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Indice
- Epistemologie femministe e il concetto di genere
- L’asimmetria tra donne e uomini. Spunti di riflessione
S&F_n. 23_2020
Abstract
Some thoughts about the concept of gender
In this brief contribution I insist on the necessity to avoid the term “feminist epistemology”. On the contrary, “feminist epistemologies” should be preferred. Another term we should scrutinize is gender. Finally, I review some of the criticalities which arise from female predicament.
- Le Epistemologie femministe e il concetto di genere
Erriamo spesso declinando al singolare alcuni termini che necessitano, invece, del plurare. Tra questi, troviamo “epistemologia”, nel senso proprio di “teoria della conoscenza”, e, in particolare, un termine quale “epistemologia femminista” che dovrebbe invece essere “epistemologie femministe”, dal momento che tali teorie non si sono mai strutturate in senso unitario. Ciò è tanto più esatto quando viene affrontato il complesso problema della conoscenza. E, per venire analizzata in modo corretto, la complessità delle epistemologie femmiste non può disporre di un unico solitario interprete; deve piuttosto, come oggi di fatto avviene, venir sviluppata da una pluralità di prospettive, per quanto anch’esse, a loro volta, possano creare altri problemi. Uno tra questi, sorretto da alcune epistemologie femministe, benché non da tutte, fa leva sul “critico” concetto di genere, contestato poiché detta standard prescrittivi inconseguibili da un qualunque essere umano. Rimane, in ogni caso, vigente la considerazione per cui chi si ancora al concetto di genere femminile deve percorrere una via per temi e argomentazioni.
È che il concetto di genere si ancora su “discubili grovigli”, concetto da criticare, concetto da rivedere, concetto da negare attraverso pratiche e norme epistemiche. Il genere rimane una trappola epistemica, conveniente o convincente, da rivisitarsi, nonchè idonea, per alcuni/e, a custodire l’appartenenza femminile sotto il profilo conoscitivo, e nello sviluppare nuovi approcci che enfatizzino competenze e doti conoscitive paritetiche ai due (donna e uomo – solo due perché mai?) generi di matrice socio-culturale.
Qualche punto deve venire specificato, non travisato, in virtù del fatto che il genere di appartenenza gioca un ruolo nel tipo di opportunità cognitive ed esperienze epistemiche che si possono/debbono attuarsi.
Un unico esempio empirico di chiarimento: benché spesso dipendenti, rispetto agli uomini, le donne dispongono senz’altro di maggiori occasioni per giungere a sapere che cosa significhi essere anoressica, partorire con dolore, soffrire di depressione. Da qui si intuisce che il soggetto conoscente non può coincidere con quello tradizionale, ovvero con un essere irreale, neutro, ma declinato infine solo al maschile, soggetto “perfetto” che non ha storia, “razza”, classe sociale, preferenza sessuale, cultura, età. Non può davvero essere.
Al fine di “catturare” il concetto di genere, specie in relazione a un femminile vissuto al negativo, rispetto a un maschile vissuto al positivo, occorre fare chiarezza, eliminando i troppi pregiudizi, di cui molti tra noi si nutrono. Soprattutto in quanto il concetto di genere non si concretizza affatto in un solido valore, e in ciò rimango generosa, dato che, come ritengo, appoggiandosi al concetto di genere femminile o maschile, si finisce col precipitare in un “pozzo di solitudine”.
- L’asimmetria tra donne e uomini. Spunti di riflessione
Benché il discorso filosofico sia di matrice normativa, può essere fruttuoso mettere a fuoco alcuni fatti. Da una parte, le donne – non tutte – vengono osteggiate nelle loro capacità e possibilità di acquisizione di conoscenza, soprattutto di conoscoscenza proposizionale. A partire da Aristotele vengono additate quali “irrazionali”, in contrapposizione al soggetto conoscente razionale (uomo, palesemente); viene loro sottratta parecchia autorità epistemica; sono isolate in posizioni cognitive inferiori e la loro subordinazione al soggetto “uomo” rientra nella quotidiana banalità; sono loro sottratte risorse quali tempo, potere, denaro da investire in cultura; non vengono, di frequente, considerate degne di un’educazione che riguardi la loro sessualità (basti pensare che la differenza tra orgasmo vaginale e orgasmo clitorideo è ancora sconosciuta a molte donne – chi ha letto il “vecchio” Rapporto Hite ricorderà che, mentre il 70% delle donne non raggiunge l’orgasmo vaginale, il 92% raggiunge quello clitorideo) o comunque un’istruzione adeguata (le donne possono accedere all’università solo da alcuni decenni, mentre la scolarizzazione di massa è del tutto ignota ancora a molte donne nel mondo); e in Occidente, oltre che soprattutto in Oriente, vengono di rado previsti per loro programmi di formazione, educazione e/o sensibilizzazione specifici in relazione ai loro diritti – sempre che la legge del paese tal dei tali li ammetta – rispetto all’hate speaching, alle molestie e alle violenze sessuali, ai rischi del lavoro domestico, al fatto che il ruolo di mogli, madri, figlie, nei casi in cui si scelga di essere mogli e madri (purtroppo, non si può optare se essere figlie) possa originare patologie di tipo psichico; vengono discriminate sul lavoro (basti menzionare che in Italia le donne professore ordinario sono, perlomeno secondo gli ultimi dati, il 22,3% ), e via dicendo...
Causa o effetto che siano, questo e altro rappresentano una sorta di prostazione di gran parte delle donne rispetto alla conoscenza, sempre proposizionale. Chi Uomo (un’essenza), alla fin fine, di rado, approva La Donna (altra essenza) che tra l’altro, a mio avviso non esiste, se non in qualità di conveniente, non filosoficamente, convincente stereotipo?
Rimane, infine, molto da chiarire. La filosofia non può essere dogmatica. Chiarire cosa? Basti ricordare che nel 2005 il rettore di Harvard, Lawrence H. Summers, ipotizza che le donne siano biologicamente e socialmente inferiori agli uomini nei settori scientifici e ingegneristici. Non è forse assurdo, visto che a tale ipotesi manca del tutto un sostegno giustificativo? Del resto, una possibile ragione della penuria di donne nelle carriere scientifiche può essere che, a differenza degli uomini, le donne eteoresessuali non hanno una moglie? Rimane sempre illuminante leggere e rileggere un classico testo di umorismo femminista scritto da Judy Syfers nel 1971, intitolato Why I want a Wife, che magnifica i vantaggi dell’avere una moglie, grazie alla quale si viene esentati dalle preoccupazioni e dai compiti casalinghi quotidiani.
Che fare? Forse abbandonare il concetto di genere? Ciò richiederebbe un libro.