Autore
Indice
- Dal primo al secondo Engelhardt?
- La terra degli stranieri morali e il ruolo delle comunità
- Il ruolo della Bioetica cristiana tradizionale in un mondo secolarizzato
S&F_n. 19_2018
Abstract
Hugo Tristram Engelhardt jr. Christian Bioethics in the Land of moral Strangers
This paper deals with the foundations of Engelhardt’s moral and bioethical view. In particular, it focuses 1) the relationship between procedural Ethics and Morality; 2) Engelhardt’s arguments aimed at legitimating an extrarational moral perspective within our societies in which traditional moralities grounded on religious insights (such as the one proposed through Orthodox Catholic Church) are generally marginalized; 3) some possible applications of Engelhardt’s thoughts (for example, in healthcare system)
Ci siamo scoperti soli, privi di uno scopo e di un orientamento ultimo.
H.T. Engelhardt Jr. (1941-2018)
- Dal primo al secondo Engelhardt?
Sovente nella storia della filosofia l’evoluzione intellettuale di un autore è stata inquadrata come svolta, Kehre, trapasso da un certo modo di leggere la realtà a un altro. Si parla, infatti, del primo e del secondo Fichte, del primo e del secondo Wittgenstein, del Platone della vecchiaia che avrebbe sconfessato i risultati acquisiti nel periodo della maturità, dello Heidegger dopo Vom Wesen des Wahrheit che avrebbe abbandonato i temi esistenzialistici per dedicarsi a quelli ontologici. Sorte simile sarebbe toccata a Hugo Tristram Engelhardt Jr., il quale con la prima edizione del suo The Foundations of Bioethics del 1986 si sarebbe collocato tra i promotori di una concezione laico-secolare della bioetica, per poi spostarsi su posizioni fideistiche che lo avrebbero condotto ad approfondire temi assenti nella precedente trattazione.
Nella seconda edizione di The Foundations of Bioethics il nostro Autore scrive
Chi aspira a qualcosa di più di ciò che la ragione laica può dischiudergli – e tutti dovrebbero farlo – si troverà ad abbracciare una religione e dovrà stare molto attento a scegliere quella giusta. Il contenuto morale canonico non potrà trovarsi se non all’interno di una particolare narrazione morale, di una visione delle cose da un certo punto di vista. Qui il lettore deve sapere che personalmente ho sperimentato e riconosco il profondo abisso che divide ciò che può darmi il ragionamento filosofico laico e ciò che so essere vero nella pienezza della mia narrazione morale[1].
Tali affermazioni sembrano stridere con quelle presenti nella prima edizione dell’opera engelhardtiana, laddove il filosofo e bioeticista americano scriveva esplicitamente di proporre una «bioetica laica contrapposta alla bioetica religiosa»[2] e poneva in epigrafe al volume un brano dell’Hàvamàl, poema sapienziale vichingo, fonte di ispirazione per il neopaganesimo[3].
Tuttavia, similmente a quanto avviene per altri autori, tali contraddizioni non intaccano le fondamenta della sua prospettiva teorica. Ci sono almeno quattro argomenti a sostegno di questa tesi:
1) Engelhardt non ha mai rinnegato nella sostanza le analisi proposte nella prima edizione di The Foundations of Bioethics[4];
2) pur nell’emergere di una differente sensibilità verso il tema della religione[5] egli ha sempre considerato un dato inemendabile del mondo post-moderno – sorto sulle rovine del progetto illuministico settecentesco di rinvenire attraverso la ragione i principi per una morale nel contempo universale (nei termini di Engelhardt “canonica”) e sostanziale (non puramente formale, capace, quindi, di fornire un contenuto specifico a termini quali “buono”, “cattivo”, “virtù”, “carattere”, “giustizia”, etc.) – il pluralismo morale[6];
3) egli ritiene indispensabile elaborare, per le odierne società post-moderne, caratterizzate dalla presenza di prospettive morali non conciliabili, una morale procedurale (puramente formale) basata sul consenso dei contraenti, in cui siano indicate le «procedure per la conduzione della negoziazione e per la messa a punto di un’intesa»[7], posizione mai ritrattata;
4) egli ritiene scorretto imporre, nello spazio pubblico, una particolare visione morale. Se «al di fuori del contesto e del contenuto forniti all’interno di comunità morali particolari, le preoccupazioni tradizionali concernenti virtù e carattere diventano pressoché incomprensibili in termini laici generali»[8], non è possibile proporre “una” prospettiva morale a scapito delle altre. Lo spazio pubblico, pertanto, si configura come “spazio neutro”[9] in cui nessuna prospettiva assiologica è assunta come “quella vera”, in grado di superare la frammentazione morale e fornire un contenuto canonico (universale, approvato da tutti) a categorie quali “giusto”, “sbagliato”, “dovere”, “buono”, “cattivo”.
L’emergere della nuova sensibilità religiosa di Engelhardt e la sua conversione al cattolicesimo ortodosso[10] non vanno interpretati, quindi, come un elemento di rottura rispetto alle posizioni dell’Engelhardt campione della bioetica laica e sostenitore di tesi radicali, come quella sull’infanticidio[11].
In realtà, le due prospettive appaiono coerenti all’interno dell’universo teorico engelhardtiano. Infatti, l’analisi del bioeticista texano parte dalle seguenti linee interpretative[12]: 1) la laicità moderna (frutto maturo dell’Illuminismo) e il cattolicesimo romano, al di là delle pur evidenti differenze, condividono una comune fede nella ragione. Nella Costitutio dogmatica de fide catholica è affermato che «se qualcuno dirà che non è possibile conoscere con certezza con il solo lume dell’umana ragione l’unico vero Dio, creatore e signore nostro, a partire dalle cose create, sia scomunicato»[13]; 2) Il progetto morale moderno, nato sulla scia degli entusiasmi della Rivoluzione francese, si propone di offrire «un punto di vista comune suscettibile di unire gli stranieri morali e di indicare un’autorità morale che tutte le persone devono riconoscere come vincolante. Se l’argomentazione morale razionale è in grado di pervenire a conclusioni morali sostanziali, allora coloro che disconoscono tali conclusioni possono essere liquidati come irrazionali»[14]; 3) sia il progetto cattolico romano di unire fede e ragione, teologia e filosofia sia il progetto morale moderno di elaborare una prospettiva morale sostanziale che potesse trascendere le differenze di visione morale di ciascun individuo, sono falliti dal momento che a) non esiste alcuna prospettiva morale che possa imporsi sulle altre in base ad argomentazioni razionali e b) allorquando “una” prospettiva morale viene scelta (a scapito delle altre) l’aspirazione all’universalità viene meno; 4) la bioetica come progetto filosofico post-moderno nasce sulle macerie delle etiche sostanziali che avevano caratterizzato il paesaggio morale tradizionale. Di tale scenario essa condivide l’incapacità di elaborare principi che siano riconosciuti (e riconoscibili) da ogni individuo.
Tali premesse spingono a due conclusioni: 1) se non è possibile formulare, sulla base dell’argomentazione razionale, alcuna morale sostanziale canonica (ossia che possa avere dei contenuti specifici, un preciso impianto normativo e nel contempo aspirare all’universalità), l’unica opzione perseguibile, entro lo spazio pubblico, è quella di costruire una morale meramente procedurale (formale) volta al superamento dei potenziali conflitti tra gli individui.
2) All’interno di tale scenario, caratterizzato da profondo scetticismo verso la ragione e le sue capacità[15], lo spazio per una bioetica cristiana tradizionale, non fondata sull’idea della ragione come mezzo per raggiungere Dio e il trascendente, riemerge. Nelle parole di Engelhardt
Una bioetica religiosa nel senso di una bioetica fondata sul riconoscimento o sull’esperienza di un Dio trascendente e sulla devozione di un soggetto verso quel Dio offre la possibilità di un profondo ancoraggio per una moralità dotata di contenuti sostanziali[16].
Nei successivi paragrafi, pertanto, dopo una 1) breve caratterizzazione del concetto di stranieri morali e morale procedurale 2) mostrerò che la possibilità di una bioetica cristiana tradizionale rappresenta un esito coerente dell’iter intellettuale di Engelhardt.
- La terra degli stranieri morali e il ruolo delle comunità
Engelhardt parla dell’Occidente come terra degli “stranieri morali”, «individui che non hanno in comune premesse morali e norme di dimostrazione e di inferenza che consentano loro di risolvere le controversie morali mediante l’argomentazione razionale, e che non possono farlo neppure appellandosi a individui o istituzioni di cui riconoscono l’autorità»[17].
In un contesto di politeismo valoriale e disaccordo sul contenuto da attribuire a principi e norme siamo posti di fronte a una molteplicità di discorsi morali e differenti stili di vita in potenziale contrasto.
Sorge, quindi, l’esigenza di elaborare strategie per consentire la convivenza pacifica tra i vari individui e, parimenti, non sprofondare nel caos di una polifonia di visioni morali in contrasto. Secondo Engelhardt tale strategia è riposta nell’accordo per consenso, ossia nel “permesso” che ciascun individuo concede ad altri di fare o non fare determinate azioni, una strategia che non impegna nessun contraente a prendere posizione circa il contenuto da attribuire a valori quali bene, giustizia, altruismo; soltanto a cercare accordi formali intorno alle procedure atte al superamento di problemi pratici.
L’esigenza di costruire una morale procedurale, che impegni i contraenti rispetto alla mera forma degli accordi è l’unico modo per rispondere in maniera efficace al fallimento del progetto di fondazione della morale su base razionale.
Engelhardt afferma che
La speranza filosofica della modernità è stata quella di scoprire […] una comunità generale comprendente tutte le persone. Tale comunità è stata cercata mediante la messa a punto di una morale canonica non solo procedurale, ma sostanziale, capace di vincolare anche gli stranieri morali, i membri di molteplici comunità morali diverse tra loro. L'idea era quella di scoprire una morale laica sostanziale […] capace di imporsi a comunità caratterizzate da credenze religiose e ideologiche diverse[18].
Il fallimento del progetto illuministico di scoprire una morale sostanziale canonica è un evento di cui non deve sfuggire l'enorme importanza. Esso rappresenta il collasso della speranza filosofica occidentale di fondare l'oggettività della morale[19].
E ancora
Gli stranieri morali devono risolvere i loro disaccordi mediante comuni intese: non condividendo in misura sufficiente un'unica visione morale, infatti, essi non possono mettere a punto soluzioni sostanziali delle loro controversie [...]. Va detto, però, che gli stranieri morali non sono di necessità reciprocamente inaccessibili o alieni; possono riconoscere gli uni i valori morali degli altri, sia pure considerandoli distorti o disordinati. Una diversa gerarchizzazione dei valori fondamentali fa degli individui degli stranieri morali, ma non li rende reciprocamente incomprensibili. Inoltre, data la complessità delle situazioni e delle inclinazioni umane, è possibile che stranieri morali siano sul piano umano amici strettissimi[20].
Johann Gugelmann scrive a proposito dell’epistemologia morale che sorregge le analisi di Engelhardt che uno dei problemi di fondo del filosofo (e bioeticista) texano è quello di comprendere come possiamo essere giustificati (e legittimati) nelle nostre credenze morali[21]. E aggiunge, subito dopo, che non lo siamo.
Secondo Engelhardt, infatti, la filosofia morale e la ragione argomentativa non sono in grado di fornire alcuna giustificazione alle credenze morali. Il fatto di credere che x sia giusto e y sbagliato non ha, in ultima istanza, un fondamento razionale[22]. I valori alla base di una specifica visione morale della realtà (quelli che ci spingono a credere che x sia giusto e y sbagliato) poggiano, di fatto, su fattori extrarazionali e la loro giustificazione non è altro che una narrazione a posteriori costruita del soggetto.
Ora, è proprio questa impossibilità a fare ricorso alla ragione per dare una giustificazione alle credenze che, verosimilmente, spinge Engelhardt a ritenere che l’unica via percorribile per trovare piattaforme di accordo tra soggetti con concezioni morali incompatibili sia quella di stipulare accordi formali, in cui ne va della pura forma degli accordi stessi.
A questo proposito, ad esempio, nel Manuale di bioetica il nostro Autore scrive che «degli stranieri morali possono benissimo incontrarsi al mercato per acquistare, vendere, stipulare contratti e concludere accordi. Medici e pazienti con opinioni morali divergenti possono negoziare che cosa devono aspettarsi gli uni dagli altri seguendo le procedure del consenso libero e informato. I diritti di non interferenza possono trovare attuazione anche in assenza di convergenze non puramente formali su una nozione di bene»[23].
A questo scenario, caratterizzato da stranieri morali, Engelhardt contrappone, tuttavia, la possibilità che si formino anche “comunità” caratterizzate dalla condivisione di valori e da una comune visione della realtà[24]. In alcuni casi, tali comunità, composte da “amici morali” presentano valori e stili di vita distanti rispetto al sentire maggioritario, tanto da poter generare situazioni di conflitto difficilmente superabili.
- Il ruolo della Bioetica cristiana tradizionale in un mondo secolarizzato
Dopo la conversione al cattolicesimo ortodosso Engelhardt si è interrogato a fondo su quale potesse essere, nelle odierne società post-religiose e post-tradizionali, lo spazio per una bioetica cristiana non fondata via ratione; una bioetica che si richiamasse ai valori della tradizione contro l’etica della situazione e dell’immanenza.
La risposta che egli ha elaborato, a più riprese e all’interno di una coerente linea di sviluppo, è che in un contesto in cui la ragione ha dimostrato la sua incapacità di fornire giustificazioni razionali circa gli stili di vita soggettivi e le specifiche credenze di ciascun individuo, la religione e la fede possano avanzare di nuovo una propria legittimità; legittimità che non deve essere giustificata razionalmente (tentativo che si rivelerebbe vano) ma può essere fondata sul sentimento e sull’abbandono intimistico alla fede.
Questo, secondo Engelhardt, potrebbe costituire una sorta di antidoto ai fallimenti della ragione illuministica e alle sue pretese di risolvere in sé la realtà. Se la ragione ha fallito nel suo sforzo di trovare una morale sostanziale canonica che consenta a tutti gli uomini, al di là di pur tangibili differenze, di convivere sulla scorta di alcuni principi di fondo comuni, allora piuttosto che prodursi in un’impresa vana (assimilabile a quella di Don Chisciotte che combatteva contro i mulini a vento[25]) e continuare a illudersi in merito alla possibilità di fondare sulla ragione il discorso etico o bioetico, non è incoerente abbandonarsi alla religione e al suo messaggio salvifico extrarazionale.
La possibilità di fondare una bioetica sul messaggio del Cristianesimo tradizionale (identificato principalmente con il Cattolicesimo ortodosso[26]) pone, però, il problema della collocazione di questa bioetica all’interno di società post-tradizionali e secolarizzate. Società in cui il trascendente e Dio sono, in via preponderante, abbandonati in favore dell’immanenza.
In altri termini, posta la premessa A: coloro i quali conducono una vita ispirata ai valori del Cristianesimo tradizionale non devono rinunciare alla propria prospettiva morale, per quanto quest’ultima sia distante dal sentire maggioritario del mondo post-tradizionale, consegue B: è necessario elaborare strategie efficaci affinché la posizione morale di coloro i quali conducono una vita ispirata ai valori del Cristianesimo tradizionale sia tutelata all’interno delle odierne società liberali, eminentemente organizzate intorno al 1) rifiuto della trascendenza e 2) all’immanenza[27].
Il fallimento del progetto universalistico di fondazione di una morale sostanziale canonica, assunto quale premessa del discorso etico engelhardtiano, non conduce, quindi, necessariamente al rifiuto di qualsivoglia morale sostanziale.
Esso, piuttosto, può fornire una coerente motivazione per il recupero di una dimensione dell’esistenza basata sulla fede e sulla tensione al trascendente. Sia il fallimento del cattolicesimo romano, sia il fallimento dell’Illuminismo hanno avuto un ruolo in tale processo. Il primo, infatti, ha sposato l’idea che fede e ragione non sono facoltà scindibili. Inoltre, ha affermato che sola ratione si possa pervenire al riconoscimento della legge morale naturale inscritta nel cuore di ogni uomo. Il secondo, invece, in un’ottica post-religiosa ha preteso di fondare sulla ragione i principi per una morale sostanziale, universalistica e affratellante, valida per tutti gli uomini in quanto tali. Secondo Engelhardt, al contrario, la fede si regge sull’incontro diretto con Dio, al di là della ragione e della possibilità che quest’ultima accampa di rinvenire i principi per una morale canonica.
Il riconoscimento dell’impossibilità di fondare il discorso morale su principi sostanziali razionalmente fondati ha messo fine sia al progetto illuministico di elaborazione di una morale sostanziale canonica, sia al progetto cattolico di ancoramento della fede nella filosofia.
Il crollo delle certezze razionalistiche del Cattolicesimo romano e dell’Illuminismo ha trasformato la morale da scienza del corretto agire a questione di stile di vita, determinandone di fatto un declassamento e ridimensionamento.
Nelle parole di Engelhardt
Dopo Dio e dopo la metafisica il punto di vista morale non può più considerarsi come necessariamente prevalente sul perseguimento del bene delle persone che si hanno maggiormente a cuore, per esempio se stessi, la propria famiglia e gli amici, anche quando il venir meno di tale prevalenza mette al repentaglio il bene delle persone in generale e viola i diritti degli individui[28].
Entro tale scenario, l’impossibilità di una fondazionale razionale del discorso morale rende plausibile la proposta di riancorare quest’ultimo alla fede, ossia a una dimensione extrarazionale . Anzi, lo sgretolamento del progetto cattolico prima e illuministico poi di fondare la morale sulla ragione e di rinvenire principi canonici attraverso l’argomentazione razionale rende, sotto un certo profilo, la fede una opzione del tutto coerente: l’opzione attraverso la quale si mostra piena consapevolezza della impossibilità di giustificare razionalmente la propria prospettiva morale.
Secondo Engelhardt bisogna riscoprire le autentiche radici della fede, senza avanzare la pretesa di un ancoraggio di quest’ultima alla filosofia e alla ragione[29].
Solo la ripresa della via antiqua, della vita cristiana accompagnata dalla fede e dal rapporto diretto con Dio e il trascendente può costituire un’alternativa alle pretese fallimentari della teologia razionalistica[30].
Tuttavia, per quanto la scelta di abbracciare una morale di tipo tradizionalistico, fondata sulla religione e sul sentimento della fede si rivelino scelte coerenti, dal momento che nessuna morale sostanziale può aspirare a essere universale e razionalmente fondata, le odierne società sono largamente informate da valori post-religiosi e strutturate in senso secolare.
Per riprendere le parole dello stesso Engelhardt
Nonostante in talune nazioni sia ancora presente una qualche forma di Cristianesimo – in Germania ben due– il loro ruolo e la loro forza in relazione alla politica pubblica vengono progressivamente marginalizzate […]. L’Occidente cristiano è diventato secolare. Strettamente parlando la Cristianità in quanto tale è scomparsa. Non esistono più società che possano essere riconosciute come inequivocabilmente cristiane […]. Le stesse istituzioni pubbliche di matrice cristiana sono dirette in termini largamente secolarizzati. Così come le politiche sanitarie non sono più orientate in senso religioso, una bioetica cristiana in queste circostanze potrebbe apparire significativa solo dal punto di vista storico […]. Essa potrebbe anche essere vista come un elemento vessatorio rispetto alle politiche sanitarie secolari[31].
Tale circostanza non deve però eliminare la possibilità, per un soggetto, di abbracciare una moralità sostanziale i cui contenuti non sono elaborati a partire dalla ragione e dalle sue pretese universalistiche. E affinché l’esercizio della propria moralità non sia ostacolato, lo stato deve ergersi a garante del patto sociale.
A tale proposito, Engelhardt individua tre tipologie di stati: lo stato fondamentalista religioso, lo stato fondamentalista laico e lo stato laico non fondamentalista.
Uno stato fondamentalista religioso «elabora leggi, istituzioni e professioni in conformità con una particolare concezione religiosa della condotta appropriata, ivi compresa anche una visione religiosa della bioetica, a cui tutte le istituzioni e le professioni devono in qualche misura conformarsi […]. Marginalizza il ruolo di altre dottrine e istituzioni religiose e non religiose, proprio mentre mette in primo piano le proprie prese di posizione etico-religiose nel dibattito politico generale e specialmente nelle istituzioni pubbliche»[32]. Uno stato fondamentalistica laico, invece, «elabora leggi, istituzioni e professioni in conformità con una particolare concezione laico-filosofica della condotta appropriata […]. Marginalizza il ruolo del discorso religioso, delle istituzioni religiose (per es. delle chiese) e delle istituzioni affiliate alle religioni (per es. gli ospedali a gestione religiosa)»[33].
A queste due forme di stato che limitano l’esercizio della libertà degli individui Engelhardt ne oppone una terza in cui il dibattito politico generale e la sfera pubblica «sono per loro natura e nella migliore delle ipotesi un mercato costituzionalmente vincolato di opportunità politiche che non solo non esige un senso comune e sostanziale del moralmente razionale o del politicamente ragionevole, ma anzi dovrebbe rifuggirne. A tale stato, al contrario, non resterà che abbracciare vincoli procedurali costituzionali miranti a evitare quanto più possibile l’imposizione di un’ortodossia laica o religiosa. Tale esito va evitato per diminuire nei limiti del possibile le leggi e una politica pubblica moralmente ingiustificate e per preservare lo stato come modus vivendi almeno largamente accettabile, capace di tutelare i diritti-di-non-interferenza mediante il mantenimento della sicurezza e della proprietà»[34].
Si tratta qui di uno stato minimo[35] la cui autorità morale discende dal consenso e la cui interna strutturazione consente a individui caratterizzati da visioni della realtà e prospettive morali radicalmente divergenti di coesistere pacificamente invocando l’accordo sociale come garanzia morale.
Tale impostazione consente a Engelhardt di 1) legittimare posizioni bioetiche espressione di valori in potenziale contrasto con le istanze delle odierne democrazie liberali; 2) comprendere come la tutela pubblica delle morali tradizionali possa coesistere con la necessità di assicurare il funzionamento delle nostre società.
La legittimità di posizioni bioetiche espressione di valori in potenziale contrasto con le istanze delle odierne democrazie liberali riposa nelle considerazioni engelhardtiane di epistemologia morale (esplicitate nel paragrafo 2 del presente contributo), per cui una qualsivoglia credenza morale non ha, in ultima istanza, alcuna giustificazione razionale possibile. Sotto il profilo morale, i comportamenti che si ispirano ai valori del cristianesimo tradizionale e quelli che si ispirano ai valori del pensiero laico-secolare non possono accampare alcun diritto di priorità gli uni rispetto agli altri: essi sono indecidibili circa le loro ragioni ultime. Essendo entrambe le posizioni morali su un piano di simmetria[36] non è giustificabile, entro lo spazio pubblico-statuale, una presa in carico soltanto delle istanze laico-secolari a scapito di quelle ispirate ai valori della tradizione.
Per questo, ad esempio, il ricorso all’obiezione di coscienza non può essere messo in discussione, questa l’idea di Engelhardt.
Infatti, in casi del genere, secondo il nostro Autore va salvaguardata l’integrità della coscienza del soggetto. Nello stesso tempo, però, tale salvaguardia non deve essere di ostacolo alla realizzazione delle preferenze e scelte individuali di altri soggetti, ragion per cui l’assistenza sanitaria dovrebbe essere organizzata in modo tale da garantire comunque l’erogazione del servizio.
In altri termini, affinché le regole formali della morale procedurale non vengano meno, tali prese di posizione non possono intaccare la libertà di scelta di soggetti che tali posizioni non condividono. Ragion per cui lo stato e il servizio sanitario pubblico devono farsi carico, attraverso opportune procedure, del rispetto delle differenti prospettive etiche e delle scelte che ne conseguono. Nel caso di una donna che richiede un’ivg (interruzione volontaria di gravidanza) il servizio sanitario deve garantire con il massimo dell’efficienza l’erogazione del servizio. Sulla scorta delle riflessioni di Engelhardt si potrebbe, ad esempio, ipotizzare[37], quale soluzione plausibile di bandire concorsi pubblici ad hoc che favoriscano l’assunzione di personale medico-ospedaliero in grado, sempre, di far fronte alle richieste specifiche delle pazienti[38]. In particolare, dalla riflessione di Engelhardt rileviamo due considerazioni di fondo. Da un lato la necessità di garantire il rispetto per le credenze morali di un soggetto, attraverso un’idea di stato leggera: lo stato non deve ingerire in alcun modo nella vita privata dei soggetti, in modo particolare per quanto attiene la sfera delle credenze personali; dall’altro, però, la garanzia che questo rispetto, sempre da osservare prima facie, non vada in contrasto con le legittime aspirazioni e le libere scelte di soggetti che sposano una differente visione della vita e della morale.
E tuttavia, le risposte fornite da Engelhardt non sempre appaiono del tutto soddisfacenti. Basti pensare al tema dell’attuazione delle norme in materia di interruzione volontaria di gravidanza e alla crescita del numero di obiettori di coscienza che ha determinato situazioni di oggettiva difficoltà nell’erogazione del servizio sanitario. Non è questo il luogo per approfondire tale questione[39]. Basti qui segnalare che al di là della loro problematicità tali risposte appaiono coerenti con il suo impianto generale di epistemologia morale, incarnandone i motivi di fondo e rappresentandone l’esito più verosimile.
[1] H.T. Engelhardt Jr., Manuale di Bioetica (1996), tr. it. Il Saggiatore, Milano 1999, p. 30.
[2] Id., Manuale di Bioetica (1986), tr. it. Il Saggiatore, Milano 1991, p. 18.
[3] Nell’epigrafe alla seconda edizione troviamo, invece, due versi di un testo liturgico mariano della tradizione cristiana orientale, l’Inno Acatistos («Salve, Tu che rendi saggi gli innocenti/Salve, Tu che dimostri irragionevoli i dotti»).
[4] Questo può essere affermato anche contro Engelhardt stesso, il quale nella Prefazione alla seconda edizione del suo Foundations scriveva che «in fin dei conti io sono un cattolico ortodosso texano, uno che si è convertito per scelta e convinzione, spinto dalla Grazia e dal rimorso per i miei innumerevoli peccati (non ultimo quello di aver pubblicato una prima edizione di questo libro che richiedeva moltissimi miglioramenti)», Id., Manuale di Bioetica, cit., p. 30 (corsivo mio).
[5] Giuseppe Zeppegno, bioeticista cattolico, a questo proposito scrive che «in Engelhardt coesistono due prospettive. Manifesta una fede articolata capace di condizionare la sua vita personale. Rifiuta, però, di sostenere le sue convinzioni profonde nella sfera pubblica. In quest’ambito si accontenta di promuovere un “misticismo” minimalista che si richiama a un generico buonismo. Per difendere il suo relativismo valoriale nella prima stesura The Foundations of Bioethics arrivò ad alimentare un’aspra polemica anticattolica che A. Vendemiati giudica “di cattivo gusto e scorretta sul piano del dialogo ecumenico”. La seconda edizione documenta l’evoluzione religiosa dell’Autore. In essa l’approccio alla religione è più possibilista», G. Zeppegno, Bioetica. Ragione e fede: Di fronte all’antropologia debole di H. Engelhardt Jr., Effata Editrice IT, Cantalupa 2007, p. 31.
[6] Id., Bioethics and Secular Humanism. The Search for a Common Morality, Wipf and Stock Publishers, Eugene 20112, p. 139 sgg.; Id., Manuale di Bioetica, cit., p. 49; Id., The Foundations of Christian Bioethics Swets & Zeitlinger Publishers, Leida 2000, p. 3 sgg.
[7] Id., Manuale di Bioetica, cit., p. 48; Id., Bioethics and Secular Humanism, cit., p. 40 sgg.
[8] Id., Manuale di Bioetica, cit., p. 48.
[9] Id., Bioethics and Secular Humanism. The Search for a Common Morality, cit., pp. 31-33.
[10] Si può parlare di cattolicesimo ortodosso o di Chiesa cristiana d’Oriente o ancora Chiesa Ortodossa orientale (per un accenno alla questione è possibile consultare il sito https://oca.org/questions/teaching/what-is-the-proper-name-for-the-orthodox-church). Per un racconto della conversione di Engelhardt e dell’impatto che queste scelte ebbero sul bioeticista americano e sulla sua famiglia cfr. A.S. Iltis, M.J. Cherry, At the roots of Christian Bioethics. Critical essays on the thought of H. Tristram Engelhardt, Jr., M & M Scrivener Press, Salem 2010, pp. XIII-XV.
[11] H.T. Engelhardt jr., Manuale di bioetica, cit., pp. 293-295.
[12] Cfr. I capitoli 1-2 del volume di H.T. Engelhardt jr., After God: Moral and Bioethics in a Secular Age, St Vladimir’s seminary press, New York 2017; cfr. anche Id., Viaggi in Italia. Saggi di Bioetica, tr. it. Le Lettere, Firenze 2011, p. 49 sgg.
[13] Constitutio dogmatica de fide catholica, Canones, II. De revelatione. Si consideri anche il capitolo IV (Il rapporto tra la fede e la ragione) della enciclica Fides et ratio.
[14] H.T. Engelhardt jr., Viaggi in Italia. Saggi di Bioetica, cit., p. 76.
[15] S. Hawerwas, Not all is in peace, in B.P. Minogue, G.P. Fernandèz, J.E. Reagan, Reading Engelhardt: Essays on the Thought of H. Tristram Engelhardt, Jr., Springer Science & Business Media, New York 2012, p. 43.
[16] H.T. Engelhardt jr., The Foundations of Christian Bioethics, cit., p. 3.
[17] Id., Manuale di bioetica, cit., p. 39.
[18] Ibid., p. 39.
[19] Ibid., p. 95.
[20] Ibid., p. 40.
[21] J.F. Gugelmann, After justification, ProQuest, Durham 2007, pp. 1-2.
[22] Posizione che può essere definita non cognitivismo etico.
[23] H.T. Engelhardt jr., Manuale di bioetica, cit., p. 16.
[24] Cfr. V.A. Sharpe, Why do nor harm?, in D. Thomasma, The influence of Edmund Pellegrino’s philosophy of medicine, Springer Science & Business Media, New York 2013, pp. 208-209.
[25] Cervantes, Don Chisciotte, Capitolo VIII, 1605.
[26] Engelhardt definisce la Cristianità tradizionale come quella Cristianità che «usa testi teologici del primo millennio come guide contemporanee per comprendere la moralità cristiana, e in tal modo, la bioetica», H.T. Engelhardt jr., The foundations of Christian Bioethics, cit., p. 159.
[27] Tale, ad esempio, è la prospettiva analizzata nel lavoro di C. Tylor, L’età secolare (2007), a cura di P. Costa, Feltrinelli, Milano 2009.
[28] H.T. Engelhardt jr., Dopo Dio. Morale e bioetica in un mondo laico, tr. it. Claudiana, Torino 2014, p. 101.
[29] Ibid., pp. 155-188.
[30] Ibid., pp. 229-268.
[31] Id., The foundations of Christian Bioethics, cit., p. 2
[32] Id., Viaggi in Italia. Saggi di Bioetica, cit., p. 386.
[33] Ibid., p. 387.
[34] Ibid, p. 385.
[35] Cfr. R. Nozick, Anarchia, stato e utopia (1974), tr. it. Il Saggiatore, Milano 2008, p. 336 sgg.
[36] Non va nascosto e ho cercato di dar conto di questo punto nel corso dell’esposizione, che Engelhardt, quantomeno il “secondo Engelhardt” ritenga, però, preferibili proprio sotto il profilo epistemologico quelle posizioni morali che coerentemente alla constatazione dell’impossibilità di una qualsivoglia fondazione razionale della morale stessa, abbandonano le loro pretese fondative e preso atto dell’insufficienza della ragione e dell’immanenza, optino per un recupero a) del sentimento (della fede) e b) della trascendenza.
[37] H.T. Engelhardt jr., Viaggi in Italia. Saggi di Bioetica, cit., p. 250 sgg. In queste pagine Engelhardt paventa la possibilità di strutturare il servizio sanitario in modo tale da rispondere/corrispondere alle esigenze delle diverse comunità morali presenti nelle nostre società. Ad esempio creando un’assistenza sanitaria a più livelli (anche all’interno delle stesse strutture ospedaliere) per cui un paziente mussulmano verrebbe curato da medici che condividono la sua stessa visione della realtà e parimenti avverrebbe con quei pazienti che avessero abbracciato una visione pienamente post-religiosa e secolare.
[38] È quanto avvenuto presso l’Ospedale San Camillo di Roma, nel quale è stato indetto un bando per il reclutamento di due medici non obiettori, al fine di garantire i servizi previsti dalla legge 194 sulla interruzione volontaria di gravidanza (consultabile al sito https://www.ilpost.it/2017/02/22/il-primo-concorso-per-assumere-medici-non-obiettori/).
[39] Per un approfondimento cfr. A. Giubilini, The paradox of consientious objection and the anomic concept of Conscience. Downplaying the role of Moral integrity, in «Health Care, Kennedy Institute of Ethics Journal», 24, 2, 2014, pp. 159-185; Id., Objection to Conscience. An argument against conscience excemptions in Healthcare in «Bioethics», 31, 5, 2017, pp. 400-408.