforma i termini»[22]. Il comportamento dei robot sociali attuali o futuribili, oppure la possibilità di certe dinamiche di interazione tra robot ed esseri umani (in cui, per esempio, gli umani empatizzano con i robot e questi ultimi reagiscono in modo appropriato alle reazioni umane nei loro confronti), forniscono, secondo Damiano e Dumouchel, buoni motivi per ritenere che «la mente si delinei non più come una macchina computante più o meno (dis-)incorporata, ma come una struttura di interconnessione – una rete cognitiva socialmente distribuita»[23]. Lo sviluppo della robotica sociale suggerirebbe che la mente debba essere concepita come una «relazione tra agenti epistemici»[24].

Non valutiamo la plausibilità delle tesi ontologiche proposte dai due autori. Ci concentriamo invece su una questione a monte: in che senso il comportamento di un robot, o il dispiegarsi di una particolare dinamica di interazione umani-robot, possono fornire buone ragioni per sostenere particolari tesi ontologiche sulla natura della mente e delle emozioni? Il comportamento dei robot richiede una spiegazione, che fa necessariamente riferimento a certi enti teorici, appartenenti magari al dominio della mente e delle emozioni. Ma non è chiaro in che senso quelle spiegazioni implichino l’adozione di particolari tesi ontologiche sulla natura degli enti di cui esse “parlano”. Per esempio, Dumouchel e Damiano sostengono che una buona interazione tra robot ed esseri umani può essere spiegata soltanto assumendo che si verifichino particolari relazioni mentali e affettive tra i soggetti in gioco. Ma la scelta ontologica in merito a come interpretare le nozioni di “mente” e di “affetto”, in questa cornice teorica, è a monte e sotto-determinata dal successo di queste spiegazioni. Si può dire che lo stesso vale, naturalmente, in quella che consideriamo interpretazione classica delle scienze cognitive. L’attribuzione di una mente alle macchine, per esempio, è in linea di principio compatibile con molte posizioni ontologiche sulla natura della mente – con posizioni dualistiche, con posizioni funzionalistiche che affermano identità di occorrenza tra stati mentali e stati fisici, e persino, con alcuni accorgimenti, con posizioni ispirate all’identità di tipo.

Che considerazioni possiamo trarre, dall’analisi di questo esempio, a proposito del rapporto tra robotica e filosofia della scienza generale? La ricerca in robotica fa, per così dire, il suo mestiere: attraverso processi conoscitivi e realizzativi, mira alla progettazione e costruzione di sistemi robotici adatti agli scopi per cui sono stati pensati. Qualsiasi affermazione secondo cui gli sviluppi della robotica contemporanea suggeriscono posizioni filosofiche di ampio respiro è da intendersi, al massimo, in senso metaforico: tutt’al più si può avanzare l’ipotesi secondo cui gli sviluppi della robotica contemporanea sono compatibili con, o sono particolarmente comprensibili alla luce di, certe posizioni filosofiche di ampio respiro – per esempio dell’idea che la mente sia una relazione tra agenti epistemici (qualunque cosa questa espressione indichi). Forse – spogliato dalla sua veste metaforica – è questo il senso in cui devono essere interpretate le affermazioni di Damiano e Dumouchel. Anche in questo senso, tuttavia, il sostegno fornito dalla robotica sociale alle tesi appena discusse è del tutto marginale. La plausibilità di una tesi ontologica di ampio respiro non può essere difesa soltanto mostrando che essa è compatibile con quanto si fa in certi particolari ambiti di indagine: è necessario un percorso argomentativo molto più complicato, che include, senza esaurirsi con, il mostrare che le tesi alternative non sono compatibili con quanto si fa in quel dominio di indagine.

 

  1. Dalla robotica alla filosofia delle scienze particolari

Filosofi della scienza sono anche coloro che affrontano questioni di filosofia delle scienze particolari nel senso che abbiamo sopra descritto. In merito a questo tipo di analisi filosofica sosterremo una posizione più ottimistica rispetto a quella suggerita nella sezione precedente. La possibilità che i filosofi della scienza, occupandosi di robotica, affrontino temi di interesse filosofico riguardanti i fondamenti di particolari discipline scientifiche è aperta e percorsa da molti ricercatori. I tipi di analisi filosofica che possono sorgere in questo ambito includono i seguenti.

In primo luogo, è pertinenza dei filosofi della scienza la ricostruzione razionale dei metodi che sorgono in quest’area di indagine e l’analisi della loro validità. Pensiamo agli usi predittivi ed esplicativi dei modelli robotici discussi nel paragrafo 2: lo sperimentatore osserva il comportamento di un modello robotico di animale in particolari condizioni sperimentali, e trae conclusioni teoriche in merito al comportamento che tale animale produrrebbe nelle stesse condizioni (negli studi predittivi) o sul meccanismo che produce tale comportamento (studi esplicativi). Questi processi di inferenza, dal comportamento del robot al comportamento del sistema vivente in esame (o al suo meccanismo interno), devono essere giustificati. Quali assunzioni ulteriori dobbiamo accettare per saltare da premesse a conclusioni? Dobbiamo assumere che il robot sia un buon modello del sistema vivente in esame? In questo caso, cosa intendiamo per “buon modello”? Negli studi esplicativi, si conclude che il meccanismo alla base del comportamento dell’animale è simile a quello che governa il robot: simile in che senso, e a che livello di approssimazione, idealizzazione, semplificazione? Queste domande sono state occasionalmente affrontate nella letteratura filosofica.

In secondo luogo, la robotica può essere di interesse per la filosofia delle scienze particolari perché solleva varianti di questioni filosofiche più generali scarsamente affrontate in letteratura. Per esempio, un problema di filosofia della scienza molto dibattuto almeno da circa un secolo riguarda la natura delle spiegazioni scientifiche: cosa fa sì che certe asserzioni a proposito del sistema oggetto di studio spieghino effettivamente certi aspetti del comportamento? Questo problema è stato affrontato sia dai filosofi della scienza generale[25] sia dai filosofi delle scienze particolari[26]. Uno dei motivi per cui è interessante occuparsi del problema della spiegazione scientifica con riferimento alle scienze particolari è legato al fatto che tale problema può assumere, in quei contesti, vesti peculiari, o porre sfide particolari. Alcuni filosofi, per esempio, hanno sostenuto che le spiegazioni scientifiche del comportamento degli oggetti tecnologici hanno strutture e requisiti di “bontà” particolari, relativamente diversi da quelli che contraddistinguono le “buone” spiegazioni in altri dominii di indagine[27]. Mettere in rilievo queste peculiarità fa parte del più ampio obiettivo di fornire ricostruzioni razionali e analisi della validità dei processi di ricerca che hanno luogo in discipline particolari – in questo caso, della robotica –, obiettivo che caratterizza la filosofia delle scienze particolari.

In terzo luogo, l’analisi di come “funzionano” particolari aree di ricerca scientifica può fornire spunti per elaborare tesi filosofiche che possono essere estese, a posteriori, ad altre aree di ricerca scientifica. La cosiddetta biorobotica interattiva, per esempio, si basa su un uso dei modelli robotici peculiare rispetto all’uso che generalmente viene fatto di essi: come sottolineato in precedenza, i biorobot vengono utilizzati per stimolare il sistema in esame e non come basi per il ragionamento surrogativo[28]. Vi sono buoni motivi per ritenere che i biorobot in questione siano qualificabili come modelli di sistema vivente (secondo varie concezioni di “modello scientifico” proposte in letteratura[29]), anche se essi vengono utilizzati in un modo piuttosto diverso da quello “tradizionale”. La filosofia della scienza, dedicandosi alla ricostruzione razionale di questo peculiare uso dei modelli, e interrogandosi a proposito della sua validità, può evidenziare metodologie scientifiche che poi, a valle dell’analisi, possono essere rintracciate anche in altre aree di indagine scientifica. Vi sono esempi di modello stimolativo anche al di fuori della biorobotica? Per esempio, quando nella ricerca neuroscientifica si impartiscono stimoli elettrici a certe parti del tessuto neurale per elaborarne le reazioni, si adotta una metodologia analoga a quella adottata in biorobotica interattiva?

 

  1. Riflessioni conclusive: dalla filosofia alla robotica

In queste pagine abbiamo sostenuto, anzitutto, che la filosofia della scienza – intesa come indagine sul “funzionamento” della scienza – può assumere la robotica come suo oggetto di studio, nella misura in cui essa coinvolge teorie e processi di teorizzazione scientifica, e produce modelli e strumenti (cosiddetti biorobotici) per la comprensione dei sistemi viventi (paragrafo 2). Abbiamo avanzato dubbi sulla possibilità che la ricerca in robotica offra contributi per la ricerca in filosofia della scienza generale (paragrafo 3), mentre abbiamo suggerito che la robotica solleva temi di interesse per la filosofia delle scienze particolari (paragrafo 4). È compito dei filosofi delle scienze particolari ricostruire razionalmente e analizzare la validità dei metodi di ricerca adottati nei vari campi di indagine, e la robotica offre varie questioni ancora aperte (tra cui la validità dei processi di inferenza scientifica svolti in biorobotica). Certi problemi epistemologici, anche di carattere generale, possono assumere aspetti peculiari e degni di riflessione filosofica nell’ambito della sperimentazione robotica e biorobotica, e in questa area di indagine la filosofia della scienza può identificare metodologie esportabili ad altri campi del sapere.

Abbiamo finora lasciato indietro una delle due possibili direzioni dell’interazione tra la filosofia della scienza e la robotica, etichettabile come “dalla filosofia della scienza alla robotica”. La filosofia della scienza, come abbiamo sottolineato nell’Introduzione, è una disciplina che si propone obiettivi normativi: nelle parole di Losee, essa si occupa di «come si può pensare che la scienza dovrebbe essere»[30]. Quando rivolge la sua attenzione alla robotica, essa produce ricostruzioni razionali delle metodologie di indagine adottate in tale campo di studio e ne analizza la validità. Proprio per il suo aspetto normativo si presta a contribuire alla ricerca in robotica, fornendo linee guida per la conduzione di processi di ricerca ed evidenziando caveat e vincoli metodologici il cui soddisfacimento assicuri la validità di tali processi. Uno dei criteri di successo delle analisi condotte nella filosofia delle scienze particolari (non certo l’unico) riguarda proprio la capacità di produrre modelli filosofici che siano in grado di guidare e orientare la ricerca scientifica nelle aree di pertinenza. Alcune delle analisi filosofiche che abbiamo citato, soprattutto quelle che riguardano la biorobotica, ambiscono a raggiungere questi criteri di successo. Se poi un’effettiva interazione “dalla filosofia della scienza alla robotica” si verifichi o no nel panorama della ricerca contemporanea, è questione non affrontabile in questo contesto e di possibile interesse per la sociologia e la storia della scienza.

 


[1] Per una trattazione esaustiva, cfr. F. Fossa, V. Schiaffonati, G. Tamburrini (a cura di), Automi e persone. Introduzione all’etica dell’intelligenza artificiale e della robotica, Carocci, Roma 2021.

[2] N. Sharkey, A. Sharkey, The crying shame of robot nannies: An ethical appraisal, in «Interaction Studies: Social Behaviour and Communication in Biological and Artificial Systems», 11, 2, 2010, pp. 161–190.

[3] T. N. Beran, A. Ramirez-serrano, R. Kuzyk, M. Fior, S. Nugent, Understanding how children understand robots: Perceived animism in child – robot interaction in «Journal of Human Computer Studies», 69, 7–8, 2011, pp. 539–550; J. Perez-Osorio, A. Wykowska, Adopting the intentional stance toward natural and artificial agents, in «Philosophical Psychology», 33, 3, 2020, pp. 369–395.

[4] J. Losee, Introduzione storica alla filosofia della scienza, Il Mulino, Bologna 1989, p. 11.

   [5] Ibid., p. 12.

   [6] Ibid., p. 13.

[7] P. Rossi, La nascita della scienza moderna in Europa, Laterza, Bari 2021.

[8] I. Hacking, Representing and intervening. Introductory topics in the philosophy of natural science, Cambridge University Press 1983; P. Galison, Philosophy in the Laboratory, in «Journal of Philosophy», 85, 10, 1988, pp. 525–527.

[9] D. van Eck, The Philosophy of Science and Engineering Design, Springer, Berlin 2016.

[10] V. Braitenberg, I veicoli pensanti. Saggio di psicologia sintetica, Garzanti, Milano 1984.

[11] R. Frigg, J. Nguyen, Models and Representation, in L. Magnani, T. Bertolotti (a cura di), Springer Handbook of Model-Based Science, Springer, Berlin 2017, pp. 49-102.

[12] B. Boesch, A concrete example of representational licensing: The Mississippi River Basin Model, in «Studies in History and Philosophy of Science», 92 (December 2021), 2022, pp. 36–44.

[13] E. Datteri, Biorobotics, in L. Magnani & T. Bertolotti (a cura di), op. cit., pp. 817–837; E. Datteri, G. Tamburrini, Biorobotic Experiments for the Discovery of Biological Mechanisms, in «Philosophy of Science», 74, 3, 2007, pp. 409–430; B. Webb, Validating biorobotic models, in «Journal of Neural Engineering», 3, 3, 2006, R25–R35; B. Webb, T. R. Consi (a cura di), Biorobotics: Methods and Applications, The MIT Press, Cambridge 2001.

[14] E. Datteri, Interactive biorobotics, in «Synthese», 198, 8, 2021, pp. 7577–7595.

[15] J. Long, Darwin’s Devices: What Evolving Robots Can Teach Us About the History of Life and the Future of Technology, Basic Book, New York 2012.

[16] R. Cordeschi, The Discovery of the Artificial. Behavior, Mind and Machines Before and Beyond Cybernetics. Springer, Dordrecht 2002.

[17] A. Newell, H. A. Simon, Human Problem Solving, Prentice-Hall, Hoboken 1972.

[18] E. Datteri, The creation of phenomena in interactive biorobotics, in «Biological Cybernetics», 115, 6, 2021, pp. 629–642; Id., The Logic of Interactive Biorobotics, in «Frontiers in Bioengineering and Biotechnology», 8, 2020.

[19] D. Romano, E. Donati, G. Benelli, C. Stefanini, A review on animal–robot interaction: from bio-hybrid organisms to mixed societies, in «Biological Cybernetics», 113, 3, 2019, pp. 201–225.

[20] C. Callender, J. Cohen, There is no special problem about scientific representation, in «Theoria-Revista De Teoria Historia Y Fundamentos De La Ciencia», 21, 55, 2006, pp. 67–85.

[21] E. Machery, In defense of reverse inference, in «The British Journal for the Philosophy of Science», 65, 2, 2014, pp. 251–267; C. Glymour, C. Hanson, Reverse Inference in Neuropsychology, in «The British Journal for the Philosophy of Science»,  2015, pp. 1–15; R. A. Poldrack, Can cognitive processes be inferred from neuroimaging data?, in «Trends in Cognitive Sciences», 10, 2, 2006, pp. 59–63.

[22] P. Dumouchel, L. Damiano, Vivere con i robot. Saggio sull’empatia artificiale (2017), Raffaello Cortina Editore, Milano 2019, p. 61.

   [23] Ibid., pp. 91-92.

   [24] Ibid., p. 102.

[25] Cfr. W.C. Salmon, Four Decades of Scientific Explanation, University of Minnesota Press, 1989; C.F. Craver, When mechanistic models explain, in «Synthese», 153, 3, 2006, pp. 355–376; C.G. Hempel, Aspects of Scientific Explanation and Other Essays, in the Philosophy of Science, Free Press, 1965.

[26] J. Woodward, Explanation and Invariance in the Special Sciences, in «British Journal for the Philosophy of Science», 51, 2000, pp. 197–254.

[27] D. van Eck, The Philosophy of Science and Engineering Design, cit.

[28] E. Datteri, The Logic of Interactive Biorobotics, in «Frontiers in Bioengineering and Biotechnology», 8, 2020.

[29] R. Frigg, J. Nguyen, Models and Representation, cit.

   [30] J. Losee, op. cit., p. 13.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *