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Indice
- Darwin, Haeckel e l’interesse per l’embriologia
- L’incontro di Haeckel con l’embriologia
- La legge biogenetica fondamentale
- Il progetto iconico dei disegni haeckeliani
- Conclusioni
S&F_n. 20_2018
Abstract
ERNST HAECKEL AND THE “PUZZLE” OF THE EMBRYONIC DEVELOPMENT BETWEEN ART AND SCIENCE
Every biological form can be explained as the product of two different processes: the development from the egg (also known as “ontogenesis”) and the evolution from the ancestors (the “phylogenesis”). Charles Darwin, the father of evolutionism, recognized the importance of both processes to explain the variety of living creatures and their relationship, but only a few of his followers were aware of this theoretical connection. In this article we will try to understand how the evolutionist scientist Ernst Haeckel elaborate his embryological theories and, in particular, the well-known “theory of recapitulation”, also known as “biogenetic law”. Furthermore, we will try to discover the value of his famous drawings (real icons of embryological knowledge) and to recognize their philosophical references.
- Darwin, Haeckel e l’interesse per l’embriologia
Nella chiusa di The Origins of Species Charles Darwin confessa al lettore la sua meraviglia nei confronti delle «infinite forme estremamente belle e meravigliose»[1] che popolano il mondo, una varietà di configurazioni della quale è difficile fornire una spiegazione scientifica. Il naturalista inglese aveva tentato di risolvere l’enigma della pluralità delle configurazioni naturali indagando la storia degli organismi, cercando cioè d’individuare le tipologie formali condivise dai rami più antichi dell’albero evolutivo e dagli esseri viventi oggi esistenti, al fine di chiarire quali modificazioni abbiamo determinato il passaggio dalle prime alle seconde. Tali ricerche gli consentirono di ricostituire la filogenesi delle specie, vale a dire le relazioni evolutive di queste ultime con altre diramazioni dell’evoluzione.
Siffatto modo di procedere deve, però, essere affiancato da un’altra modalità d’indagine, quella di chi studia lo sviluppo embrionale o ontogenesi del vivente, il “rompicapo” che «rimane una delle questioni più elusive di tutta la biologia»[2], cioè «il processo attraverso il quale una singola cellula uovo dà origine a un animale complesso di molti miliardi di cellule»[3]. Come sottolinea Sean B. Carroll, una delle voci più autorevoli della biologia contemporanea, ogni forma animale è il prodotto di questi due processi: lo sviluppo a partire dall’uovo e l’evoluzione a partire dagli antenati. Le domande che si pone un biologo dello sviluppo sono, infatti, molto diverse da quelle dello scienziato interessato ai fenomeni evolutivi, ma altrettando importanti: perché quel particolare organo si forma sempre su un certo segmento corporeo e non sul precedente o sul successivo? Perché animali che da adulti presentano forme molto diverse allo stato embrionale invece si somigliano? Cosa regola l’emergere della forma?[4] Per comprendere le origini della moltitudine di configurazioni animali è quindi indispensabile comprendere l’intima relazione che esiste fra questi due processi[5].
In calce a una lettera inviata il 14 dicembre 1859 all’amico Joseph Hooker (1814-1879), Darwin aveva scritto, difatti, che quella embriologica era forse la sezione più interessante del The Origins of Species, ma che ben pochi lettori si erano accorti dell’importanza di quest’ultima nell’economia generale della sua teoria[6]. Non ci sorprende affatto che nelle 490 pagine che compongono la prima edizione dell’opera – pagine in cui rintracciamo un’enorme quantità di dati, esperimenti e ipotesi relative alla selezione artificiale e naturale, alla distribuzione geografica, all’istinto, all’ibridismo, alla geologia e alla sistematica – quasi nessuno dei contemporanei di Darwin si sia accorto dell’importanza che le 17 pagine dedicate all’embriologia avevano per il loro autore.
Tuttavia, nell’immensa mole di pensieri che trovano espressione in quest’opera è proprio una frase relativa allo sviluppo embrionale a richiamare la nostra attenzione. In chiusa al tredicesimo capitolo, intitolato “Mutue affinità fra gli esseri viventi: morfologia, embriologia, organi rudimentali”, il naturalista inglese scrive che «l’embriologia acquista notevole importanza se consideriamo l’embrione come un ritratto [picture] più o meno alterato, della forma progenitrice comune a ciascuna grande classe di animali»[7]. Tali parole suscitarono le riflessioni dello zoologo tedesco Ernst Haeckel (1834-1919), uno dei pochi a cogliere il peso delle indagini embriologiche nel pensiero darwiniano e a tentare di approfondire ciò che il naturalista inglese aveva analizzato solo di sfuggita.
Nome poco noto nel panorama scientifico contemporaneo, Haeckel era considerato a fine Ottocento «il più noto, attivo e chiassoso darwinista di Germania»[8], un biologo marino di fama internazionale e un artista dilettante, i cui disegni naturalistici, realizzati come supporto grafico alle sue opere, avevano conquistato lo stesso Darwin ed erano divenute fonte d’ispirazione per i più noti rappresentanti dello Jugendstil tedesco e dell’Art Nouveau francese. Formatosi a Jena (una delle capitali del romanticismo goethiano) e attento lettore delle opere dei più celebri esponenti dell’estetica filosofica tedesca (quali A. Baumgarten, I. Kant e A. von Humboldt), fin dagli anni universitari aveva mostrato interesse per le dinamiche della forma emergente, per la «continua trasformazione di abbozzi simili che dà luogo a configurazioni finali diverse»[9]. Affascinato in particolare dai meccanismi di quest’”estetica visuale della continua meraviglia”[10], egli si era proposto di comprendere le norme che regolano le alterazioni qualitative nello sviluppo embrionale e di chiarire il formarsi del “ritratto” di cui parlava il naturalista inglese, l’”immagine” che guida la genesi delle specie viventi e ci consente di riconoscere le loro affinità. Per far ciò, Haeckel fece affidamento non solo sull’osservazione microscopica, ma anche sulle sue doti artistiche, avvalendosi di schizzi, disegni e figure che, agendo sul lettore in maniera profonda e stimolante, si fanno portavoce di un contenuto spesso inesprimibile a parole, rientrando quindi pienamente nella logica della dimostrazione scientifica.
Nel presente articolo ci proponiamo dunque di comprendere il percorso personale e concettuale che condusse lo zoologo tedesco all’elaborazione delle sue teorie embriologiche e, in particolare, alla delineazione della celebre legge biogenetica fondamentale [Biogenetische Grundgesetz]; tenteremo, inoltre, di scoprire il valore di quei disegni, vere e proprie icone della conoscenza[11] embriologica, di scoprire i riferimenti filosofici che essi celano e il significato che assumono nell’ambito del pensiero del nostro autore.
- L’incontro di Haeckel con l’embriologia
Dalla corrispondenza con i genitori, apprendiamo che il primo incontro di Haeckel con l’embriologia ebbe luogo all’Università di Würzburg nel 1863, anno in cui il giovane naturalista seguì con piacere le lezioni dell’istologo Franz Leydig (1821-1908)[12]; la materia lo affascinò al punto da frequentare, due anni più tardi, i corsi tenuti dal celebre fisiologo svizzero Albert von Kölliker (1817-1905), sebbene egli stesso confessi di conoscere «ormai a memoria tali argomenti»[13].
Lo stesso fascino ebbe su di lui la lettura del saggio Über die Entstehung der Arten[14] – traduzione tedesca del capolavoro darwiniano – e, soprattutto, i capitoli intitolati Variazione allo stato di natura e Leggi della variazione in cui Darwin esponeva le norme alla base della mutevolezza e della varietà delle forme viventi. La lettura del capolavoro darwiniano coinvolse a tal punto il giovane zoologo da spingerlo ad affermare, in una lettera indirizzata al celebre naturalista inglese: «di tutti i libri che io abbia mai letto, non uno è arrivato a produrre su di me un’impressione talmente sopraffacente e duratura, come la vostra teoria dell’evoluzione delle specie […] la vostra teoria – posso dirlo senza esagerare – ha occupato la mia mente ogni giorno»[15]. Il fatto che il curatore dell’edizione tedesca abbia scelto di tradurre il termine “evoluzione” con la parola Entwicklung [sviluppo], spiega forse perché per Haeckel gli studi di embriologia costituirono fin da subito il contrappunto delle indagini evolutive, come testimonia anche la scelta di riferirsi alla teoria darwiniana prediligendo alla dizione Evolutionstheorie [teoria dell’evoluzione] il termine, più comune nel lessico scientifico tedesco, Entwicklungsgeschichte [storia dello sviluppo][16], adoperato anche per indicare lo sviluppo embrionale.
Che Haeckel, dunque, potesse riconoscere nell’embriologia una chiave di accesso privilegiata ai fenomeni organici è facilmente comprensibile; ciò è inoltre avvalorato dalle stesse parole dello zoologo che nell’opera divulgativa Natürliche Schöpfungsgeschichte definisce il termine “sviluppo” una «parola magica per mezzo della quale noi sciogliamo tutti gli enigmi che ci circondano o per lo meno siamo sulla via della loro soluzione»[17]. Infatti, continua il naturalista
i mirabili processi per cui si originano queste forme perfette di animali sono ai più interamente ignoti. E tuttavia in questi processi poco osservati sta nascosta una sorgente di cognizioni che per importanza generale non viene sorpassata da nessun’altra poiché qui l’evoluzione ci sta davanti come fatto palpabile[18].
Per quanto affascinante, lo studio dell’embriologia era però all’epoca poco praticato nelle università tedesche per la difficoltà di reperire gli embrioni da analizzare. Come Haeckel stesso spiega in alcune lettere inviate ai genitori, nelle lezioni universitarie la Selbstanschauung, cioè l’osservazione diretta dei reperti embrionali, aveva scarso peso e gli studenti si avvalevano perlopiù di riproduzioni in cera, illustrazioni manualistiche o disegni sulle lavagne. Era quindi stretta la collaborazione con artisti e illustratori, con virtuosi della ceroplastica e incisori che, seguendo dettagliatamente le indicazioni dei docenti, creavano vere e proprie opere d’arte didattiche[19]. Queste ultime sono definite da Goethe esempi di “plastische Anatomie” [anatomia plastica], pratica che «non può essere intrapresa né fiorire che là dove scienze, arti, gusto e tecnica, tutte in vitale attività, siano perfettamente di casa»[20]. E in effetti «lo scienziato che osserva un embrione può agire in maniera analoga a un critico d’arte»[21]: si può, pertanto, parlare di estetica embrionale «perché termini come simmetria, bilanciamento, pattern, ritmo, forma e integrazione sono cruciali in entrambe le discipline [arte ed embriologia] e utilizzate in maniera affine»[22].
L’analisi degli embrioni rappresentava quindi per Haeckel un fertile terreno di mediazione fra le sue due passioni, l’arte e la scienza, dando sollievo al giovane in un periodo (quello degli studi universitari) che non fu vissuto dal naturalista in maniera serena: interessato fin da ragazzo alla botanica e all’arte, egli aveva, infatti, deciso di assecondare il desiderio paterno e d’intraprendere gli studi di medicina pur disdegnando la pratica medica e le indagini anatomiche. Disegnare era quindi per Haeckel una piacevole distrazione, «l’unica vera gioia che spazzava via i brutti pensieri»[23]; allo stesso tempo, però, essa rappresentava un valido ausilio per la memorizzazione e lo studio delle nozioni mediche che tanto detestava. In una lettera scrive, infatti:
Esiste in me un autentico elemento sensibile che mi permette di concepire e trattenere pensieri e fatti, di imprimerli nella mia mente molto più saldamente quando essi sono simbolizzati dalle immagini rispetto a quando sono meramente rappresentati in maniera arida e nuda con le parole[24].
In tale scrittura privata si manifesta già chiaramente il modo in cui lo zoologo si avvarrà in seguito dei disegni di embrioni; ricordiamo, infatti, che le rappresentazioni grafiche presenti nelle sue opere non sono semplicemente decorative, né possono essere definite mere dimostrazioni visive di esempi concreti. Come sottolinea il filosofo americano Paul Weiss, la forma statica rappresentata sul foglio bianco è invece «il precipitato di soggiacenti e antecedenti dinamiche formative. Goethe chiamava l’architettura “musica irrigidita” [erstarrte Musik]. In egual modo, la forma organica è sviluppo irrigidito e la bellezza formale riflette l’ordine di sviluppo»[25].
- La legge biogenetica fondamentale
Haeckel era convinto che fosse possibile estendere il metodo dell’anatomia comparata anche all’embriologia, individuando un parallellismo fra le leggi che regolano la differenziazione dell’embrione e quelle che disciplinano la progressiva evoluzione delle specie.
Il valore delle illustrazioni embrionali sta proprio nell’essere una prova visivamente perspicua della legge biogenetica fondamentale, enunciata per la prima volta dallo zoologo nella sua opera più importante, la Generelle Morphologie der Organismen[26]. Il naturalista tedesco riprende un’idea ormai “classica” nel pensiero biologico dei suoi tempi, quella dell’indissolubile legame fra microcosmo e macrocosmo. Scrive a tal proposito:
Questa legge fondamentale, sulla quale noi dovremo ritornare continuamente e dall’intendimento della quale dipende interamente l’intima comprensione della storia dell’evoluzione, si può esprimere brevemente in questa proposizione: la storia dell’individuo è un riassunto della storia della stirpe, o con altre parole: l’ontogenesi è una ricapitolazione della filogenesi; o ancora alquanto più diffusamente: «la serie di forme per cui passa l’organismo individuale durante il suo sviluppo dalla cellula-uovo fino al suo stato perfetto è una breve e compendiosa ripetizione della lunga serie di forme che è stata percorsa dagli antenati animali dello stesso organismo o dalle forme-stipiti della sua specie dai tempi antichissimi della cosiddetta creazione organica sino al presente»[27].
E. Haeckel, Sviluppo della faccia, tavola I dell’Anthropologie, 1874. La tavola mostra le modificazioni che la nostra conformazione facciale subisce nel corso della vita individuale. |
La formula emblematica “l’ontogenesi ricapitola la filogenesi”, basata su due neologismi coniati dallo stesso Haeckel, postula quindi l’idea che lo zigote ripercorra nel suo processo di sviluppo (sia pure in maniera succinta e veloce) il percorso compiuto nei secoli dall’intera specie. L’impatto visivo dei disegni di embrioni allegati al testo e la formulazione chiara ed elegante di tale tesi contribuirono alla grande fortuna che tale teoria ottenne nel dibattito scientifico dell’epoca. Lo sviluppo ontogenetico, afferma lo scienziato, è un fenomeno storico e, in quanto tale, richiede una spiegazione storica del suo sviluppo e delle tappe che lo hanno reso possibile: nei suoi disegni egli propone quindi una «gallerie di antenati, come quelle che si trovano nei castelli dei principi»[28], vere e proprie tabelle embriologiche che, come in un piano cartesiano, consentono di comparare lo sviluppo anatomico di vari esemplari nel tempo, testimoniando una “certa iconicità del vivente”[29].
Non appena le opere uscirono dai rulli della tipografia, alcuni scienziati ostili alle teorie haeckeliane accusarono però lo zoologo di aver commesso errori grafici e metodologici nella realizzazione delle sue tavole: Haeckel fu accusato di «voluta non-verità, di menzogna e di falso scientifico»[30], polemiche che, sopite dopo la prima guerra mondiale in seguito alla morte del nostro autore e al sempre maggiore disinteresse nei confronti del suo pensiero, negli ultimi decenni sono tornate in auge grazie alla pubblicazione di alcuni articoli su note riviste scientifiche[31]. Comprendere le motivazioni di tali critiche non rientra nella sfera di nostra competenza; ci preme, invece, capire come tali disegni furono pensati e progettati, quali erano gli intenti iconici dell’autore e quale retorica si cela dietro la loro costruzione poiché è proprio la riflessione filosofica cha sta alla base della loro elaborazione a essere (spesso inconsapevolmente) il principale bersaglio critico di tali polemiche.
- Il progetto iconico dei disegni haeckeliani
Per far ciò dobbiamo rivolgere la nostra attenzione a un autore che influenzò largamente il dibattito evoluzionista europeo, Thomas H. Huxley (1825-1895), il “mastino di Darwin”, colui che aveva osato riportare l’uomo nella natura dimostrando il suo legame anatomico con i primati[32]. In una raccolta di aforismi e riflessioni, il naturalista inglese testimonia il suo interesse per l’embriologia affermando che
lo studioso della natura si meraviglia di più e si stupisce di meno man mano che diventa familiare con essa; ma di tutti i miracoli che essa offre alla sua analisi quello che forse è più meritevole di ammirazione è lo sviluppo di una pianta o di un animale a partire dal suo embrione[33].
Nell’opera che lo rese noto alle cronache scientifiche dell’epoca, l’Evidence as to man’s place in Nature, Huxley manifesta nuovamente la propria ammirazione per le indagini embriologiche, anticipando le riflessioni haeckeliane e scrivendo che
vi è un periodo nel quale tutti questi animali in istato di sviluppo si rassomigliano l’un l’altro non semplicemente nella forma esterna, ma in tutte le essenzialità di struttura, e così strettamente che le differenze fra loro sono inapprezzabili; mentre consecutivamente esse divergono più e più ampiamente l’uno dall’altro[34].
Come attestato anche dalla legge biogenetica fondamentale di Haeckel, Huxley aggiunge che tanto più due animali si somigliano fra loro negli stadi adulti, tanto più lungamente e intimamente si somigliano i loro embrioni: gli embrioni di un gatto e di un cane, ad esempio, divergono solo nelle fasi terminali dello sviluppo e condividono lo stesso percorso embrionale per un tempo assai più lungo di quello che accomuna gli esemplari di tali specie all’embrione di una rondine[35]. Nell’opera di Huxley non era però presente alcuna raffigurazione a testimonianza dell’individuazione di tali regolarità, a eccezione di due immagini di embrioni umani poco precise e per nulla chiarificatrici per quanto concerne la comprensione di tali parallelismi. Se Haeckel quindi poteva trovare un valido riferimento concettuale nelle parole del naturalista inglese, per riuscire a riprodurre visivamente la legge di ricapitolazione doveva invece mettere in atto una nuova strategia grafica e probabilmente fu un’altra immagine presente nell’opera di Huxley ad attirare la sua attenzione e a ispirarlo.
L’immagine in questione, che aveva suscitato notevole scalpore tanto nell’opinione pubblica quanto nei circoli scientifici, è riportata nel primo capitolo dell’opera, intitolato Storia naturale delle scimmie antropomorfe, e mostra quella che alcuni critici definirono una grottesca processione di scheletri, in cui l’uomo si atteggia a capofila di una sparuta schiera di scimmie antropomorfe.
Scheletri di gibbone, orango, scimpanzé, gorilla e uomo. Ridotti con la fotografia da alcuni disegni di grandezza naturale (meno quello del gibbone che è due volte più grande del vero) e seguiti dal sig. Waterhouse Hawkins a partire da esemplari conservati presso il Real Collegio dei Chirurghi di Londra. |
E. Haeckel, tavola IV e tavola V dell’Anthropogenie, 1874. Illustrazione della legge biogenetica che riproduce gli embrioni di otto specie di vertebrati (in ordine: pesce, salamandra, tartaruga, pollo, maiale, bue, cane e uomo) in tre stadi dello sviluppo ontogenetico, mostrando una notevole somiglianza negli stadi precoci di sviluppo e una graduale differenziazione in quelli successivi. |
Tale immagine mostrava a Haeckel la possibilità d’introdurre nella raffigurazione dell’anatomia comparata dell’embrione il concetto di serialità, così da creare una concatenazione evolutiva di embrioni «che si espone alla massima visibilità»[36]. Nonostante lo zoologo sia stato accusato già dai suoi contemporanei d’inesattezze grafiche e di non aver citato le fonti dei suoi disegni, bisogna indubbiamente riconoscergli il merito di essere stato il primo ad adottare rappresentazioni seriali e comparative di embrioni in pubblicazioni di rilievo, mostrando al grande pubblico i mutamenti morfologici delle prime fasi dell’esistenza e le relazioni fra le specie, uomo compreso. Lo scopo di questa “riunione comparativa di figure” era, per l’appunto, «quello di rendere evidente il fatto che da forme embrionali estremamente simili si sviluppano tipi di classi affatto diverse. Secondo la legge biogenetica fondamentale noi comprendiamo così come queste diverse classi di vertebrati si siano potute produrre in origine da una stessa forma-stipite»[37].
Nell’archivio dell’Università di Jena, uno dei più ricchi nella storia della biologia, è stata custodita per più di un secolo una vasta documentazione haeckeliana, tra cui la corrispondenza privata dell’autore e gli schizzi preparatori dei suoi disegni. Tra le migliaia di lettere ivi consultabili, è particolarmente interessante ai nostri fini quanto lo zoologo confida al collega e amico Carl von Siebold il 4 gennaio 1869. In tale scritto, l’autore si difende dalle accuse mosse contro di lui e tratteggia la metodologia utilizzata nel comporre le tavole embriologiche: gli embrioni di cane e di essere umano riprodotti nelle tavole della Natürliche Schöpfungsgeschichte, «sono del tutto esatti, copiati in parte dalla natura, in parte assemblati da tutte le altre illustrazioni di tali stadi che avevo pubblicato in precedenza»[38]. È importante notare che in tale passaggio lo scienziato tedesco non usa il termine exakt, ma la locuzione ganz genau e tale dettaglio, lungi dal costituire una mera notazione lessicale, ci svela la
prospettiva tipologica adottata da Haeckel: l’obiettivo dello zoologo non è, infatti, riprodurre esattamente il particolare embrione oggetto delle sue circostanziali osservazioni microscopiche, quanto piuttosto farne un emblema, un simbolo [Symbol].
Ricordiamo che il concetto di simbolo è analizzato da Kant nel §59 della terza Critica e che in tal sede il filosofo di Königsberg definiva l’ipotiposi simbolica [symbolische Hypotypose] come l’esibizione di ciò che «solo la ragione [Vernunft] può pensare [denken] e a cui non può essere adeguata alcuna intuizione sensibile»[39]. I simboli, specifica poco dopo il filosofo, contengono la presentazione indiretta del concetto che è operata per mezzo dell’analogia del singolo individuo (in questo caso del singolo embrione) con un’idea estetica[40]. Già nel §49 dell’Analitica della facoltà estetica di giudizio Kant aveva sancito il legame fra quest’ultima e l’immaginazione, affermando di intendere per “idea estetica” «quella rappresentazione dell’immaginazione che dà occasione di pensare molto, senza che però un qualche pensiero determinato, cioè un concetto, possa esserle adeguato»[41]. Tali idee sono quindi “rappresentazioni dell’immaginazione” poiché esse tendono da un lato a qualcosa che ha realtà oggettiva ed è esperibile tramite i sensi (gli enti del mondo naturale), dall’altro non sono però completamente adeguate a nessuno di tali oggetti.
Haeckel sembra aver fatto propria tale concezione, una metafisica che per la prima volta aveva abbozzato nella Generelle Morphologie der Organismen, opera in cui affermava di cercare una costruzione estetica della natura[42], un’immagine vera dei fenomeni che con coincide però strettamente con il concetto di obiettività scientifica cui siamo ormai abituati.
Per chiarire tale posizione è necessario innanzitutto rilevare che la ricerca della “verità della natura” non è stata sempre condotta con i metodi e i procedimenti scientifici attuali e che il periodo in cui opera lo scienziato tedesco (quello positivista) non è solo un’epoca di grande crescita degli ambiti e delle tecniche di ricerca, ma anche un momento di ridefinizione dei concetti e degli obiettivi che la scienza stessa si pone. Lorraine Daston, epistemologa e ricercatrice al Max Planck Institute for the History of Science, si è interrogata a lungo su tali questioni, chiedendosi quale sia il contrario di “verità” in sede scientifica: «la falsità, naturalmente», ha risposto la pensatrice, «ma quale sfumatura della falsità: le bugie? gli errori? le finzioni? le fantasie? In base alla sfumatura di falsità scelta, la verità stessa assume un colore differente»[43].
Anche i concetti di oggettività e soggettività, tradizionalmente considerati fra loro contrari, mostrano la stessa gradazione di toni. In un influente articolo, scritto a due mani con il filosofo della scienza Peter Galison, la Daston afferma che la seconda metà del XIX secolo è caratterizzata da un vero e proprio cambiamento di paradigma, essendo dominata dallo sforzo di introdurre un’”obiettività meccanica” nello studio dei fenomeni fisici e, in particolare, di quelli biologici[44]. Il fisiologo francese Étienne Jules Marey (1830-1904) in un’opera del 1878 intitolata La méthode graphique dans les sciences expérimentales affermava che senza alcun dubbio, nel giro di pochi anni, la fotografia avrebbe avuto un ruolo centrale nell’indagine scientifica perché le immagini, a differenza delle parole, parlano «il linguaggio dei fenomeni stessi»[45]. Il motto dell’epoca era, infatti, “lascia che la natura parli da sé” e il suo ideale il “non-interventismo scientifico”: la natura deve mostrarsi nel suo essere “naturale”, libera da ogni interferire umano; la soggettività è, quindi, un “pericolo” e le qualità vittoriane dell’autocontrollo e dell’autodisciplina divennero in sede accademica le virtù fondamentali che uno scienziato doveva possedere per aspirare a successo e fama[46]. Si chiamava così in causa non soltanto la competenza, ma anche la moralità dello scienziato che doveva astenersi dall’imporre alla natura le proprie speranze, le proprie aspettative e persino la propria visione estetica. Per tale ragione, l’utilizzo di strumenti tecnici è in quest’epoca esaltato poiché tali media sono in grado di produrre osservazioni persino migliori di quelle umane, in quanto sopprimono del tutto la libertà di scelta e di sguardo dello scienziato, risolvendo alla radice il problema della selezione e della costruzione del materiale oggetto di studio: le fotografie – tanto odiate in sede scientifica da Haeckel – sono un’immagine più “autentica” della natura rispetto ai disegni dell’artista, non tanto perché l’oggetto ivi riprodotto sia più fedele al reale di quello illustrato (con le prime fotografie era semmai vero il contrario sia per l’assenza di nitidezza dell’immagine che per la riproduzione in bianco e nero), ma perché in essa è soppressa ogni interpretazione personale, rendendo la rappresentazione del fenomeno neutra e asettica.
Tale concezione della scienza differisce da quella dell’epoca romantica (condivisa da Haeckel) tanto per quanto concerne i suoi metodi (meccanici), quanto per la sua morale (restrittiva) che per sua metafisica (rivolta all’individuale)[47]. Lo scarto fra le due posizioni, inoltre, si gioca su uno dei concetti cardine dell’architettonica kantiana, quello di giudizio [Urteil], per l’esattezza sul giudizio dello scienziato.
L’esercizio del giudizio del naturalista in epoca romantica era, infatti, orientato alla ricerca del “tipico” in natura, di quell’idea estetica che, come Kant propone, non s’incarna in un singolo individuo, ma può solo essere intuita tramite l’esperienza cumulativa. Haeckel si avvicina a tale modo di concepire l’immagine scientifica ma, da scienziato interessato allo studio dei fenomeni del bios (individuali e storici), non realizza tale “tipizzazione” nell’ideale (nella rappresentazione perfetta e trascendente dei fenomeni), bensì in ciò che i due epistemologi americani definiscono il caratteristico, cioè nel tipico che si dà a vedere nell’individuo[48]. Gli embrioni degli schizzi haeckeliani, come lo zoologo stesso afferma nella lettera inviata a Carl von Siebold, non sono una composizione interamente immaginata, ma rappresentano individui reali modificati così da poter assurgere al ruolo di simboli e da essere estesi a una classe più ampia di enti. Non è mai un corpo particolare a esser riprodotto dalla matita del naturalista tedesco, poiché l’oggetto del disegno non è rintracciabile in alcun esemplare empiricamente riconoscibile: esso è il farsi immagine di un corpo “doppiamente normale”, sia perché mostra il funzionamento di un organismo sano – non affetto da alcuna patologia visivamente riscontrabile e in cui tutti i parametri sono conformi “alla norma” – sia perché assume un valore canonico (“normativo”). Esso inoltre, utilizzando una terminologia di cui lo stesso Haeckel si avvale, è un corpo schematico [schematisch], che ha subito una “riduzione formale” per adempiere gli scopi di popolarizzazione che orientarono la scrittura stessa delle opere haeckeliane. Nella breve monografia apologetica Ziele und Wege der heutigen Entwickelungsgeschichte, lo zoologo stesso puntualizza tale aspetto, affermando:
per scopi didattici [didaktische Zwecke] (specialmente per l’ampio pubblico) ho ritenuto che semplici figure schematiche fossero molto più efficaci e istruttive di immagini eseguite dal vero e quanto più attentamente possibile. Infatti le prime riproducono l’essenza della serie di idee [Vorstellungsreise] che deve essere spiegata dalle figure e mette da parte tutto ciò che è inessenziale, mentre le seconde lasciano al lettore da solo il compito di distinguere nelle figure ciò che è importante da ciò che non lo è[49].
In questo senso «tutte le figure schematiche quali ogni giorno vengono impiegate mille volte nei trattati e nei corsi sono come tali “inventate” [erfunden]»[50] perché il naturalista si serve di esse «per illustrare un fatto che pensa»[51]. In tale contesto, non vi è ragione di bandire dall’osservazione la componente soggettiva; anzi sono proprio «l’acutezza sensoriale, la solida memoria e soprattutto il giudizio che rendono un naturalista eminente. Il giudizio separa il caratteristico dall’aberrante, integra le molteplici impressioni in una singola immagine, perfeziona i modelli difettosi, raggiunge la verità in natura»[52]. Immaginazione e capacità di giudizio, che per lo zoologo di Jena sono gli arbitri della scienza[53], erano però divenuti nella seconda metà del diciannovesimo secolo dei “nemici interni” al fare scientifico, sospettati di non scientificità non solo per il loro essere espressione della soggettività individuale, ma anche per il loro essere senza regole, espressione di un libero gioco difficile da disciplinare.
- Conclusioni
Il riconoscimento del valore didattico di tale metodologia e la chiarificazione degli intenti haeckeliani hanno attenuato, negli ultimi anni, i toni sulle polemiche concernenti le figure di embrioni. Le riflessioni e i disegni haeckeliani son quindi stati rivalutati poiché considerati un invito a liberarsi dalle catene dell’oggettività meccanica: con i suoi disegni lo zoologo tedesco dimostra che è un errore della scienza contemporanea considerare se stessa come un’“asettica interprete della natura” e trincerarsi dietro la “cortina dell’oggettività”. La fredda imparzialità tanto ricercata nei manuali scientifici è, infatti, sempre il frutto di una selezione degli argomenti e di una scelta stilistica dell’autore e non sempre l’atteggiarsi a “osservatori neutri” del reale si rivela la strategia migliore per trasmettere le proprie scoperte.
Nei primi del Novecento Haeckel sceglie un’altra strada: con i suoi schizzi e le sue tabelle orienta il lettore verso le tesi che intende sostenere, avvertendolo preventivamente delle scelte compiute. Seleziona i tratti embrionali sui quali intende focalizzare la sua attenzione e ne elimina altri che, neutrali nei confronti della sua teoria, possono sviare chi non conosce accuratamente la materia. Sceglie embrioni che, con tempistiche diverse, si trovano nella stessa fase di sviluppo; li riproduce in eguali dimensioni e nella stessa posizione; come in qualsiasi esperimento scientifico seleziona i casi da osservare e forza la natura a dare delle risposte. In tal modo, rende più semplice al “pubblico educato alla scienza” la comprensione di complesse teorie scientifiche, rimettendo a quest’ultimo e al suo spirito critico la scelta di far proprie o meno le posizioni sostenute.
Nella rinuncia di Haeckel a una rappresentazione obiettiva si coglie quindi il richiamo dello scienziato all’etica della soggettività perché, come scrive Goethe nel saggio Diderots Versuch über die Malerei, «l’arte non intende gareggiare in ampiezza e profondità con la natura […], tuttavia ha una sua profondità e una sua forza; […] Così l’artista; riconoscente alla natura che ha creato anche lui, le restituisce una seconda natura, sentita, pensata e umanamente compiuta»[54].
[1] C. Darwin, L’origine delle specie per selezione naturale o preservazione delle razze privilegiate nella lotta per la vita (1872), tr. it. Newton Compton, Roma 2006, p. 428.
[2] Ibid., p. 7.
[3] S.B. Carroll, Infinite forme bellissime. La nuova scienza dell’Evo-Devo (2005), tr. it. Codice Edizioni, Torino 2006, p. IX.
[4] Cfr. C. Darwin, L’origine delle specie, cit., p. 391.
[5] S.B. Carroll, Infinite forme bellissime, cit., p. 6.
[6] Lettera del 14/12/1859 pubblicata in C. Darwin, The Correspondence of Charles Darwin. Vol. 7 – 1860, Cambridge University Press, Cambridge 1985, pp. 431-432. Cfr. anche L.K. Nyhart, Embryology and Morphology, in M. Ruse, R.J. Richards (a cura di), The Cambridge Companion to the Origin of species, Cambridge University Press, Cambridge 2009, pp. 194-215.
[7] C. Darwin, L’origine delle specie, cit., p. 395.
[8] A. La Vergata, Filosofia e biologia, in P. Rossi (a cura di), La Filosofia. Vol. II – La filosofia e le scienze, UTET, Torino 1995, p. 104.
[9] A. Portmann, Omologia e analogia, tr. it. in «Rivista di Estetica», 62, 2016, p. 12.
[10] S.F. Gilbert, M. Faber, Looking at the embryos: the visual and conceptual aesthetics of emerging form, in A.I. Tauber, (a cura di), The Elusive Synthesis: Aesthetics and Science, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht – Boston – London 1997, p. 128.
[11] N. Hopwood, Haeckel’s Embryos: Images, Evolution, and Fraud, The University of Chicago Press, Chicago – London 2015, p. 1.
[12] Cfr. la lettera del 14/05/1863 pubblicata in E. Haeckel, The story of development of a youth by Ernst Haeckel. Letters to his parents 1852-1856 (1921), tr. ingl. Harper & Brothers Publishers, New York and London 1923, p. 106-111.
[13] Cfr. la lettera del 17/05/1865, ibid., pp. 269-277.
[14] C. Darwin, Über die Entstehung der Arten Im Their- und Pflanzenreich durch natürliche Züchtung oder Erhaltung der vervollkommneten Rassen im Kampfe um Dasein, E. Schweizerbart’sche Verlagshandlung und Druckerei, Stuttgart 18632.
[15] Lettera del 09/06/1864, in C. Darwin, The Correspondence of Charles Darwin, vol. 12 – 1864, cit., p. 265.
[16] Cfr. U. Hoßfeld, L. Olsson, The Road from Haeckel: The Jena Tradition in Evolutionary Morphology and the Origins of “Evo-Devo”, in «Biology and Philosophy», 18, 2003, p. 287.
[17] E. Haeckel, Storia della creazione naturale. Conferenze scientifico-popolari sulla teoria dell’evoluzione generale e specialmente su quella di Darwin, Goethe e Lamarck (1868), tr. it. UTET, Torino 1892, p. 5.
[18] Ibid., p. 168.
[19] Cfr. N. Hoopwood, Haeckel’s Embryos, cit. pp. 31-51.
[20] J.W. Goethe Anatomia plastica (1832), in Gli scritti scientifici. Morfologia II: Zoologia, Il Capitello del Sole, Bologna 1999, p. 286.
[21] S.F. Gilbert, M. Faber, Looking at the embryos, cit., p. 125.
[22] Ibid.
[23] Lettera del 29/11/1892, in E. Haeckel, The story of development of a youth, cit., p. 32.
[24] Lettera del 25/12/1853, ibid., pp. 57-58 (corsivo nostro).
[25] P. Weiss, Beauty and the Beast: Life and the Rule of Order, «The Scientific Monthly», 81, 6, 1955, p. 288.
[26] E. Haeckel, Generelle Morphologie der Organismen. Allgemeine Grundzüge der organischen Formen-Wissenschaft, Mechanisch begründet durch die von Charles Darwin reformierte Descendenz-Theorie, G. Reimer, Berlin 1866.
[27] Id., Antropogenia o storia dell’evoluzione umana. Storia embriologica e genealogica (1874), tr. it. UTET, Torino 1895, p. 15 (modificato).
[28] Ibid., pp. 618-619.
[29] M. Di Bartolo, Bios e anthropos: “immagine” del vivente e “forma” dell’umano in J.W. Goethe, in G.F. Frigo (a cura di), Bios e anthropos: Filosofia, Biologia e Antropologia, Edizioni Angelo Guerini, Milano 2007, p. 174.
[30] E. Haeckel, Antropogenia o storia dell’evoluzione umana, cit., p. 621.
[31] E. Pennisi, Haeckel’s Embryos: Fraud Rediscovered, «Science New Series», 277, 5331, 1997, p. 1435.
[32] T.H. Huxley, Il posto dell’uomo nella natura (1863), tr. it. UTET, Torino 2005.
[33] Id., Aphorisms and Reflections from the works of T.H. Huxley. Selected by H.A. Huxley, Macmillian & Co., London 1908, aforisma n. LIV, p. 12.
[34] Ibid., p. 84.
[35] Ibid.
[36] M. Di Bartolo, Bios e anthropos, cit., p. 174.
[37] E. Haeckel, Antropogenia o storia dell’evoluzione umana, cit., p. 623.
[38] Lettera di E. Haeckel a C. von Siebold del 4 gennaio 1869, citata in N. Hoopwood, Haeckel’s Embryos, cit., p. 73.
[39] I. Kant, Critica della facoltà di giudizio (1790), Einaudi, Torino 1999, p. 186.
[40] Ibid.
[41] Ibid., p. 149.
[42] R.J. Richards, The Tragic Sense of Life. Ernst Haeckel and the Struggle over Evolutionary Thought, The University of Chicago Press, Chicago and London 2008, p. 297.
[43] L. Daston, Objectivity versus Truth, in H. Bödeker, P. Reill, J. Schlumbohm (a cura di), Wissenschaft als kulturelle Praxis, 1750-1900, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1999, p. 17.
[44] L. Daston, P. Galison, The Image of Objectivity, in «Representation», 40, 1992, pp. 81-128. Cfr. anche P. Galison, Objectivity is Romantic, in J. I. Friedman, P. Galison, S. Haack, B. E. Frye (a cura di), The Humanities and he Sciences, American Council of Learned Societies, New York 2000, pp.15-43.
[45] E.J. Marey, La méthode graphique dans les sciences expérimentales – La circulation du sang à l’état physiologique et dans les maladies, Paris, 1878, cit. in ibid., p. 81.
[46] Ibid., p. 118.
[47] L. Daston, P. Galison, The Image of Objectivity, cit., p. 84.
[48] Ibid., p. 88.
[49] E. Haeckel, Ziele und Wege der heutigen Entwickelungsgeschichte, Verlag von Hermann Duft, Jena 1875, p. 37.
[50] Id., Antropogenia o storia dell’evoluzione umana, cit., p. 622
[51] Ibid.
[52] L. Daston, Objectivity versus Truth, cit., p. 25.
[53] Cfr. L. Daston, P. Galison, The Image of Objectivity, cit., p. 118.
[54] J.W. Goethe, Il “Saggio sulla pittura” di Diderot (1799), tr. it. in Scritti sull’arte e la letteratura, Bollati Boringhieri, Torino 1992, p. 126 (citazione modificata).