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Indice
- Il vitalismo medioevale e rinascimentale
- Le dottrine delle Semina Rerum e delle Minima Naturalia
- Il vitalismo neoplatonico nell’ontologia spagirica di Paracelso
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S&F_n. 25_2021_APPENDICE
Abstract
The Influence of Renaissance Vitalism on the Paracelsian Spagyria
The Swiss alchemist, physician, and astrologer Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus von Hohenheim (1493-1541), known as Paracelsus, was one of the most important representatives of 16th century vitalism and Neoplatonism. More specifically, both his metaphysics and his cosmology are heavily indebted to Renaissance vitalism and hermeticism. This essay elaborates on these ideas, emphasizing the relationship between Paracelsus’s vitalistic cosmology and his medical and spagyric theories. The essay first establishes the philosophical context of paracelsian thought and specifically examines the Renaissance vitalism, as well as the concepts of semina rerum and of minima naturalia, both of which contributed to the development of the unique particulate theories of matter prevalent in the Middle Ages and Renaissance. Finally, the essay discusses Paracelsus’s metaphysical and cosmological theories and the way in which these theories were tied to his vitalistic spagyria. More particularly, the emphasis is placed on the way in which Paracelsus appropriates the particulate theory of matter and infuses it with various vitalistic elements, in order to develop his spagirical therapies and his ontological theory of illness.
1. Il vitalismo medioevale e rinascimentale
- La teoria vitalistica afferma l’esistenza e il potere causale di “forze vitali” or di “spiriti vitali” nella natura. Secondo questa teoria, la presenza di spirito vitale distingue la materia organica da quella inorganica e i fenomeni naturali vengono spiegati in modo qualitativo. I processi vitalistici sono interpretati olisticamente e teleologicamente, le cause della motilità sono considerate inerenti alla materia, e la natura viene concepita come «intrinsecamente attiva e auto-organizzante»[1]. I filosofi sia medioevali che rinascimentali considerano l’universo come un luogo incantato e popolato da forze e da spiriti vitali, i quali giocano ruoli causali nella natura. Nella storia della filosofia sia speculativa che naturale, le teorie vitalistiche hanno profonde implicazioni teologiche. Infatti, questi filosofi sono convinti che la vita dalla quale la materia viene impregnata sia proveniente dall’anima del mondo (anima mundi) che, a sua volta, proviene da Dio.L’anima mundi neoplatonica era generalmente adottata dai filosofi chimici come principio di moto e di vita. Nella gerarchia organizzata dell’universo, si pensava che questa fosse una sostanza originaria dalle stelle e, perciò, superiore ai quattro elementi. Questa nozione diventò centrale alla chimica e alla medicina grazie alla De vita Philosophicae (1571) di Ficino[2].
Un’altra caratteristica del vitalismo medioevale e rinascimentale è l’affermazione di una corrispondenza fondamentale tra il microcosmo e il macrocosmo. Questa teoria di corrispondenza «si trova al centro di un gruppo di idee derivate dalla […] tradizione mistico-alchimica incrociata con temi comuni al misticismo neoplatonico. Le sostanze vitali degli oggetti [sono] costituite da spiriti invisibili o forze naturali»[3]. I filosofi naturali rinascimentali, cosiddetti maghi naturali, non solo studiano queste corrispondenze e queste forze vitali ma imparano anche a servirsene per manipolare e alterare i fenomeni naturali. La tradizione di magia naturali più ricettiva all’ontologia vitalistica neoplatonica è l’alchimia, in particolare la spagirica paracelsiana. È dunque importante, a questo punto, soffermarsi su altre due dottrine che, congiunte al vitalismo, giocano funzioni importanti nel pensiero paracelsiano.
2. Le dottrine delle Semina Rerum e delle Minima Naturalia
- Per molti alchimisti rinascimentali, il vitalismo viene intimamente collegato con la filosofia corpuscolare e con l’atomismo. Nonostante la complessa storia della riscoperta dell’atomismo antico nel Cinquecento, bisogna sottolineare che questa riscoperta fu dovuta in grande parte alla sopravvivenza medioevale della teoria particellare della materia, che a sua volta viene collegata agli antichi concetti di semina rerum e di minima naturalia.
La dottrina di semina rerum gode una storia lunga e complessa e viene interpretata in modi diversi dalle varie tradizioni filosofiche[4]. Lucrezio e gli epicurei concepiscono le semina come atomi fisici, mentre gli stoici le concepiscono come principi formativi e attivi. Ispirati dal concetto stoico delle semina, i filosofi neoplatonici sostengono che il principio d’ordine dell’universo, cioè il Logos, racchiuda in sé dei costituenti attivi comparabili a “semi” e quindi chiamati logoi spermatikoi, un termine che viene eventualmente latinizzato come rationes seminales, cioè “ragioni seminali”. Per i filosofi neoplatonici, le ragioni seminali contengono quello che si potrebbe considerare un “programma” razionale che specifica il potere creativo immanente nella natura. Per esempio, Agostino si serve proprio di quest’idea per conciliare l’apparente conflitto tra la storia della creazione presentata in Genesi I, secondo la quale Dio crea l’universo a tappe, e la storia presentata in Ecclesiasticus 18:1 (Libro di Sirach), secondo la quale Dio crea tutto in una volta. Per risolvere questo conflitto, Agostino sostenendo che, benché Dio non abbia creato tutte le specie di cose in una sola volta, ha impiantato nella natura le ragioni seminali o i “semi” di tutte le cose che esisteranno, anche se ognuna di queste specie di cose si dovrà realizzare materialmente in momenti diversi nel tempo.
Al contrario di queste tradizioni neoplatoniche che influenzano il pensiero rinascimentale e che concepiscono le semina come archetipi spirituali attivi nella natura, le filosofie corpuscolari Seicentesche offrono un’interpretazione fisicalista delle semina. Tuttavia, i filosofi chimici di questo periodo continuano a infondere la loro teoria particellare della materia con l’interpretazione vitalista delle semina. Questo punto di vista influenza anche lo sviluppo della mineralogia Seicentesca, secondo la quale la nascita e la crescita dei metalli nelle viscere della terra è attribuita alla presenza di semi specifici che dotano questi metalli con un principio vegetativo interno. Secondo questi metallurgici, questo principio interno permette la trasmutazione dei metalli bassi in metalli nobili.
La relazione tra la dottrina dei semi metallici e della trasmutazione risiede nell’idea di un seme uguale per tutti i metalli, piuttosto che in semi diversi per ogni tipo di metallo, ciò che significa che il seme può produrre differenti metalli secondo il grado di maturazione raggiunto[5].
Gli alchimisti e chimisti[6] che sostengono questa teoria seminale della generazione dei metalli comprende molti pensatori corpuscolaristici come John Webster, Jan Baptista van Helmont, Daniel Sennert, Pierre Gassendi, Walter Charleton, e il giovane Robert Boyle.
L’altro concetto significativo per l’atomismo e il corpuscolarismo Cinquecenteschi e Seicenteschi è quello di minima naturalia. Questo concetto si può rintracciare fino ad Aristotele, il quale considera le minima come le più piccole quantità di materia necessarie per istanziare una forma sostanziale[7]. Il risveglio dell’atomismo non è solamente dovuto alla riscoperta del De Rerum Natura lucreziano nel 1417[8], ma anche alla sopravvivenza medioevale di teorie particellari della materia collegate al concetto di minima naturalia. Per esempio, secondo i filosofi scolastici, le minima costituiscono il limite di divisioni possibili che una sostanza possa subire. Cosicché il pensiero scolastico lega intimamente il concetto dell’atomo a quello di minima naturalia, e molte teorie medioevali impiegano proprio questo concetto per indicare le indicare le particelle più piccole possibili nella natura, cioè le particelle non riducibili a elementi più semplici. Le minima, concepite come le più piccole particelle dei reagenti chimici, permettono agli alchimisti scolastici e poi a quelli rinascimentali di sviluppare una teoria corpuscolare nella quale le particelle materiali sono dotate di forme sostanziali e di proprietà chimiche non strettamente meccanistiche[9].
Quest’“atomismo alchimico” rappresenta una versione qualitativa e non meccanicistica dell’atomismo epicureo. Perciò, per tanto che l’atomismo democriteo sia materialista, meccanicistico, e deterministico, i numerosi sostenitori rinascimentali dell’atomismo conciliano l’atomismo epicureo con una teoria non meccanicistica dell’universo e si servono del concetto qualitativo di minima per sviluppare un loro proprio atomismo vitalistico. Nonostante ciò, la nozione di minima viene modificata nella seconda metà del Cinquecento, come si nota nelle teorie di Giulio della Scala, il quale concepisce le minima come particelle strettamente materiali, e quelle di Daniel Sennert, il quale riguarda le minima come atomi. Più tardi, Robert Boyle, influenzato da Sennert, distingue queste particelle fondamentali dagli “atomi chimici” che rimangono come residuo finale dell’analisi chimica e che sono, quindi, operativamente irreducibili.
Nonostante questa transizione verso il materialismo e il meccanicismo, i paracelsiani del Seicento continuarono a infondere la teoria corpuscolare della materia con il vitalismo neoplatonico. Inoltre, i paracelsiani svilupparono una teoria di spiriti vitali che portò eventualmente al concetto Seicentesco degli spiriti come sostanze chimiche.
Dal 1650 in avanti, il concetto di spirito (e di fermentazione) diventano temi centrali … [Molti chimisti e fisiologhi inglesi] condividono l’idea che la materia è dotata di un principio interno di organizzazione, di vita, e di sensibilità, cioè di uno spirito che loro descrivono in termini di particelle con proprietà chimiche specifiche[10].
Questo spiega il perché
la distillazione degli spiriti diventa un componente importante della chimica e della medicina Seicentesca … [con il fine di] identificare e manipolare le essenze spirituali estratte dai corpi naturali con vari mezzi di distillazione … [e per] “catturare” lo spirito del mondo, concepito dai paracelsiani come una sostanza vitale e celestiale contenuta nell’aria[11].
Queste descrizioni evidentemente chimiche dello spirito vitale e dell’anima mundi trovano un punto di origine nel pensiero Paracelsiano al quale dedico il resto di questo saggio.
3. Il vitalismo neoplatonico nell’ontologia spagirica di Paracelso
Per capire l’importanza del pensiero paracelsiano per lo sviluppo di quello che diventò la prima chimica moderna Seicentesca, riconosciuta come scienza empirica, bisogna notare che la chimica non gode di una lunga tradizione storica come quelle dell’astronomia, della meccanica, della matematica, e della fisica. Infatti, fino al Cinquecento, la chimica non aveva «nessuna struttura organizzata, nessune teorie di cambiamenti e di reazioni, e nessuna tradizione chiaramente definita»[12]. La ragione per la quale la chimica cinquecentesca non era considerata come scienza è che quest’ultima era considerata primariamente come un’impresa pratica e non ancorata da una solida fondazione teorica e filosofica. Lo stato scientifico della chimica cinquecentesca dipendeva dunque dallo sviluppo di una filosofia chimica e, per quanto possa sembrare sorprendente, il malfamato alchimista Paracelso fu il primo ad articolare una vera e propria filosofia chimica.
Infatti, nonostante la sua notorietà, Paracelso è oggi considerato come figura seminale nella prima storia della chimica. Soprattutto, Paracelso aiuta a trasformare l’alchimia Cinquecentesca, sviluppando un’epistemologia alchimica nella quale si può notare una vera e propria filosofia e teoria chimica.[13] Paracelso fornisce all’alchimia un’identità essenzialmente medica e, in più, egli modernizza la medicina, opponendosi alla teoria umorale della malattia secondo la quale la malattia è causata da uno sbilancio dei quattro umori corporali e può essere curata da sanguisughe medicinali e da rimedi erboristici. Egli propone, invece, che le malattie sono causate dalla presenza di agenti esterni che attaccano il corpo e dunque le malattie devono essere curate con rimedi “chimici”. Quest’idea serve dunque come precursore della teoria batterica della malattia. Grazie a questa nuovo concetto, Paracelso riesce anche a identificare le caratteristiche di molte malattie, come il gozzo e la sifilide, e a trattarle con composti di zolfo e mercurio. È lui quindi
il primo a introdurre l’uso medicinale di sostanze minerali nella pratica della medicina. Grazie a Paracelso, la chimica, o l’arte spagirica, diventa dunque il fondamento della medicina[14].
Nonostante questo, la caratterizzazione di Paracelso come un mistico non è sbagliata, dato che la struttura teorica vitalistica del suo lavoro lo inserisce nella tradizione rinascimentale di magia naturale. Paracelso non solo ipotizza l’esistenza di forze e di spiriti vitali nella natura ma afferma anche la teoria della corrispondenza tra microcosmo e macrocosmo. Il vitalismo di Paracelso è teologico e influenza la sua interpretazione chimica del testo di Genesi, secondo la quale la creazione viene concepita come la separazione degli elementi. Secondo Paracelso,
la creazione divina deve essere concepita come un processo chimico e ciò significa che la natura continua a funzionare in termini chimici. La chimica è la chiave per conoscere la natura – tutta la natura creata[15].
La filosofia chimica di Paracelso si regge su tre principi fondamentali: la teoria degli elementi, la teoria della materia prima, e la teoria dei principi. La teoria paracelsiana degli elementi è essenzialmente aristotelica. I quattro elementi comprendono l’acqua, il fuoco, la terra, e l’aria e questi elementi sono considerati come le matrici di tutto quello che esiste. «Le piante, i minerali, i metalli, e gli animali sono considerati frutti dei quattro elementi»[16]. Tuttavia, Paracelso non considera che il fuoco, la terra, e l’aria siano elementi fondamentali. Alla pari con Talete, egli considera che l’acqua sia stata l’elemento fondamentale e ipotizza che la creazione sia un processo nel quale Dio, tale chimico divino, crea l’universo spontaneamente ed ex nihilo usando l’acqua come materia prima.
Benché Paracelso erediti le sue teorie dei quattro elementi e della materia prima da fonti antiche, egli contribuisce qualcosa di veramente originale all’alchimia e alla filosofia chimica attraverso la sua teoria dei principi. Secondo Paracelso, i principi di reazione chimica sono il sale, lo zolfo, e il mercurio, da lui chiamati la tria prima.
Questa tria prima consiste anche di sostanze spirituali e corrisponde al Corpo, all’Anima, e allo Spirito. Il Sale rende i corpi solidi, il Mercurio li rende fluidi, e lo Zolfo li rende infiammabili[17].
Benché la teoria della tria prima sia una modificazione di teorie antecedenti, questa versione paracelsiana occupa un posto significativo nella nascita della scienza moderna perché rappresenta un ampliamento di queste teorie con lo scopo di «fornire una spiegazione per tutti i fenomeni naturali»[18]. In Paracelso, la tria prima vene infusa di vitalismo. Infatti, secondo Paracelso e i paracelsiani successivi, lo spirito vitale è indispensabile sia per il mondo organico che per quello inorganico.
Gli spiriti vengono concepiti come agenti attivi, sui quali dipendono tutte le principali operazioni della natura e del corpo umano[19].
In De Natura Rerum (1537), Paracelso spiega che
la vita delle cose non è altro che un’essenza spirituale, una cosa impalpabile e invisibile, uno spirito e una cosa spirituale. A tal riguardo, non esiste nessuna cosa corporale che non abbia uno spirito e una vita latente che, come detto, non è altro che una cosa spirituale[20].
Nonostante ciò, la filosofia chimica di Paracelso non è semplicemente mistica ma contiene anche gli elementi fondamentali di quello che diventeranno poi il metodo scientifico moderno e la chimica moderna. Per esempio, il suo approccio allo studio della natura è solidamente empirico. Secondo lui,
per arrivare al vero conoscimento, occorre abbandonare la superficie dei corpi, penetrare la loro natura interiore, e isolare i loro componenti fino a renderli visibili e tangibili[21].
Paracelso sottolinea l’importanza dell’analisi come tecnica per rendere accessibili all’alchimista le parti costituenti dei corpi. Tuttavia, sia lui che i paracelsiani successivi considerano che l’analisi sia solamente «la prima metà del lavoro chimico – il preliminare necessario per la re-sintesi»[22]. Dunque, Paracelso e i paracelsiani cambiano la pratica dell’alchimia attribuendo lo stesso peso sia all’analisi che alla sintesi (cioè spagyria), permettendo così di penetrare la vera natura dei corpi e anche di trasformarli in un modo essenziale. La teoria paracelsiana della natura interiore dei corpi è a sua volta fortemente influenzata dal neoplatonismo, in tal modo che Paracelso mette «un’enfasi speciale sulle semina [rerum] che lui considera come archetipi e forze spirituali»[23]. Quest’idea riecheggia della dottrina agostiniana di ragioni seminali. «Le semina, che provengono dalla Parola [cioè Logos] sono contenuti nell’iliastro [la matrice universale del cosmo] e esistono prima dei principi chimici e degli elementi. La natura all’intera è considerata come una panspermia»[24], cioè i semi della vita permeano l’universo intero.
L’idea che le semina siano responsabili per la generazione di corpi naturali, compresa quella dei metalli nelle viscere della terra, continua a influenzare i filosofi chimici paracelsiani durante tutto il Cinquecento e per una gran parte del Seicento. Per esempio, Girolamo Fracastoro, contemporaneo di Paracelso, va oltre quest’ultimo e associa l’idea neoplatonica delle semina rerum con l’atomismo lucreziano. Questo porta Fracastoro a concepire le semina «come particelle materiali invisibili»[25]. Su questa base, Fracastoro sostiene che le semina siano anche le cause delle malattie trasmissibili quando si propagano nell’atmosfera e penetrano un organismo ospitante. In questo modo, sia Fracastoro che Paracelso fanno grandi progressi verso lo sviluppo della teoria medica delle malattie, allontanandosi dalla teoria strettamente galenica di sbilanci umorali e orientandosi, invece, verso la teoria ontologica di patologia e di contagione. La dottrina delle semina rerum continua a influenzare profondamente diversi paracelsiani Cinquecenteschi e Seicenteschi, i cui accettano sia un’ontologia vitalistica che una teoria atomistica della materia ed esercita un impatto particolarmente importante sul pensiero dei paracelsiani Seicenteschi, tali Sebastien Basso, Joseph Duschesne, Oswald Croll, Heindrich Khunrath, Daniel Sennert, e Jan Baptista van Helmont, e dunque anche sullo sviluppo della prima chimica moderna.
[1] D. Bloor, Durkheim and Mauss Revisited: Classification and the Sociology of Knowledge, in N. Stehr e V. Meja (a cura di), Society & Knowledge: Contemporary Perspectives in the Sociology of Knowledge and Science, New Brunswick 2005, p. 77.
[2] A. Clericuzio, Elements, Principles and Corpuscles: A Study of Atomism and Chemistry in the Seventeenth Century, Kluwer, Dordrecht 2000, p. 37.
[3] P. Rossi, La nascita della scienza moderna in Europa (2000), tr. ing. di Cynthia de Nardi Ipsen, The Birth of Modern Science, Oxford, Blackwell, 2001, p. 141.
[4] H. Hirai, Le concept de semence dans les théories de la matière à la Renaissance: De Marsile Ficin à Pierre Gassendi, Brepols Publishers, Turnhouts 2005. In questo volume, Hirai presenta la storia ampia, profonda, e definitiva di questo concetto, tracciando la sua evoluzione dal Rinascimento all’epoca moderna. La mia discussione in questo saggio è indebitata sia al lavoro profondo di Hirai su questo soggetto che a quello d’Antonio Clericuzio (2000).
[5] A. Clericuzio, Alchimie, philosophie corpusculaire et minéralogie dans la Metallographia de John Webster, in «Revue d’histoire des sciences», 49, 2, 1996, p. 298: «Le rapport entre la doctrine de la semence des métaux et celle de la transmutation réside dans la théorie d’une seule semence pour tous les métaux, mais pas de semence spécifique, ce qui signifie que la semence peut produire différents métaux selon les degrés de maturation auxquels elle parvient».
[6] I termini “chimista”, “chimisti”, e “chimistria” sono impiegati nella storiografia scientifica per indicare la transizione fra l’alchimia del Quattrocento e Cinquecento, una disciplina empirica con evidenti caratteristiche magico-teologiche, e la chimica così detta moderna emergente dalla rivoluzione chimica settecentesca iniziata da Antoine Lavoisier. Questi termini indicano che il lavoro dei chimisti del tardo Cinquecento e del Seicento tende a unire i concetti magico-teologici dell’alchimia con il naturalismo che domina la chimica moderna.
[7] J. E. Murdoch, The Medieval and Renaissance Tradition of Minima Naturalia, in C. Lüthy (a cura di), Late Medieval and Early Modern Corpuscular Matter Theories, J. E. Murdoch, e W. R. Newman, Brill Leiden 2001, pp. 91-97.
[8] H. Gatti, “Giordano Bruno’s Soul-Powered Atoms: From Ancient Sources Towards Modern Science”, in Late Medieval and Early Modern Corpuscular Matter Theories, a cura di C. Lüthy, J. E. Murdoch, e W. R. Newman, Leiden, Brill, 2001, p. 163.
[9] A. Clericuzio, Alchimie, philosophie corpusculaire et minéralogie, cit., p. 300.
[10] Id., The Internal Laboratory. The Chemical Reinterpretation of Medical Spirits in England (1650-1680), in A. Clericuzio e P. Rattansi (a cura di), Alchemy and Chemistry in the 16th and 17th Centuries, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht 1994, p. 59.
[11] Ibid., pp. 53-54.
[12] P. Rossi, op. cit., p. 137.
[13] A. Clericuzio, The Internal Laboratory, cit.
[14] P. Rossi, op. cit., p. 142.
[15] A. G. Debus, The Chemical Philosophy: Paracelsian Science and Medicine in the Sixteenth and Seventeenth Centuries, Dover, New York 2002, p. 86.
[16] P. Rossi, op cit.
[17] Ibid., p. 141.
[18] A.G. Debus, op. cit., pp. 78-79.
[19] A. Clericuzio, The Internal Laboratory, cit., p. 52.
[20] Paracelsus, De Natura Rerum (1537), citato in A. Clericuzio, The Internal Laboratory, cit., p. 52.
[21] M.L. Bianchi, The visible and the invisible: From Alchemy to Paracelsus, in Alchemy and chemistry in the 16th and 17th centuries, p. 18.
[22] W. R. Newman – L. M. Principe, Alchemy and the Changing Significance of Analysis, in J. Z. Buchwald e A. Franklin (a cura di), Wrong for the Right Reasons, Springer, Dordrecht 2005, p. 79.
[23] A. Clericuzio, Elements, Principles and Corpuscles, cit., p. 18.
[24] Ibid.
[25] Ibid., p. 17.