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Per un modello interpretativo della mente

Autore


Giulio Tononi

Pisa, New York, San Diego e Madison, Wisconsin

Psichiatra e neuroscienziato. Insegna Psichiatria a Pisa, New York, San Diego e Madison, Wisconsin

Indice


  1. Introduzione
  2. Segregazione e integrazione funzionale nel sistema nervoso centrale
  3. La nozione di integrazione dell’informazione
  4. La complessità: una misura dell’integrazione dell’informazione
  5. La soggettività dell’esperienza e il nucleo dinamico integrato
  6. La dissociazione nel soggetto normale
  7. L’irriducibile soggettività dell’essere

 

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S&F_n. 03_2010


  1. Introduzione

Nella prefazione al suo capolavoro, The Integrative Action of the Nervous System (1948), Charles S. Sherrington scriveva:

Ogni giorno di veglia è un palcoscenico dominato, nel bene e nel male, sia esso commedia, farsa, o tragedia, da una dramatis persona, l’“io”. E così sarà fino a che non scenderà il sipario. E quest’io è un’unità. La sua continuità nel tempo, appena interrotta dal sonno, la sua inalienabile “interiorità”, la sua stabilità di prospettiva, la natura privata, soggettiva della sua esperienza, si combinano a garantirgli un’esistenza unica. Anche se caratterizzato da aspetti molteplici, ha una coesione interna[1].

 

Quest’io, con cui ha a che fare, per professione, ogni neuropsichiatra e, per necessità, ciascuno di noi, è quindi, innanzitutto e fondamentalmente, soggettività.

Accanto alla soggettività, un secondo aspetto centrale dell’esperienza cosciente è la sua squisita integrazione, cui si riferisce Sherrington quando afferma che «quest’io è un’unità». Il problema di come sia possibile l’unità della coscienza non è nuovo, particolarmente in filosofia: è quello che Kant chiamava il problema dell’“unità trascendentale dell’appercezione”. Di recen­te, un aspetto, per quanto parziale, dello stesso problema ha cominciato a interessare la neurofisiologia. Si tratta del cosiddetto “binding problem”, ossia il problema di come sia possibile “collegare” o integrare l’attività di gruppi neuronali diversi, nell’assunzione che la loro attività corrisponda a aspetti diversi della nostra esperienza cosciente.

Infine, un terzo aspetto fondamentale dell’esperienza cosciente è la straordi­naria quantità di informazione che vi si compendia, anche nel breve volgere di un secondo. Come scriveva William James, la coscienza è di una «pullu­lante molteplicità di eventi»[2]. Si presentano alla coscienza diverse modalità sensoriali e motorie, numerose sottomodalità, un gran numero di concetti, inferenze logiche, pensiero verbale e non, desideri immediati, piani per il futuro, schemi di azione, decisioni volontarie, il tutto soffuso da cenestesi, affettività, umore e così via, mentre l’enfasi si sposta costantemente in omag­gio a eventi salienti esterni, o al mutare di attenzione e intenzione.

L’esame di questi tre aspetti fondamentali della vita psichica cosciente, la soggettività, l’integrazione, e l’informatività, è stato intrapreso di volta in volta, e in termini spesso assai diversi, da filosofi, psicologi di varia estrazio­ne, psichiatri attenti alla psicopatologia, e infine da neurobiologi, che gene­ralmente hanno cercato di metterli in relazione con l’attività di certe aree cerebrali. In queste pagine, sulla base di alcuni studi recenti condotti assieme a Olaf Sporns e a Gerald Edelman[3], vogliamo caratterizzare e analizzare questi tre aspetti in termini eminentemente teorici. Lo schema che seguiremo sarà il seguente: dapprima esamineremo i processi e i meccanismi dell’integrazione dell’informazione nel sistema talamocortica­le. Quindi svilupperemo il concetto di integrazione dell’informazione in termi­ni teorici generali, e definiremo misure oggettive dell’integrazione dell’infor­mazione applicabili in neurobiologia. Introdurremo poi il concetto di nucleo dinamico integrato e considereremo come tale concetto possegga implicazioni per la soggettività dell’esperienza, nonché per l’interpretazione di alcune con­dizioni psichiatriche, quali i disturbi dissociativi. Concluderemo con alcune considerazioni di natura più strettamente filosofica sulla differenza irriducibi­le tra essere e descrivere.

 

  1. Segregazione e integrazione funzionale nel sistema nervoso centrale

Decenni di studi clinici, neuroanatomici, e neurofisiologici, hanno dimostrato che la segregazione funzionale rappresenta un principio fondamentale dell’or­ganizzazione cerebrale. Che aree cerebrali diverse siano specializzate a svol­gere compiti diversi è ormai praticamente un dogma della neurofisiologia. All’interno di ciascuna area, poi, gruppi neuronali diversi si specializzano per aspetti specifici di una sottomodalità, per esempio una particolare frequenza acustica, un particolare settore del campo visivo, e via dicendo. La parcella­zione della corteccia in aree e sottoaree specializzate per specifiche modalità sensoriali o motorie, per sottomodalità (movimento, colore, forma ecc. nel caso della visione), e per sotto-sottomodalità ancora più frammentarie, fa ormai impallidire la cartografia dei frenologi di un tempo. Eppure, a dispetto dell’imponente evidenza a favore della specializzazione locale, è altrettanto chiaro che l’attività cerebrale è integrata a molti livelli diversi, dall’integrazione tra singoli neuroni, a quella tra gruppi neuronali, a quella tra aree cerebrali diverse. Le connessioni sinaptiche nel sistema talamocorticale sono tali da garantire che neuroni localizzati in settori anche molto distanti della corteccia siano potenzialmente in grado di comunicare in pochi passi sinaptici. Inoltre, gran parte delle connessioni corticali e talamo­corticali sono reciproche. Esse rappresentano così un substrato ideale per un processo di segnalazione sinaptica parallela e recursiva che abbiamo definito “rientro”[4]. Il rientro, come abbiamo dimostrato in varie simulazioni al calcolatore, dà luogo a correlazioni temporali assai stringenti nell’attività di scarica di gruppi neuronali[5]. Studi neurofisiologici recenti[6] hanno confermato che gruppi neuronali anche molto distanti possono mostrare correlazioni temporali nella loro attività, correlazioni che si modificano dinamicamente in relazione all’attività percettiva o cognitiva. Nell’esperienza clinica, l’integrazione è dimostrata palesemente, per difetto, nel caso delle sindromi (la disconnessione, in cui il danno funziona­le non è dovuto tanto alla distruzione di particolari aree, quanto all’interfe­renza con la comunicazione e perciò con l’integrazione di aree diverse. Infine, la dimostrazione più diretta dell’integrazione cerebrale è data, come abbiamo visto, dall’unità dell’esperienza cosciente e dall’unità del comportamento che ne deriva.

La contrapposizione apparente tra specializzazione e integrazione funzionale è all’origine, di una delle più antiche controversie in neurologia e neurofisiolo­gia: quella tra approcci cosiddetti localizzazionisti da un lato e approcci più olistici, o antilocalizzazionisti, dall’altro. Come sempre in questi casi, la verità sta probabilmente nel mezzo.

 

  1. La nozione di integrazione dell’informazione

Come si possono riconciliare, quindi, segregazione e integrazione funzionale? E come avviene, specificamente, l’integrazione, dell’informazione nel cer­vello? Per rispondere a queste domande abbiamo sviluppato delle simulazioni su larga scala che incorporano gli aspetti salienti dell’architettura e del fun­zionamento del sistema talamocorticale[7], concentrando i nostri sforzi sul siste­ma visivo, meglio conosciuto[8].

Non è ovviamente possibile riassu­mere qui i presupposti anatomici e fisiologici incorporati in questi modelli. Basti dire che sono tra le simulazioni di più vasta portata mai realizzate nell’ambito delle neuroscienze. In sintesi, l’uso combinato di modelli al calcolatore che incorporano gli ingre­dienti di base dell’anatomia e della fisiologia del sistema talamocorticale ha consentito di dimostrare che specializzazione e integrazione funzionale vi coesistono in maniera naturale e danno luogo a un comportamento che da un lato è unitario, e dall’altro presuppone l’utilizzo di svariate sorgenti di infor­mazione. Questi modelli aiutano a comprendere i meccanismi neurali tramite i quali ha luogo l’integrazione dell’informazione, come il rientro e il suo ruolo nella genesi delle correlazioni temporali rapide. Accanto ai meccanismi è però fondamentale chiarire il concetto stesso di integrazione dell’informazione, svi­luppando definizioni che poggino su solidi fondamenti teorici. Che cos’è, precisamente, l’integrazione dell’informazione? Rispondere a que­sta domanda aprirà di necessità una breve parentesi teorica che è però essen­ziale per la comprensione di un sistema complesso come il cervello[9]. La teoria dell’informazione classica ha coniato concetti e misure per la trasmissione di segnali, e perciò di informazione, lungo un canale. La misura forse più utile in questo contesto è quella, del tutto generale, di mutua infor­mazione tra il trasmettitore e il ricevitore[10]. La mutua infor­mazione è elevata se sono soddisfatte due condizioni: il segnale al trasmettito­re deve variare, ossia contenere “informazione’’, e la trasmissione dell’infor­mazione deve essere adeguata, ossia deve esservi sufficiente dipendenza statistica tra i segnali trasmessi e quelli ricevuti. Per fare un esempio, in una comunicazione telefonica il segnale deve essere vario, cioè contenere “infor­mazione”, il che è vero nel caso di una conversazione, ma non in quello di un tono continuo. Dall’altra parte, anche la qualità della trasmissione deve esse­re adeguata, in modo che al ricevitore arrivi un messaggio statisticamente molto simile a quello effettivamente trasmesso e non completamente corrotto dal rumore di fondo.

Per ragioni che non analizzeremo in questa sede, la nozione e le misure di informazione utilizzate in teoria dell’informazione, pur avendo grande gene­ralità teorica e importanti applicazioni pratiche, si sono sempre mostrate poco adatte a caratterizzare gli aspetti semantici dell’informazione, ossia l’“infor­mazione” nel senso comune del termine. Ciò dipende dal fatto che tali misure sono generalmente usate per quantificare la qualità della trasmissione di informazione già data, anziché l’integrazione dell’informazione all’interno di un sistema autonomo che deve adattarsi al mondo esterno[11]. Le ragioni di questo stato di cose sono molteplici, ma forse la più significativa è la seguente: la capacità di integrare rapidamente informazione è un aspetto centrale della nostra esperienza cosciente. Questa capacità ci dif­ferenzia notevolmente da strumenti capaci di trasmettere grandi quantità di informazione, quali satelliti e ripetitore televisivi, o di memorizzarle, quali enciclopedie e banche dati, ma non di integrarle in un breve periodo di tempo. La nozione di integrazione rapida dell’informazione ha quindi evaso la siste­matizzazione teorica perché da un lato riesce del tutto naturale al nostro cer­vello, e dall’altro riesce straordinariamente difficile da implementare in un artefatto. Questo spiega forse perché non è dalla fisica o dall’ingegneria che provengono gli esempi migliori di integrazione dell’informazione, ma dallo studio dell’organizzazione e del funzionamento del cervello umano, e perché proprio a partire da tale studio sia possibile sviluppare sia i concetti che le misure appropriate.

 

 

 

  1. La complessità: una misura dell’integrazione dell’informazione

Abbiamo proposto di recente una definizione di integrazione e soprattutto di integrazione dell’informazione che mirano a essere precise e nello stesso tempo sufficientemente generali[12] e che riassumeremo ora assai brevemente. Intuitivamente, l’integrazione è tanto maggiore quanto maggiore il numero e la forza delle interazioni tra gli elementi di un sistema. Per semplicità, assumeremo che il sistema in questione sia il cervello, suddi­viso in numerose aree funzionalmente specializzate. Senza fare ricorso a for­mule, diremo che l’integrazione può essere definita come la dipendenza stati­stica totale tra queste aree. La mutua informazione, che misura la trasmissio­ne di informazione – nel nostro caso fra due sottoinsiemi di aree cerebrali – è anch’essa definita in termini di dipendenza statistica. È così possibile valuta­re fino a che punto possono coesistere, nel cervello, integrazione e informazione. Infatti, grazie alle complesse connessioni anatomiche, le interazioni tra le varie aree producono un gran numero di correlazioni temporali tra le loro attività neurali, che ne definiscono la “connettività funzionale”. Questa espri­me, in sostanza, nient’altro che la dipendenza statistica tra le varie aree, a tutti i livelli, e può essere determinata, anche se grossolanamente, utilizzando tecniche come la risonanza magnetica nucleare funzionale (fMRI) e la magnetoencefalografia (MEG). A partire dalla connettività funzionale, si può quindi calcolare l’integrazione del sistema, ossia la dipendenza statistica totale tra le aree cerebrali, così come è possibile calcolare la mutua informazione tra ogni area cerebrale, o insieme di aree cerebrali, e il resto del cervello.

La coesistenza di integrazione e informazione può essere misurata esaminando la mutua informazione tra singoli elementi e il resto del sistema, e tra insiemi composti di un numero progressivamente maggiore di elementi. Si può dimostrare che la somma della mutua informazione media per tutte le bipartizioni di un sistema (suddivisioni in due parti l’una il complemento dell’altra), dalle bipartizioni tra un elemento e tutti gli altri a quelle tra metà degli elementi e tutti gli altri, definisce esattamente l’integrazione dell’infor­mazione nel sistema. A tale nozione e misura abbiamo dato il nome di “com­plessità”, o “complessità neurale”[13]. La complessità sarà quindi nulla per un sistema composto da elementi completamente indipenden­ti, sarà scarsa per un sistema composto da elementi che sono fortemente dipendenti, ma si comportano in modo omoge­neo sia su piccola che su larga scala, e sarà invece elevata per un sistema i cui elementi sono relativamente indipendenti (segre­gati) se considerati a due a due, a tre a tre ecc, ma fortemente dipendenti (integrati) se considerati tutti assieme. Questo è tipico dei sistemi biologici in generale, nonché dì sistemi sociali, ma lo è in particola­re della corteccia cerebrale, dove numerose caratteristiche anatomiche e fisiologiche favoriscono un comportamento dinamico caratterizzato da eleva­ta complessità[14].

 

  1. La soggettività dell’esperienza e il nucleo dinamico integrato

Dopo l’informatività e l’integrazione, rimane da considerare un terzo aspetto dell’esperienza cosciente, la sua soggettività intrinseca o individualità. Come suggerito dalla frase di Sherrington menzionata all’inizio, l’esperienza cosciente è caratterizzata da una prospettiva o punto di vista, da un centro cui viene riferita la grande quantità di informazione integrata a ogni dato istante, circondato da un vasto insieme di relazioni che rimangono al di fuori dei suoi confini e come tali sconosciute. Si noti che la soggettività elementare presa in considerazione in questo contesto non va con­fusa cori la nozione di un “io” che è soggetto in quanto dotato di un concetto del sé, ossia di “autocoscienza”, né tantomeno con la nozione di “io” utilizzata in psicopatologia o psicodina­mica. Tali aspetti della soggettività, per quanto importanti, fanno parte di quanto Edelman ha definito coscienza secondaria (“higher order consciousness”)[15], in contrapposizione alla coscienza primaria, la semplice presenza di un esperienza fenomenica integrata. In questo contesto, è importante osservare che l’integrazione rapida dell’informazione deve avere luogo all’in­terno di un processo fisico specifico, e che tale processo fisico rappresenta, inevitabilmente, un centro o punto di vista soggettivo e individuale. In par­ticolare, è possibile ipotizzare che l’integrazione rapida di informazione nel cervello avvenga all’interno di un “nucleo dinamico integrato”. Nel caso del cervello, quest’ultimo è un processo fisico costituito da un insieme di gruppi neuronali che interagiscono tra di loro rapidamente e con grande efficacia, separato, con confini piuttosto netti, da gruppi neuronali inattivi, ovvero atti­vi ma coi quali le interazioni efficaci sono scarse o inesistenti. La quantità di informazione integrata nell’unità di tempo all’interno del nucleo dinamico integrato, ossia la sua complessità nell’unità di tempo, fornirà una misura del grado di coscienza, mentre la partecipazione efficace di questi o quei gruppi neuronali, di queste o quelle aree, determinerà i contenuti di coscienza. Va sottolineato che, se l’integrazione rapida dell’informazione avviene nel cervel­lo all’interno di un processo fisico con le caratteristiche di un nucleo dinamico integrato, ciò rende conto direttamente dell’individualità e della soggettività dell’esperienza cosciente. Questo perché, trattandosi di un processo fisico individuabile, dotato in quanto tale sia di un centro che di confini più o meno netti, il nucleo dinamico integrato rappresenta un punto di vista non solo metaforicamente ma anche fisicamente.

Da un punto di vista sperimentale, il requisito principale per l’identificazione di un nucleo dinamico integrato in termini neurofisiologici è quindi la dimo­strazione di forte interattività, in un breve periodo di tempo, tra un gran numero di gruppi neuronali, e di una separazione di questi da altri gruppi neuronali inattivi o, più significativamente, attivi ma non interattivi con il nucleo in questione. In pratica, ciò è possibile utilizzando misure di dipendenza statistica tra molti elementi (quali la mutua informazione o l’integrazione e altre misure analoghe) e tramite l’uso di algoritmi di “clustering” per individuare i confini tra un nucleo integrato e la periferia, o tra un nucleo domi­nante e altri nuclei secondari. Le forti interazioni all’interno del nucleo dina­mico integrato si rifletteranno infatti, come indicato più sopra, in valori forte­mente positivi della dipendenza statistica o mutua informazione tra i gruppi neuronali in questione. Per ragioni sia anatomiche che fisiologiche, è presumibile che in generale sol­tanto alcune regioni del cervello faranno parte di tale nucleo. Si tratterà per­lopiù di regioni inserite nei circuiti talamocorticali, ove varie caratteristiche anatomiche e fisiologiche consentono che tramite il rientro abbiano luogo interazioni reciproche efficaci. Di momento in momento, gruppi neuronali diversi entreranno o usciranno dal nucleo. Talune aree saranno spesso o sem­pre parte del nucleo integrato, altre non lo saranno mai, e altre ancora potranno entrarvi o uscirvi con grande facilità. In genere, quando uno o più gruppi neuronali entrano a far parte del nucleo dinamico integrato, l’efficacia delle loro interazioni con gli altri gruppi neuronali del nucleo integrato subirà un’amplificazione non-lineare con tutte le caratteristiche di una transizione di fase[16]. È anche verosimile che l’aspetto non-lineare dell’appartenenza o meno al nucleo integrato, con relativa transizione di fase nell’efficacia delle interazioni, si possa ricondurre in parte all’apertura di canali voltaggio-dipendenti, quali gli NMDA. Infine, è probabile che il nucleo dina­mico integrato possegga un vallo inibitorio che ne regola momento per momento l’estensione e ne impedisce l’esplosione o il collasso. Si noti che, perché si abbiano delle interazioni efficaci tra gruppi neuronali, devono essere soddisfatte due condizioni: da un lato, naturalmente, che taluni gruppi neuronali siano sufficientemente attivi; dall’altro, che siano suffi­cientemente interattivi, ossia che tale attività abbia effetti postsinaptici significativi, in modo da modificare le caratteristiche di scarica di gruppi neu­ronali bersaglio. Da ciò deriva la previsione che vi potranno essere gruppi neuronali attivi che nondimeno non saranno parte del nucleo dinamico inte­grato, perché non interagiranno a sufficienza, o con sufficiente rapidità, con quest’ultimo. Ciò è senz’altro vero nel caso in cui i gruppi neuronali attivi sono situati in due cervelli diversi, ma può essere vero anche se i gruppi neu­ronali attivi sono invece situati all’interno dello stesso cervello, e quindi potenzialmente in grado di interagire direttamente. Se il concetto di nucleo dinamico integrato corrispondesse infatti semplicemente all’insieme dei grup­pi neuronali attivi a ogni dato momento, esso non aggiungerebbe nulla alle attuali nozioni neurofisiologiche. Gran parte degli studi di neurofisiologia mirano infatti a determinare quali gruppi neuronali siano attivi in quali circo­stanze. Il concetto di nucleo dinamico integrato suggerisce invece che attività e interattività possono essere dissociate, e che soltanto un insieme di gruppi neuronali fortemente e rapidamente interattivi è il processo fisico corrispon­dente all’esperienza cosciente.

Si noti poi che, per definizione, solo gruppi neuronali capaci di modificare effi­cacemente e rapidamente l’attività della gran parte del nucleo dinamico inte­grato ne fanno parte a tutti gli effetti. D’altro canto il nucleo dinamico inte­grato, per quanto a ogni istante abbia confini abbastanza definiti può, grazie alla estesa connettività del cervello, accedere con grande efficacia in termini esecutivi a un vastissimo repertorio di gruppi neuronali bersaglio. Tale effi­cacia è naturalmente dovuta all’azione cooperativa dei suoi costituenti. Ciò ben si accorda con l’osservazione che una delle caratteristiche centrali dell’e­sperienza cosciente è la possibilità di accedere rapidamente a gran parte delle attività cerebrali, dal controllo motorio, al recupero di materiale mnestico, all’attenzione e via dicendo[17]. Si noti infine che è importante che tali interazioni avvengano in periodi brevi, dell’ordine dei secondi o anche di frazioni di secondo. L’integrazione percettiva avviene in tempi che vanno da pochi centinaia di millesecondi a pochi secondi[18].

È inoltre chiaro che, per poter controllare il comportamento in maniera adattiva, l’integrazione dell’informazione all’interno di un nucleo dinamico inte­grato deve avvenire in tempi compatibili con quelli dell’attività motoria.

L’esistenza di un nucleo dinamico integrato è postulata sulla base di evidenze fenomenologiche, ma soprattutto è suggerita da innumerevoli dati provenien­ti dall’esperienza clinica con pazienti neurologici e psichiatrici, che vanno da coma, anestesia, sonno, disturbi dissociativi, sindromi da disconnessione, cer­vello diviso, a effetti differenziali sull’esperienza cosciente di lesioni o stimola­zioni di aree diverse del cervello ecc., che non possiamo riassumere qui. È inoltre suggerito dall’architettura e dal funzionamento del cervello, in parti­colare del sistema talamocorticale. Simulazioni al calcolatore su larga scala si sono dimostrate estremamente utili nel far comprendere come un tale processo dinamico integrato possa avere luogo e quali siano le condizioni necessarie e sufficienti. È importante sottolineare, tuttavia, che mancano ancora completamente dimostrazioni spe­rimentali dirette dell’esistenza e delle proprietà di tale nucleo dinamico inte­grato. La previsione è che, con l’uso dì metodiche quali fMRI e MEG, le tracce dell’esistenza di questo processo e della sua natura dinamica dovrebbe­ro finalmente essere svelate.

 

  1. La dissociazione nel soggetto normale

Per le funzioni superiori del cervello umano accade spesso che siano i fenome­ni incontrati in clinica a guidare inizialmente la comprensione teorica. La natura dei disturbi dissociativi suggerisce che l’attività neurale di strutture cerebrali che normalmente contribuiscono all’esperienza cosciente di un sog­getto può non contribuirvi più non perché tale attività venga a mancare ma piuttosto perché, a causa di certe alterazioni fisiopatologiche, non le è più pos­sibile entrare a far parte del nucleo dinamico integrato dominante. Ciò sugge­risce che se, in condizioni del tutto fisiologiche, l’attività neurale che ha luogo nel midollo spinale, nel tronco dell’encefalo, nel cervelletto ecc., non contribui­sce direttamente all’esperienza cosciente, la ragione è da ricercarsi non in fat­tori quali le caratteristiche locali dei neuroni e della loro attività di scarica[19], bensì in fat­tori che favoriscono l’emergenza di un nucleo dinamico integrato nel sistema talamocorticale ma non in queste strutture. Tra tali fattori si possono enume­rare, senza discuterne qui il ruolo specifico, la reciprocità delle connessioni cortico-corticali e talamo-corticali, le terminazioni diffuse negli stati superfi­ciali della corteccia, la presenza di circuiti cortico-talamo-corticali in grado di mantenere un processo dinamico coerente anche in assenza di segnali esterni, la cooperatività locale di neuroni a formare gruppi neuronali, la presenza di un vasto sistema di sinapsi voltaggio-dipendenti che possono amplificare in modo quasi esplosivo l’efficacia di interazioni globali quando sia raggiunta Una certa soglia, e la possibilità di creare un vallo inibitorio che limita ma al tempo stesso rafforza la persistenza del nucleo dinamico integrato. Tutti que­sti fattori facilitano il processo del rientro, lo limitano a territori talamocorticali, e consentono quin­di di spiegare perché solo in queste aree si diano le condizioni per sostenere un nucleo dinamico integrato delle proporzioni e caratteristiche necessarie per l’integrazione rapida di una grande quantità di informazione. L’attività nervosa in quelle strutture che raramente o mai sono in grado di con­tribuire all’esperienza cosciente perché non sono in grado di inserirsi nel nucleo dinamico integrato, potrebbe quindi essere chiamata a buon diritto “inconscio neurofisiologico”. Kihlstrom e Hoyt[20], seguendo in parte Freud, distin­guono inoltre tra processi consci, preconsci, e subconsci, questi ultimi i più direttamente connessi al fenomeno clinico della dissociazione:

La distinzione essenziale tra “ciò che è cosciente” e “ciò che non lo è” è che i contenuti mentali coscienti sono sia attivati (percezioni o pensiero) sia collegati a rappresentazio­ni attivate dell’io, ai suoi scopi, e al suo ambiente locale. I contenuti mentali preconsci sono latenti: non attivati (o, più propriamente, non attivati al di sopra di una certa soglia) e pertanto non collegati alle rappresentazioni mentali atti­vate dell’io. Contenuti mentali subconsci o dissociati, per quanto perfettamente attivati, non sono collegati né con rappresentazioni mentali attive dell’io né con rappresentazioni mentali attive del contesto, o con nessuna delle due[21].

 

Conviene quindi esaminare brevemente quale potrebbe essere lo stato neuro­fisiologico di questi due ulteriori costrutti psicologici. Il preconscio corrispon­derebbe a attività neurali che potrebbero contribuire direttamente all’espe­rienza cosciente, ma non sono nel caso specifico sufficientemente intense per farlo, o lo sono per un periodo di tempo troppo breve e si trovano, per così dire, alla periferia della coscienza (si pensi alla “fringe” di James). Fenomeni quali la percezione subliminale e il “backward masking” potrebbero apparte­nere a questa categoria. Il subconscio rappresenterebbe invece quei processi neurofisiologici che, per sede e natura, potrebbero in altre circostanze entra­re a far parte del nucleo dinamico integrato dominante, e che sono inoltre suf­ficientemente attivi, e tuttavia non lo fanno. Qualche indicazione neurofisiolo­gica sulla presenza di questo tipo di processi anche nel soggetto normale ci viene da studi sulla rivalità binoculare[22], in cui l’attività di neuroni corticali a volte si correla e a volte non si correla con la percezione cosciente (presunta). L’occasionale ese­cuzione di automatismi motori anche complessi in assenza di un controllo ese­cutivo cosciente, la capacità di continuare a guidare mentre si conversa, o di apprezzare un sottofondo musicale mentre si legge, indicano che una certo grado di dissociazione è senz’altro possibile anche nel soggetto normale, e si viene a confondere con le modificazioni dinamiche dell’attenzione. Il problema del numero e dell’estensione di processi neurofisiologici dissociati che possono coesistere nel sistema talamocorticale sono quindi un aspetto centrale ma ancora del tutto misterioso della neurofisiologia della vita psichica. Oltre a suggerire la possibilità che la dissociazione sia un fenomeno assai fre­quente, i disturbi dissociativi ci ricordano altresì quanto sia potente, nel sog­getto normale, la tendenza all’unità del nucleo dinamico integrato. Ciò è testi­moniato dalla straordinaria difficoltà che troviamo a “fare due cose alla volta”, come dimostrato sperimentalmente negli studi di «dual task», «divided attention», e del cosiddetto «periodo refrattario psicologico»[23]. Per quanto processi che inizialmente richiedono un controllo cosciente possa­no divenire progressivamente più automatici, e per quanto in questo modo le capacità operative vengano notevolmente aumentate[24], vi sono evidentemente forti ragioni biologiche, sia in termini di mecca­nismi che in termini evoluzionistici, per cui nel cervello umano sia ineluttabil­mente presente una tendenza all’integrazione dell’informazione all’interno di un nucleo dinamico. Quanto ai meccanismi, abbiamo indicato che, verosimil­mente, l’emergenza di un nucleo dinamico integrato nel cervello dei mammi­feri superiori è una conseguenza inevitabile dell’organizzazione anatomica e fisiologica peculiare del sistema talamocorticale. La ragione evoluzionistica ha invece presumibilmente a che fare con i vantaggi forniti dall’integrazione rapida dell’informazione nel garantire un comportamento che sia altrettanto integrato e pertanto adattivo.

 

  1. L’irriducibile soggettività dell’essere

La constatazione della soggettività dell’esperienza cosciente è stata spesso accompagnata dall’intuizione che quest’ultima è irriducibile a meri processi fisici. Quello dell’irriducibilità della coscienza è un tema dalle tradizioni filoso­fiche numerose quanto diverse, da Cartesio sino alla più recente ricerca feno­menologica. Per immediatezza e semplicità, peraltro, è difficile superare la presentazione datane da Thomas Nagel nell’ormai classico Come ci si sente a essere un pipistrello[25] (che può rendere solo approssimativamente l’inglese What is it like to be a ba’). La tesi di Nagel è che, per quanto approfondita la nostra comprensione dei processi fisici che costituiscono un pipistrello, essa non ci darà mai il senso di come sia la sua esperienza coscien­te. Ogni neuropsichiatra si è posto almeno una volta il problema analogo: “Come ci si sente, o meglio ancora, come si è, a essere il tale paziente in preda a un episodio psicotico acuto?”. E come ci si sente a essere affetto da eminattenzione, afasia, anosognosia? La risposta, invariabilmente, è che ogni tentativo di descrivere lo stato soggettivo del tale paziente potrà essere più o meno accurato ma mai lo stesso che esperire direttamente, anche solo per un istante, la sua vita psichica. Alcuni strumenti della psichiatria, quali l’immedesimazione e l’empatia, consentono forse di avvicinarsi maggiormen­te all’essere del paziente, ma solo a condizione di mediare aspetti derivati dalla sua descrizione oggettiva attraverso lo strumento della propria sogget­tività. Come riconoscerà chiunque abbia cercato di riesperire la propria vita psichica come poteva essere in età prelinguistica, tale immedesimazione potrà forse sembrare più genuina di una descrizione oggettiva, ma sarà sem­pre e inevitabilmente condizionata dalle proprietà intrinseche del veicolo in cui si manifesta.

Se si parte da una posizione di realismo scientifico, ossia dall’ammissione che esiste un mondo esterno indipendente da noi ma descrivibile oggettivamente, e dalle considerazioni precedenti sui processi fisici che costituiscono la coscienza, sembra peraltro giustificato concludere che la sua apparente irri­ducibilità non ha nulla a che fare con la presenza di ingredienti misteriosi o diversi da quelli del resto del mondo fisico. In sintesi, abbiamo visto che considerare la coscienza come l’aver luogo di un certo processo fisico – l’integrazione rapida di una grande quantità di informazione entro un nucleo dinamico integrato – rende conto di tre sue caratteristiche fondamentali: l’informati­vità, l’integrazione, e la soggettività. La coscienza è varia, multimodale, ricca di contesto e di passato perché comprende una grande quantità di informazio­ne; è unitaria, perché tale informazione è integrata, è dinamica, perché l’infor­mazione integrata cambia di momento in momento, se pur con una certa iner­zia; e possiede una soggettività intrinseca, perché il nucleo dinamico entro cui avviene l’integrazione dell’informazione è un processo dai confini fisici abba­stanza netti. Tale nozione ci spiega anche come certe strutture, di cui l’unica di cui abbiamo conoscenza diretta è il cervello umano, siano necessarie perché abbia luogo questo tipo di processo.

Come documentato ampiamente nello studio dello sviluppo cognitivo del bam­bino, e come riconosciuto chiaramente nella distinzione tra coscienza primaria e secondaria[26], va poi considerato che l’integrazione dell’informazione nel cervello umano raggiunge rapidamente uno stadio in cui da semplice soggettività intrinseca si passa a un “soggetto” nel senso pieno del termine, ovvero a un io pensante capace di distinguere tra sé e il mondo esterno. Quando ciò accade viene a crearsi la possibilità di descrivere e, gra­zie al descrivere, qualsivoglia processo fisico può divenire materia oggettiva, o per meglio dire, intersoggettiva e pubblica.

Nasce così la necessità di esaminare le conseguenze della differenza irriduci­bile tra l’essere e il descrivere, una differenza così sostanziale che è persino tollerata tra i filosofi. È ragionevole pensare che tale differenza valga per ogni processo fisico. Essere un fiume, un fuoco, un’esplosione, o un essere vivente, compreso un pipistrello, è indiscutibilmente diverso dal descrivere quei processi fisici, sia pure tramite le teorie fisiche più aggiornate e le misu­razioni più dettagliate. Tale differenza vale anche per quel particolare proces­so fisico che è la coscienza. In quanto processo fisico, come abbiamo visto, la coscienza può venire da noi descritta e compresa in termini oggettivi o inter­soggettivi. L’eccezionalità della coscienza sta però nel fatto che, oltre a esse­re descrivibile da parte di un soggetto (adulto), essa “è”, ed è irriducibilmen­te, quello stesso soggetto che la descrive.

Paradossalmente, le difficoltà filosofiche generate dalla coscienza soggettiva sorgono perché in genere ci si chiede come sia possibile che siamo soggettiva­mente quello stesso processo fisico che possiamo descrivere oggettivamente. Ciò che occorre chiedersi, piuttosto, è come possiamo descrivere qualunque altro processo fisico, come fiumi, fuochi, esplosioni, altri esseri viventi, persi­no altri esseri umani del tutto simili a noi e quindi presumibilmente coscienti, che invece non potremo mai essere. Se si ammette che la coscienza è un pro­cesso fisico caratterizzato dall’integrazione rapida di informazione all’interno di un nucleo dinamico e quindi da soggettività intrinseca, la risposta è che la coscienza può svilupparsi fino al saper descrivere, all’interno di tale soggettività, altri processi fisici, inclusa se stessa. Il paradosso quindi, se di paradosso si tratta, è nella nostra soggettività: nell’incapacità di essere, soggettivamente, altri processi fisici che abbiamo peraltro imparato a descrivere.

 


[1] C. Sherrington, The Integrative Action of the Nervous System, Cambridge University Press, Cambridge 1948.

[2] W. James, The Principles of Psychology, Henry Holt and Company, New York 1890.

[3] Cfr. G. M. Edelman, Neural Darwinism, Basic Books, New York 1987; Id., The Remembered Present, Basic Books, New York 1989; Id., Bright Air, Brilliant Fire, Basic Books, New York 1982; O. Sporns, G. Tononi, G. M. Edelman, Modeling perceptual grouping and figure-ground segregation by means of active reentrant connections, in «Proc. Natl. Acad. Sci. USA», 88, 1991, pp. 129-133; G. Tononi, O. Sporns, G. M. Edelman, The problem of neural integration: induced rhythms and short-term correlations, in Induced Rhythms in the Brain, a cura di E. Basar, T. Bullock, Birkhauser, Boston 1992, pp. 365-393; G. Tononi, O. Sporns, G. M. Edelman, Reentry and the problem of integrating multiple cortical areas. Simulation of dynamic integration in the visual system, in «Cerebral Cortex» 2, 1992, pp. 310-335; G. Tononi, Reentry and the problem of cortical integration, in Selectianism and the Brain, a cura di O. Sporns, G. Tononi, Aeademic Press, San Diego 1994, pp. 147-152; G. Tononi, O. Sporns, G. M. Edelman, A measure for brain complexity. Relating functio­nal segregation and integration in the nervous system, in «Proc. Natl. Acad. Sci. USA» 91, 1994, pp. 5033-5037; K. J. Friston, G. Tononi, O. Sporns, G. M. Edelman, Characterizing the complexity of neural interactions, in «Human Brain Mapping», 3, 1996, pp. 302-314; E. D. Lumer, G. M. Edelman, G. Tononi, Neural dynamics in a model of the thalamocorti­cal system. I. Layers, Loops, and the emergence of fast synchronous oscillations, in «Cerebral Cortex», 7, 1997 pp. 207-227; E. D. Lumer, G. M. Edelman, G. Tononi, Neural dynamics in a model of the thalamocorti­cal system. II. The role of neural synchrony tested through perturbations of spike timing, ibid.

[4] Cfr. G. M. Edelman, Group Selection and Phasic Re-entrant Signaling. A Theory of Higher Brain Function, in The Mindful Brain, a cura di G.M. Edelman, V .B. Mountcastle, MIT Press, Cambridge 1978, pp. 51-100; G. M. Edelman, Neural Darwinism, cit.; G. Tononi, O. Sporns, G. M. Edelman, The problem of neural integration: induced rhythms and short-term correlations, cit.; G. Tononi, O. Sporns, G. M. Edelman, Reentry and the problem of integrating multiple cortical areas. Simulation of dynamic integration in the visual system, cit.

[5] Cfr. O. Sporns, G. Tononi, G. M. Edelman, Modeling perceptual grouping and figure-ground segregation by means of active reentrant connections, cit.; G. Tononi, O. Sporns, G. M. Edelman, The problem of neural integration: induced rhythms and short-term correlations, cit.; G. Tononi, O. Sporns, G. M. Edelman, Reentry and the problem of integrating multiple cortical areas. Simulation of dynamic integration in the visual system, cit.; E. D. Lumer, G. M. Edelman, G. Tononi, Neural dynamics in a model of the thalamocorti­cal system. I. Layers, Loops, and the emergence of fast synchronous oscillations, cit.; E. D. Lumer, G. M. Edelman, G. Tononi, Neural dynamics in a model of the thalamocorti­cal system. II. The role of neural synchrony tested through perturbations of spike timing, cit.

[6] Cfr. A. K. Engel, P. König, A. K. Kreiter, A.K., W. Singer, Interhemispheric Synchronization of Oscillatory Neuronal Responses in Cat visual Cortex, in «Science», 252, 1991, pp. 1177-1179; P. König, A. K. Engel, Correlated firing in sensory-motor systems, in «Current Opinions in Neurobiology», 5, 1995, pp. 511-519; W. Singer, Synchronization of cortical activity and its putative role in information processing and learning, in «Annual Reviews of Physiology», 55, 1993, pp. 349-374; S. L. Bressler, R. Coppola, R. Nakamura, Episodic multiregional cortical coherence at multiple frequencies during visual task performance, in «Nature», 366, 1993, pp. 153-156. S. L. Bressler, Large-scale cortical networks and cognition, in «Brain Research Reviews», 20, 1995, pp. 288-304.

[7] Cfr. O. Sporns, G. Tononi, G. M. Edelman, Modeling perceptual grouping and figure-ground segregation by means of active reentrant connections, cit.; G. Tononi, O. Sporns, G. M. Edelman, The problem of neural integration: induced rhythms and short-term correlations, cit.; G. Tononi, O. Sporns, G. M. Edelman, Reentry and the problem of integrating multiple cortical areas. Simulation of dynamic integration in the visual system, cit.; E. D. Lumer, G. M. Edelman, G. Tononi, Neural dynamics in a model of the thalamocorti­cal system. I. Layers, Loops, and the emergence of fast synchronous oscillations, cit.; E. D. Lumer, G. M. Edelman, G. Tononi, Neural dynamics in a model of the thalamocorti­cal system. II. The role of neural synchrony tested through perturbations of spike timing, cit.

[8] Cfr. S. Zeki, A Vision of the Brain, Blackwell Scientific Publications, Oxford 1993.

[9] Per una trattazione completa si rimanda il lettore a G. Tononi, Reentry and the problem of cortical integration, cit.; G. Tononi, O. Sporns, G. M. Edelman, A measure for brain complexity. Relating functio­nal segregation and integration in the nervous system, cit.; G. Tononi, O. Sporns, G. M. Edelman, A measure for the selective matching of signals by the brain, in «Proc. Natl. Acad. Sci. USA», 93, 1996, pp. 3422-3427.

[10] A. Papoulis, Probability, Random variables and Stochastic Processes, McGraw ­Hill, New York 1991.

[11] Cfr. G. Tononi, O. Sporns, G. M. Edelman, A measure for brain complexity, cit.

[12] Cfr. G. Tononi, Reentry and the problem of cortical integration, cit.

[13] Cfr. G. Tononi, O. Sporns, G. M. Edelman, A measure for brain complexity, cit.

[14] Cfr. ibid.

[15] Cfr. G. M. Edelman, The Remembered Present, cit.

[16] E. D. Lumer, G. M. Edelman, G. Tononi, Neural dynamics in a model of the thalamocorti­cal system. I. Layers, Loops, and the emergence of fast synchronous oscillations, cit.

[17] Cfr. B. T. Baars, A Cognitive Theory of Consciousness, Cambridge University Press, New York 1958.

[18] A. L. Blumenthal, The Process of Cognition, Prentice-Hall, Englewood Cliffs 1977.

[19] Per esempio la frequenza di scarica: si veda in proposito F. Crick, C. Koch, Towards a neurobiological theory of consciousness, in «Sem. in. Neurosci.», 2, 1990, pp. 263-275.

[20] Cfr. J. E. Kihlstrom, L. P. Hoyt, Depression, dissociation, and hypnosis, in Depression and Dissociation. Implications for Personality Theory, Psychopathology and Health, a cura di J. L. Singer, University of Chicago Press, Chicago 1990, pp. 181-208.

[21] Ibid., p. 201.

[22] Cfr. N. K. Logothetis, D. A. Leopold, D. L. Sheinberg, What is rivalling during binocular rivalry?, in «Nature», 380, 1996, pp. 621-624; D. A. Leopold, N. K. Logothetis, Activity changes in early visual cortex reflect monkey­s’percepts during binocular rivalry, in «Nature», 379, 1996, pp. 549-553.

[23] Cfr. H. Pashner, Doing two things at the same time, in «American Scientist», 81, 1993, pp. 48-55.

[24] Cfr. R. M. Shiffrin, W. Schneider, Controlled and automatic human information processing. II. Perceptual learning, automatic attending, and a general theory, in «Psychol. Rev.», 84, 1977, pp. 127-190.

[25] Th. Nagel, What is it like to be a bat?, in «Philosophical Review», 4, 1974, pp. 435-450.

[26] Cfr. G. M. Edelman, Neural Darwinism, cit.; Id., The Remembered Present, cit.; Id., Bright Air, Brilliant Fire, cit.

 

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