Autore
Indice
1. Premessa
2. Il modello medicalizzato di transizione
3. Liberazione e oppressione nella transizione medicalizzata
4. Vite in pausa
5. Conclusioni
S&F_n. 23_2020
Abstract
Trangender identities between body’s expression and constrictions. Self-determination in medicalized gender transition
Trans identities, through their non-conforming bodies, undermine a natural order based on the correspondence between sex and gender, which is poorly questioned in the common discourse. Medicine and scientific-technological development play, toward gender transition, an ambivalent role, oscillating between liberation and emancipation, and oppression and restoration of the order mentioned above. The medicalized model proposes, or imposes, rigid gender transition paths bound to a binary approach to gender, through normalization and rectification of bodies. Supported by a law that elevates the medicalized model to the only competent branch of knowledge, it overlooks the real voices and needs of trans people, who struggle to find space and strength to be heard and accepted.
- Premessa
Per quanto la letteratura abbia evidenziato la variabilità dei percorsi di transizione e l’importanza di garantirne una costruzione individualizzata, è innegabile che la loro attuazione passi quasi sempre attraverso un processo di medicalizzazione, che è via elettiva per la legittimazione identitaria dei soggetti trans da un punto di vista formale, tanto quanto sociale[1].
Il percorso di transizione in Italia è regolato dalla Legge 164/82 che, pur non istruendo in merito agli atti antecedenti la rettifica anagrafica e di genere, relega la transizione a due ambiti di “competenza”, quello medico e quello legale. Da ciò si evince che l’autodeterminazione delle persone trans ricopre un ruolo secondario rispetto all’azione di figure professionali esterne che sanciscono gli esiti del percorso di transizione, in quanto giudici e revisori[2].
Ne consegue che, nella pratica professionale e nella costruzione dei percorsi di transizione, la dimensione psicologica dei soggetti è frequentemente trascurata in virtù della corporeità, ritenuta il terreno principe di adeguamento.
Tuttavia, la letteratura psicologica, e, ancor prima, le voci delle stesse persone trans, hanno ripetutamente messo in luce come la transizione sia trasversale a più dimensioni (psicologica, sociale, relazionale e corporea): per quanto l’affermazione di genere possa passare attraverso il corpo, non si limita affatto a esso. Molte persone trans, infatti, non ambiscono a procedure chirurgiche o a modificazioni dei caratteri sessuali secondari tramite trattamento ormonale sostitutivo cross-sex, optando per non intervenire sui propri corpi, o preferendo posticipare a momento successivo tale decisione[3].
In questo lavoro prenderemo in considerazione i presupposti e le caratteristiche della transizione medicalizzata per fornire spunti di riflessione sui significati che gli attributi naturale e artificiale assumano in relazione ai corpi dei soggetti trans, tra liberazione e oppressione.
- Il modello medicalizzato di transizione
Il pensiero comune, nella nostra società, fatica a adeguarsi ai sempre più ricchi e esaustivi contributi provenienti dai Gender Studies e dai Queer Studies: il sistema di classificazione di genere, nell’opinione collettiva, seguita a contemplare due alternative opposte – maschile e femminile – imprescindibilmente legate e corrispondenti a altrettanti sessi. I due generi sono ritenuti essere distinti, per differenza, da evidenze fornite dall’aspetto fisico, dagli attributi corporei, dagli organi genitali e da tutte le caratteristiche “riconoscibili” come maschili o femminili che vanno al di là dei corpi (ruoli e espressioni di genere). Tale concezione è stata a tal punto interiorizzata a livello sociale, nonché supportata da alcune discipline – prima fra tutte, quella medica – da divenire norma: tutto ciò che esula dal binarismo dei generi e dei sessi è ritenuto innaturale, ed è, dunque, destabilizzante. In questo rientrano nel pensiero comune le identità – e, soprattutto, i corpi – trans[4].
Dal mero scostamento dalla norma, al conferire alla devianza un carattere di problematicità e, dunque, patologia, il passo è breve. L’intervento medico, infatti, agisce sui corpi trans attraverso la rettifica delle caratteristiche fisiche ritenute anomale, poiché sovvertono la corrispondenza tra sesso e genere. La finalità è rendere tali corpi “leggibili” secondo una chiave di genere convenzionale, per eliminarne l’ambiguità e l’indefinitezza imputabili alla presenza di caratteristiche sessuali, primarie e secondarie, non immediatamente riconducibili alle categorie maschile/femminile[5]. Il paradigma medico promuove la regolamentazione e l’espressione binaria del genere attraverso i corpi, mancando spesso di offrire un’alternativa per le identità che non rientrano nella concezione binaria[6]. L’esistenza di tali corporeità non è, infatti, contemplata; da qui la propensione alla correzione fisica, all’inquadramento (diagnostico, anatomico, legale), trascurando le identificazioni delle persone trans, e non solo, che si discostano dal binarismo.
A testimonianza della diffusa attribuzione di una natura deviante alle identità trans, si osservano, soprattutto a livello mediatico, frequenti narrazioni di individui “nati” o “intrappolati” nel corpo sbagliato. Sbagliato esplicita un’ulteriore caratteristica attribuita alla devianza dei corpi trans, già marcata in senso medico/patologico: quella morale. Si presuppone, così, l’esistenza di altri corpi che sono, invece, giusti, con genitali e attributi sessuali corrispondenti a quelli che uomini e donne dovrebbero possedere naturalmente[7]. La medicina offre – e in alcuni casi forza verso – una soluzione per coloro che possiedono un corpo sbagliato: rende possibile la rettifica, l’avvicinamento alle identità ideali, corrispondenti ai canoni di cisnormatività[8]; lo fa in modo paradossale, correggendo artificialmente corpi naturali, ritenuti innaturali. I corpi trans, tramite l’alterazione della loro natura, vengono così adeguati e allineanti, e divengono naturali e giusti[9].
Rompere i confini di mascolinità e femminilità, soprattutto attraverso corpi non conformi, è qualcosa di percepito come fortemente deviante[10]. Sebbene in ambito medico solo in tempi relativamente recenti le identità trans sono state formalmente dissociate dalla dimensione del disturbo – a partire dalla quinta edizione del DSM[11] (2013) –, l’atteggiamento di numerosi professionisti si è mantenuto patologizzante, così come quello di parte della società[12].
Tale ottica trova conferma nell’accento frequentemente posto sulla sofferenza, qualificata come condizione connaturata e costante del percorso di transizione, trascurando del tutto le casistiche in cui la persona trans non presenta disagio a causa della sua identità di per sé, ma, può risentire delle ripercussioni dovute all’assenza o alle difficoltà di riconoscimento a livello relazionale e sociale, o dell’interiorizzazione di mandati sociali transfobici e cisnormativi. L’aggiornamento del DSM-5 che ha visto l’introduzione della “Disforia di genere”, eliminando del tutto la dimensione di disturbo, ha distinto nettamente la sofferenza dall’esistenza trans: la disforia è, infatti, definita come sofferenza che gli individui possono esperire – ma non sempre sperimentano – in associazione all’incongruenza tra genere assegnato e genere di identificazione[13]. Per contrastare l’automatismo nell’associazione tra transizione e sofferenza, inoltre, si sono sempre più diffuse espressioni come creatività di genere, che enfatizzano il carattere di costruzione – e non più di distruzione/compromissione – del genere, e le sue potenzialità di sviluppo in una dimensione di “salute sessuale”, come anche ribadito dall’OMS nell’undicesima edizione dell’ICD[14] [15] e nel PDM-2[16], in cui si introduce il concetto di incongruenza di genere.
Parlare di sofferenza dei corpi trans, invece, riconduce al piano della patologia, e sembra, in aggiunta, legittimare l’accesso ai servizi medici: il soggetto sofferente, riconosciuto come bisognoso, è fruitore di un percorso terapeutico/correttivo che mira a una ricollocazione a una categoria di genere. In un’ottica medica e patologizzante la sofferenza, pertanto, allontana le persone trans dalla possibilità di essere cancellate: un corpo che soffre è un corpo che richiede cura, dunque un corpo che esiste[17].
- Liberazione e oppressione nella transizione medicalizzata
Il primo passo nell’intervento medico sui corpi trans, consiste, secondo la prassi dell’iter di transizione in Italia, nel trattamento ormonale sostitutivo cross-sex (TOS). Esso è prescritto e supervisionato da specialisti in endocrinologia, e consente la modificazione dei caratteri sessuali secondari. La trasformazione del corpo avviene per adeguarlo al modo in cui i soggetti trans lo prospettano e sentono a livello profondo: in questo caso il binomio naturale/artificiale si riscontra nella componente artificiale data dalle sostanze sintetiche assunte (ormoni cross-sex) per apportare cambiamenti corporei in direzione di una maggiore naturalità, intesa come armonia tra l’aspetto fisico e l’identificazione di genere.
Tuttavia è doveroso precisare che per poter ricorrere al TOS i soggetti in transizione devono operare a monte un’opera di convincimento, riuscendo a dimostrare di voler diventare uomini o donne, poiché il riconoscimento della loro identità passa attraverso l’istituzione medica[18]. Se la spinta sociale, infatti, è quella di conformarsi a un desiderio di normatività di genere, le persone trans sono indotte a compiere atti persuasivi e, in qualche modo, vere e proprie prestazioni di genere, per essere ritenute valide candidate all’accesso ai servizi connessi alla transizione, in particolare quando l’intervento è sui corpi. L’autodeterminazione è confinata a un piano secondario, rispetto a un’esigenza di performance e un’adesione alle aspettative, prima di tutto sociali, sui generi: le persone trans si trovano a fornire prove della loro identificazione, per poter accedere a alcuni diritti e servizi, come quello sanitario[19].
Il modello medico ha, così, finito per plasmare le narrazioni autobiografiche delle persone trans, riportandole al binarismo di genere per esclusione dell’indefinitezza. Dati tali presupposti, si può riflettere su come il successo della transizione si traduca non tanto nel raggiungimento del benessere psico-fisico della persona, quanto, piuttosto, nella sua aderenza alle definizioni normative di mascolinità e femminilità, manifestate primariamente attraverso il corpo[20].
Ciononostante, per molte persone trans conformarsi alle definizioni binarie non comporta un obbligo o una forzatura. L’intervento medico, e in special modo il TOS, particolarmente ambito e adottato tra le opzioni sanitarie connesse alla transizione, è spesso ritenuto essere un dispositivo salvavita, poiché permette di ottenere modificazioni corporee desiderate, allontanando il malessere legato a caratteri sessuali esperiti come incongruenti, e, dunque, fonti di sofferenza[21]. Il TOS ricopre, inoltre, un ruolo chiave anche nella (ri)costruzione identitaria, nel rispecchiamento della propria immagine, alterata in conformità al genere esperito, attraverso le relazioni[22]. Come detto, le identità trans sono percepite minaccia all’ordine sociale istituito sulla corrispondenza tra sesso e genere poiché sovvertono, con i loro corpi, gli indiscutibili modelli anatomici relativi agli standard di uomo e donna. Quando i lori corpi vengono plasmati dagli effetti degli ormoni cross-sex ristabiliscono l’ordine naturale e sociale, riportandoli, con l’avanzamento del trattamento, entro i binari dei generi, e allontanando ogni ombra di confusione e indeterminatezza[23]. Il corpo, come baluardo del genere, contribuisce, infatti, a regolare le interazioni sociali: nella quotidianità non è il dato anagrafico a determinare l’appartenenza a un sesso o a un altro, e tanto meno lo sono gli organi genitali, non individuabili all’apparenza. Poiché nella maggioranza delle situazioni sociali si agisce con il presupposto dell’esistenza di soli due sessi, è il corpo, nelle sue manifestazioni fenotipiche, a creare un’apparenza di genere a cui si presume corrispondano determinati organi genitali[24].
Per le persone trans che ricorrono al TOS, dunque, l’artificialità degli ormoni può essere sinonimo di liberazione, permettendo un’affermazione identitaria che trascende i caratteri fisici di cui la biologia le ha dotate.
Quando, però, il paradigma medico è proposto come universale e unica strada percorribile in direzione di un riconoscimento della propria identificazione di genere, dalla liberazione si passa all’oppressione. Questa impostazione tocca particolarmente le soggettività non binarie[25] (da intendersi non esclusivamente nell’identità di genere, ma anche nei corpi o nelle espressioni di genere), poste di fronte alla scelta di sottostare ai vincoli medici o rinunciare completamente alla propria affermazione. Motivo per cui possono giungere a abbandonare il proprio percorso di transizione, ritenuto, a tali condizioni, inaccettabile[26].
Una riflessione parallela sul carattere liberatorio/oppressivo può essere fatta anche in merito alla chirurgia cui le persone trans ricorrono, definita riassegnazione o riconversione del sesso, generalmente attuata, per motivi sia sanitari che burocratici, solo dopo l’avvio del TOS. Poiché il testo della legge 164/82 si presta a diverse letture a causa della sua vaghezza, fino a tempi recenti la sterilizzazione[27] era considerata presupposto necessario al riconoscimento della rettifica di genere dal punto di vista legale. Si può ipotizzare che una simile interpretazione della norma rispecchi fedelmente la visione binaria, nell’accettazione del cambiamento di genere solo se inteso in senso cisnormato. Al contrario, trova spazio la difficoltà a tollerare le condizioni “intermedie” a sessi e generi, se non quando momentanee e funzionali alla transizione stessa[28]. La prospettiva di modifica si riferisce, poi, agli organi genitali, trascurando le caratteristiche sessuali secondarie (prime, tra tutte, quelle su cui il TOS interviene), e appiattendo la persona, la sua identità e il suo percorso di transizione alla genitalità, e all’urgenza di una sua riconversione. Non è un caso che nel testo di legge risalti l’assenza di una qualsiasi menzione al genere, a dimostrazione della sua (presuntamente) naturale coincidenza con il sesso.
Un significativo aggiornamento in merito alla chirurgia si è avuto successivamente alle sentenze della Corte di Cassazione (n. 15138/2015) e della Corte Costituzionale (n. 221/2015) e alla sentenza n.180 della Corte Costituzionale del 2017. Grazie a esse, si è giunti a un procedimento unico in cui richiedere rettifica anagrafica e di genere e autorizzazione agli interventi chirurgici, ovviando all’obbligo di sottoporvisi preliminarmente al riconoscimento legale del proprio genere. La chirurgia da obbligata, è divenuta volontaria e emancipatoria, permettendo ai soggetti trans di “naturalizzare” i corpi attraverso la loro alterazione[29].
- Vite in pausa
L’attesa è un’esperienza comune e una preoccupazione prevalente nella transizione di genere medicalizzata[30]. Quanto finora descritto ha trascurato di argomentare le significative attese che caratterizzano il percorso di transizione, su cui vale la pena di riflettere, dato anche il particolare momento storico cha ha visto la nascita del presente lavoro.
Le persone trans che ricorrono a servizi sanitari in funzione del proprio percorso, sono spesso sottoposte a attese a lungo termine per accedere a screening, diagnosi e trattamenti, con la promessa di ottenere un allineamento corporeo e un conseguente riconoscimento sociale. A appesantire questi intervalli, particolarmente lunghi nella sanità pubblica, si aggiungono ritardi e imprevisti che vanno al di là delle previsioni e delle aspettative. L’abitudine all’attesa, impotente e prolungata, può condurre gli individui trans, in alcuni casi, a apprendere più alti gradi di tolleranza e a accettare le contingenze esterne, autorevoli e istituzionali, attraverso una ricalibrazione dei propri desideri[31].
Quando il percorso di transizione e, di conseguenza, la propria vita sono messi in pausa, l’attesa può trasformarsi in un vero e proprio lavoro di genere, con derive potenzialmente dannose in termini di sopravvivenza[32].
Se già in condizioni ordinarie un notevole esercizio di pazienza viene richiesto ai soggetti trans, l’attuale emergenza sanitaria (causa Covid-19) è probabile star causando, in questo momento, uno smarrimento persino più profondo. Ragionevolmente, il dispiego delle risorse sanitarie ha dovuto prendere direzioni prioritizzate, posticipando a tempo indeterminato i servizi accessori alle varie altre esigenze sanitarie, compresa la transizione medicalizzata (visite mediche, interventi chirurgici). Così come la sospensione dell’iter legale necessario per la riassegnazione anagrafica e di genere e l’autorizzazione agli interventi chirurgici. L’assenza di una chiara prospettiva, l’imprevedibilità degli sviluppi pandemici, l’indefinitezza del futuro prossimo e l’impossibilità di attribuire responsabilità esasperano, così, l’attesa che comporta frustrazione e la sensazione che a esercitare il controllo sul proprio corpo sia, ancora una volta, un’entità esterna e intangibile.
- Conclusioni
Le identità trans mettono in discussione le istanze di naturalità sovvertendo l’ordine proposto come naturale, ovvero la corrispondenza tra sesso e genere all’interno dei binari di mascolinità e femminilità. Come visto nel presente articolo, la medicina e lo sviluppo scientifico-tecnologico ricoprono un ruolo ambivalente, oscillando tra quello liberatorio e emancipatorio, e quello oppressivo e di ripristino di un ordine ritenuto naturale.
Il contesto legislativo italiano fa dell’autodeterminazione delle persone trans un obiettivo da esse stesse raggiungibile solo parzialmente, lungo un percorso battuto in cui si ha libertà di non percorrerlo per intero, ma non di modificarne nell’ordine le sue “tappe”. In tal senso i corpi trans incarnano artificialità e naturalità insieme, in un paradossale tentativo di ripristino della convenzionalità che assume accezioni diverse in base al punto di vista assunto: quello medico, che tenta di alterarli per rettificare la devianza (da innaturale a naturale, per la coincidenza sesso-genere attraverso gli organi genitali); quello trans, in cui l’alterazione non è altro che un tentativo di reintegrare la naturalità del genere da sempre esperito, ma non prima espresso, attraverso il corpo.
[1] E. Coleman, W. Bockting, M. Botzer, P. Cohen-Kettenis, G. DeCuypere, J. Feldman, L. Fraser, J. Green, G. Knudson, W. J. Meyer, S. Monstrey, R. K. Adler, G. R. Brown, A. H. Devor, R. Ehrbar, R. Ettner, E. Eyler, R. Garofalo, D. H. Karasic, A. I. Lev, G. Mayer, H. Meyer-Bahlburg, B. P. Hall, F. Pfaefflin, K. Rachlin, B. Robinson, L. S. Schechter, V. Tangpricha, M. van Trotsenburg, A. Vitale, S. Winter, S. Whittle, K. R. Wylie, K. Zuckeret, Standards of care for the health of transsexual, transgender, and gender-nonconforming people, version 7, in «International Journal of Transgenderism», 13, 4, 2012, pp. 165–232.
[2] G. Pieraccini, Corpi egemonici: Riflessioni sulle biopolitiche della (tran)sessualità in Italia, in Per-formare corpi: esperienze e rappresentazioni, S. Grilli (a cura di), Edizioni Unicopli, Milano 2013, pp. 27-66.
[3] E. Coleman et al., cit.; American Psychological Association, Guidelines for psychological practice with transgender and gender nonconforming people, in «The American Psychologist», 70, 9, 2015, pp. 832-864.
[4] J. Butler, Gender Trouble: Feminism and the Subversion of Identity, Routledge, New York 1999. Si veda anche J. Butler, Undoing Gender, Routledge, New York 2004; e J. Tosh, Psychology and Gender Dysphoria. Feminist and Transgender Perspectives, Routledge, New York 2016.
[5] M. Inghilleri, E. Ruspini, Transessualità e scienze sociali: identità di genere nella postmodernità, Liguori, Napoli 2008.
[6] D. Spade, Resisting medicine, remodeling gender, in «Berkeley Women’s Law Journal» 18, 1, 2003, pp. 15–37.
[7] G. Pieraccini, op. cit.
[8] Si identifica come cisgender la persona che percepisce concordanza tra l’identità di genere e il comportamento, il ruolo, l’espressione considerati convenzionalmente conseguenti al genere attribuito alla nascita. La cisnormatività implica che essere cisgender sia la condizione “normativa” per un individuo. Il prefisso cis- deriva dal latino e significa “al di qua, da questo lato”.
[9] R. Sassatelli, Plasticità, corpo e potere: Una rassegna della “politica del corpo” come problematica sociologica, in «Rassegna Italiana di Sociologia», 40, 4, 1999, pp. 627-650. Si veda anche R. Sassatelli, Corpi Ibridi. Sesso, genere, sessualità, in «Aut Aut», 330, 2, 2006, pp. 29-57.
[10] C. Rinaldi, Generi e sessi non normativi. Riflessioni e prospettive di ricerca nell’analisi sociologica, a cura di R. Vitelli e P. Valerio, in Sesso e genere. Uno sguardo tra storia e nuove prospettive, Liguori, Napoli 2012, pp. 171–222.
[11] Il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, DSM, in originale Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, è uno dei sistemi nosografici per i disturbi mentali o psicopatologici più utilizzati in ambito psichiatrico, psicoclinico e psicodiagnostico.
[12] American Psychiatric Association, Diagnostic and statistical manual of mental disorders, American Psychiatric Association Publishing, Washington, 20135.
[13] Ibid.
[14] L’International Classification of Diseases, è la classificazione internazionale delle malattie e dei problemi correlati, stilata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
[15] R. García, A. Fresan, H. Vega-Ramírez, J. Cruz-Islas, V. Rodríguez-Pérez, T. Domínguez-Martínez, G. Reed, Removing transgender identity from the classification of mental disorders: A Mexican field study for ICD-11, in «The Lancet Psychiatry», 3, 9, 2016, pp. 850-859.
[16] Il Manuale Diagnostico Psicodinamico (PDM) è il primo tentativo sistematico di fondare la diagnosi su modelli clinici e teorie di orientamento psicodinamico.
[17] G. Pieraccini, op. cit.
[18] D. Spade, op. cit.
[19] Ibid. Si veda anche K. Amin, Temporality, in «Transgender Studies Quarterly», 1, 1–2, 2014, pp. 219–222.
[20] D. Spade, op. cit.
[21] E. Coleman et al., cit. Si veda anche S. Hope, Person-Centred Counselling for Trans and Gender Diverse People: A Practical Guide, Jessica Kinglsey Publisher, London 2019.
[22] R. Sassatelli, Corpi Ibridi. Sesso, genere, sessualità, cit.
[23] J. Butler, Undoing Gender, cit.
[24] R. Sassatelli, Corpi Ibridi. Sesso, genere, sessualità, cit.
[25] Una persona non-binary (o non binaria) non si riconosce nel binarismo di genere, o comunque non esclusivamente in uno dei due generi, maschile e femminile. Possono essere non binarie sia persone trans che persone cis.
[26] D. Spade, op. cit.
[27] Interventi di demolizione dei genitali interni (femminili) o esterni (maschili).
[28] G. Pieraccini, op. cit.
[29] E. K. Lindqvist, H. Sigurjonsson, C. Möllermark, J. Rinder, F. Farnebo, T. K. Lundgren, Quality of life improves early after gender reassignment surgery in transgender women, in «European Journal of Plastic Surgery», 40, 3, 2017, pp. 223-226. Si veda anche T. C. van de Grift, E. Elaut, S. C. Cerwenka, P. T. Cohen-Kettenis, B. P. C. Kreukels, Surgical satisfaction, quality of life, and their association after gender-affirming surgery: A follow-up study, in «Journal of Sex and Marital Therapy», 44, 2, 2017, pp. 138-148.
[30] K. Amin, op. cit.
[31] V. Pitts-Taylor, “A slow and unrewarding and miserable pause in your life”: Waiting in medicalized gender transition, in «Health», 1, 2019.
[32] L. Bailey, S. Ellis, J, Mcneil, Suicide risk in the UK Trans population and the role of gender transition in decreasing suicidal ideation and suicide attempt, in «Mental Health Review Journal», 19, 4, 2014, pp. 209-220. Si veda anche S. E. James, J. L. Herman, S. Rankin, Executive Summary of the Report of the 2015 US Transgender Survey, National Center for Transgender Equality, Washington 2015.