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Eva Futura tra corpi “artificiali” e corpi “naturali”: Tecnologia della Liberazione o dell’assoggettamento?

Autore


Viola Carofalo - Delio Salottolo

Università degli Studi di Napoli - L'Orientale

Indice


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S&F_n. 23_2020

Abstract


The Future Eve between artificial bodies and natural bodies: Liberation Technology or Subjection?

In the last thirty years the problematic relationship between body and machine has frequently been declined in the feminine, keeping the woman at the center, her specificity, her aesthetic characteristics, her reproductive capacity. This attempt of the overcoming the patriarchal symbolic order has increasingly confronted, on the one hand, with the need for a reorganization of knowledge – therefore, in an epistemological key, a specific attention to a demystification of the role of Science and Technology, going beyond nature and culture, and, on the other hand, with a need to deepen the devices of reification of female body. The dossier of the n. 23/2020 of S&F_ intends to examine this problematization by crossing a series of issues: the relationship between reproductive work and support technologies, the role of motherhood, where requests for technical and manipulative intervention and requests for new naturalization increasingly cross, the problem of medicalization and normalization and the production of docile subjects and populations, the central role of neoliberal reproductive technologies as the basis for an exploitative and patriarchal economics.

 

 

 

Alla stessa ora qui, fra ventun giorni, miss Alicia Clary le apparirà non soltanto trasfigurata,

non soltanto incantevole come compagna,

non soltanto dotata di sublime nobiltà spirituale, ma anche rivestita di una specie di immortalità.

Insomma quella radiosa sciocca sarà non più una donna,

ma un angelo, non più un’amata, ma un’innamorata, non più la Realtà ma l’IDEALE

Villiers de l'Isle-Adam

 

 

 

Figlia, so che hai paura ma non c'è motivo.

Ti ho mai fatto del male?

Film I Am Mother 2019

 

 

 

Perché da questa è nata la razza, la genia maledetta delle donne,

terribile flagello collocato nel bel mezzo degli uomini mortali

Esiodo

 

 

Negli ultimi trent’anni la relazione complessa tra corpo e macchina è stata frequentemente declinata al femminile, tenendo al centro la donna, le sue specificità, le sue caratteristiche estetiche, la sua capacità riproduttiva.

A dare il via a questo dibattito tra autori e autrici che, partendo da prospettive ermeneutiche differenti, hanno prodotto riflessioni e suggestioni che hanno orientato il dibattito culturale “alto” e quello mainstream, è certamente Donna Haraway che, alla metà degli anni Ottanta, con il suo Cyborg Manifesto, ripensa il corpo della donna, le sue funzioni, immagina la sua evoluzione. L’ibridazione tra carne e macchina – il corpo cyborg – rappresenta un’occasione, la possibilità di superare il modello di pensiero binario (che oppone nettamente il maschile al femminile, il naturale all’artificiale) e la prospettiva essenzialista.

Questo tentativo di superamento dell’ordine simbolico patriarcale si è sempre di più confrontato da un lato con la necessità di una risistematizzazione dei saperi – dunque, in chiave epistemologica, un’attenzione specifica a una demistificazione del ruolo della Scienza e della Tecnica, un andare al di là di natura e cultura, binarismo che riproduce l’ordine del discorso anche in tempi di capitalismo neoliberista, e dall’altro con una necessità di approfondire i dispositivi al cui interno il corpo femminile è preso e reificato.

La relazione tra corpo femminile e intervento tecnologico incrocia dunque una serie di questioni che, nei saggi contenuti nel dossier, vengono messe in luce in tutta la loro evidenza e complessità. Innanzitutto, troviamo il nodo del rapporto tra il lavoro di cura e le tecnologie di supporto, le quali però tendono a produrre effetti divergenti, da un lato sembrano poter proporre nuovi modelli trasformativi delle tradizionali relazioni sociali e di genere, dall’altro, inseriti all’interno di un’economia di mercato, rischiano di produrre nuove forme di assoggettamento e subordinazione. Il ritorno nella stringente attualità al dibattito sul lavoro di cura e più in generale sulla riproduzione sociale ci porta a riflettere sullo scollamento tra dimensione produttiva e riproduttiva e sull’invisibilizzazione del carico, dell’onere e della centralità della cura.

La questione dell’intervento tecnologico non è mai neutra e non potrebbe esserlo. Un nodo decisivo – e che viene affrontato da diverse prospettive e mediante differenti strumenti di indagine – è quello della maternità, luogo nel quale sempre più si incrociano istanze di intervento tecnico e manipolatorio e istanze di nuova naturalizzazione. Se in generale la richiesta sembra essere quella di una metamorfosi della madre e più in generale di una trasformazione, nella pensabilità e nella prassi, dell’antropogenesi e dell’antropotecnica, è anche vero che, all’interno delle questioni riguardanti la GPA, non si può non sottolineare come l’intreccio tra logica economica e di mercato e innovazioni tecnico-scientifiche possa portare al rischio di una messa a profitto e un limite alle possibilità di autodeterminazione.

Centrale, dunque, sembra essere anche il problema della medicalizzazione, in quanto la scienza e la tecnica medica rappresentano sicuramente il luogo di maggiore tangenza tra la rappresentazione di una Scienza neutra e il posizionamento politico di determinate scelte.

Il percorso di soggettivazione delle persone transessuali può essere considerato, in questo senso, peculiare: da un lato troviamo infatti la rappresentazione di un “corpo” che, secondo la logica del pensiero eterosessuale, è definito “non conforme”, che potrebbe far saltare l’ordine simbolico patriarcale, dall’altro – nella pratica medica effettiva – i percorsi di transizione di genere vengono strutturati (e, dunque, pensati) come un processo di normalizzazione, il pericolo è che il passaggio da un “corpo sbagliato” a un “corpo giusto” venga concepito a partire da una conferma del binarismo sesso/genere. La critica femminista, in questo senso, è stata sempre molto attenta alle implicazioni sociali della medicalizzazione, mediante l’analisi della maniera in cui una determinata pratica medica può rappresentare un puntello costante alla strutturazione e ristrutturazione del capitalismo in tutte le sue forme: la diffusione degli integratori può essere letta come funzionale a una società della prestazione e che produce dinamiche di privatizzazione del disagio e del fallimento. Anche su questo versante, è determinante l’apporto dell’epistemologia femminista che muove sempre dalla necessità di determinare il luogo di emergenza di specifici saperi situati.

In questo senso non è un caso che molti pensatori e pensatrici si siano rivolte all’immagine del cyborg e alla categoria di ibridismo: la vera potenza che potrebbe esprimere è quella dell’uncanny, come strada da percorrere in vista di una dis-identificazione del soggetto femminile, ma sempre di più, sempre in connessione con le dinamiche neoliberiste del capitalismo contemporaneo, sembra orientarsi in direzione di un enhancement, un potenziamento funzionale alla ri-produzione del sistema.

La questione sembra essere il modo mediante il quale “strappare” a una logica mercatizzata la possibilità di una dis-indentificazione: non lasciare insomma nelle mani del Capitale le possibilità emancipative del “postumano”.

Decisiva nella partita che si gioca tra corpo femminile, ordine simbolico, epistemologia delle scienze e dimensioni di intervento economico-politico, è mostrarne la posta in gioco: le tecnologie riproduttive neoliberali tendono a riprodurre, mediante la produzione di soggetti e popolazioni docili, un’economia dello sfruttamento e patriarcale, quando invece, dal basso, occorrerebbe un vero e proprio passaggio in direzione di una implementazione sempre più collettivizzata di tecnologie e pratiche di liberazione.

 

 

Lo chiamano amore. Noi lo chiamiamo lavoro non pagato.

La chiamano frigidità. Noi la chiamiamo assenteismo.

Ogni volta che restiamo incinte contro la nostra volontà

è un incidente sul lavoro.

Omosessualità ed eterosessualità sono entrambe condizioni di lavoro.

Ma l’omosessualità è il controllo degli operai sulla produzione, non la fine del lavoro.

Più sorrisi? Più soldi.

Niente sarà più efficace per distruggere le virtù di un sorriso.

Nevrosi, suicidi, desessualizzazione:

malattie professionali della casalinga

Silvia Federici

 

V.C.  D.S.

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