Autore
Indice
- Introduzione
- Tra galline e collane: genesi del racconto
- Calvino tra natura e macchine
S&F_n. 21_2019
Abstract
Human and non-human animals in the capitalocene: Calvino’s The workshop Hen
This essay explores the relationship between anthropomorphism and animalization in Italo Calvino’s short story The workshop hen (1958). Through this double narrative movement, the hen and the workers are reduced to their essential productive function, becoming vulnerable and dispensable in the factory line. Despite this similarity, it is possible to distinguish a hierarchical relationship between the worker and hen, in which the former takes advantage of the latter by creating a chain of exploitation in which it occupies the lowest step. The essay shows, how human and non-human animals are grouped but at the same time divided into this typically «Capitalocenic» process of industrial exploitation. Finally, an analysis of metaphors like the «trained gorilla» [the metaphor of the «trained gorilla» is attributed to Frederick W. Taylor by André Philip in Le Problème ouvrier aux Etats-Unis (1927) and re-appropriated by Antonio Gramsci in his note on «Americanism and Fordism» (Prison Notebooks, Notebook 4, § 51)] shows how animalization and the dehumanization in the factory line have been central in the Italian Marxist critique since the beginning of the Italian industrialization process.
- Introduzione
In una lettera del 2 settembre 1958[1], Italo Calvino descrive a Pietro Citati il progetto di pubblicare la raccolta I racconti. Il 20 novembre dello stesso anno I racconti vengono stampati dall’editore Einaudi. A proposito del Libro I, intitolato Gli idilli difficili, l’autore afferma che esso «[s]arebbe diviso in sottogruppi: La natura, La guerra, Il dopoguerra, La natura in città, Il mondo delle macchine […] Il tema generale è l’impossibilità dell’armonia naturale, con le cose e con gli uomini»[2]. Il presente lavoro si occupa dell’analisi di questo tema nel racconto La gallina di reparto, scritto da Calvino nel 1954. Qui l’idillio difficile tra natura, cose ed esseri umani assume i tratti di una relazione tra una gallina, le macchine di una fabbrica e il mondo degli operai. In quest’ottica industriale, sia gli animali-umani che gli animali non-umani vengono ridotti a ingranaggi nel mondo di produzione di massa e Calvino propone una riflessione sul valore e la dignità della vita non solo dell’essere umano, ma anche degli animali non-umani. Sebbene la gallina non sia parte del ciclo di produzione in attivo della fabbrica, non occupandosi quest’ultima né della trasformazione di pollame né dei prodotti da questo derivati, essa viene descritta fin dall’inizio come «buona ovarola»[3]. Questa sua caratteristica la condanna a essere mira delle attenzioni di due operai che vogliono accaparrarsi l’uovo che produce giornalmente ed è la causa della sua morte alla fine del racconto.
In questo lavoro si propone un’analisi delle metafore utilizzate nel racconto per vedere come animali-umani e animali non-umani vengono accomunati ma, allo stesso tempo, divisi in questo processo di sfruttamento di fabbrica nell’ambito del Capitalocene. Questo termine è stato utilizzato per la prima volta nel 2009 da Andreas Malm e ripreso e ampliato successivamente da Jason Moore. Mentre per il primo la scoperta del fuoco rappresenta il momento inaugurativo dell’antropocene e ciò che successivamente ha portato alla lotta della borghesia per la diffusione della combustione del carbone per lo sviluppo industriale su scala globale[4], Moore retrodata la sua origine all’affermazione del sistema capitalistico. In questo modo pone l’enfasi sulle trasformazioni nel sistema delle relazioni sociali e tra esseri umani, non umani e l’ambiente naturale. In effetti, la rappresentazione della natura come esterna alle relazioni umane rappresenta per Moore una forza storica reale che ha sistematizzato il processo di alienazione capitalistico a partire dal XV secolo in poi. Secondo il sociologo,
Capitalism “operationalizes” through this ontological rift of Nature/Society – central to how capitalism simultaneously advances labor productivity and recreates Cheap Nature. Capitalism’s governing conceit is that it may do with Nature as it pleases, that Nature is external and may be fragmented, quantified and rationalized to serve economic growth, social development or some other higher good. This is capitalism as a project[5].
Il mondo naturale è inestricabile dallo sviluppo capitalistico che allo stesso tempo si basa sul suo sfruttamento e vi si oppone come creazione prevalentemente umana. Natura e società sono allo stesso tempo opposte e sistematizzate per aumentare la produttività nel progetto capitalistico.
D’altro canto, a un livello prevalentemente narrativo, è importante notare le forme retoriche e non che Calvino utilizza per dare forma al racconto. Come afferma Donna Haraway: «[m]athematically, visually, and narratively, it matters which figures figure figures, which systems systematize systems»[6]. Dunque, è particolarmente importante analizzare le relazioni che si stabiliscono tra gallina e operai, la loro disumanizzazione e reificazione nell’ottica di sfruttamento capitalista e la relazione tra lavoro manuale e facoltà intellettive. Il presente lavoro vuole proporre una lettura del testo di Calvino non solo come un prodotto del processo di industrializzazione che si stava sviluppando nella seconda metà del Novecento in Italia, ma anche alla luce della recente critica sul capitalocene. Infatti, la disumanizzazione dell’operaio e il contrasto/parallelo con la gallina possono essere concepiti solo all’interno di un’ottica di sfruttamento capitalista nella quale animali-umani e non- vengono ridotti alle loro funzioni produttive.
Da un punto di vista narrativo, questa identificazione tra gallina e operai si raggiunge attraverso un doppio movimento, nel quale l’essere umano viene animalizzato e la gallina antropomorfizzata. In questo modo, essendo ridotti alla loro funzione produttiva essenziale, ambedue sono sfruttati all’interno della fabbrica e sono vulnerabili nel processo di produzione. Tuttavia, questo sfruttamento non è equo e la gallina viene strumentalizzata dall’uomo-operaio occupando il gradino più basso nel ciclo produttivo. In questo senso, l’incipit del racconto è fondamentale perché fornisce le coordinate d’interpretazione del discorso: «Il guardiano Adalberto aveva una gallina»[7]. Sintatticamente, il vincolo di possessione è stabilito dalla riduzione della gallina in oggetto e rimarcato dal predicato verbale «avere». Inoltre, l’enfasi è posta sul suo acquisto basato sulle caratteristiche, «garantite» dall’avicoltore, che la rendono adeguata all’allevamento in fabbrica: da un lato la sua efficienza nella produzione di uova («gli faceva almeno un uovo al giorno»[8]), dall’altro la sua silenziosità («non avrebbe mai osato turbare con un suo coccodè la severa atmosfera industriale […] e si sarebbe detta, non fosse stato per qualche sommesso ciangottio, del tutto muta»[9]). Dunque, le qualità richieste alla gallina sono le stesse che gli operai devono mantenere all’interno del sistema industriale. Tuttavia, la mobilità che le viene tacitamente concessa, contraddicendo le indicazioni iniziali del capo dei guardiani, la differenzia dal resto degli operai e la rende antipatica, come si evince da questo passo: «essa andava e veniva pei reparti, riservata e discreta, ben nota agli operai, e, per la sua libertà e irresponsabilità, invidiata»[10]. È proprio questa sua libertà di deambulare che la fa percepire come una minaccia all’ordine della fabbrica e la condanna a morte per essere la principale indiziata di una trama cospirativa sindacale. Infatti, alla fine anche se risulta innocente viene uccisa perché è «considerata troppo sospetta e infida per essere innocente»[11].
Nelle pagine che seguono si propone un’analisi del tema tenendo in considerazione fattori come la genesi narrativa del racconto, la presenza di animali non-umani nell’intera produzione di Calvino e, infine, un paragone tra la rappresentazione del processo di alienazione che subiscono gli operai in fabbrica in questo racconto e nelle note di Antonio Gramsci su «Americanismo e fordismo» nei Quaderni dal carcere[12].
- Tra galline e collane: genesi del racconto
La gallina di reparto forma parte dell’ultima sezione inizialmente dedicata al mondo delle macchine de Gli idilli difficili insieme a La notte dei numeri e La signora Paulatim (entrambi del 1958). In questi racconti, si rappresentano le relazioni che si instaurano tra esseri umani e macchine in diversi ambienti sociali. Nel primo si osserva la vita degli operai, nel secondo quella notturna dei contabili e delle donne di servizio di un’impresa e nel terzo quella dei proprietari e delle loro relazioni con i dipendenti. Ciò che sorprende di questi tre racconti è che insieme a Mai nessuno degli uomini lo seppe (1950) furono gli unici testi esclusi dal continuo lavoro di re-editing che interessò tutti gli altri testi de I racconti[13]. Tuttavia, è possibile che la rottura con il PCI a partire dal 1956, in seguito alla linea assunta dal partito nei confronti dei fatti di Poznan e di Budapest, abbia influito sulla sua decisione di non rieditare questi testi e di focalizzarsi, invece, a partire dagli anni ’60, sulla riorganizzazione della sua produzione narrativa per presentarla come coerente e con una linea evolutiva evidente, anche dopo la sua conversione politica.
Originariamente, La gallina di reparto costituiva il terzo capitolo di un romanzo rimasto inedito, La collana della regina. Calvino trasse anche un secondo racconto da esso e lo pubblicò inizialmente col titolo Frammento di romanzo in I giorni di tutti nel 1960 e, successivamente, fu ripubblicato con lo stesso titolo del romanzo inedito, nella raccolta di racconti inediti Prima che tu dica «pronto»[14] curata da Esther Singer Calvino, nel 1993. Nonostante i due racconti siano tratti dalla stessa bozza di romanzo e condividano i protagonisti operai (Pietro e Tommaso), il loro sviluppo e i temi trattati sono diversi. Mentre, La gallina si focalizza sulle relazioni che si stabiliscono tra operaio e macchina e operaio e animali non-umani in fabbrica, La collana si occupa delle relazioni tra le varie classi in una città industriale, ed è per questo più fedele all’intento del romanzo originario[15]. Purtroppo, non si ha notizia né del perché l’autore abbia deciso di non terminare il romanzo né delle ragioni che hanno provocato variazioni così notevoli tra due racconti tratti da uno stesso testo originario.
Per questa ragione, è importante notare le differenze più clamorose e vedere il loro impatto nell’economia del sistema dei personaggi. Sebbene i due operai, Pietro e Tommaso, appaiano nei due testi con una caratterizzazione leggermente diversa, si può affermare che il vero protagonista de La gallina sia Pietro e quello de La collana sia Tommaso. Tuttavia, la differenza più evidente è che non vi è traccia di nessuna collana ne La gallina, né di galline in La collana. Ciò non significa che non appaiano animali non-umani e che la gallina sia totalmente assente dall’immaginario del racconto. Infatti, è possibile rinvenire una metafora significativa dove la protagonista, la signora Umberta, viene così apostrofata da Pietro nel momento in cui perde la collana: «La gallina ha fatto l’uovo»[16]. In questo senso, appare significativo che la donna sia animalizzata ricorrendo proprio alla figura della gallina che è la protagonista dell’altro racconto tratto dallo stesso manoscritto[17]. Sebbene la gallina rappresenti le due classi sociali opposte nei due racconti, l’identificazione della collana con l’uovo, oggetto della contesa tra i due operai e Adalberto nell’altro racconto, assume una doppia valenza che rimanda sia alla sfera materiale che a quella morale. Se ne La gallina l’uovo rappresenta le origini contadine dei due operai e fin dall’inizio viene collegato «a un desiderio di rivalsa dalle angherie subite»[18] da parte di Tommaso e a «una rivincita morale» nei confronti dell’amico operaio da parte di Pietro, ne La collana, invece, l’uovo-collana potrebbe essere la chiave per migliorare le condizioni di vita dei due operai, se non fosse che decidono di cercare la proprietaria per restituirla e, dunque, si converte in simbolo della loro integrità morale.
D’altro canto, confrontando la gallina con il vero protagonista non-umano di La collana, un cane danese, Guderian, metafora del ceto intellettuale, si nota una diversa percezione dei due animali. Infatti, la classe operaia sperimenta sentimenti contrastanti verso il cane, come si evince da questa citazione: «I primi vedevano nel danese un animale fratello, una vigorosa libera creatura tenuta prigioniera, un compagno di servitù, i secondi solo un’anima dannata della classe dirigente, un suo strumento o ammennicolo, un suo lusso»[19]. Mentre, Guderian è percepito sia come alleato che come nemico, la gallina non ispira alcun sentimento di empatia ed è solamente invidiata per la sua mobilità da parte degli altri operai «essa andava e veniva pei reparti, riservata e discreta, ben nota agli operai, e, per la sua libertà e irresponsabilità invidiata»[20]. Infine, è da notare l’assenza di nome della gallina rispetto al cane e la fine tragica della prima rispetto al secondo: mentre La gallina finisce con la morte della protagonista e la previsione di un imminente sciopero, La collana rimane inconcluso. Non si propone, infatti, alcuna soluzione rispetto alla perdita della collana e il racconto finisce con l’ellissi di una frase su una riforma urbanistica.
- Calvino tra natura e macchine
Nonostante l’intera produzione di Calvino sia popolata da animali non-umani, non esistono studi sistematici che analizzano la loro funzione in maniera puntuale. Solo Chiara Nannicini ha studiato l’evoluzione del ruolo degli animali non-umani nelle Fiabe italiane dopo l’intervento di Cavino. Nel suo saggio propone una prima distinzione tra animali reali e di fantasia. Alla prima categoria appartengono animali domestici o del mondo agricolo, ma nonostante la loro verosimiglianza, spesso è grazie a una loro caratteristica che avviene il «salto nel meraviglioso» e si risolve l’intreccio della fiaba[21]. Una terza categoria è rappresentata dagli animali parlanti «sintesi di natura umana e mondo naturale»[22] che possono svolgere contemporaneamente le funzioni di chimera (sia objet de la quête che objet magique) e di deus ex machina per risolvere il finale di una fiaba complicata, rimarcando la trasformazione del loro ruolo da passivi ad attivi, come ne Il linguaggio degli animali, o l’imposizione della loro superiorità sugli esseri umani, ne La volpe Giovannuzza.
Sembrerebbe, dunque, che Calvino tratti i personaggi non-umani nelle fiabe non solo come categorie semantiche e metaforiche di valori morali, bensì come attori protagonisti nello sviluppo della fiaba. Tuttavia, Nannicini rileva una progressiva diminuzione della presenza di animali non-umani nei racconti e romanzi successivi e una propensione di Calvino a esagerarne gli elementi stravaganti e grotteschi. In testi come Le Cosmicomiche, Ti con zero, Marcovaldo ovvero Le stagioni in città e Palomar, Nannicini afferma che «svolgono un ruolo fondamentale gli animali avvolti in un’aura stramba e allegorica, osservati attraverso una lente d’ingrandimento deformante, o descritti con una minuzia puntigliosa che rasenta volutamente la mania»[23]. La Nannicini continua sostenendo che La gallina è un altro esempio di questa prassi «L’animale, rimosso dal suo contesto naturale e inserito in una situazione paradossale, fornisce lo spunto per una serie di scene comiche, per una parodia (qui la vita in fabbrica) sulla falsariga di un genere letterario in voga (il romanzo operaio)»[24]. Sebbene sia vero che la gallina è la protagonista di alcune scene tragicomiche, il suo ruolo travalica l’allegoria e la parodia del sistema di fabbrica.
Innanzitutto, bisogna considerare il contesto narrativo nel quale è inserita. Calvino descrive uno stabilimento industriale costruito di recente, sottolineando che il terreno del cortile della fabbrica non era stato «conquistato» da molti anni dalla «civiltà meccanica» e che per questo motivo la gallina era libera di becchettare lombrichi tra le viti arrugginite. Inoltre, anche le origini e le aspirazioni dei due operai sono contadine. Da qui il loro interesse nell’accaparrarsi l’uovo. Dunque, considerando che l’Italia degli anni ’50 si sta approcciando a una fase di riconversione ed espansione industriale, ma che la maggior parte della manodopera veniva dalle campagne, la gallina non doveva essere considerata un elemento del tutto estraneo agli operai. Inoltre, narrativamente funge da contrappunto alla descrizione della routine in fabbrica di Pietro: la sua libertà di deambulazione si oppone alla limitazione dei movimenti dell’operaio al quale sono consentiti solo due passi tra una macchina e le altre. Lo spazio narrativo dedicato alla gallina è minore di quello dedicato alla descrizione della vita di fabbrica e appare quasi sempre in relazione a un essere umano, mentre il contrario accade raramente. Se la vita della gallina scorre parallela a quella degli operai e, anzi, viene disturbata dai loro tentativi di palpazione dell’addome e ispezione dell’ovidotto alla ricerca dell’uovo, le uniche sequenze narrative dove il suo ruolo è effettivamente attivo si limitano alla descrizione dell’inseguimento da parte di Giovannino della Puzza, della sua resistenza alla perquisizione da parte degli ufficiali alla ricerca di un messaggio nascosto e, infine, all’ultimo lugubre coccodè che pronuncia in punto di morte. L’attribuzione alla gallina delle qualità di collaboratrice del sindacato e la mancanza di pietà nei suoi confronti per essere «infida» e «sospetta» la privano dell’indole domestica per la quale era funzionale all’allevamento in fabbrica secondo Adalberto.
In quest’ottica, l’unica vera libertà della gallina è quella di decidere dove e per chi deporre il suo uovo quotidiano, nonostante ciò significhi essere subordinata all’autorità del guardiano. Il verbo utilizzato da Calvino appartiene al campo semantico dell’ispirazione, attribuendo alla gallina un’intenzionalità e lo svincolamento dalla produzione meccanica. Qui lo scambio della prestazione produttrice della gallina è ripagato dal poter muoversi tra i vari reparti e becchettare i lombrichi e il granone dei due operai. In questo senso la gallina è parte comunque dello zooproletariato del quale l’essere umano si è sempre servito come forza lavoro o mezzo di sostentamento. Questa intenzionalità e la sua identificazione come spia alla fine del racconto le attribuiscono caratteristiche umane. Inoltre, la riappropriazione della sua voce «lei così discreta da non aver mai osato lanciarne di festosi»[25] le conferisce dignità nel momento della morte e viene interpretato come «un triste presentimento»[26] dal titolare dell’azienda che doveva ricevere i rappresentanti del sindacato che protestavano contro i licenziamenti.
L’identificazione tra gallina e operaio avviene dopo la conclusione delle descrizioni individuali. In quella di Pietro l’enfasi è posta sulla sua routine di lavoro con le macchine e gli effetti che questa interazione hanno sulla sua salute fisica e mentale. Viene descritto come un «vecchio robusto […] pieno di vitalità nel morale»[27] sui sessant’anni che a causa del lavoro in fabbrica aveva sviluppato un asma bronchiale cronico, «il vizio di cadere addormentato appena si sedeva»[28], e la sordità[29]. L’enfasi sulla fisicità è evidenziata anche dalla descrizione della «geometria di passi, gesti, sguardi, e riflessi»[30] che si combinano al ritmo delle quattro macchine alle quali doveva badare. La descrizione precisa di ciascun movimento viene intercalata da quella del suo flusso di coscienza e da quella della tecnica speciale che ha dovuto apprendere per poter essere capace di raggiungere la libertà dei pensieri, come si evince in questo passo
Se a mag...(alza la leva!)...gio mio figlio sposa la figlia di quel barbagianni...(ora accompagna il pezzo sotto il tornio!) sgomberiamo la stanza grande... (e facendo i due passi:)...così gli sposi la domenica mattina restando a letto insieme fino a tardi vedranno dalla finestra le montagne...(ed ora abbassa quella leva là!) e io e la mia vecchia ci arrangiamo nella stanza piccola...(metti a posto quei pezzi!)...tanto noi anche se dalla finestra vediamo il gasometro non fa differenza», e di qui passando a un altr'ordine di ragionamenti […][31].
Da un punto di vista sintattico il flusso dei pensieri è interrotto non solo dall’ellissi, ma anche dalle parentesi nelle quali si riporta l’ordine dei movimenti fisici che accompagnano i ragionamenti. E sono proprio i movimenti che svolge, ovvero il «girare su se stesso tra le quattro macchine»[32] che gli ricordano e lo identificano con i movimenti della gallina.
In questo modo, per mezzo di una metafora zoomorfa, Pietro assume i caratteri della gallina e avviene un’identificazione tra i due. L’animalizzazione dell’operaio non è, tuttavia, nuova nell’ambito della critica marxista. Già a partire dall’espressione del «gorilla ammaestrato» attribuita a Frederick Taylor da André Philip in Le Problème ouvrier aux Etats-Unis (1927) e riproposta da Gramsci nella sua nota su “Americanismo e Fordismo” (Quaderni dal Carcere, Quaderno 4, § 51), l’animalizzazione diventa la figura retorica per eccellenza della classe operaia. Secondo il metodo scientifico elaborato da Taylor la rigida predeterminazione dei ritmi e dei gesti portava a un risparmio di energie e costringeva l’operaio a movimenti uguali che si opponevano alla libertà del lavoro individuale[33]. A tal proposito Gramsci scrive che gli industriali americani hanno capito che l’operaio rimane uomo e che durante il lavoro meccanizzato pensa pensieri poco conformisti per la mancanza di soddisfazioni[34]. Tuttavia, la parte più originale del pensiero di Gramsci non sta in questa critica al sistema americano. Per il filosofo sardo in «qualsiasi lavoro fisico, anche il più meccanico e degradato, esiste un minimo di qualifica tecnica, cioè un minimo di attività intellettuale creatrice» e quindi il lavoratore non è caratterizzato dal lavoro che svolge, bensì dalle condizioni e dai rapporti sociali[35]. Inoltre, sembra oscillare tra un tipo di umanesimo nel quale lavoro fisico e intellettuale sono inscindibili, e un discorso di stampo evoluzionista nel quale afferma che la razionalizzazione del lavoro meccanico è iniziata con gli albori dell’industrialismo e che questa fase di coercizione brutale alla disciplina di fabbrica verrà «superata con la creazione di un nuovo nesso psico-fisico di un tipo differente da quelli precedenti e indubbiamente di un tipo superiore»[36] in virtù di una selezione forzata.
Infine, sebbene Calvino utilizzi una gallina e non un gorilla come metafora dell’operaio, è interessante notare come l’inscindibilità del lavoro manuale da quello intellettuale è presente anche in questo racconto. Inoltre, per mezzo dell’uso di parole pertenenti all’ambito semantico dell’ispirazione in riferimento alla gallina, tale ipotesi risulta non solo rafforzata, ma sulla scia dell’analisi qui proposta le conferisce un margine di agency che è lo stesso che la condanna alla morte alla fine del racconto. Per questo motivo vi è una tensione irrisolta tra animali-umani e non- che complica e allo stesso tempo arricchisce la separazione tra Natura e Società sottolineata da Moore come la divisione ontologica centrale dell’epoca capitalocenica.
In un saggio posteriore intitolato La sfida al labirinto (1962)[37], Calvino si occupa delle reazioni del mondo culturale al boom industriale e affida alla letteratura il compito di costruire un’immagine “cosmica”, di creare un dialogo con il futuro, trovando l’atteggiamento migliore. Tuttavia, è implicita l’accettazione pacifica che questa via d’uscita dal labirinto del presente non conduca a un cammino lineare, bensì a un altro labirinto. In questo senso, come si è cercato di dimostrare in questo saggio attraverso la considerazione del rapporto tra animali-umani e non- da un punto di vista preminentemente materialista e in secondo luogo metaforico, la morte della gallina alla fine del racconto può essere letta come il passaggio da un labirinto a un altro. La sua soppressione e, quindi, l’eliminazione di una realtà agricola per lo sviluppo di una realtà prevalentemente industriale, rappresenta la volontà del progetto capitalista di separare natura e società nell’ottica di una produzione di massa. Sebbene l’utilizzo della gallina come immagine letteraria permetta a Calvino di richiamare termini quali covare uno sciopero, questa lettura può essere solo arricchita considerando le relazioni materiali dal punto di vista del capitalocene. In una Italia in via di sviluppo nella quale si stava sistematizzando l’annichilimento degli operai nel sistema di fabbrica Calvino si pone la domanda della dignità di tale vita non solo per gli animali-umani, ma anche per i non-umani. In questo senso, in linea con una lunga tradizione di filosofi degli animali non-umani e del femminismo, si potrebbe dire alla Guattari e Deleuze che Calvino abbraccia una sorta di becoming animal propendendo verso un tipo di etica bioegalitaria nella quale si stabilisce un processo e non una gerarchia tra bios (vita intelletttuale e sociale) e zoe (vita animale). Concludendo con le parole di Rosi Braidotti «Freedom is expressed as the ability to sustain connections to others, as the expansion, acceleration, or intensification of interrelation»[38]. In questa chiave possono essere interpretate le lacrime di Adalberto nel finale del racconto e solo così possono essere superati l’antropocentrismo e l’antropomorfismo imperanti nell’epoca capitalocenica.
[1] I. Calvino, G. Tesio, I libri degli altri: lettere 1947-1981, Einaudi, Torino 1991, pp. 262-264.
[2] Ibid., p. 262.
[3] I. Calvino, M. Barenghi, B. Falcetto, C. Milanini (a cura di), Romanzi e racconti, Arnoldo Mondadori, Milano 1995, p.1438.
[4] A. Malm, Fossil capital. The rise of steam power and the roots of global warming, Verso Books, Londra-New York 2016.
[5] J.W. Moore, The Capitalocene Part I: on the nature and origins of our ecological crisis, in «The journal of peasant studies», XLIV, 3, 2017, p. 601.
[6] D. Haraway, Anthropocene, capitalocene, plantationocene, chthulucene: making kin, in «Environmental Humanities», VI, 1, 2015, pp. 159-165.
[7] I. Calvino, M. Barenghi, B. Falcetto, C. Milanini, op. cit., p. 1042.
[8] Ibid.
[9] Ibid.
[10] Ibid.
[11] Ibid., p. 1050.
[12] A. Gramsci, Quaderni dal Carcere, a cura di V. Gerratana, Einaudi, Torino 1975.
[13] C. Milanini, M. Marazzi, Da Porta a Calvino: Saggi e ritratti critici, LED, Edizioni universitarie di lettere economia diritto, Milano 2014, p. 246.
[14] I. Calvino, P. Citati, Prima che tu dica «pronto», Mondadori, Milano 2016.
[15] Cfr. una nota dell’autore riportata in I giorni di tutti, dove l’autore afferma che il «[a]ttraverso le peripezie d’una collana di perle smarrita, il romanzo voleva dare una rappresentazione satirica dei vari ambienti sociali d’una città industriale, negli anni di tensione del dopoguerra» e lo definisce «realistico-social-grottesco-gogoliano» (ibid. 39).
[16] Ibid., p. 219.
[17] Maggiori informazioni su questo romanzo incompiuto e su altri inediti si possono trovare in Note e notizie sui testi nella sezione Prove di romanzo, in I. Calvino, M. Barenghi, B. Falcetto, C. Milanini, op. cit., pp. 1340-44.
[18] Ibid., p. 1042.
[19] I. Calvino, P. Citati, op. cit., pp. 228-229.
[20] I. Calvino, M. Barenghi, B. Falcetto, C. Milanini, op. cit., p. 1042.
[21] C. Nannicini, Il pappagallo contastorie. Il ruolo degli animali nelle Fiabe italiane dopo l’intervento di Calvino, in «Italies. Littérature-Civilisation-Société», XII, 2008, p. 113.
[22] Ibid., p. 116.
[23] Ibid., p. 125.
[24] Ibid., p. 128.
[25] I. Calvino, M. Barenghi, B. Falcetto, C. Milanini, op. cit., p. 1050.
[26] Ibid.
[27] Ibid., p. 1040.
[28] Ibid.
[29] A partire dagli anni ’50 iniziano le inchieste per indagare le condizioni di salute degli operai italiani. Durante la ricostruzione e il boom economico si ha una «svolta epidemiologica»: mentre nel passato le malattie erano causate da fattori naturali, a metà del 900 dipendevano soprattutto da cause artificiali. Un’inchiesta del 1954 riportava che gli affetti da silicosi erano 5392 (e sarebbero arrivati a 30723 nel 1973). Inoltre, nascono nuove patologie come i tumori, malattie all’apparato cardiovascolare e nervoso, mentali e psicosomatiche. Cfr. P. Tonelli, La salute non si vende. Ambiente di lavoro e lotte di fabbrica tra anni’60 e’70, in L. Falossi e F. Loreto, I due bienni rossi del ‘900 1920 (1919): 1968-1969. Studi e interpretazioni a confronto, Ediesse, Roma 2007, pp. 1-2.
[30] I. Calvino, M. Barenghi, B. Falcetto, C. Milanini, op. cit., p. 1044.
[31] Ibid., p. 1045.
[32] Ibid., p. 1046.
[33] P. Tonelli, La salute non si vende. Ambiente di lavoro e lotte di fabbrica tra anni’60 e’70, cit., pp. 2-4.
[34] A. Gramsci, Quaderni dal carcere, cit., p. 671.
[35] Ibid., p. 1516.
[36] Ibid., p. 1934.
[37] I. Calvino, La sfida al labirinto, in Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e società, Einaudi, Torino 1980.
[38] R. Braidotti, Animals, anomalies, and inorganic others, in «Pmla», CXXIV, 2, 2009, pp. 526-532.