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Indice
1. Introduzione e inquadramento del tema
2. Il consumo di carne come volano evoluzionistico
3. Allevamenti industriali e problemi annessi
4. Modelli etici e statuto morale degli animali non umani
5. La carne sintetica come soluzione ai mali associati al consumo di carne
6. I problemi associati all’uso di carne sintetica
7. La carne sintetica: una strategia non più rimandabile
S&F_n. 22_2019
Abstract
In Vitro meat, a flywheel to build a new relationship between Sapiens and non-human animals
Meat consumption is a considerable Harm for human Health, Environment, and animal Welfare. In this essay I assume that in vitro meat could be a suitable solution for each of these problems. In the first part of my inquire I focus on animal Ethics. In particular I analyze the issue of moral status of non-human animals. In the second part I take into exam the main arguments against the use of IVM. I conclude by saying that IVM should be promoted although some criticalities raise up.
- Introduzione e inquadramento del tema
Il World Economic Forum nel suo Report “Innovation with a purpose” ha richiamato l’attenzione sulla necessità di sfruttare le innovazioni esistenti o emergenti nel settore industriale per far fronte allo scenario, ormai ritenuto verosimile, di oltre 9 miliardi di esseri umani sul pianeta entro il 2050.
Nel report possiamo leggere, infatti, che «by 2050, global food systems will need to sustainably and nutritiously feed more than 9 billion people while providing economic opportunities in both rural and urban communities. Yet our food systems are falling far short of these goals. A systemic transformation is needed at an unprecedented speed and scale»[1].
Le innovazioni tecnologiche che vengono associate alla cosiddetta Quarta rivoluzione industriale hanno finora toccato solo in maniera marginale l’industria alimentare. Tuttavia, la produzione di carne via allevamenti intensivi sta generando numerosi problemi che possono essere classificati in: 1) problemi di impatto ambientale (diretto o indiretto); 2) rischi per la salute umana (antibiotico resistenza); 3) trattamento crudele degli animali impiegati. Dunque, sembrerebbe necessario avviare un percorso che consenta di ridurre drasticamente l’impiego di animali non umani a fini alimentari. Tale necessità sembra trovare un punto di incontro con lo sviluppo di una nuova tecnica che consente di produrre carne prelevando dall’animale vivo delle cellule che opportunamente trattate in vitro possono generare muscoli, tessuti, sangue, etc. finora ottenuti solo tramite uccisione e macellazione degli animali.
Al di là delle difficoltà ancora presenti sulla strada che potrebbe portare all’affermazione e diffusione di questa tecnica, nel contributo che propongo intendo analizzare le problematiche etiche legate all’uso di animali non umani e le problematiche etiche legate all’uso della carne sintetica (IVM- in vitro meat).
D’altro canto, se si desidera mantenere il consumo di carne attualmente in essere o, seguendo le proiezioni che i demografi propongono sui trend di crescita della popolazione, dovendo persino incrementarli per far fronte alle richieste alimentari di oltre nove miliardi di persone (stimate entro il 2050)[2], appare chiaro che gli allevamenti intensivi e gli attuali standard industriali di produzione di carne siano inadeguati[3]. Mantenere tali standard significherebbe, infatti, aumentare le emissioni di gas serra, aumentare le porzioni di suolo agricolo destinato all’allevamento, aumentare i consumi cerealicoli e idrici destinati a nutrire gli animali, acutizzare il fenomeno dell’antibiotico resistenza negli umani e, aspetto forse ancor più importante, perpetrare la sofferenza di miliardi di animali (un numero quasi doppio rispetto a quello attuale, già impressionante), destinati, infine, alla macellazione.
Ci sono varie strategie per evitare tali effetti: la prima consisterebbe nell’adozione di una dieta vegetariana o vegana che sostituisse quella onnivora[4]. Tuttavia, non tutti, anzi una quota minoritaria di individui, soprattutto nei Paesi industrializzati, sceglierebbe questa opzione. Esistono poi hamburger ricavati al 100% da vegetali (i cosiddetti impossible burger sono un esempio in tal senso)[5]. Infine, la carne sintetica (IVM).
Nel presente saggio parto dalla constatazione che la carne è stata un volano decisivo per l’evoluzione di Sapiens e per il suo sviluppo culturale. Dunque, il consumo di carne non è in sé da condannare. Tuttavia, lo sviluppo culturale ha consentito a Sapiens di riconsiderare in maniera critica il proprio stile alimentare. D’altro canto, dalla seconda metà del Novecento, in maniera crescente, il consumo di carne, grazie all’introduzione degli allevamenti intensivi ha raggiunto livelli impensabili fino a pochi decenni prima. Tali allevamenti hanno avuto un impatto considerevole sull’ambiente, sul clima, sulla salute umana e sul benessere animale, contribuendo al peggioramento di ciascuno di essi.
Nel saggio, dopo aver considerato brevemente la preistoria e storia degli Animal Studies passo a esaminare le principali argomentazioni contro l’uso della carne sintetica per concludere, poi, con alcune argomentazioni a favore della completa sostituzione di carne da animali macellati con IVM.
- Il consumo di carne come volano evoluzionistico
I neurologi Adrian Williams e Lisa Hill in un recente contributo hanno sottolineato come il consumo di carne abbia rappresentato una tappa critica nell’evoluzione di ogni animale e degli esseri umani[6]. Nella carne, infatti, è presente la vitamina B3/nicotinamide, elemento fondamentale per la crescita del cervello. La disponibilità di carne e nicotinamide è aumentata fortemente a partire dall’esplosione cambriana[7]. Nell’ipotesi dei due neurologi l’evoluzione di Homo (fino a giungere a Sapiens) può essere letta attraverso l’analisi degli effetti prodotti da un elevato apporto di carne nella dieta. «Considerevoli apporti di carne sono correlati a una moderata fertilità, intelligenza elevata, buona salute e longevità con conseguente stabilità della popolazione, mentre uno scarso apporto di carne è correlato ad un tasso di fertilità elevato, malattie, boom e crolli demografici»[8].
Come ricorda Briana Pobiner il primo maggiore cambiamento evolutivo nella dieta umana è stato l’incorporazione di carne e midollo di animali di grossa taglia, avvenuto intorno ai 2.6 milioni di anni fa[9]. La dieta dei primi ominini era in qualche modo simile alla dieta dei moderni scimpanzé. A partire da 2.6 milioni di anni fa, tuttavia, «a remarkable espansion in this diet started to occur; some hominins began incorporating meat and marrow from small to very large animals into their diet»[10]. Solo nella linea Homo e, nello specifico, con Homo erectus riscontriamo caratteristiche collegate (spesso) con il consumo di carne, come l’incremento della corporatura e del cervello[11], il rimpicciolimento dei denti e dell’apparato intestinale[12]. In effetti, come puntualizzato da Katherine Zink e Daniel Lieberman «this paradoxical combination of increased energy demands along with decreased masticatory and digestive capacities is hypothesized to have been made possible by adding meat to the diet, by mechanically processing food using stone tools or by cooking»[13].
Dunque, l’introduzione di carne nella dieta umana è stata un volano evoluzionistico di fondamentale importanza. Ma non solo. Cacciare animali, cucinare, cuocere la carne, sono diventati parte della cultura umana[14]. Il cambio nella dieta di cui abbiamo riscontri a partire da Homo erectus ha avviato una trasformazione del mondo-di-vita della linea Homo, culminata in Sapiens. Infatti, come ricorda Piergiorgio Donatelli in una riflessione più ampia sul modernismo in filosofia, «la relazione con il cibo può assumere un aspetto qualitativo profondo, può diventare uno stile di vita, e in questo modo» contribuire «a trasformare la rete di interdipendenze coinvolte»[15]. I dati riportati e le brevi considerazioni sviluppate ci invitano a evitare di affermare sic et simpliciter che il consumo di carne sia da condannare. Piuttosto ci invitano a effettuare un’operazione di contestualizzazione. Non è il consumo di carne in sé a poter essere oggetto di biasimo morale, ma, piuttosto, il consumo di carne qui ed ora, nelle nostre moderne società occidentali[16].
- Allevamenti industriali e problemi annessi
L’incremento nella richiesta e nel consumo di carne e, di conseguenza, la nascita dell’industria alimentare vanno collocati entro la Seconda Rivoluzione industriale[17]. Il netto incremento della popolazione (soprattutto nel ventennio 1850-1870)[18], l’emergere di specifici fabbisogni alimentari, l’avvento della società di massa e il consolidamento di una classe media con disponibilità di spesa considerevoli, fanno sì che abbia luogo un drastico cambiamento nella dieta di una fetta non trascurabile della popolazione. Sarà, tuttavia, dopo la Seconda Guerra Mondiale, con il consolidamento del benessere per fasce sociali sempre più ampie che si arriverà a una richiesta di carne impossibile da soddisfare. Tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta si assiste, dunque, nel pieno del boom economico per molti stati europei ed extraeuropei, all’introduzione degli allevamenti intensivi.
Oggi, ogni anno, più di 60 miliardi di animali senzienti vengono allevati in contesto industriale per la produzione di carne[19] e a causa dell’incremento di popolazione, entro il 2050 il consumo di carne raddoppierebbe[20]. La produzione di carne ottenuta mediante allevamenti industriali che coinvolge animali ruminanti è responsabile dell’emissione di gas serra e contribuisce per circa il 37% all’emissione complessiva di metano[21] e il bestiame da pascolo contribuisce alla deforestazione, a sua volta responsabile di ulteriore emissione di gas serra. Inoltre, il consumo di carne contribuisce all’insorgere di disturbi cardiovascolari e antropozoonosi. Circa il 22% dei patogeni (come Salmonella o Escherichia Coli) sono associati a carne e prodotti carnei[22]. Il fenomeno dell’antibiotico-resistenza è connesso al consumo di carne, essendo gli animali da cui essa è ricavata trattati attraverso cicli di antibiotici somministrati a scopo terapeutico o preventivo[23].
Oltre a questi aspetti, non va trascurato il fatto che la produzione di cibi di origine animale richiede un uso massiccio di risorse alimentari. Un terzo della produzione mondiale di cereali è consumata dagli animali allevati. Ingente risulta anche il consumo di risorse idriche (oltre all’inquinamento di queste ultime) e il consumo di suolo[24].
Come sottolinea Peter Singer in alcuni lavori, una complessiva rimodulazione della produzione alimentare mondiale potrebbe favorire un miglioramento della condizione di vita per milioni (se non miliardi) di persone provenienti dai Paesi poveri e in via di sviluppo[25]. Non va sottaciuto, infatti, che parte delle risorse alimentari destinate agli animali da allevamento (cereali e acqua in primo luogo) potrebbe essere destinata a coprire una quota del fabbisogno idrico e cerealicolo delle suddette popolazioni.
Oltre a questi effetti perniciosi, resta da considerare ancora che gli allevamenti intensivi costringono miliardi di animali a vivere in condizioni indicibili e, infine, portano alla macellazione di questi ultimi, cancellando così l’esistenza di enti dotati di senzienza e di una vita più o meno complessa[26].
- Modelli etici e statuto morale degli animali non umani
L’emergere di un’attenzione per il tema dei diritti, unitamente al crescere della consapevolezza sul tema degli allevamenti intensivi, conduce, negli anni Settanta, alla strutturazione di quel vasto campo di studi noto come Animal studies[27] e, all’interno di quest’ultimo, della bioetica animale[28].
Gli animali non umani erano stati oggetto di riflessione già nell’ambito della Filosofia antica, medievale e moderna. Tuttavia, essi verranno investiti di specifica considerazione morale solo a partire dal Settecento.
Jeremy Bentham alla fine del Settecento è il primo a sottolineare la necessità di riconoscere dei diritti anche agli animali non umani. Il contesto storico non è da trascurare. Sono gli anni delle Rivoluzioni borghesi. La rivoluzione americana con la Dichiarazione di indipendenza (1776) e la Rivoluzione francese con la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (1789) portano al centro del dibattito il tema dei diritti naturali. I diritti naturali sono diritti inalienabili, imprescrittibili dell’uomo: diritto alla vita, alla sicurezza, alla libertà, alla proprietà privata e alla felicità (quest’ultimo presente solo nella dichiarazione di indipendenza americana). Sono diritti che appartengono all’uomo non in virtù di convenzioni sociali ma in virtù della stessa natura umana.
Bentham paragona il trattamento degli animali non umani alla schiavitù e gli animali non umani agli schiavi e sottolinea la necessità di considerare la senzienza quale criterio per l’attribuzione di status morale.
Secondo Bentham il cuore della moralità è rappresentato dall’utile. Come ricorda Simone Pollo il bene si identifica con l’utile. Il cuore della moralità, dunque, è costituito dal piacere e dal dolore
la cui promozione o evitamento rappresenta la misura dell’utilità di comportamenti, pratiche e istituzioni. La condotta moralmente corretta consiste nella promozione della maggiore quantità di utilità possibile, ovvero nella massimizzazione del piacere e nella minimizzazione della sofferenza, fatta salva la clausola che ogni individuo capace di piacere o dolore conta dal punto di vista morale quanto gli altri.
Piacere e dolore, inoltre, devono essere considerati dal punto di vista quantitativo, ovvero non è rilevante l’identità del soggetto che li sperimenta, ciò che li causa o lo scopo per i quali sono prodotti (a meno che il fine non consista, ad esempio, in una quantità di piacere che compensi e superi la sofferenza implicata nei mezzi per raggiungerlo)[29].
L’autore che più di ogni altro, tuttavia, ha dato un contributo ai successivi dibattiti sull’etica animale è stato Charles Darwin con la sua idea che tutti gli esseri viventi fanno parte di un’unica rete.
Nel testo L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali[30], ad esempio, mostra come i cosiddetti sentimenti morali (empatia, istinto alla socialità, altruismo, etc.) affondino le loro radici nel regno animale e siano, ad esempio, una caratteristica evidente nei mammiferi (ma non solo). Gli animali non umani e gli umani sono, dunque, uniti in un’unica rete il cui punto di origine è un progenitore comune da cui, per progressiva speciazione, sono emersi i vari rami.
La scoperta di Darwin della non-fissità delle specie e dei meccanismi alla base dell’evoluzione naturale (piccole variazioni e selezione naturale), la rilettura, in chiave non lamarckiana, del processo di adattamento hanno creato un vero e proprio terremoto, di cui lo stesso Darwin si rendeva conto, un terremoto che ha, di fatto, investito anche la morale[31]. Infatti, benché non sia possibile una derivazione diretta di precetti morali dai dati evoluzionistici, è possibile stabilire una serie di vincoli all’argomentazione morale, la quale non può non tener conto delle novità che Darwin e i suoi successori hanno messo in evidenza[32].
Ad esempio, le teorie morali che argomentano l’esclusione dalla comunità morale degli animali non umani sulla base dell’idea che questi ultimi sarebbero toto coelo distinti dagli esseri umani vengono private di qualsiasi supporto empirico.
Veniamo ora agli anni Settanta. Sulla scorta dei processi di democratizzazione e rivendicazione di diritti specifici e grazie alla spinta della bioetica intesa come complesso movimento culturale volto a rivendicare nuovi stili di vita[33], la riflessione intorno allo statuto etico degli animali non umani comincia a strutturarsi in un vero e proprio sotto-campo disciplinare, una forma di etica applicata in cui varie expertise disciplinari, dall’etologia alla psicologia animale, dalla scienza veterinaria all’etica si intrecciano.
Una data spartiacque è il 1970. In quell’anno Richard Ryder introduce il termine specismo per indicare l’atteggiamento discriminatorio nei confronti degli animali, basato sull’idea che la non appartenenza alla specie Sapiens sia ipso facto ragione per l’esclusione da diritti e tutele.
Nel 1971 esce, poi, un volume collettaneo tra i cui firmatari troviamo John Harris[34]. Questo volume viene recensito da Peter Singer, un filosofo utilitarista australiano, il quale introduce l’eloquente espressione di “liberazione animale”.
Liberazione animale diventa anche il titolo di un volume che Singer pubblica nel 1975[35]. Nell’idea di liberazione animale c’è l’intero programma che sorregge la riflessione e l’impegno militante di Singer. Gli animali soffrono una condizione di vera e propria prigionia, come fossero schiavi degli umani. È giunto, dunque, il tempo che l’ugualitarismo e una profonda riforma sociale siano portati in cima all’agenda pubblica.
Un tratto fondamentale della riflessione e dell’impegno di Singer, infatti, è quello di sottolineare che la liberazione animale non può essere qualcosa che riguardi solo i singoli, ma dev’essere una questione di etica pubblica.
Ma torniamo all’espressione “liberazione animale”. Essa può essere caratterizzata sulla scorta di tre principi:
- Affermazione della capacità di provare piacere e dolore come criterio di attribuzione di status morale;
- antispecismo;
- la questione del trattamento degli animali non può essere relegata alla condotta privata e alla compassione individuale.
Soffermiamoci sull’antispecismo. Se lo specismo è una forma di discriminazione, come quella sessuale o razziale, Peter Singer sottolinea come spesso nelle nostre scelte compiamo discriminazioni sulla base della specie di appartenenza dell'individuo. Singer, a tal proposito, afferma la necessità di abbracciare una posizione "anti-specista" e il cosiddetto "principio di indifferenza". Questo principio mette in evidenza che nelle nostre scelte morali ciò che conta (o quantomeno ciò che dovrebbe contare) non è l'appartenenza di specie di un individuo ma gli interessi di cui l'individuo è portatore (due individui appartenenti a due specie diverse potrebbero avere gli stessi interessi; oppure gli interessi di un animale non umano potrebbero avere un peso specifico maggiore rispetto, ad esempio, agli interessi di un infante).
Specifichiamo qualche passaggio con maggiore chiarezza.
L’attenzione morale per l’interesse dei senzienti (laddove l’interesse si configura come “capacità di sviluppare una tensione verso il futuro da parte dell’individuo”) è articolata da Singer nella forma del conseguenzialismo utilitarista. Qualsiasi interazione con gli animali che infligga a questi frustrazioni di interessi non controbilanciate da un’adeguata quantità di interessi soddisfatti deve essere evitata. Su questa base Singer sostiene che l’alimentazione carnivora è sempre immorale (il veganesimo sarebbe l’unico stile alimentare corretto)[36].
Posizione ancor più radicale la troviamo in Tom Regan, il quale non ammette eccezioni rispetto al tema del riconoscimento dei diritti agli animali non umani. Mentre la prospettiva di Singer, definita talvolta welfarista, ammette la possibilità di utilizzare gli animali, in alcuni casi, per le sperimentazioni biomediche, Regan, la cui prospettiva è abolizionista, non ammette eccezioni. La sua è una prospettiva deontologica. Il possesso di determinate caratteristiche conferisce a un individuo lo status di soggetto di una vita[37]. Essere soggetto di una vita significa possedere valore intrinseco. Come non si transige rispetto al riconoscimento di diritti agli esseri umani, una volta riconosciuto che gli animali non umani sono soggetti di vita non è più possibile tornare indietro, quanto al riconoscimento dei loro diritti.
La prospettiva di Singer mette al centro gli interessi. La prospettiva di Regan mette al centro gli individui.
Presento ora brevemente la prospettiva neocontrattualista di Rowlands, la quale ci consente di mettere in evidenza altri rilevanti nodi concettuali.
Pur partendo da un modello neocontrattualista Rowlands[38] ritiene che gli animali debbano essere inclusi nella comunità morale[39]. Per sostenere questa posizione riprende un argomento sviluppato da John Rawls nel testo A Theory of justice[40].
In questo testo Rawls si pone il problema di quali siano i requisiti per la costruzione di una società giusta e propone di immaginare che ciascuno di noi regredisca a una posizione originaria caratterizzata da un velo di ignoranza circa l’evoluzione possibile della propria storia di vita. Chiede poi di immaginare, non sapendo quale potrebbe essere l’evoluzione della propria esistenza, che ciasacuno formuli una proposta in relazione a cosa sia necessario per costruire una società giusta.
Rowlands estremizza questo esperimento mentale chiedendo di immaginare che l’individuo non sappia neanche se si incarnerà in un essere umano o in un animale non umano.
La piena realizzazione del “principio giustizia” richiederebbe, dunque, che fossero inclusi nella comunità morale anche gli animali non umani, ossia che venissero riconosciuti anche ad essi dei diritti. Non riconoscerli è frutto solo della convenienza e dell’egoismo umani, non della mancanza dei requisiti per l’attribuzione di status morale.
I pattern comportamentali esibiti, la presenza di una complessa vita (relazionale) che si articola nel tempo e nello spazio, l’esistenza di una progettualità, dovrebbero suggerirci la conclusione che gli animali non umani hanno non solo una vita biologica ma anche una vita biografica e che i loro interessi vanno, per questa ragione, tutelati, piuttosto che frustrati.
Essendo capaci di sviluppare una vita biografica, gli animali non umani[41]devono essere tutelati non solo in relazione al proprio essere ma anche al proprio ben-essere.
Il benessere animale può essere caratterizzato a partire da alcuni parametri specifici. Innanzitutto una buona alimentazione (assenza di fame e sete prolungate); un buon alloggiamento (comfort nel riposo, comfort termico e facilità di deambulazione); buona salute (assenza di lesioni e malattie nonché assenza di procedure indotte da operazioni come la castrazione, il taglio della coda o delle corna); buon comportamento che si esplica nell’espressione di un appropriato comportamento sociale, tale che vi sia un bilanciamento tra gli aspetti negativi (ad esempio l’aggressività) e quelli positivi; appropriata espressione degli altri comportamenti, tale che vi sia un bilanciamento appropriato tra aspetti negativi (ad esempio comportamenti stereotipati) e aspetti positivi; una buona interazione uomo-animale tale da mettere l’animale nelle condizioni di non aver paura degli umani e, infine, un positivo stato emozionale.
Al di là delle varie misure introdotte all’interno degli allevamenti intensivi volte a mitigare in parte la condizione di sofferenza degli animali, i parametri appena elencati sono, di fatto, impossibili da rispettare. Quali strade percorrere, dunque, per superare i problemi messi in evidenza?
- La carne sintetica come soluzione ai mali associati al consumo di carne
Nel dicembre 1931 il futuro primo ministro britannico Winston Churchill scriveva sulle colonne del “The Strand Magazine” che sarebbe arrivato un giorno in cui l’umanità sarebbe riuscita a «sfuggire dall’assurdità di far crescere un pollo intero, solo per mangiarne il petto o l’ala, facendo crescere queste parti separatamente in un ambiente adatto»[42]. Il 5 agosto del 2013 oltre duecento giornalisti si assieparono presso i Riverside Studios di Londra per assistere alla dimostrazione pubblica di Mark Post, docente di biotecnologie dell’Università di Maastricht, il quale confezionò un panino utilizzando carne sintetica[43]. La carne sintetica è carne sviluppata in laboratorio (in un medium di coltura), prodotta utilizzando varie tecniche di ingegneria tessutale.
La carne sintetica comprende muscoli scheletrici insieme a adepociti, fibroblasti, cellule endoteliali e leucociti, i quali conferiscono sapore e consistenza e rendono infine il prodotto appetibile. Il processo coinvolto per la produzione della carne sintetica prevede che le cellule staminali siano separate dalle cellule muscolari e in condizioni di crescita adeguate come la temperatura, l’ossigeno, nutrienti e fattori di crescita, tali cellule crescano e si propaghino per formare miotubi multinucleari. Solitamente il medium usato è un siero animale estratto dagli adulti, dai neonati o dai feti. La maturazione dei miotubi determina la formazione di fibre muscolari e l’ulteriore sviluppo di fibre muscolari, a sua volta, determina il prodotto finito[44].
Tale tecnologia permetterebbe, se associata all’attenuazione e/o eliminazione degli allevamenti intensivi, di conseguire numerosi risultati positivi. In particolare, si potrebbe immaginare che la carne sintetica sia più salutare rispetto alla carne ottenuta mediante allevamenti intensivi. Ad esempio si potrebbero rimpiazzare grassi dannosi con grassi salutari come gli omega-3 (associati alla riduzione dei rischi cardiovascolari); si potrebbe ottenere, in tempi rapidi, un quantitativo di carne sufficiente a sfamare molte più persone, dando dunque una risposta al problema della fame nel mondo e della sotto-alimentazione; si ridurrebbero le emissioni di gas serra, l’uso di energia, suolo e risorse idriche; si aprirebbero prospettive per la riforestazione di terreni utilizzati per gli allevamenti e si tutelerebbero specie oggi in pericolo a causa del consumo di suolo; si attenuerebbe il fenomeno dell’antibiotico-resistenza; infine si eliminerebbero le enormi sofferenze a danno degli animali e si darebbe una risposta efficace al tema dei diritti animali e alle richieste della comunità vegetariana e vegana.
- I problemi associati all’uso di carne sintetica
In questo paragrafo discuto, attraverso il riferimento ad alcuni importanti articoli, la questione delle problematiche etiche collegate alla produzione e al consumo della carne sintetica. Savulescu e Schaefer nel 2014 pubblicano un paper molti citato in materia dal titolo The Ethics of Producing in Vitro Meat[45]. Qui i due autori individuano vari aspetti problematici in relazione al tema della carne sintetica e forniscono argomentazioni volte a depotenziarli.
Una prima argomentazione afferma che produrre e consumare carne sintetica farebbe venir meno il rispetto per la natura. In particolare, seguendo la tassonomia di Helena Siipi[46], la quale prevede che vi siano tre ampie categorie di “naturalezza”: la naturalezza storica (riguardante come qualcosa sia venuto all’essere), la naturalezza di proprietà (riguardante le attuali proprietà di una cosa) e la naturalezza relazionale (riguardante la relazione sussistente tra le persone e un qualche oggetto o ente), la produzione di IVM andrebbe a condizionare e (costringerebbe a modificare) la relazione tra uomo, carne e animali produttori di carne.
Su questa scia, si muove ad esempio Roger Scruton[47] per il quale c’è un certo valore nella nostra relazione con il mondo naturale e cibarsi di carne è ammissibile nella misura in cui le persone riconoscono che consumarla è parte di un disegno più vasto di interdipendenza e interconnettività con il più ampio mondo naturale. Anche Scruton (unitamente ad altri autori che si muovono su questa scia) condannano gli allevamenti intensivi i quali impediscono di riconoscere la nostra interdipendenza con il mondo naturale. Tuttavia, la stessa carne sintetica ci porterebbe a sostituire il rapporto di dipendenza dalla natura con un rapporto di totale indipendenza da essa, incentivando così l’emergere di un sentimento di dominio che allontanerebbe l’uomo dalla sua dimensione più propria, ossia il suo carattere limitato e dipendente. In qualche modo, l’impiego della carne sintetica potrebbe favorire atteggiamenti di tipo strumentalistico, in cui il mondo naturale verrebbe trattato come un semplice mezzo per i nostri usi[48]. Tuttavia, come sottolineano Savulescu e Schaefer, non sempre un rapporto di dipendenza va promosso o preservato. Se trovassimo un modo, del tutto sicuro, per produrre artificialmente pioggia[49], dovremmo forse impedire che venga usato in aree del pianeta in cui le piogge sono scarse e la siccità provoca carestie e dunque elevati tassi di mortalità infantile?
Se anche volessimo accettare, in parte, l’argomento per cui conservare un certo rapporto di dipendenza può agevolare il consolidamento di atteggiamenti positivi (apertura all’altro, solidarietà, etc.) non possiamo, su tali basi, impedire che vengano adottati metodi di produzione della carne volti a evitare effetti nocivi sulla salute umana, sull’ambiente e sul benessere degli animali non umani.
Per altro, come qualche autore ha fatto notare, nulla impedirebbe di conservare, in misura ridotta, alcuni allevamenti, in cui agli animali sia garantito il benessere di cui necessitano, e, nel contempo, ci si possa servire di loro per ottenere cellule da impiegare, poi, per il consumo alimentare o per l’industria conciaria.
Una ulteriore obiezione, per alcuni aspetti simile alla precedente, sottolinea come la produzione di carne sintetica sarebbe irrispettosa per gli animali, i quali non sarebbero considerati (più) come individui interi e completi, ma come parti da poter utilizzare per i fini umani. Questo andrebbe contro l’obbligo morale di rapportarsi agli animali non umani sempre considerandone l’individualità[50].
Tuttavia, se l’obiezione può essere persuasiva rispetto alla necessità di evitare interventi di manipolazione sugli animali, tali da alterarne le caratteristiche ai soli scopi umani (ad esempio facendo crescere animali privi di alcune parti del corpo o con alcune parti del corpo alterate) non sembra, altrettanto, valida in riferimento alla carne sintetica, dove non saremmo in presenza, stricto sensu, di un individuo animale, ma solo di parti, cioè di materiale biologico che ab origine nasce come parte e non come parte di un intero.
Altra obiezione da considerare è quella relativa ai diritti animali. Se gli animali sono soggetti-di-vita, per impiegare un’espressione di Regan[51], anche l’intervento di prelievo di materiale biologico può costituire una violazione di specifici diritti. La mancanza di consenso da parte degli animali, rispetto ai prelievi, potrebbe già costituire una ragione ineludibile per impedire che questi siano attuati. Tuttavia, l’esistenza di metodi non invasivi e non dolorosi per acquisire cellule da donatori animali può rappresentare, nel calcolo costi-benefici, un elemento importante per avallare la produzione di IVM.
Un ulteriore argomento volto a giustificare l’esistenza di allevamenti intensivi e a minimizzare l’impatto di questi ultimi sul benessere animale (a condizione che si diano per gli animali stessi delle condizioni accettabili) è che grazie a essi molti animali vengono alla luce e possono, per il tempo che viene loro concesso, vivere una vita felice. Tuttavia, questo argomento incorre in due obiezioni non eludibili.
In primo luogo, gli individui animali, così come gli individui umani, possono avere un interesse a continuare a esistere se e solo se sono già esistenti; non possono avere, al contrario, alcun interesse a venire all’esistenza se non sono ancora esistenti. Dunque, la loro possibile felicità è indifferente se considerata dal “punto di vista” di individui animali non ancora esistenti[52].
In secondo luogo, far venire alla luce un individuo animale in vista della sua macellazione costituirebbe uno stravolgimento delle ragioni che sono alla base della generazione di un essere vivente, il quale se venisse creato solo per essere poi distrutto, vedrebbe venir meno, per ciò stesso, ab origine il carattere di indecidibilità (e casualità) rispetto alla data della propria morte[53].
Un ultimo argomento preso in esame da Savulescu e Schaefer è quello del cannibalismo.
Infatti, se la produzione di IVM si potesse ottenere a un costo accettabile, potrebbe aumentare anche la gamma di “carni” ottenibili, includendo, tra le altre, la cane umana.
Nonostante il cannibalismo sia, infatti, considerato quasi universalmente un taboo nelle società occidentali, esso potrebbe, per un numero limitato di persone, rappresentare una scelta alimentare specifica, oppure qualcosa da provare per soddisfare una curiosità[54].
Per altro, alcune delle argomentazioni sviluppate contro il cannibalismo, ossia che esso implica l’uccisione della persona da mangiare e/o la dissacrazione del suo cadavere, configurando, dunque, almeno nella seconda ipotesi, una forma di danno postumo o, quantomeno, un danno a carico della famiglia e degli amici della persona mangiata[55], non varrebbero nel caso della produzione di IVM umana, non implicando quest’ultima l’uccisione di alcun essere umano né la violazione di qualche cadavere.
Tuttavia, autori come Feredick Ferrè hanno avanzato l’argomento per cui la pratica del cannibalismo sarebbe irrispettosa verso il valore intrinseco degli esseri umani[56], dal momento che porterebbe a considerare l’essere umano sub specie cibi. Tuttavia, l’elemento da rimarcare è che la produzione di IVM non implicherebbe il coinvolgimento di alcun essere umano, e, pur escludendo il suo uso alimentare, potrebbe essere impiegata a scopo medico (produzione di tessuti, organi, sangue per le trasfusioni). Dunque, un’esclusione a priori risulterebbe almeno altrettanto problematica rispetto a un suo impiego acritico.
Vediamo ora alcune altre obiezioni, segnalate in un importante articolo sul tema del 2008[57] di Patrick Hopkins e Austin Dacey.
La prima è quella del pericolo che sarebbe associato alla carne sintetica. Questa obiezione esibisce, di fatto, una struttura che ritroviamo nelle argomentazioni avanzate quando vengono introdotte delle nuove tecnologie[58]. Le novità provocano, quasi sempre, dei sentimenti di repulsione e paura. In questo caso, la paura associata alla consumazione di nuovi materiali non testati (o anche testati). Tuttavia, questi argomenti non sembrano avere una rilevanza morale bensì pratica. È, infatti, evidente che mangiare materiale pericoloso sarebbe una cosa cattiva. È anche chiaro che rendersi perfettamente conto di come fare dei test su questo materiale possa essere difficile. Se, tuttavia, noi assumiamo che ad un certo punto la tecnologia sia tale da consentirci di produrre della carne di fatto indistinguibile rispetto a quella che attualmente mangiamo e con standard di sicurezza paragonabili a quelli che oggi consideriamo accettabili quando mangiamo carne (se non superiori), dovremmo essere disponibili ad accettare che la questione del pericolo sia superabile. Ciò non toglie che vi possano essere altre questioni da esaminare.
Una di esse è quella della “realtà della carne”. Molti consumatori di carne sottolineano come la carne sintetica non sia “vera carne”. Tuttavia, anche questa argomentazione è problematica e implicherebbe l’esistenza di una “sostanza carne” che si andrebbe ad aggiungere alla “carne” stessa. Ad ogni livello fisico, tuttavia, la carne sintetica sarebbe “vera carne”. Infatti, ciò che rende la carne “vera” è la sua struttura e i suoi costituenti, non la sua modalità di produzione.
Altra argomentazione contro l’uso della carne sintetica è quello della ripugnanza. Leon Kass, ad esempio, ha affermato, che la reazione di disgusto ha una rilevanza morale[59].
Il disgusto verso l’incesto o il cannibalismo sono degli esempi. Tuttavia, tali reazioni non vanno sovradimensionate. Infatti, da un lato esse potrebbero essere dei meccanismi di difesa evolutisi per fronteggiare minacce derivanti da pericoli oggi non più rilevanti, essendo l’ambiente mutato radicalmente. Potrebbero, ancora, essere legati alla specifica dimensione culturale di riferimento. Come in alcune culture non si mangia carne suina a causa di specifici dettami religiosi, così potrebbe esserci un “senso di ripugnanza” legato al consumo di IVM, cultural based. Dunque, la ripugnanza non può essere per se un indicatore affidabile, sotto il profilo morale. Essa può essere presa in considerazione ma solo come primo indicatore, al quale deve far seguito una opportuna riflessione[60].
- Carne sintetica: una strategia non più rimandabile
La carne sintetica sembra offrire una soluzione ai problemi innescati dagli allevamenti intensivi, dando, allo stesso tempo, la possibilità di garantire un apporto di carne a quei consumatori che non intendessero abbandonare una dieta onnivora.
Le principali obiezioni, esaminate nel precedente paragrafo, non sembrano altresì fornire ragioni morali robuste per non perseguire questa strada.
Restano, tuttavia, da analizzare alcuni altri aspetti della questione, attraverso i quali metterò in evidenza che, al di là di possibili considerazioni critiche rispetto all’idea che la carne sintetica rappresenti “la panacea di tutti i mali”, la produzione e il consumo della IVM risulta, infine, parte essenziale di una strategia non più rimandabile se si vuole scongiurare un futuro dalle tinte fosche: 1) la differenza tra metodi esterni e metodi interni per la risoluzione di problemi legati alla salute e all’ambiente; 2) l’impatto che avrebbe il consumo di carne sulla specifica forma di vita di Sapiens; 3) l’impatto che l’introduzione della IVM può avere sulla ridefinizione di alcuni modelli antropologici (nell’ambito, più complessivo, della cosiddetta Quarta rivoluzione industriale).
1) La differenza tra metodi esterni e interni
La risoluzione di problematiche legate all’ambiente e alla salute umana ci pone di fronte alla necessità di individuare le strategie (e i mezzi) migliori per ottenere i risultati sperati. Ora, le problematiche di origine antropogenica (o nelle quali l’apporto dell’uomo non è trascurabile)[61] possono essere affrontate o attraverso interventi tecnici o attraverso un cambiamento negli stili di vita o attraverso un mix tra interventi tecnici e cambiamenti negli stili di vita.
La sostituzione di una dieta onnivora con una dieta vegetariana o vegana è oggi un’opzione disponibile per ogni individuo. Attraverso un opportuno monitoraggio medico e l’apporto di integratori si può evitare di mangiare carne senza che questo abbia conseguenze di rilievo per la salute. Dunque, i problemi collegati agli allevamenti intensivi potrebbero essere risolti anche attraverso uno stile di vita che respinga il consumo di carne ab origine. Sarebbe questa una soluzione a monte del problema. Tuttavia, in presenza di scelte che necessitano di essere adottate da un numero elevato di individui (possibilmente da tutti) non è possibile affidarsi all’idea che il solo vero cambiamento proverrà da una metanoia nel proprio stile di vita. Talvolta i cambiamenti vanno accompagnati con o anticipati da soluzioni tecniche che avviino il processo.
Tuttavia, una obiezione che potrebbe essere mossa all’introduzione su larga scala della IVM è quella della separazione tra mezzi e fini, avanzata ad esempio da Leon Kass, con riferimento al potenziamento dell’uomo tramite tecnologie biomediche.
Kass afferma che l’eliminazione dello sforzo connesso al perseguimento di un fine potrebbe rendere il risultato così ottenuto inautentico[62]. L’introduzione della carne sintetica, per quanto genererebbe un effetto positivo e un impatto apprezzabile sulla salute umana, sull’ambiente e sul benessere animale non consentirebbe (almeno prima facie) di stimolare una doverosa riflessione intorno agli animali non umani e al loro specifico statuto morale. Anzi, potrebbe essere, in definitiva, una sorta di soluzione a buon mercato che impedirebbe qualsiasi presa di coscienza da parte degli animali umani rispetto alle problematiche in oggetto. L’unica maniera adeguata per affrontate e risolvere il problema del benessere animale sarebbe quello di agire per la strutturazione di un mondo-di-vita nel quale gli animali non umani abbiano dei diritti e siano tutelati in quanto esseri senzienti (e, in alcuni casi, coscienti e autocoscienti). In tal senso, potrebbe essere auspicabile l’implementazione di programmi scolastici nei quali si mettano al centro i temi dell’etica alimentare e dell’etica animale, al fine di stimolare lo sviluppo di specifiche sensibilità individuali e di gruppo.
A mio avviso in questo genere di argomentazioni ci sono due problemi di fondo: 1) non si può distinguere nettamente tra metodi esterni e interni. Negli scenari reali tali metodi sono intrecciati e spesso co-estensivi e separarli in maniera netta costituisce una forma di miscomprensione dell’esistente; 2) di fronte a una situazione di estrema urgenza, non si può affermare che i metodi esterni siano forieri di soluzioni inautentiche, mentre quelli interni sarebbero gli unici auspicabili. Bisognerebbe al contrario mettere in evidenza come, nonostante le soluzioni tecniche appaiano necessarie, esse non possono essere assolutizzate. Andrebbero, al contrario, implementate all’interno di specifici contesti, nei quali non dovrebbero essere percepite, appunto, come soluzioni esterne che si giustappongono ad un quadro generale di segno completamente differente, ma, al contrario, come soluzioni che, in modo armonico, si sposano con un contesto sociale adeguato.
2) La specifica forma di vita di Sapiens
Una seconda questione da esaminare riguarda la specifica forma di vita che Sapiens ha costruito, nella quale gli animali e la carne hanno una specifica posizione. La percezione della carne da parte di molti consumatori è accompagnata da tre fattori sui quali raramente si pone attenzione: tradizione, opacità e distanza. Innanzitutto, quasi mai il consumatore è a conoscenza di che cosa realmente avvenga negli allevamenti industriali; in secondo luogo la carne viene confezionata in modo da distanziare il prodotto finito dalla sua origine (dai würstel alla carne in scatola): nessuno deve pensare all’animale la cui macellazione ha prodotto quella carne; infine, il consumo di carne è parte di tradizioni gastronomiche e culturali che disegnano e strutturano lo specifico mondo-di-vita degli uomini (dalle proibizioni alimentari di specifiche religioni, passando per la preparazione di specifiche pietanze in occasione di festività comandate)[63].
Ora, se il consumo di carne è legato a quanto appena detto risulta difficile immaginare che l’introduzione della IVM possa generare una sorta di metanoia nei consumatori. Lo specifico mondo di vita dei consumatori non verrebbe affatto modificato; dunque la carne sintetica non sarebbe portatrice di un nuovo atteggiamento di fondo dell’uomo nei confronti degli animali non umani. Sarebbe molto più efficace, da questo punto di vista, costruire delle campagne di sensibilizzazione e dei percorsi formativi (erogati anche dalle istituzioni scolastiche) volti a evidenziare da un lato gli effetti del consumo di carne sulla salute dell’uomo, dall’altro le conseguenze, sul benessere animale, della “detenzione” degli animali non umani negli allevamenti intensivi. Chiariamo meglio questo passaggio che, con ogni evidenza, si connette strutturalmente al punto 1, analizzato in precedenza.
L’introduzione di carne sintetica, per quanto foriera di conseguenze positive per la salute, l’ambiente e il benessere degli animali, non permetterebbe, anzi ostacolerebbe l’emergere di atteggiamenti virtuosi da parte degli individui. Le intenzioni alla base dell’introduzione di carne sintetica potrebbero essere tutt’altro che virtuose dal momento che lo scopo di questa tecnica è quello di consentire ai consumatori di carne di continuare a farlo indisturbati[64]. Se l’uomo ha uno specifico atteggiamento verso gli animali non umani e la carne è a causa della specifica forma di vita che ha costruito (fatta di pratiche, abitudini, idee e modelli di comportamento)[65]. Tale forma di vita si può modificare se le pratiche, le abitudini, le idee e i modelli di comportamento si trasformano. Se tale passaggio non avviene, risulta difficile immaginare che una specifica tecnica, di per sé, possa essere portatrice di un avanzamento morale degli uomini.
Tuttavia, non credo che queste osservazioni colgano completamente nel segno per varie ragioni. Innanzitutto, se il discorso può essere efficace a inquadrare il comportamento di alcuni individui non lo è per altri e, di sicuro, non lo è per tutti. Ci possono essere alcuni individui mossi da motivazioni non edificanti, sotto il profilo morale, in relazione al consumo di carne sintetica. Ad esempio, alcuni individui potrebbero voler trarre solo profitti da questa nuova tecnica; altri potrebbero voler mangiare persino quantitativi di carne maggiori rispetto al solito senza doversi sentire in colpa per tutto ciò che è connesso agli allevamenti intensivi. Tuttavia, anche laddove ci fossero degli individui mossi da queste intenzioni, il risultato che ne conseguirebbe sarebbe, in ogni caso, positivo, per l’ambiente, la salute umana e il benessere animale.
Va aggiunto, ancora, che lo scenario appena presentato non esclude, in linea di principio, né che vi possano essere individui mossi da motivazioni morali giuste (ad esempio, eliminare o diminuire le sofferenze degli animali non umani impiegati negli allevamenti intensivi) né che, in generale, l’introduzione della carne sintetica non sia accompagnata da campagne pubbliche di sensibilizzazione sui temi dell’etica animale. Le due cose potrebbero procedere in parallelo. L’obiettivo al quale tendere deve, dunque, essere quello di modificare alcuni tratti della specifica forma di vita che l’uomo occidentale si è dato. Tuttavia, anche se questo obiettivo non dovesse essere realizzato, in tutto o in parte, rimarrebbero gli effetti positivi di cui abbiamo prima discusso.
Il rischio di usare la carne sintetica come alibi per non diminuire i consumi di carne e, ancora, il rischio che investendo in questo settore si trascuri il vero obiettivo, cioè eliminare il consumo di carne e/o sostituirlo con carne derivata da estratti vegetali, non è trascurabile ma non deve impedirci di vedere che nel breve-medio periodo quella della carne sintetica appare come una delle soluzioni migliori per la difesa dell’ambiente, degli animali e dei consumatori.
3) Carne sintetica e quarta rivoluzione industriale
La carne sintetica è un passo importante da compiere per la costruzione di un nuovo modello di interazione tra uomo e animali non umani. In particolare, essa ci costringe a rivedere le nostre categorie morali e i doveri che abbiamo nei loro confronti.
Di fatto, se tra qualche anno avremo una tecnologia sicura e contenuta nei costi, la possibilità di eliminare del tutto gli allevamenti intensivi e di cancellare le pratiche di macellazione animale per scopi alimentari e non, diventerà concreta. Uccidere un animale per ricavarne un hamburger o una borsa in pelle sarà non solo moralmente reprensibile ma aberrante, in quanto si passerebbe dal compiere un atto non necessario al compiere un atto del tutto futile[66].
L’introduzione della carne sintetica, infine, libererebbe molteplici nuove possibilità di interazione e strutturazione di specifiche forme di vita per Sapiens. Si potrebbe, infatti, immaginare che ciascuno di noi mediante l’impiego di stampanti 3D sarà in grado, con cellule staminali animali, di “disegnare” e produrre in proprio muscoli, ossa, borse, portafogli e altro[67]. Si potrebbe, inoltre, immaginare l’impiego della stessa tecnica per fornire sostegno alimentare, potenzialmente illimitato, agli astronauti.
Infine, si potrebbero dare delle risposte efficaci al problema della fame nel mondo, con l’introduzione di specifici programmi alimentari basati sull’uso di questa tecnica.
È qui che gli scenari della quarta rivoluzione industriale si colgono con efficacia. I processi di automazione crescenti e le stampanti 3D che della rivoluzione industriale sono simboli potenti si presterebbero alla risoluzione del problema che da sempre affligge l’uomo: la ricerca di cibo per la sopravvivenza e l’accrescimento del proprio benessere.
In definitiva, meno consumo di suolo, meno consumo di acqua, meno inquinamento, meno malattie (antibiotico resistenza), meno sofferenza per gli animali, e dunque, stimolazione di modalità dell’alimentazione e dello stare al mondo diverse. E tuttavia questa soluzione non va assolutizzata perché:
- non basta alla strutturazione di una pars construens nella quale venga attribuito, in un’ottica non antropocentrata, agli animali non umani uno statuto morale;
- non implica, necessariamente, che nessuno possa più macellare animali (andrebbe accompagnata, quindi, da una produzione normativa volta a punire qualsiasi forma di crudeltà perpetrata ai danni degli animali non umani);
- sarebbe difficilmente implementabile presso quei Paesi che esibiscono ancora condizioni di mera sussistenza a meno di non immaginare alcune modifiche non superficiali all’organizzazione dell’attuale sistema di produzione e distribuzione dei beni e delle merci;
- la carne sintetica potrebbe sfavorire il consolidarsi di un mercato veggie.
Sebbene alcune di queste osservazioni non siano eludibili con agio, mi sembra, all’altezza della riflessione proposta, altrettanto ineludibile la conclusione per cui questa strada va seguita.
L’introduzione della carne sintetica non è di per sé sufficiente alla costruzione di un diverso modo della relazione tra uomo e animali non umani. Può tuttavia, da un lato fornire risposte e soluzioni a specifici problemi pratici, dall’altro preparare a un nuovo modo della relazione[68]. Può aprire (certo non determinare di per sé) a nuove possibilità dello stare al mondo, in cui gli animali non umani non saranno visti come schiavi dell’uomo destinati al macello ma come alterità alle quali tributare rispetto morale in virtù del proprio specifico statuto e della propria utilità in chiave alimentare. Utilità che, tuttavia, gli animali non saranno più costretti a pagare al prezzo della propria vita.
[1] World Economic Forum, The role of technology innovation in accelerating food systems transformation, gennaio 2018.
[2] Cfr. T. Searchinger, World resources report. Creating a sustainable food future. A menu of solutions to feed nearly 10 Billion People by 2050 (Final report, July 2019).
[3] Non sto qui per altro considerando la questione dell’abbattimento di animali per scopi non alimentari, ad esempio per la produzione di scarpe, portafogli, borse e altri accessori. Per avere un’idea di questi aspetti e riflettere, nello stesso tempo, sulla questione della trasformazione dei sistemi di produzione del cibo cfr. World Economic Forum, Innovation with a purpose, cit.
[4] E, ancora, alla sostituzione completa di pelle con similpelle (detta anche pelle sintetica o finta pelle), per quanto attiene all’industria dell’abbigliamento e degli accessori.
[5] Cfr. https://www.cnet.com/news/beyond-meat-vs-impossible-burger-whats-the-difference/ (ultimo accesso 10 dicembre 2019).
[6] A. C. Williams, L. J. Hill, Meat and Nicotinamide: a causal role in human evolution, history, and Demographics, in «International Journal of Tryptophan Research», 10, pubblicato on line il 2 maggio 2017.
[7] A proposito dell’esplosione cambriana cfr. S. J. Gould, Il pollice del panda. Riflessioni sulla storia naturale (1980), tr. it. Il Saggiatore, Milano 2009.
[8] A. C. Williams, L. J. Hilo, op. cit.
[9] B. Pobiner, Evidence for Meat-eating by early humans, in «Nature Education Knowledge», 4, 6, 2013.
[10] Ibid.
[11] Cfr. K. Milton, A Hypothesis to explain the role of meat-eating in human evolution, in «Evolutionary anthropology», 8, 1, 1999.
[12] D. R. Braun et al., Early hominin diet included diverse terrestrial and aquatic animals 1.95 Ma in East Turkana, Kenya, in «Proceedings of the National Academy of Sciences» USA 107, 2010, pp. 10002-10007.
[13] K. D. Zink, D. E. Lieberman, Impact of meat and Lower Palaeolithic food processing techniques on chewing in humans, in «Nature», 531, 2016, pp. 500-503.
[14] Cfr. J. Silvertown, A cena con Darwin. Cibo, bevande ed evoluzione (2017), tr. it. Bollati Boringhieri, Torino 2018.
[15] P. Donatelli, Il lato ordinario della vita. Filosofia ed esperienza comune, Il Mulino, Bologna 2018, p. 146.
[16] In effetti, ciascuna epoca storica ha il proprio modus manducandi. Da questo punto di vista, non deve stupire (neanche) che Homo abbia praticato il cannibalismo in una specifica fase della sua storia evolutiva (cfr. V. Lusetti, Il cannibalismo e la nascita della coscienza, Armando Editore, Roma 2008).
[17] Cfr. C. Singer, Storia della tecnologia (1958), tr. it. Bollati Boringhieri, Torino 1994 (in part. Il volume 5).
[18] Cfr. S. Guarracino, Allarme demografico. Sovrappopolazione e popolamento dal XVII al XXI secolo, Il Saggiatore, Milano 2016.
[19] A. Rorheim et al., Cultured meat: An ethical alternative to industrial animal farm, 2016, p. 5; alcuni autori propongono stime lievemente differenti (cfr. J. Sebo, The Ethics and Politics of Plant-based and cultured meat, in «Les ateliers de l’éthique/The ethics forum», 13, 1, 2018, pp. 159-183).
[20] Cfr. M. Pandurangan, A novel approach for in vitro meat production, in «Applied Microbiology and Biotechnology», 99, 13, 2015, pp. 5391-5395.
[21] S. P. F. Bonny et al., What is artificial meat and what does it mean for the future of the meat industry, in «Journal of Integrative Agriculture», 14, 2, 2015, pp. 255-263.
[22] Ibid.
[23] Cfr. A. R. Manges et al., Retail Meat consumption and the Acquisition of Antimicobial Resistant Escherichia coli Causing urinary tract infections: a case-control study, in «Foodboorne Pathogens and Desease», 4, 4, 2007.
[24] A. Orzechowski, Artificial meat? Feasible approach based on the experience from cell culture studies, in «Journal of Integrative Agriculture», 14, 2015, pp. 217– 221.
[25] Cfr. P. Singer, Salvare una vita si può. Agire ora per cancellare la povertà (2009), tr. it. Il Saggiatore, Milano 2009.
[26] Più complessa per i bovini e i suini meno complessa per animali come i polli e i tacchini.
[27] Cfr. S. Pollo, Umani e animali. Questioni di etica, Carocci Editore, Roma 2016.
[28] Cfr. B. De Mori, Che cos’è la bioetica animale, Carocci Editore, Roma 2007.
[29] S. Pollo, op. cit., p. 49.
[30] C. Darwin, L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali (1872), tr. it. Bollati Boringhieri, Torino 2012.
[31] Cfr. J. Rachels, Creati dagli animali (1990), tr. it. Einaudi, Torino 1996.
[32] S. Williams, Il senso della vita senza Dio. Prendere Darwin sul serio (2010), tr. it. Espress Edizioni, Torino 2011.
[33] Cfr. M. Mori, Introduzione alla bioetica in A. Fabris, Etiche applicate. Una guida, Carocci, Roma 2018.
[34] S. Godlovitch, R. Godlovitch, J. Harris, Animals men and morals. An inquiry into the maltreatment of non-humans, Gollancz, Londra 1971.
[35] P. Singer, Liberazione animale (1975), tr. it. Il Saggiatore, Milano 2015.
[36] Più complessa, invece, per Singer la questione della sperimentazione animale. Per il filosofo australiano, infatti, quest’ultima in alcuni casi non può essere evitata, dal momento che la sua esclusione provocherebbe maggiori sofferenze rispetto a un suo impiego parsimonioso e attento al tema del benessere animale.
[37] T. Regan, I diritti animali (1983), tr. it. Garzanti, Milano 1990.
[38] M. R. Rowlands, Contractarianism and animal rights, in «Journal of Applied Philosophy», 14, 2008, pp. 235-347.
[39] Diversa è invece la posizione di un altro neocontrattualista come Narveson per il quale il criterio per l’attribuzione di status morale è la capacità di “reciprocazione”. Tale criterio deve essere posseduto dai contraenti, all’interno di uno spazio sociale, quantomeno in potenza (come nel caso degli infanti o di coloro i quali versano in talune forme di coma reversibili). Per questa ragione, gli animali non possono godere di considerazione morale. Essi, infatti, non sono capaci di “reciprocare”. Cfr. J. Narveson, Animal rights revised, in H. B. Miller, W. H. Williams, Ethics and animals, Humana Press, Clifton 1983.
[40] J. Rawls, Una teoria della giustizia (1971), tr. it. Feltrinelli, Milano 2017.
[41] Quantomeno alcuni animali non umani. Quelli che hanno un sistema nervoso sviluppato in modo tale da poter provare piacere e dolore. La questione, in tal senso, non è semplice da dirimere. Ci sono, infatti, alcuni animali non umani per i quali non risulta ancora del tutto chiara la presenza di specifiche capacità di senzienza. (Si veda questo tema, ad esempio, in relazione alle capacità di senzienza, coscienza e autocoscienza del “polpo” in P. Godfrey-Smith, Other minds. The Octopus, the sea and the deep origins of consciousness, Farrar, New York 2016).
[42] W. Churchill, Fifty years hence, in «The Strand Magazine», dicembre 1931.
[43] P. Benati, L’hamburger di Frankenstein: la rivoluzione della carne sintetica, EDB, Bologna 2017.
[44] I. T. Kadim, O. Mahgoub, S. Baquir et al., Cultured meat from muscle stem cells: a review of challenges and prospects, in «Journal of Integrational agriculture», 14, 2015, pp. 222-223.
[45] G. O. Schaefer, J. Savulescu, The Ethics of Producing in Vitro Meat, in «Journal of Applied Philosophy», 32, 2, 2014.
[46] H. Siipi, Dimensions of naturalness, in «Ethics and the environment», 13, 1, 2008, pp. 71-103.
[47] Cfr. R. Scruto, The conscientious carnivor’, in S. F. Sapontzis (ed.) Food for Thought: The Debate Over Eating Meat (Amherst, NY: Prometheus Books, 2004), pp. 81–91. Cfr. anche D. B. Thompson, Natural food and the Pastoral: a sentimental notion?, in «Journal of Agricultural and Environmental Ethics», 24, 2, 2011, pp. 165-194.
[48] Cfr. S. S. Fairlie, Meat? A Benign Extravagance (East Meon: Permanent Publications and White River Junction, VT: Chelsea Green Publishing Co., 2010). In effetti questo punto non può essere derubricato come inconsistente, perché l’uso di carne sintetica potrebbe favorire atteggiamenti di indifferenza verso gli animali non umani, dal momento che questi ultimi sarebbero visti solo come donatori di cellule oppure come alterità con le quali non si può stabilire alcuna autentica connessione.
[49] Sono allo studio delle tecniche di geo-ingegneria che vanno in questa direzione.
[50] Bernice Bovenkerk, Frans W. A. Brom & Babs J. van den Berg, Brave new birds: The use of “animal integrity” in animal ethics, in «The Hastings Center Report» 32, 1, 2002.
[51] T. Regan, The Case for Animal Rights, University of California Press, Berkeley 2004.
[52] Valgono qui le argomentazioni sviluppate da D. Benatar, Meglio non essere mai nati. Il dolore di venire al mondo (2006), tr. it. Carbonio Editore, Milano 2019.
[53] Che ognuno di noi, infine, morirà non vi è dubbio. Tuttavia, sarebbe problematico se i nostri genitori potessero decidere, per il solo fatto di averci generato, quando mettere fine alla nostra esistenza.
[54] W. Buehler Seabrook, JungleWays, George C. Harrap and Company, London 1931.
[55] J. Feinberg, Harm to others, Oxford University Press, New York 1984.
[56] F. Ferrè, Moderation, morals and meat, in «Inquiry», 29, 1–4, 1986, p. 403.
[57] P. D. Hopkins, A. Dacey, Vegetarian Meat. Could Technology save animals and satisfy meat eaters?, in «Journal of Agricultural and Environmental Ethics», 21, 2008, pp. 579-596
[58] Cfr. F. Minerva, The Ethics of Cryonics. Is it immoral to be immortal?, Palgrave Pivot, London 2018.
[59] Questo autore ha parlato non a caso di “saggezza della ripugnanza” [cfr. L. Kass, La sfida della Bioetica. La vita, la libertà e la difesa della dignità umana (2004), Lindau, Torino 2007].
[60] Riflessione che potrebbe, infine, anche arrivare a conclusioni diametralmente opposte rispetto a quelle emerse inizialmente sotto l’azione del “senso di ripugnanza”.
[61] Faccio questa precisazione perché una delle strategie di depotenziamento utilizzata dai negazionisti è quella di mettere in luce come fenomeni così complessi (dall’impatto globale) non siano riportabili all’azione dell’uomo. Tuttavia, l’errore che qui si compie è quello di confondere la causa esclusiva con la concausa. Il surriscaldamento globale non è imputabile solo all’uomo (in questo senso è corretto ricordare come nel corso della storia del nostro Pianeta vi siano stati, per altro, diversi Global Warming) ma ha nell’uomo una concausa rilevante. Una concausa che sta producendo un’accelerazione di un processo che prima facie potrebbe anche essere indipendente dall’azione antropica.
[62] L. R. Kass, op. cit., pp. 22-23.
[63] Cfr. S. Pollo, op. cit., pp. 94-96; Cfr. W. Seletan, The coscience of a carnivore: it’s time to stop killing meat and start growing it, in «Slate Magazine», Retrieved May 13 2008 from http://www.newscientist.com/article.ns?id (ultimo accesso 10 dicembre 2019). Come sottolineano Patrick Hopkins e Austin Dacey «il problema è dunque che molte persone non vogliono contribuire alla sofferenza degli animali e tuttavia desiderano mangiare carne» e possono farlo agevolmente con «il supporto della disconnessione concettuale e visiva tra il loro mangiare-carne e la sofferenza degli animali» (P. D. Hopkins, A. Dacey, Vegetarian Meat, op. cit.).
[64] Cfr. C. Alvaro, Lab-Grown Meat and Veganism: A virtue oriented perspective in «Journal of Agricultural and Environmental Ethics», on Line 26 febbraio 2019.
[65] Cfr. C. Diamond, Eating meat and Eating animals in «Philosophy», 53, 2016, 1978, pp. 465-479.
[66] Futile dal momento che potremmo ottenere lo stesso risultato evitando, tuttavia, le conseguenze negative. Da questo punto di vista si può proporre quanto segue: gli atti possono essere distinti in 1) moralmente doverosi; 2) moralmente opportuni; 3) indifferenti sotto il profilo morale; 4) supererogatori. Lasciando da parte la tipologia 3, che non ci interessa approfondire in questa sede, evitare di mangiare carne, in un contesto nel quale c’è penuria di cibo e non ci sono altre opzioni alimentari disponibili, sarebbe un atto supererogatorio. Pur essendo moralmente giusto evitare che degli animali non umani possano soffrire ed essere poi macellati per soddisfare i bisogni alimentari dell’uomo, in assenza di alternative e di fronte al rischio incombente di annichilimento di membri della specie Sapiens non è richiesto sotto il profilo morale un atto di rinuncia alla carne. Se si decide in tal senso, mettendo a repentaglio la propria vita, si compie un atto morale supererogatorio (si è fatto più del richiesto). Se, invece, non ci troviamo di fronte ad alcuna penuria alimentare e abbiamo la possibilità di non mangiare carne perché sono disponibili alternative veggie, evitare di mangiare carne è un atto morale opportuno (opportuno ma non doveroso). Infatti, se i sostituiti non sono completamente equivalenti (ad esempio non consentono di assumere in modo adeguato vitamina B12) qualcuno potrebbe affermare che eliminare il consumo di carne potrebbe avere un impatto sulla salute umana e sullo sviluppo cognitivo degli infanti, che produrrebbe conseguenze peggiori rispetto al male per il quale si voleva trovare una soluzione. Pertanto, si potrebbe affermare che, appunto, evitare il consumo di carne è moralmente opportuno ma non doveroso. Grazie alla carne sintetica, tuttavia, queste posizioni non avrebbero più alcuna ragion d’essere, dal momento che si avrebbe un sostituto perfettamente equivalente dal punto di vista nutrizionale e gustativo. Dunque, evitare di consumare carne da animali macellati (o prodotti derivati da animali “detenuti” in allevamenti intensivi) diventerebbe, incondizionatamente, un atto moralmente doveroso.
[67] Non si tratta di mera speculazione bensì di progetti già in essere https://www.repubblica.it/salute/medicina-e-ricerca/2018/09/20/news/il_petto_di_pollo_e_vegetale_e_stampato_in_3d-206925069/ (ultimo accesso 10 dicembre 2019).
[68] Il modo di cui qui discuto è quello della cooperazione in contrapposizione a quello del dominio. In tal senso la carne sintetica potrebbe favorire quantomeno l’emergere di un atteggiamento per il quale gli animali non umani verrebbero visti non in quanto enti da dominare ma con i quali cooperare. In tal senso la Quarta Rivoluzione industriale potrebbe, in qualche modo, invertire il trend che, sebbene con differenti modulazioni, è stato presente nelle tre precedenti rivoluzioni industriali in cui la natura (e dunque anche gli animali non umani) era vista come un quid da piegare alle esigenze dell’uomo e la macchina era concepita come una sorta di serva meccanica. La Quarta rivoluzione industriale è caratterizzata invece da 1) un diverso modo di concepire la macchina, come un ente in grado di autoregolarsi e auto-organizzarsi; 2) un diverso modo di concepire l’impatto dell’attività industriale sull’ambiente (impatto eco-friendly); 3) un diverso modo di guardare alle alterità non umane, sia esse viventi che robotiche come enti con i quali stabilire trame di cooperazione e non dinamiche di mero assoggettamento (a tal proposito cfr. P. Dumouchel, L. Damiano, Vivere con i robot (2016), tr. it. Raffaello Cortina, Milano 2019; K. Schwab, La Quarta rivoluzione industriale (2016), tr. it. FrancoAngeli, Milano 2019; L. Floridi, La Quarta rivoluzione. Come l’infosfera sta trasformando il mondo (2014), tr. it. Raffaello Cortina, Milano 2017).