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IL PARADOSSO CHE CURA. COMUNICAZIONE E TERAPIA IN PAUL WATZLAWICK

Autore


Maria Betteghella

Università degli Studi di Napoli Federico II

laureata in Filosofia all’Università Federico II di Napoli. Svolge le sue attività di ricerca tra l’Europa e il Sud America

Indice


  1. Fondamenti epistemologici della pragmatica di Paul Watzlawick

2. Forme patogene di comunicazione: i giochi senza fine  

3.Similia similibus curantur

 

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S&F_n. 24_2020

Abstract


The Paradox that heals. Communication and Therapy in Paul Watzlawick

This article provides an overview of the epistemology on which Paul Watzlawick builds its innovative approach to psychology and communication. In the first paragraph, the analysis will introduce the basic concepts of cybernetic and the role it plays within the author’s work. It will also explore the nuances of what Watzlawick defines as “pragmatic science”, a specific perspective on communication and human relations. In the second paragraph, the analysis will give an overview on pathologic forms of communication, focusing on the toxicity of the paradoxical structure. The third chapter will explore the therapeutic tools based on strategic language techniques, disclosing a new approach to the science of behavior based on non linear logic.


  1. Fondamenti epistemologici della pragmatica di Paul Watzlawick

Il pensiero di Paul Watzlawick, filosofo, sociologo e psicologo austriaco, costituisce l’evoluzione di un modello elaborato presso il Mental Research Institute di Palo Alto (California) da quattro personalità straordinarie e capaci di indicare approcci nuovi[1].

All’inizio degli anni cinquanta, Gregory Bateson introdusse per primo in psichiatria la teoria della comunicazione[2]. Attraverso la formulazione dell’ipotesi del doppio vincolo – in virtù della quale casi di pazienti schizofrenici erano interpretati e trattati alla luce della loro matrice comunicativa – Bateson e il gruppo di Palo Alto inaugurarono un approccio psicoterapeutico in cui il sintomo veniva considerato come espressione di un sistema che si autoregola, piuttosto che come il segnale del disagio di un paziente:

Invece di chiedersi il perché (per esempio perché, e cioè in base a quali cause determinanti nel suo passato individuale quest’uomo si comporta oggi in questo modo irrazionale), Bateson si è chiesto: quali effetti dell’effetto influiscono sulle proprie cause?[3]

 

Il gruppo di Palo Alto iniziò a sostituire alla logica lineare di causa-effetto quella di ricorsività circolare, ricorrendo così ai principi della cibernetica e della teoria dei sistemi per strutturare le premesse epistemologiche di un innovativo modello di ricerca, frutto della collaborazione di Bateson con l’ipnoterapeuta Milton H. Erickson, lo psichiatra e psicoanalista Don D. Jackson e il biocibernetico Henz Von Foerster. Membro egli stesso del Mental Research Institute, Paul Watzlawick elabora il modello di Palo Alto attraverso l’esplicito riconoscimento del concetto di relazione all’interno dell’analisi psicologica:

Un fenomeno resta inspiegabile finché il campo di osservazione non è abbastanza ampio da includere il contesto in cui il fenomeno si verifica[4].

 

Watzlawick ci invita a compiere un salto epistemologico per passare da un pensiero disgiuntivo, ossia dall’analisi di monadi isolate (siano esse fenomeni naturali, particelle subatomiche o esseri umani) a un pensiero che possiamo definire complesso, secondo cui le parti di un sistema sono inintelligibili a meno di considerare la relazione come qualcosa di qualitativamente diverso dalla somma delle parti stesse:

Prendiamo il semplice caso di un rapporto a due. Essendo due persone coinvolte, apparentemente non vi è un tertium. E invece esiste, perché ogni rapporto (fra atomi, cellule, organi, uomini o nazioni, poco importa) è qualcosa di più e di diverso dalla somma delle componenti che i due partner portano con sé nel rapporto: dall’alchimia scaturisce una qualità emergente sovrapersonale (come si dice ormai in tempo di biologia) o (nei termini della psicologia) una Gestalt[5].

 

Secondo Watzlawick, ai fini dell’analisi del comportamento umano, sarebbe necessario soffermarsi sulle manifestazioni visibili della relazione tra le parti, e tale visibilità sarebbe veicolata e resa possibile dalla comunicazione.

È il caso di sottolineare che per Watzlawick il termine comunicazione non si riferisce agli aspetti sintattici o semantici del linguaggio, ma fa riferimento a un settore specifico, la pragmatica, che si occupa degli effetti della comunicazione stessa sul comportamento:

Vorremmo fosse chiaro fin da ora che usiamo i termini comunicazione e comportamento praticamente come sinonimi: perché i dati della pragmatica non sono soltanto le parole, le loro configurazioni e i loro significati, ma anche i fatti non verbali concomitanti come pure il linguaggio del corpo e quei segni di comunicazione inerenti al contesto[6].

 

La matrice cibernetica dell’analisi della comunicazione proposta da Watzlawick consiste nel fatto che l’attenzione non si concentra esclusivamente sugli effetti che la comunicazione produce sul ricevitore, ma si occupa anche dell’effetto che la reazione del ricevitore ha sul trasmettitore, considerando inscindibili e complementari queste due prospettive analitiche.

Il fulcro dell’epistemologia cibernetica è infatti il concetto di informazione e di trasmissione della stessa (feedback) all’effettore. La retroazione, ovvero la reintroduzione di una parte di dati in uscita come informazione regolatrice circa la stabilità del sistema stesso, deve essere intesa in rapporto alla deviazione in uscita, che può essere positiva o negativa rispetto a una norma prestabilita. La retroazione negativa garantisce lo stato stazionario del sistema, ossia la sua stabilità. La retroazione positiva provoca invece un aumento della deviazione in uscita che produce instabilità di sistema, permettendo il cambiamento grazie a una condizione di perdita dell’equilibrio:

I sistemi interpersonali possono essere considerati circuiti di retroazione poiché il comportamento di ogni persona influenza ed è influenzato dal comportamento di ogni altra persona[7].

 

In questo senso, la pragmatica di Watzlawick si configura come un modello complesso di relazione e interazione, in cui non si osservano individui monadici ma circuiti di feedback ininterrottamente attraversati da informazioni. Questi sistemi sono unità che si autoregolano, aperti al cambiamento ma governati da una fitta rete di regole. Dal punto di vista psicologico, i disturbi psichici non possono essere isolati dalle reti in cui si iscrivono.

Secondo Watzlawick, infatti, l’osservatore corre il rischio di compromettere completamente l’oggetto della sua analisi a meno di tenere ben presente l’intricato mondo delle relazioni che esiste tra l’organismo e l’ambiente, o tra un evento e la matrice in cui esso si verifica. Distaccandosi dalla concezione monadica che ispira la psicoterapia tradizionale (considerata dall’autore un’autentica perdita di tempo), Watzlawick aderisce al metodo cibernetico per dispiegare la sua grammatica della comunicazione umana e dei disturbi a essa associati:

Se si studia una persona dal comportamento disturbato (psicopatologia) isolandola, allora l’indagine deve occuparsi della natura di tale condizione – e in senso esteso – della natura della mente umana. Se invece si estende l’indagine fino a includere gli effetti che tale comportamento ha sugli altri, le reazioni degli altri a questo comportamento, e il contesto in cui tutto ciò accade, il centro dell’interesse si sposta dalla monade isolata artificialmente alla relazione tra le parti di un sistema più vasto[8].

 

Nell’orizzonte dell’epistemologia cibernetica, le parti di un sistema non sono più separabili perché, come aveva già annunciato Merleau-Ponty,

l’unità del soggetto o quella dell’oggetto non è un’unità reale, ma un’unità presuntiva all’orizzonte dell’esperienza[9].

 

Bateson ha illustrato l’indissolubilità tra l’io e il mondo grazie a un’analogia particolarmente efficace: un cieco che si orienta per strada tramite un bastone. Dove si trova il punto di contatto tra il cieco e il mondo esterno? Nella punta del suo bastone o nell’impugnatura? In questa analogia, il confine tra l’io e il mondo viene meno per lasciare spazio al decorso informativo circolare tra il cieco, il bastone, il selciato del marciapiede e le informazioni fornite dall’atto del testare il terreno con il bastone[10].

Alla base dell’approccio cibernetico troviamo l’idea di autoreferenzialità, un concetto con cui il metodo analitico-scientifico su cui si erge il pensiero moderno è ormai chiamato a fare i conti da numerose discipline[11].

La vita è come una spada, che ferisce ma non può ferire se stessa, come un occhio che vede ma non può vedere se stesso[12]

 

recita una massima zen. Su queste premesse epistemologiche, Watzlawick costruisce una grammatica delle relazioni interpersonali, individuando tanto le norme operazionali della comunicazione e del comportamento umano, quanto i disturbi che vi sono connessi.

 

  1. Forme patogene di comunicazione: i giochi senza fine

La caratteristica fondamentale dei fenomeni interpersonali consiste nel fatto che ogni comunicazione ha un duplice aspetto: informativo e meta-comunicativo. Ogni comunicazione trasmette cioè informazioni che hanno a che fare con il suo contenuto, ma anche istruzioni su come questa comunicazione debba essere intesa dal destinatario, o su come il mittente intenda il rapporto sotteso alla comunicazione stessa. Per questo motivo, Watzlawick definisce il secondo aspetto “relazionale”:

In breve, se si ricorda che ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e uno di relazione, è lecito aspettarsi che i due moduli di comunicazione non soltanto coesistano ma siano reciprocamente complementari in ogni messaggio[13].

 

Tra questi due livelli (caratterizzati da gradi di astrazione diversa) si può verificare o meno un accordo. Le forme di comunicazione patogene scaturirebbero da un mancato accordo tra i due aspetti (contenuto e relazione) della comunicazione. Watzlawick interpreta cioè i disturbi del comportamento come una funzione dei rapporti interpersonali, e non come l’espressione di una psiche malata. Esistono sì rapporti disturbati, ma non individui disturbati.

Nelle strutture comunicative note come svalorizzazioni interpersonali[14], ad esempio, il mancato accordo tra i livelli di comunicazione si realizza come un contrasto tra comunicazione e risposta. Un esempio di questo tipo di struttura è costituito dal seguente scambio comunicativo: un bambino mostra orgoglioso alla propria madre un verme appena trovato. La madre lo guarda e dice con voce fredda e sprezzante: lavati subito le mani. In altri termini, la comunicazione di A viene squalificata da B sulla base di una risposta in cui l’aspetto relazionale è ambiguo oppure si contrappone al contenuto o al contesto della comunicazione di A. Note anche come tangenzializzazioni[15], queste strutture comunicative possono avere un effetto paralizzante e costituiscono una variante della “tecnica della confusione” utilizzata nell’ipnosi[16].

Il cortocircuito comunicativo provocato dalla confusione tra comunicazione e metacomunicazione può condurre il destinatario a una situazione insostenibile. È il caso delle mistificazioni[17], strutture comunicative patogene in cui si realizza un dilemma irrisolvibile tra contenuto e aspetto relazionale. Studi sulle famiglie di pazienti schizofrenici permettono di ricostruire questa forma comunicativa nella seguente struttura:

Se, come spesso accadeva, i figli avvertivano l’ira o l’ostilità dei genitori, allora il genitore negava subito la propria ira e insisteva perché anche il figlio la negasse, così che il figlio si trovava di fronte al dilemma se credere ai genitori o alle proprie percezioni sensoriali. Se il figlio si fidava dei propri sensi, conservava un contatto sicuro con la realtà. Se invece si fidava dei genitori, rinsaldava questo bensì questo importante rapporto, ma alterava in quel modo la propria percezione della realtà[18].

 

Infine, una delle forme più elaborate di patologia comunicativa è quella delle strutture comunicative paradossali. La comunicazione paradossale, definita double bind[19] dal gruppo di ricerca di Bateson che per primo se ne è occupato, è caratterizzata da un contesto emotivamente significativo (ad esempio quello madre-figlio); da una comunicazione la cui struttura mostra un’autoreferenza negativa (nega ciò che afferma e afferma ciò che nega); e dall’impossibilità, per il ricettore, di risolvere il paradosso tramite la metacomunicazione. È il caso ad esempio di genitori che considerano il successo economico così importante che ogni mezzo è buono per guadagnare, ma inculcano nel figlio il valore dell’onestà.

La caratteristica fondamentale di tutte le strutture comunicative patogene consiste nel fatto che esse non solo provocano nei soggetti una reazione ben determinata, ma che queste stesse reazioni contribuiscono a perpetuare la struttura, condannando così i partecipanti a giocare a un gioco senza fine,

un gioco cioè che non ha le regole per il cambiamento delle proprie regole o per stabilire la propria fine[20].

 

Da un punto di vista clinico, infatti, qualunque tentativo di agire sui sistemi relazionali patogeni e patologici si scontra con una tenace forza di inerzia di queste strutture. Assistiamo cioè a una particolare forma di omeostasi applicata ai sistemi relazionali umani[21], e i partner della relazione patogena sperimentano un paradosso comunicativo non dissimile dai labirinti grafici di Escher, in cui non è possibile individuare il punto di inizio e di fine di una scalinata.

La chiave per un trattamento efficace delle patologie che scaturiscono da queste forme paradossali di comunicazione consiste in una terapia che introduce dall’esterno nuove regole, o per dirla con Wittgenstein, di «insegnare un altro gioco al posto del vecchio»[22].

 

  1. Similia similibus curantur

L’intervento terapeutico efficace, ovvero che tiene conto dell’orizzonte pragmatico delle relazioni umane, muove dalla convinzione che esista un linguaggio in grado di influenzare, persuadere e produrre effetti sul comportamento e l’autopercezione altrui:

Il suo apprendimento e il suo impiego si traducono così nell’ovvia e urgente esigenza di una terapia che attribuisca importanza a una maestria concreta, quasi artigianale e si contrapponga, considerandole con scetticismo, alle elucubrazioni esoteriche di certe scuole moderne[23].

 

Seguendo il principio del “similia similibus curantur”, la terapia proposta da Watzlawick mette il linguaggio al servizio della salute utilizzando gli stessi stratagemmi comunicativi individuati all’interno delle strutture patogene. Il terapeuta deve utilizzare la lingua dell’emisfero destro e l’obiettivo della terapia è quello di modificare la concezione della realtà del paziente:

in essa si esprime l’immagine del mondo ed essa è perciò anche la chiave dell’essere-nel-mondo e del soffrire-del-mondo di un uomo[24].

 

La tecnica dell’intervento di Watzlawick rifiuta quindi il metodo terapeutico classico che ricorre alla spiegazione, all’interpretazione e all’analisi. Alla lingua digitale della razionalità discorsiva è sostituita la lingua analogica dei sogni, ovvero l’impiego di forme linguistiche proprie dell’emisfero destro che percorrono “all’incontrario” il cammino dei sogni. Se questi ultimi emergono dall’inconscio verso la superficie attraverso immagini, metafore e simboli, la terapia strategica di Watzlawick si avvale di forme linguistiche selezionate che simulano il linguaggio dei sogni e aggirano l’emisfero sinistro (e la logica della ragione a esso connesso) per compiere il percorso inverso.

Forme linguistiche come il chiasma, il motto di spirito, i doppi sensi, i giochi di parole, gli aforismi rovesciati o i sottointesi formano l’arsenale del terapeuta esperto che mira a ristabilire un nuovo stato di equilibrio nel rapporto che il paziente ha con il mondo. L’obiettivo della terapia consiste deliberatamente nel cambiare l’immagine della realtà del paziente, da cui scaturirebbe la sua sofferenza psichica. Se un intervento terapeutico così strutturato può avere risvolti etici complessi, rasentando il terreno della manipolazione oltre a quello della cura, le tecniche cui esso si appella appartengono a tradizioni millenarie:

I mistici di tutti i tempi e di tutti i paesi hanno usato (e usano) determinati esercizi ed espedienti psichici per liberarsi dall’illusione della cosiddetta realtà[25].

 

La terapia strategica di Watzlawick muove infatti dal presupposto costruttivista secondo cui la realtà sarebbe il frutto di un’interpretazione personale[26] e dal punto di vista clinico per cui

il punto di partenza del trattamento è una situazione dolorosa che sembra irrisolvibile nell’ambito della finzione della realtà in questione[27].

 

L’essenza della terapia strategica consiste semplicemente nella sostituzione di una finzione dolora con una finzione più funzionale.

Il linguaggio terapeutico di Watzlawick (la lingua analogica dell’emisfero destro) ricorre inoltre a tecniche estrapolate dall’ipnoterapia come la disseminazione (che grazie ad associazioni, suggestioni ed enumerazioni facilita l’induzione in trance) o la tecnica della confusione (che induce un blocco temporaneo della censura critico-analitica). Questi stratagemmi sono infatti considerati ampiamente utilizzabili anche all’interno della psicoterapia classica.

Infine, lo strumento decisivo della terapia strategica di Watzlawick consiste nelle prescrizioni di comportamento, ovvero direttive di fare qualcosa di determinato in cui si cela una

possibilità immediata di fare arrivare qualcuno alla comprensione e all’esperienza di aspetti della realtà che non sarebbero accessibili alla mera descrizione di tipo digitale e analitico-verbale[28].

 

Questa «terza via d’accesso diretta all’emisfero destro e dunque all’immagine del mondo di una persona»[29] consiste in esortazioni semplici ma anche complicate, combinazioni di doppi legami, ristrutturazioni e illusioni di alternative. In generale, si tratta di strutture comunicative che somministrano al paziente lo stesso farmaco (il più delle volte paradossale) di cui è vittima all’interno della sua immagine del mondo, questa volta assunto con finalità terapeutica.

L’impiego di strutture comunicative ispirate alla logica non lineare apre nuove, importanti prospettive alla ricerca in ambito psicoterapeutico, decisamente poco frequentate dalla psicologia mainstream, alle cui stampelle fa tuttavia ricorso un numero sempre maggiore di frequentatori. La convinzione che solo una rivalutazione dei «residui»[30] del pensiero scientifico moderno (di cui l’autoreferenzialità epistemologica è forse l’esempio più dirompente) attraversa l’opera di Watzlawick e del lavoro del gruppo di Palo Alto. I risultati della terapia strategica che ne deriva appaiono come veri e propri record di massimi risultati nel minor tempo possibile paragonati alle pluriennali psicoterapie tradizionali, i cui successi andrebbero ricondotti a un «impiego casuale e non intenzionale»[31] delle forme di comunicazione terapeutica sistematizzate nella pragmatica di Watzlawick.

Se già Gregory Bateson aveva profetizzato con un certo ottimismo che

tra pochi anni la spaccatura fra i problemi della mente e i problemi della natura cesserà di essere un fattore determinante di ciò su cui è impossibile riflettere[32]

 

forse non è azzardato supporre che la nuova alleanza tra filosofia e scienza costituisca l’ossatura del contributo di Watzlawick e delle terapie che si ispirano al suo contributo.

E non è tutto. Chi volesse fare ricorso autonomamente all’arsenale teorico-pratico di una grammatica delle relazioni umane per informare una vita più felice, sarà incoraggiato dalla lapidaria chiusura di uno dei testi più accessibili dell’autore. Al lettore che, in preda dallo sconforto, non sa come affrontare i problemi insormontabili e pseudo-patologici della vita più o meno quotidiana, Watzlawick ricorda: «Così disperatamente semplice è la soluzione»[33].


[1] P. Watzlawick, Il codino del Barone di Münchhaussen (1988), tr. it. Feltrinelli Editore, Milano, 1989.

[2] G. Bateson, Verso una teoria della schizofrenia (1956), in Verso un’ecologia della mente, tr. it. Adelphi, Milano, 1976.

[3] P. Watzlawick, Il codino del Barone di Münchhaussen, cit.

[4] Id., Pragmatica della comunicazione umana (1967), tr. it. Astrolabio, Roma, 1971.

[5] Ibid.

[6] Ibid.

[7] Ibid.

[8] Id., Pragramatica della comunicazione umana, cit.

[9] M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione (1945), tr. it. Bompiani, Milano 2003.

[10] Id., Verso un’ecologia della mente, cit.

[11] R. Benkirane, La teoria della complessità (2002), tr. it. Bollati Boringhieri, Torino, 2007

[12] P. Watzlawick, Il codino del Barone di Münchhaussen, cit.

[13] Ibid.

[14] C. Sluzki et al., Transactional disqualification, in «Archives of Psychiatry», 16, 4, 1967.

[15] J. Ruesh, Disturbed Communication, Norton, New York 1957.

[16] M.H. Erickson, La tecnica di confusione in ipnosi, in Le nuove vie dell’ipnosi, tr. it. Astrolabio Roma, 1978.

[17] I. Boszormenyi-Nagy e J.L. Framo (a cura di), Psicoterapia intensiva della famiglia (1985), tr. it. Bollati Boringhieri, Torino 1969.

[18] A.M. Johnson et al., Studies in schizophrenia at the Mayo Clinic II, in «Psychiatry», 19, 1956.

[19] G. Bateson, Verso una teoria della schizofrenia, cit.

[20] P. Watzlawick, Il codino del Barone di Münchhaussen, cit.

[21] D.D. Jackson, The question of family homeostasis, in «Psychiatric Quarterly», 31, 1957.

[22] L. Wittgnestein, Osservazioni sopra i fondamenti della matematica (1956), tr. it. Einaudi, Torino, 1971

[23] P. Watzlawick, Il linguaggio del cambiamento. Elementi di comunicazione terapeutica (1977), Feltrinelli, Milano 2011.

[24] Ibid.

[25] Ibid.

[26] P. Watzlawick (a cura di), La realtà inventata (1981), tr. it. Feltrinelli Milano, 2010.

[27] Id., Il codino del Barone di Münchhaussen, cit.

[28] Id., Il linguaggio del cambiamento. Elementi di comunicazione terapeutica, cit.

[29] Ibid.

[30] M. Ceruti, La hybris dell’onniscienza e la sfida della complessità, in G. Bocchi, M. Ceruti (a cura di), La sfida della complessità, Feltrinelli, Milano 1985.

[31] P. Watzlawick, Il linguaggio del cambiamento. Elementi di comunicazione terapeutica, cit.

[32] G. Bateson, M. Catherine Bateson, Dove gli angeli esitano. Verso un’epistemologia del sacro (1987), tr. it. Adelphi, Milano 1989.

[33] P. Watzlawick, Istruzioni per rendersi infelici (1983), tr. it. Feltrinelli, Milano 2004.

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