Autore
Pietro Gori
Università degli Studi di Padova
Membro del Gruppo Internazionale di Ricerche su Nietzsche e svolge attività di ricerca all’Università degli Studi di Padova
Indice
- Quale scienza?
- Un caso esemplare
- L’impostazione storico-critica
- Per una nuova contestualizzazione
S&F_n. 03_2010
- Quale scienza?
Alla luce degli studi compiuti negli ultimi anni, la questione della relazione di Nietzsche con il pensiero scientifico non dovrebbe presentare particolari difficoltà. Eppure, a tutt’oggi è ancora possibile riscontrare non poche resistenze a trattare questo argomento, soprattutto da parte di quegli studiosi che, lavorando al di fuori dell’ambito della Nietzsche-Forschung, permangono in una lettura del filosofo tedesco che definire “tradizionale” è dir poco. Cresciuti con alle spalle le prime grandi interpretazioni di questo pensatore ed evidentemente convinti – a fronte dell’apparente chiarezza espositiva che lo contraddistingue – che un accesso superficiale ai suoi scritti possa essere sufficiente per trarre conclusioni definitive, molti di loro quasi si scandalizzano quando si dichiara di poter accostare la filosofia di Nietzsche allo sviluppo della scienza ottocentesca. Eppure, anche muovendo da una banale considerazione di tipo storico, ciò non dovrebbe colpire particolarmente. Cosa rende lecito, infatti, isolare questo pensatore dalla realtà culturale della propria epoca? Perché egli dovrebbe essere separato radicalmente dagli ambiti delle ricerche che, nel corso del XIX secolo, hanno gettato le basi della moderna epistemologia? La risposta comune, per certi aspetti ovvia, fa leva sulle osservazioni di Nietzsche stesso, il quale in molti scritti pronuncia parole infuocate nei confronti del sapere scientifico, rifiutando di vedere in esso una via di accesso alla comprensione della realtà. Tutto giusto, salvo però un aspetto: il fatto che, nel momento in cui si presenta questa testimonianza testuale, il più delle volte non si sappia di cosa effettivamente si stia parlando. O meglio, di cosa Nietzsche stia veramente parlando. D’altra parte, se è vero che tali osservazioni vengono sollevate da Nietzsche in più di un testo pubblicato, vi sono altri luoghi in cui risulta evidente che egli stia svolgendo le proprie riflessioni sulla base di assunzioni e di risultati recuperati dagli scritti di personalità attive nell’ambito delle scienze naturali. E non è possibile, per giustificare questa difficoltà, fare appello alla tradizionale scusa – perché tale va considerata nel momento in cui la si elevi a prova argomentativa – secondo cui negli scritti di Nietzsche si troverebbe “tutto e il contrario di tutto”. Questa osservazione, che rende pienamente conto della molteplicità di spunti che il filosofo tedesco ha saputo presentare nel corso della sua produzione, deve infatti essere assunta all’interno di una prospettiva di indagine genetica, che sappia cioè ricostruire lo svolgimento di un pensiero variegato, ma non per questo incoerente.
Il caso della relazione di Nietzsche con il pensiero scientifico va pertanto contestualizzato e affrontato secondo l’orientamento che ha caratterizzato le ricerche avviate in seguito all’edizione critica delle sue opere. Una linea guida che trova il suo punto di forza nello studio delle fonti del pensiero di Nietzsche, ossia nella ricostruzione del contesto culturale cui egli faceva riferimento e che può essere individuato al di sotto della dimensione testuale dei suoi scritti[1]. Solo uno studio di questo tipo può contribuire a una buona definizione della nozione di “scienza” che compare nelle opere a stampa e che sembra mettere in difficoltà molti studiosi, evidentemente in imbarazzo nel momento in cui qualcuno proponga di istituire una relazione tra il pensiero di Nietzsche e il lavoro di ricercatori e naturalisti attivi nella sua contemporaneità. Molti infatti sembrano insistere nella pretesa che la filosofia di Nietzsche possieda uno statuto incommensurabile con quello della scienza naturale, dal momento che la prima si concentrerebbe su questioni – per lo più di morale e di estetica – che il pensiero scientifico non può affrontare con i propri strumenti. La storia, però, rivela una realtà differente, dove la lettura degli studi di fisica, biologia e matematica viene a essere un momento determinante per la costituzione di un orizzonte tematico sulle cui basi Nietzsche edificherà la propria filosofia matura[2].
Senza voler ricondurre le sue riflessioni alla pura dipendenza dai risultati della scienza ottocentesca, cosa che sarebbe altrettanto errata e ingiustificata della posizione opposta, è però giunto il momento di abbandonare la pregiudiziale separazione tra la filosofia di Nietzsche e la ricerca scientifica e di conseguenza aggiornare l’immagine di uno dei padri del sapere contemporaneo. Lo studio filologico degli scritti di Nietzsche ci offre le linee guida per una considerazione che si allarghi al piano storico e culturale della sua epoca, permettendoci innanzitutto di definire con maggiore precisione l’oggetto cui egli si riferisce nei suoi rilievi critici sul sapere scientifico. Spesso, infatti, si dimentica che Nietzsche è vissuto in un momento determinante per il pensiero occidentale, un periodo in cui vengono gettati i semi per la stagione dell’epistemologia novecentesca che ospiterà le riflessioni convenzionaliste di Poincarè, gli studi sull’articolazione storica della ricerca scientifica di Kuhn e, non ultima, la prospettiva relativistica di Einstein. Tali sviluppi, come è ovvio, poggiano su studi precedenti e seguono il percorso di rinnovamento che ha preso avvio negli ultimi decenni del XIX secolo e che ha portato a una ridefinizione della stessa nozione di scienza. L’operazione che ha fatto da sfondo a tale processo è consistita in particolare nell’epurazione dell’apparato teorico della scienza dai residui metafisici ancora profondamente radicati nel paradigma meccanicistico.
Il lavoro esegetico che ha accompagnato la ricostruzione delle letture compiute da Nietzsche nel corso della sua vita[3] ha dimostrato che la forma di descrizione scientifica del mondo sulla quale si concentrano le sue osservazioni critiche è precisamente questa, e che pertanto i suoi rilievi sono molto più specifici di quanto si ritenga comunemente. Il modello generale al quale egli si appoggia è quello di un sapere in pieno mutamento, una scienza che, attraverso un’indagine critica svolta dall’interno, riconsidera i propri presupposti e le proprie capacità esplicative. Una riconsiderazione, questa, che Nietzsche dimostra di condividere, allineandosi con i fautori di tale rinnovamento e quindi assecondando l’orientamento del sapere scientifico nel momento in cui sceglie di esprimersi contro un certo modo di intendere i risultati da esso conseguiti. Sulla base dei contributi raccolti negli ultimi anni non è quindi più possibile mantenere la generica contrapposizione tra un periodo “positivista”, durante il quale il filosofo tedesco avrebbe sostenuto con fiducia il valore del metodo scientifico, e un periodo di maturità filosofica fortemente avverso a quel genere di sapere. Se è vero che dopo il 1880 il suo atteggiamento muta e che egli svolge una critica radicale della descrizione scientifica della realtà, va però aggiunto che tale critica non è in contraddizione con le sue posizioni giovanili, trattandosi piuttosto di un approfondimento delle stesse. Nel suo periodo maturo Nietzsche si concentra su quella specifica forma di sapere ancora legata al dogmatismo meccanicistico, le cui basi riposano nel dualismo tra forza e materia[4] – e solo su quella. Un paradigma, questo, che nel corso dell’Ottocento conosce la sua fase di tramonto, ma che sino a quel momento valeva come punto di riferimento per una descrizione scientifica del mondo. Le considerazioni di Nietzsche sono pertanto in linea con le osservazioni sostenute dai rappresentanti di un modello di sapere in pieno sviluppo, sulla cui base verrà poi costruita la moderna epistemologia.
- Un caso esemplare
Se si assume questa particolare prospettiva e si ammette la continuità del dialogo di Nietzsche con il dibattito dell’epoca, acquista un senso anche quella commistione tra una critica radicale della conoscenza scientifica – sulla quale si fa comunemente leva – e una valutazione positiva di alcuni fisici, biologi e teorici della conoscenza di cui egli conobbe le opere. Ma soprattutto si spiega la notevole presenza di testi scientifici nella biblioteca privata di Nietzsche e la testimonianza di una lettura che non venne meno neppure nel periodo tardo, al quale risalirebbero i risultati più filosoficamente rilevanti delle sue riflessioni. Si pensi ad esempio alla figura di Boscovich, che compare nella prima sezione di Al di là del bene e del male quale punto di riferimento per una nuova visione del mondo che sappia liberarsi del modello atomico in uso e della metafisica della sostanza nascosta al di sotto di esso[5]. Questa personalità era ben nota agli scienziati dell’epoca di Nietzsche, e difatti il suo nome è citato in molti testi cui egli fa riferimento. La notorietà di questo autore era legata in particolare agli sviluppi della moderna energetica, ossia a quella linea di ricerca che alla fine dell’Ottocento trarrà importanti conseguenze che permetteranno alla scienza di affrancarsi dalla tradizione del corpuscolarismo cartesiano e newtoniano. Non è un caso che Boscovich venga citato da Cassirer e da Popper, i quali evidenziarono il suo ruolo nella storia del pensiero scientifico[6]. Ma ancor prima il suo nome era comparso negli scritti di Lord Kelvin e di Faraday, entrambi impegnati in un superamento dell’ordinaria teoria atomica[7], e in quelli di Gustav Fechner, autore di riferimento per buona parte degli scienziati nella seconda metà dell’Ottocento contribuirono al progresso degli studi sulla psicologia fisiologica[8].
La sezione del testo di Nietzsche in cui si trova questo riferimento è una di quelle maggiormente tenute in considerazione dagli interpreti che intendono evidenziare la portata delle osservazioni critiche che il filosofo tedesco ha mosso alla scienza. Tuttavia, come si può notare sulla base delle semplici considerazioni sin qui esposte, le sue valutazioni non procedono dall’esterno, ma anzi vengono svolte attraverso la stessa scienza. Lo stesso Nietzsche scrive all’amico Heinrich Köselitz che il pregiudizio della materia non è stato confutato «da un idealista, ma da un matematico – da Boscovich (…). Lui ha portato la teoria atomica alla sua conclusione»[9].
Il progresso della visione scientifica del mondo, la contestazione di una forma di accesso alla realtà che non può andare oltre i limiti di una descrizione interpretante e falsificante[10], viene operato dalla scienza stessa, attraverso i suoi protagonisti. Non è quindi una critica generalizzata al sapere scientifico, quella che il filosofo tedesco espone nel suo scritto del 1886, quanto piuttosto un’osservazione che trae origine dalle istanze di rinnovamento che in quegli anni animavano il dibattito relativo alle ricerche fisiche. Il valore dirompente della Theoria philosophiae naturalis di Boscovich – il cui esito è una disgregazione della materia in punti matematici inestesi, nuclei di energia privi di massa – era stato infatti assunto dagli scienziati del XIX secolo quale modello esemplare di una posizione in grado di superare il dualismo tra forza (energia) e materia. Tale assunzione venne poi recuperata da Nietzsche, il quale la seppe rielaborare assimilandola all’interno della propria filosofia[11] e quindi valorizzare in ragione della sua modernità e del suo portato antimetafisico.
- L’impostazione storico-critica
Su questo ultimo aspetto, che tocca direttamente l’impostazione generale della filosofia di Nietzsche, si può riflettere ulteriormente, per verificare la profonda concordanza tra la “guerra” che egli muove al modello platonico radicatosi nel pensiero occidentale[12] e l’orientamento del sapere scientifico di fine Ottocento. Le tesi nietzscheane relative alla critica della verità assunta dogmaticamente e il conseguente spostamento verso una filosofia che si faccia storia[13] e che si articoli secondo il metodo genealogico, si ritrovano nell’atteggiamento generale di una cultura che assimila in breve tempo le prospettive dell’evoluzionismo e in particolar modo quelle del modello darwiniano. Nell’ambito della scienza questa assimilazione è ben evidente, così come è possibile rilevare che il rinnovamento di tale disciplina sia passato per un ripensamento in chiave storico-critica della propria visione del mondo[14]. È proprio il metodo storico, infatti, lo strumento che un autore come Ernst Mach assume per operare una ricostruzione delle principali nozioni adottate dalla scienza dell’epoca e che a suo avviso rendevano la descrizione della realtà da essa operata assimilabile alle visioni mitologiche proprie delle religioni antiche[15]. Una posizione, questa, che può essere direttamente confrontata con le osservazioni critiche di Nietzsche, riscontrando la profonda affinità delle tesi sostenute da questi due autori e persino la corrispondenza dei termini da loro adottati[16].
Il modo in cui Nietzsche si relaziona con il sapere scientifico può essere valutato proprio a partire da questa conformità di posizioni, che legano la sua filosofia alle riflessioni di uno dei padri dell’epistemologia contemporanea e, con lui, a tutto il retroterra culturale che ne costituisce le premesse storiche.
Se ad esempio si considera la prospettiva che accompagna la diagnosi del nichilismo europeo, uno dei contributi più significativi del pensiero nietzscheano maturo, è possibile osservare come essa non possa essere pensata al di fuori di questa relazione. I cardini della riflessione sulla reazione dell’uomo all’evento capitale della morte di Dio, rintracciabili quasi esclusivamente all’interno dei quaderni del filosofo tedesco, sono questioni che trovano corrispondenza nei temi della moderna epistemologia. Le ricerche più recenti hanno infatti dimostrato come termini chiave di tale speculazione, quali «eterno ritorno», «volontà di potenza», «mondo “vero”», non possano essere adeguatamente compresi senza che vengano inseriti all’interno di un dibattito relativo al mondo fisico e biologico cui Nietzsche ha attinto a piene mani – previa rielaborazione in chiave filosofica dei risultati ottenuti. Ma ciò che corrisponde ancora più direttamente allo sviluppo della scienza contemporanea è l’impostazione generale della questione, quel rifiuto di un sapere in grado di cogliere e determinare una “verità” assoluta. Se l’esito del nichilismo può, secondo le osservazioni di Nietzsche, essere considerato un momento positivo, in cui l’uomo riconosce la propria libertà da ogni dogmatismo e con essa la responsabilità di una «nuova creazione di valori»[17], non si può negare la profonda conformità di questo orientamento con le osservazioni di scienziati che, in quegli stessi anni, avevano denunciato i limiti di un sapere che pretendeva di operare con contenuti dotati di una validità universale (nello spazio e nel tempo), individuando una strada alternativa da percorrere. La diagnosi del nichilismo europeo, che Nietzsche svolge sulla base di un più generale atteggiamento di critica al sapere metafisico (inteso come costituzione di un «mondo vero», ossia di quello che nel 1888 egli definisce come l’ambito degli idoli eterni[18]), in ragione delle testimonianze raccolte dallo studio delle fonti può quindi essere considerata nella sua connessione con gli esempi che egli ricava dai dibattiti dell’epoca, orientati per buona parte su tematiche scientifiche.
- Per una nuova contestualizzazione
Le conclusioni che seguono queste brevi osservazioni vanno nel senso di una riconsiderazione del rapporto di Nietzsche con la scienza. In particolare, è possibile osservare come lui stesso, seguendo in questo la lezione di Albert Lange, sia il primo a superare quel pregiudizio che i suoi interpreti sembrano essere restii ad abbandonare, dimostrando come sia possibile fare della scienza un contenuto culturale sulle cui basi edificare un pensiero genuinamente filosofico. È infatti nel dibattito scientifico che Nietzsche recupera una serie di stimoli in grado di condurre a un profondo rinnovamento della cultura europea e all’impostazione di una visione del mondo che superi quella platonico-cristiana, destinata a un tramonto che egli considerava già pienamente in atto. Riflettere sulla filosofia della scienza in Nietzsche non significa quindi appiattire le sue posizioni sui risultati delle ricerche naturalistiche e neppure contraddire le sue osservazioni più critiche nei confronti del sapere positivo. Piuttosto, questo tipo di studio permette di riportare Nietzsche alla realtà storica della propria cultura, a una dimensione di rinnovamento della visione che l’uomo ha del mondo e di sé che nel corso dell’Ottocento non può prescindere dai risultati ottenuti in ambito sperimentale e teorico dalle scienze della natura. L’articolazione delle sue critiche, come segnalato all’inizio di questo intervento, va dunque contestualizzata e inserita all’interno di una prospettiva che esca dalla semplice contrapposizione in due periodi, il primo di viva accettazione e il secondo di rifiuto completo del sapere scientifico. Piuttosto, tenendo conto della dimostrata continuità del dialogo che Nietzsche intrattenne con il dibattito scientifico della propria epoca, è possibile valutare la complessità di una posizione che ha fatto propria l’epurazione del portato metafisico operata nell’ambito della ricerca scientifica e, orientandola verso una pratica di relazione con il mondo, l’ha adottata quale punto di partenza per la determinazione di una nuova umanità.
* Per le citazioni delle opere di Nietzsche si fa sempre riferimento all’edizione critica curata da Giorgio Colli e Mazzino Montinari: F. Nietzsche, Opere, Adelphi, Milano 1967 sgg. Le indicazioni in nota saranno limitate al titolo dell’opera e al numero dell’aforisma o, nel caso dei frammenti postumi, all’indicazione del numero e dell’anno.
[1] Montinari parla in particolare della costituzione di un «extratesto», osservando che in molti casi le letture testimoniate negli scritti di Nietzsche sono lo spunto per delineare un contesto di interesse, che spesso risulta «più rilevante di ciò che si coglie nell’ambito puramente testuale», contribuendo oltretutto a una chiarificazione di quest’ultimo. Cfr. l’appunto postumo del 1985-86 citato da G. Campioni nella sua Nota a M. Montinari, Che cosa ha detto Nietzsche, Adelphi, Milano 1999, p. 202.[2] I primi studi in questo senso hanno anticipato la risistemazione dei testi di Nietzsche operata da Colli e Montinari. Si vedano ad esempio i lavori di A. Mittasch, Friedrich Nietzsche Naturbeflissenheit, Sprinter-Verlag, Heidelberg 1950 e Friedrich Nietzsche als Naturphilosoph, A. Kroner, Stuttgart 1952, e lo studio collettivo sul periodo giovanile di Nietzsche pubblicato da K. Schlechta e A. Anders, Friedrich Nietzsche. Von den verborgenen Anfängen seines Philosophierens, F. Frommann, Stuttgart-Bad Cannstadt 1962.
[3] Senza voler segnalare i numerosi contributi pubblicati su questo argomento, basti considerare il lavoro di catalogazione dei volumi presenti nella biblioteca di Nietzsche svolto pochi anni fa e che ha permesso di individuare una serie di fonti il cui studio è stato determinante per la comprensione di alcuni passaggi dei testi editi e di quelli non pubblicati e la conseguente interpretazione della sua filosofia: G. Campioni-P. D’Iorio-M.C. Fornari-F. Fronterotta-A. Orsucci, Nietzsche persönliche Bibliothek, De Gruyter, Berlin 2002.
[4] A. Lange dedica un capitolo a questo problema nella sua Storia del Materialismo (tr. it. Monanni, Milano 1932), testo fondamentale per la formazione filosofica di Nietzsche.
[5] F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, § 12.
[6] Cfr. K. Popper, Philosophy and Physics: the influence on theoretical and experimental physics of some metaphysical speculations on the structure of matter, contenuto nel suo The Myth of the framework, Routledge, London 1994, pp. 112-120; E. Cassirer, Sostanza e funzione, tr. it. La Nuova Italia, Firenze 1999, p. 215.
[7] Cfr. E. Bellone (a cura di), Opere di Kelvin, Utet, Torino 1971, pp. 874 sgg.; M. Faraday, A speculation touching Electric Conduction and the Nature of Matter, in «The London, Edimburg and Dublin Philosophical Magazine and Journal of Science» 24, 1844, pp. 136-144. Per una considerazione storica sulla ricezione della teoria di Boscovich si veda anche P. Gori, La visione dinamica del mondo. Nietzsche e la filosofia naturale di Boscovich, La Città del Sole, Napoli 2007, cap. 2.
[8] G. Fechner, Über die physikalische und philosophische Atomenlehre, H. Mendelssohn, Leipzig 1864 (altro testo letto da Nietzsche in gioventù).
[9] F. Nietzsche, Epistolario vol. 4, Adelphi, Milano 2004, Lettera a Heinrich Köselitz, 20 marzo 1882.
[10] Cfr. F. Nietzsche, La gaia scienza, § 112.
[11] Questa assimilazione, saldandosi con altri spunti di riflessione, ha portato in particolare alla formulazione della teoria dell’eterno ritorno e del noto filosofema «volontà di potenza». Su questo cfr. P. Gori, La visione dinamica del mondo, cit., capp. 3 e 4.
[12] Cfr. F. Nietzsche, Il crepuscolo degli idoli, Prefazione.
[13] F. Nietzsche, Frammenti Postumi, 38 [14] 1885.
[14] Cfr. E. Garin, Filosofia e scienza nel Novecento, Laterza, Roma-Bari 1977, pp. 48-49.
[15] E. Mach, Letture scientifiche popolari, tr. it. Bocca, Torino 1900, pp. 160-161.
[16] Per uno studio in tal senso si veda P. Gori, Il meccanicismo metafisico. Scienza, filosofia e storia in Nietzsche e Mach, Il Mulino, Bologna 2009.
[17] Si veda in particolare l’aforisma di apertura del quinto libro della Gaia scienza (aggiunto da Nietzsche nel 1887), § 343.
[18] Cfr. F. Nietzsche, Il crepuscolo degli idoli, in particolare le sezioni Prefazione e Come il «mondo vero» finì per diventare favola.