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Indice
- Annotazioni sull’artificio “umano”
- L’utopia androide nella post-realtà
- Ramificazioni e proiezioni
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S&F_n. 27_2022
Abstract
On robot and persons
The immanence of digital technologies and their function as agents acting in the social context has allowed a new debate on the figure of the person, his value and his relationship with technologies. The intent of this contribution is to theoretically outline the ontological relationship between a person in his relationship with the automaton, whether in the form of a machine or an algorithm, which defines its natural artificiality. This relationship has crossed history and, to date, it is no longer conceivable to debate scientifically through dichotomous classes but it becomes essential to recognize the same generative matrix within the social context, since the person is such in the manifestation of his relationship with the collective environment. through the multiple communicative grammars expressed through the technological apparatus.
- Annotazioni sull’artificio “umano”
Le funzioni politiche, le strutture istituzionali, la grammatica urbanistica, le declinazioni dei rapporti collettivi e la narrazione dei valori morali della persona attraverso i quali una società organizza il proprio corpo sociale e la coesistenza degli individui sono elementi scaturiti da scelte condotte attraverso l’osservazione del progresso scientifico-tecnologico in specifici spazi che sono indirizzati ed edificati attorno al grado di sviluppo della cultura materiale e intellettuale. Anche l’essere umano risulta essere un meccanismo finalizzato a una precisa configurazione per la sussistenza della sua specie e della società di appartenenza secondo le necessità degli interessi dominanti: l’afflato della perpetuazione della vita diviene razionalità tecnologica che muta in controllo di ogni azione del soggetto.
Dalla prima rivoluzione industriale alla comparsa dell’intelligenza artificiale, l’affermazione della tecnologia come elemento immanente nella biologia della persona è divenuta piena dimensione politica e ambiente vitale nel quale articolare la realizzazione di specifiche mete culturali e di osservazione della natura, umana e non, come strutture complesse per l’attuazione di esperienze, mutamenti e organizzazione della nuda vita come campo di potere, manifestazione del sé e della sua potenziale coercizione. Ciò si riflette anche nella visione dell’automazione totalizzante che va ricercata nella patologia linguistico-cognitiva sociale della ragione priva di plasticità, subalterna all’immediato e incapace di dialettica nell’ipotesi di un reale perduto.
I mutamenti dell’essere sono già narrati da Ovidio attraverso i miti che, secondo una prospettiva sociale contemporanea, possono divenire strumenti per comprendere l’individuo, le interrelazioni sociali, i sentimenti intimi e collettivi, il rapporto con il sé e con le istituzioni attraverso l’espediente metamorfico finalizzato a osservare, analizzare, destrutturare o ricomporre il soggetto delle storie, donando un quadro macrosociologico a un ordine sociale di carattere mitologico/universalistico. All’eroe unico che racchiudeva i valori di un tempo e di una cultura classica – si pensi a Odisseo o a Enea – si contrappone il coro di voci delle Metamorfosi quali manifestazione del mutamento e del superamento dei confini dei singoli esseri[1].
L’epidermide rappresenta l’ultimo confine del corpo umano, un limite che permette, però, di comunicare costantemente con l’ambiente circostante grazie alla sua capacità di assorbire, cernere ed espellere tutto ciò con cui viene a contatto, rappresentando una membrana contigua tra natura sociale e corpo biologico, venendo declinato in nuove apparizioni rispetto a ciò che esperisce costantemente[2]: una forma di compenetrazione costante che definisce non più l’individuo, nel suo essere dividuo, separato, a sé stante, ma il suo divenire con-dividuo, olobionte di popolazioni di specie diverse che turba la rappresentazione dell’individuo che si autocompleta e che vive un proprio senso del “sé”[3], una struttura comunitaria costantemente mutevole e plasmata da elementi divisibili nella loro temporalità e spazialità. Inoltre, la filosofia dei valori e la distinzione tra sein (essere) e sollen (dover essere) sono elementi centrali nella disamina sociale[4], avendo l’interesse di dimostrare come il mutamento sia una costante per il riconoscimento della pluralità dei valori del singolo e della collettività. Se nel secolo scorso, la persona ha esperito la frattura tra mito e quotidianità rivelando una struttura sociale fondata sulla ragione, sul calcolo e sull’agire meccanico, nella post-realtà[5], è la persona stessa a divenire dato e sistema di controllo privato e pubblico[6].
Nella società in cui digitale, biologico, artificiale, naturale, sintetico e organico sono divenuti sinonimi della costruzione sociale dell’essere, la definizione di persona vive il restauro delle fondamenta ontologiche e ontogenetiche della sua rilevanza nelle scienze sociali e umane: l’individuo non è più il fine ultimo, delimitato e circoscritto, degli studi scientifici, poiché «l’uomo non è più il metro di misura della società»[7]. La conoscenza del mondo è dissoluzione della sua compattezza poiché ogni essere nella sua unicità si trasforma in altro, vive «come distinto e come unico essendo fra uguali»[8], non vi sono gerarchie cristallizzate, di un potere naturale cementificato, stabilendo così una parità, se non un’uguaglianza tra naturale e artificiale: l’essere è per sua natura artificiale sin dalla nascita.
La mutazione dell’essere è un aspetto insito nella natura umana: dalla sua forma cellulare, al divenire embrione, sino al processo di senescenza che decreta il superamento di uno stadio verso un altro. Le innovazioni tecnologiche per essere definite tali devono disporre di un contesto sociale che sia consono al loro funzionamento, alla loro diffusione e a un consequenziale sviluppo che possa favorire la loro acquisizione di ruolo di agente attivo nella dinamica dei fatti sociali. Rispetto all’evoluzione del settore tecnologico degli ultimi secoli, avvenuta in tempi dilatati secondo la processazione del passato al fine di migliorare il presente, nella contemporaneità, si assiste a innovazioni ultra accelerate che valicano i confini strutturali dell’essere nella sua comparazione con la società, manifestando in modo assiomatico che il centro della vita collettiva è fondato sull’interazione, sulla compenetrazione di tutti i fenomeni e sulla Wechselwirkung[9]: è solo attraverso la collettivizzazione che il capitale sociale di ogni soggetto può produrre la propria manifestazione che verrà riconosciuta nel continuo scavalcamento di forme e nella reciproca conoscenza[10].
Se la prospettiva filosofica e quella sociologica sono state dominate, per anni, dal dualismo cartesiano tra rex exstensa e rex cogitans, dall’opposizione tra cultura e natura, dallo scontro tra individuo e società, quindi, da prospettive fondate sui dualismi, a oggi, le visione interdisciplinari, necessarie all’evoluzione del sapere, hanno permesso di adottare un orizzonte che riconosce l’individuo come una relazione con l’ambiente, con la peculiarità del soggetto sociale che si definisce in funzione del proprio progetto esistenziale[11], caratterizzandolo in base alla possibilità di esprimere coralmente quanto vissuto. Tale approccio conferma la persona come elemento strutturale della biologia sociale, in cui i rapporti sono stabiliti tra la parte e il tutto e in cui il singolo non è ascrivibile nel rappresentare un’ipotetica universalità astratta come affermato da Kant e Hegel[12]. La tecnica è il modello organizzativo della società dal momento in cui si è assisto al disincantamento del mondo[13] e all’allontanamento dalle arti introspettive, sfruttando il progresso tecnologico non come semplice applicazione di un congegno o di una macchina ma come costituzione intellettuale che permette alla persona di essere un vivente in movimento, un automa – inteso come ciò che si muove, non solo fisicamente ma anche grazie a una potenza di azione/pensiero – alimentato dalla cultura[14]. Biologia sintetica, intelligenza artificiale, nanotecnologia hanno abbandonato le strutture di ricerca per riversarsi nell’ambiente sociale su scala globale, richiedendo a tutte le scienze di adottare riflessioni prospettiche e speculative che siano ponte di superamento dell’antropocene[15].
In questo contributo non si ha la pretesa di sgranare la definizione di persona ma di porla in comunicazione con la sua vicinanza ai concetti di automa, come già accennato, e di macchina nella prospettiva in cui l’artificialità dell’essere non venga considerata come tratto aggiuntivo, bensì costitutivo[16], poiché il corpo è lo strumento per eccellenza dell’essere umano, in quanto costituito di organi e di sensi che permettono di trasformare l’ambiente circostante costruendo ulteriori protesi e apparati[17]. La tecnologia è l’intersezione che unisce essere e società: il processo attraverso il quale l’esistenza dell’essere si modella in funzione degli obiettivi e degli ambienti circostanti che a loro volta sono modellati e generano nuovi ambiti di interazione e commistione in cui la tecnologia dona consapevolezza dei propri limiti e ne colma le carenze[18].
Nella contemporaneità, la tecnologia dell’intelligenza artificiale richiama l’essere umano a riflettere sui cambiamenti dovuti all’era dell’antropocene e della rottura dell’antropocentrismo, contemplando una forza naturalmente artificiale che si innesta pervasivamente e immanentemente nella propria vita nell’ottica dell’etica dei principi e dell’etica delle responsabilità. L’essere umano è definibile quale automa dal momento in cui crea il congegno – parola che indica il potenziamento dell’ingegno, il suo utilizzo in modo attivo, fattuale, risolutivo, il co-ingegnare – definendo la macchina come estrinsecazione delle proprie progettualità future per il compimento di un fine ma, simultaneamente, intrinsecazione della stessa che muta la quotidianità del soggetto e, soprattutto con l’immanenza dell’intelligenza artificiale e delle sue declinazioni, retroagisce sull’individuo, indirizzandolo culturalmente, ridefinendo le sue strutture comunitarie e lasciando che il proprio destino sia iscritto negli strumenti che produce e condivide.
- L’utopia androide nella post-realtà
Charlot (Tempi Moderni) è il manifesto dell’operaio che trascorre le sue giornate nella ripetitività dei suoi gesti, delle sue mansioni, introiettando ritmi alienanti e compiti spersonalizzanti, così come Maria (Metropolis) è l’insegnante che racchiude in sé la veste di profeta che guida i figli degli operai e conosce il mondo delle macchine: entrambi sono modelli rispetto al quale l’immaginario ricalcherà il prototipo di automa che la collettività sociale assorbirà per decenni, non solo nella proiezione dei due lungometraggi ma anche nel riflesso dei miti e dei modelli di comportamento moderni. Si tratta dell’esplicitazione del concetto che considera lo sviluppo dello strumento come uno sforzo umano concentrato e della strutturazione di un sistema operativo comportamentale che è incastonato già ai prodromi dell’umanità[19]. In che modo conciliare la cultura umanistica e la tecnologia? Come colmare lo iato tra etica e tecnica? Sembrerebbero domande di difficile approccio ma la filosofia e, in seguito, la sociologia sono di per sé elementi fondamentali nel dispiegamento della tecnica, in quanto sono lo spirito e la struttura della sua progettualità esistenziale. Nel rapporto con l’essere, è l’etica che, attraverso i mutamenti culturali, struttura valori che siano strettamente dipendenti, nella loro proiezione futura, al contesto socioculturale nel quale si svilupperanno[20] in funzione di una maggiore comprensione dei principi morali in un orizzonte integrativo e complementare, nella sua capacità trasduttiva, ovvero di sostenere, delineare, rafforzare contenutisticamente lo sviluppo esponenziale dei congegni.
Nella dimensione simbolica, inoltre, viene rappresenta la coesistenza del mondo interiore dell’individuo che si connette con lo spirito collettivo, divenendo una delle condizioni vitali per il fatto sociale, nel quale i sistemi simbolici acquisiscono una propria semantica fondata sull’interdipendenza dei segni e dei significati. L’immaginario rappresenta, quindi, la dimensione costitutiva delle prassi attraverso le quali l’individuo si confronta con sé, con l’ambiente e con l’altro, rappresentando quel fantastico conscio e inconscio di cui l’essere non può privarsi per la sua esistenza[21].
In Ghost in the Shell, manga cyberpunk del 1989, vengono declinate le preoccupazioni di una società in cui il soggetto è sempre più isolato ma coniuga tale critica con una vocazione risolutiva esistenzialista, psicoanalitica e introspettiva. La persona e l’automa vengono posti in un ambiente post-informatico, ricercando una contro-finalità, una praxis che sia immersa in una natura artificiale in-sé e per-sé in bilico tra differenti stadi dell’evoluzione sociale. Come Turing si interrogò sulla possibilità di creare computer pensanti, così Kusanagi, eroina androide, si interroga sulla natura di un’intelligenza artificiale che viene posta nel corpo di un robot, di quel fantasma che viene immerso in un guscio, e che vive su una Terra completamente digitalizzata, con una popolazione postumana, transumana, robotizzata o con chip sottopelle per potenziare abilità fisiche e cerebrali. Si tratta di un’umanità che deve riscoprire il suo essere nomade[22], quale luogo di transizioni e trattazioni nei corpi che sono enti dinamici, mobili, che possiedono memoria incarnata in cui avvengono trasformazioni e mutamenti di differente intensità per la sua costante riscoperta di coordinate per nuove manifestazioni corporali di natura tecnologica, insettologa, postumana che già sono presenti nel tessuto del vivere collettivo[23].
Nuovamente, l’immaginario diviene lo specchio e le fondamenta di una riflessione etica per l’identità collettiva che può dibattere sulle proprie scelte morali attraverso la condivisione di finzioni di umanità, metafore, narrazioni e leggende che definiscono l’essere e le sue peculiarità. In questi frangenti, l’individuo si trova a dover dialogare con una doppia coscienza: da una parte, quella reale, quotidiana, condivisa con le norme sociali, dall’altra, la proiezione in una finzione che suscita dubbi, incertezze, quesiti, ma che ha proprie strutture e norme che anticipano, a volte, quelle della realtà. Secondo tali prospettive, emerge che l’artificializzazione del sé e dell’ambiente sono necessarie al fine di sviluppare prestazioni che siano contestuali al mutevole corpo del sociale in cui la macchina sviluppa due aspetti cardine per l’essere:
- la macchina quale ente «difensivo contro» il tempo, nella sua possibilità di arginare aspetti lesivi, corrosivi, sgualcenti dell’esistenza della persona; che contiene la sua medicalizzazione; che permette la sua stabilizzazione e ne organizza la società, poiché senza di essa non vi sarebbe l’individuo;
- la macchina quale ente «estensivo oltre» il tempo, nella sua formulazione di preveggente che scardina la temporalità e la spazialità; che crea la storia dell’umanità e ne delinea le vie di fuga prospettiche future; è il corpo che si rigetta nel mondo e prosegue in altri altrove attraverso organi esosomatici del sé e, quindi, della società.
Rispondere, quindi, alla domanda «che cos’è persona?» o quali siano le sue caratteristiche in rapporto alla tecnologia e al suo essere automa potrebbe trovare una prima e approssimativa declinazione nell’affermazione che l’essere non è altro che la storia del suo progresso, il riverbero delle sue creazioni, delle sue macchine, dei suoi congegni e degli apparati, di quegli organi che permettono al biologico di essere sociale e al sociale di accrescere il proprio portato nodale nella vita degli individui: il corpo è una costruzione sociale incardinata nell’utilizzo della tecnologia.
La misura dell’essere non è quella del singolo in quanto unità discreta ma diviene cenosi tra una molteplicità di specie, di manifestazioni e di ambienti in cui la persona dovrà contemplare la necessità di allearsi con molte altre creature al fine di costituire luoghi salvifici, rigenerativi e ricreativi[24] e, tra queste creature, vi sono anche le proiezioni artificiali, dalla biotecnologia sintetica, all’informatica, alla robotica sino all’intelligenza artificiale, rappresentando un’ulteriore proposizione di modernità multiple[25]. Nella loro declinazione fisica – attraverso la robotica – e non, le intelligenze artificiali[26] acquisiscono capacità di azione in ambienti collettivi sino a ora di pertinenza umana: robot impiegati nelle fabbriche, robot attivi nel settore dell’assistenza domiciliare, algoritmi intelligenti operativi nella finanza, sistemi ibridi utilizzati per rafforzare gli approcci educativi o per agire in scenari di guerra, robot e algoritmi che recitano o cantano, sino alla loro manifestazione di agenti sessuali. La società odierna è generata e posta in essere da un movimento continuo e risolutivo operato da intelligenze artificiali e robotica. Presa coscienza della loro immanenza, emerge la riflessione etica per cui i sistemi tecnologici devono essere accompagnati da analisi che permettano una interconnessione tra saperi per l’interno ciclo vitale delle innovazioni proposte e rilasciate nel corpo del sociale, in cui percezione umana, produzione digitale, manifestazione biologica e tecnologica proseguono in una costante integrazione. Dalla visione di Hishiguro[27] in cui umani e umanoidi condivideranno gli stessi spazi sociali, agli studi di Young[28] che denotano sempre meno umani nelle strutture cardine delle società, alle proiezioni di Tegmark[29] in cui le intelligenze artificiali diverranno parte integrante della vita futura dell’essere, sino alle visioni contemporanee di nazioni in cui esistono reti sociali che mettono in stretta dipendenza essere e algoritmo[30] in una politica degli artefatti[31], nella contemporaneità, si può assistere alla crescita costante di agenti intelligenti in modo aurorale nei corpi delle persone e oltre questi, superando il concetto di protesi estensive e acquisendo quello di tecnologie «astensive» rispetto all’essere umano. Le I.A. nascono dall’agire dell’individuo, delle sue scelte, pulsioni e desideri ma, sincronicamente, diventando sempre più autonome, attivando nella persona la possibilità di agire per una dislocazione del sé, intesa come protesi intangibile e mentale che esternalizza quanto pensato dal soggetto, trasformandosi in istituzioni, codici[32], e sistemi riorganizzativi di spazi collettivi agiti da data doubles[33]. Risulta ancora difficoltoso rintracciare ciò che del soggetto viene registrato, conservato ed elaborato. Tuttavia, tali architetture digitali rappresentano una parte centrale della vita postmoderna. L’artificio intelligente è costantemente attivo nel suo essere collaborativo per la risoluzione dei problemi, nel suo essere essenziale per comunicare con l’ambiente contemporaneo e stabilirne nuovi piani di interazione ed evoluzione, racchiudendo in sé rapporti di potere e di condotta[34]: diviene quel congegno che è in grado di guidarci verso la scoperta del nostro costruirci singolarmente e costituirci socialmente, nella contemplazione della macchina quale speciazione dell’ente che si disegna nell’osservazione dell’essere, della persona che attinge dall’automa – in questo caso ampliandone la visione non solo a una struttura hardware ma alla controparte software – per comprendere le proprie origini e il superamento dei confini e, infine, di una futura convivenza che allo stato attuale potrebbe divenire, immaginificamente, emancipazione dell’umano.
L’esplorazione dell’universo delle innovazioni artificiali reclama la fondante visione di concepire la tecnologia e i suoi organi quali enti retroagenti — dal pensiero di Parsons, che concepiva l’oggetto come manchevole di ragionamento introspettivo, o di Goffman, il quale vedeva negli strumenti meri oggetti di scena necessari agli umani per migliorare la loro performance — capaci di modificare l’essere e le sue azioni nel momento in cui entrano in contatto anche se indirettamente — riflessione che si colloca nella teoria dell’attore-rete di Michel Callon, Bruno Latour e John Law, indicando la valenza di un modello costruttivista per la realtà sociale, nella quale l’attore-attante è qualsiasi tipo di entità in grado di compiere un’azione con ripercussioni sociali, anche se tale gesto è privo di intenzionalità, contemplando in tal modo anche ciò che è non umano – momento in cui, crolla il fissismo della persona e del suo corpo cedendo il passo a una mutevolezza costante e permeabile dall’agente artificiale esterno. Cade la concezione culturale delle antinomie, in particolar modo quella tra naturale e tecnologico, dato che la tecnologia non è più concepita come esterna al corpo dell’individuo, nella misura in cui i suoi artefatti sono parte di esso e del suo esperire.
La storia dell’umanità è costituita di artifici attraverso i quali ripensare la società, per la disamina dell’esistenza e per l’esternalizzazione delle pulsioni che la costituiscono in cui la protesi definita intelligenza artificiale diviene specchio e lente della persona in grado di donarle una nuova valenza escatologica.
- Ramificazioni e proiezioni
Nelle Metamorfosi, non vi è barriera tra divinità e mortali, tra coloro che osservano, seguono, prevedono e manipolano le narrazioni degli altri, provando a immedesimarsi nella pelle degli umani, dei loro sentimenti e del loro quotidiano. Così come, oggi, non vi è più confine tra le intelligenze artificiali, che animano i futuri automi, e le persone che si legano a esse, inconsapevolmente ma immanentemente in un continuo movimento di dati, di informazioni, di storie che saranno elaborate secondo prospettive altre rispetto alla propria.
Nello studio del rapporto tra individuo e macchina, le dimensioni della sovrapposizione e della fusione sono divenute sempre più preminenti, sin da quando McLuhan[35] definì la tecnologia come prolungamento naturale del sistema nervoso dell’essere umano e rete che ingloba la società e i suoi rapporti o da quando Donna Haraway descrisse, con l’ausilio della figura simbolico-reale del ragno Primoa Cthulhu, la società artificiale come l’era delle connessioni sempiterne, della comunicazione invisibile, delle strutture digitali tentacolari, sistema olistico che ha bisogno della persona come parte non centrale di un ingranaggio molto più complesso, assieme a una pervasività tecnologica che possa sostenere l’essere umano nella tutela del pianeta, così come indicato da Edward Tenner[36] nella sua storia antropologica della scienza che ha esteso a tutte le creazioni tecnologiche e artificiali il potere di plasmare e modellare la struttura dell’individuo sociale e delle sue istituzioni, sino a radicarsi nel suo modo di leggere il presente e di immaginare il futuro. Bisogna abitare la catastrofe come condizione umana: il baratro è un punto di vista della fragilità che può agire sulla coscienza e sulla politica nell’architettura di un’etica delle soglie: la crisi del soggetto dovrebbe essere percepita come esperienza di attraversamento verso un controspazio inesplorato e portatore di meraviglia.
La società artificiale può essere considerata come l’ambiente di questa crisi della persona e come lo specchio di una sintesi umana verso la costruzione di un proprio alter-ego automatizzato, la realizzazione di quei robot intelligenti che, grazie all’implementazione degli algoritmi di apprendimento su organismi meccanici, siano in grado di sostituirsi alla vita biologica nella responsabilizzazione e nella gestione dei problemi più complessi e che richiedono celerità nelle decisioni, divenendo i collaboratori perfetti verso un futuro incerto, in cui potrebbe manifestarsi quella singolarità che potrebbe renderli autonomi e semicoscienti. L’essere umano viene rappresentato quale risultato complesso delle sue invenzioni, dei suoi strumenti, delle sue tecnologie che si sono susseguite lungo la linea storica, la quale è essa stessa la manifestazione della tecnologia come scelta dell’umano di vivere la propria esistenza ed è per questo che l’essere umano è il primo automa, è esso stesso la sua utopia ma reale:
- l’essere è di per sé tecnologico vivendo costantemente di espedienti, di elaborazioni, di congegni, sin dalla sua comparsa, dalla sua nascita con l’uso della parola, il veicolo comunicativo per eccellenza che, nel suo evolversi, è divenuto segno, scrittura, dati, algoritmo;
- per perpetuare la sua esistenza sulla Terra, l’individuo ha costante necessità di protesi, elementi che siano in grado non solo di potenziare le sue prestazioni ma di esternalizzare l’intangibilità del suo pensiero;
- nella sua dimensione biologica, l’epidermide è la manifesta rappresentazione della metamorfosi, del mutamento che permette al corpo di essere un soggetto nomade in cui esistono molteplicità di organismi e ambienti plurimi;
- la persona è tale nel suo fare, nel suo produrre, quindi, nel suo pensare, azione costitutiva cardine del suo vissuto mnesico che è storia.
Considerando tali aspetti, emerge la centralità della narrazione, del dialogo, del dato che, a differenza di quanto comunemente immaginato non è liquido, non rappresenta una società della fluidità, bensì è elemento grezzo, solido, tellurico che si incide nella parabola del cammino umano. Le macchine apprendono a ogni passo della persona, la persona lascia tracce, impronte, a ogni suo gesto e fa in modo che si imprimano nella storia del progresso, stratificandole, solidificandole e costituendole quale scheletro di una iperidentità estensiva del sé interiore, innervandole nel continuum delle scosse polimorfiche della società contemporanea. In questa visione, assurgono intelligenze artificiali che sono mimesi della persona nel loro stadio infantile ma che, grazie alla relazione con la persona, crescono e costituiscono un altro dal quale apprendere.
La persona è la storia delle sue creature. È narrazione di metamorfosi.
[1] Cfr. E. Pianezzola, Ovidio, dalla cosmogonia alla metamorfosi: per la ricomposizione di un ordine universale, in «Materiali e discussioni per l'analisi dei testi classici», 65, 2010, pp. 59-68.
[2] Cfr. E. Grassi, The forgery of Deepfake and the “advent” of Artificial Intelligence, in «Intercultural Relations», 10, 2021, pp. 76–91.
[3] Cfr. M. Monti, C.A. Redi, Noi siamo l’intestino, in «La Lettura/Corriere della sera», 8 aprile 2018.
[4] Cfr. M. Weber, La scienza come professione. La politica come professione (1919), tr. it. Einaudi, Torino 2004.
[5] Nel contesto contemporaneo, la tensione dell’individuo tende ad allontanarsi sempre più dal contesto reale, in modo tale da poter vivere nella post-realtà. Con tale termine, si vuole indicare un contesto dove sottostare a una finzione tutelare, una vita che abdica alla progettualità costitutiva dell’essere a favore di una costante distrazione attraverso la quale confutare ciò che accade. La rappresentazione diviene sostitutiva della realtà e giunge a ridurre la propria partecipazione sociale a simulacro, in ragione di una verità auto-affermata. L’evento collettivo non è più accolto come rottura radicale della monotonia quotidiana, da indagare e analizzare secondo competenze scientifiche ma è contro-spazio nel quale far emergere teorie, ipotesi, fantasie prive di qualsiasi fondamento razionale, frutto solo di una esasperazione del reale e della sua sempre più complessa analisi. Dato che la realtà, a oggi, si manifesta attraverso una molteplicità di media – una ricerca accademica, una registrazione, una foto o un video – si troveranno passaggi per invalidarne la verità, favorendo la contemplazione di molteplici micro-universi nei quale edificarne una propria.
[6] Cfr. J. Van Dijck, Datafication, Dataism and Dataveillance: Big Data between Scientific Paradigm and Ideology, in «Surveillance & Society», 12, 2014, pp. 197-208; D. Cardon, Che cosa sognano gli algoritmi? (2015), Mondadori, Milano 2016; D. Lupton, The Quantified Self: a Sociology of Self-tracking, Polity press, Cambridge 2016.
[7] Cfr. N. Luhmann, Teoria della società (1974), tr. it. FrancoAngeli, Milano 2013.
[8] Cfr. H. Arendt, Vita activa. La condizione umana (1958), tr. it. Bompiani, Milano 2017.
[9] Cfr. G. Simmel, Sociologia (1908), tr. it. Meltemi, Sesto San Giovanni 2018.
[10] Cfr. P. Jedlowski, La conversazione socievole. Simmel, Chakrabarty e l’orientamento fatico della comunicazione, in «Studi culturali», IV, 1, 2007, pp. 3-26.
[11] Cfr. J.P. Sartre, Critica della ragione dialettica. Teoria degli insiemi pratici (1960), tr. it. Il Saggiatore, Milano 1982.
[12] Cfr. F.A. Trendelenburg, Per la storia del termine persona (1908), Morcelliana, Brescia 2015.
[13] Cfr. M. Weber, La scienza come professione, cit.
[14] Cfr. C. Sini, L’uomo, la macchina, l’automa, Bollati Boringhieri, Torino 2009.
[15] Cfr. J. Lovelock, Novacene. L'età dell'iperintelligenza (2019), tr. it. Bollati Boringhieri, Torino 2020.
[16] Cfr. S. Natoli, Manipolazione. Promesse di salute e umanità artificiale, Festival della Filosofia, Modena, 19 settembre 2020.
[17] Cfr. G.O. Longo, Il nuovo Golem. Come il computer cambia la nostra cultura, Laterza, Roma-Bari 2000.
[18] Cfr. A. Gehlen, L’uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo (1940), Mimesis, Milano 2010.
[19] Cfr. G. Simondon, Sulla tecnica (2014), tr. it. Orthotes, Napoli-Salerno 2017.
[20] Cfr. E. Grassi, Etica e intelligenza artificiale. Questioni aperte, Aracne, Roma 2020.
[21] Cfr. G. Durand, Les structures anthropologiques de l’imaginaire, Dunod, Paris 2006.
[22] Cfr. R. Braidotti, Soggetto nomade. Femminismo e crisi della modernità (1994), tr. it. Donzelli, Roma 1995.
[23] Cfr. Id., Materialismo radicale. Itinerari etici per cyborg e cattive ragazze, Meltemi, Milano 2019.
[24] Cfr. D. Haraway, Chthulucene. Sopravvivere su un pianeta infetto (2016), tr. it. Nero, Roma 2020.
[25] Cfr. S.N. Eisenstadt, Multiple Modernities, in «Daedalus», 129, 1, 2000, pp. 1-29.
[26] L’uso del sostantivo al plurale vuole indicare la differenziazione e la personalizzazione che tale tecnologia subisce entrando in contatto con la molteplicità di soggetti sociali. Per ogni società, cultura, grado di istruzione, specificità d’uso e altri elementi caratterizzanti, ogni intelligenza artificiale si adatta, si plasma, evolve e muta a seconda dei dati che riceve. I big data di cui fruisce sono lo specchio dei nostri sensi, sono l’elaborazione di uno specifico bagaglio esperienziale che permette alla tecnologia di interfacciarsi in modo sempre più performativo con il soggetto che la interpella.
[27] Cfr. H. Hishiguro, K.F. MacDorman, The uncanny advantage of using androids in cognitive and social science research, in «Interaction Studies», 7, 3, 2006, pp. 297–337.
[28] Cfr. L. Young, Machine Landscapes. Architecture of the Post-Anthropocene, Wiley, Hoboken 2019.
[29] Cfr. M. Tegmark, Vita 3.0. Essere umani nell'era dell'intelligenza artificiale (2017), tr. it. Raffaello Cortina, Milano 2018.
[30] Cfr. E. Grassi, Etica e intelligenza artificiale. Questioni aperte, Aracne, Roma 2020.
[31] Cfr. L. Winner, Do artifacts have politics?, in «Dedalus», 109, 1, 1908, pp. 121-136.
[32] Cfr. L. Lessig, Code: and other laws of Cyberspace, Basic Books, New York City 1999.
[33] Cfr. K.D. Haggerty, R.V. Ericson, The Surveillant Assemblage, in «The British Journal of Sociology», 51, 4, 2000, pp. 605-622.
[34] Cfr. B. Latour, Non siamo mai stati moderni (1991), tr. it. Elèuthera, Milano 2018.
[35] Cfr. M. McLuhan, Gli strumenti del comunicare (1964), tr. it. Il Saggiatore, Milano 2015.
[36] Cfr. E. Tenner, Our Own Devices: The Past and Future of Body Technology, Vintage Books, New York City 2004.