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Il procedimento è questo: considerare l’uomo come misura di tutte le cose, dove però si incomincia con un errore, che consiste nel ritenere che all’uomo queste cose siano date immediatamente, come puri oggetti.
Egli [il ricercatore] dimentica dunque le metafore intuitive che stanno alla base in quanto metafore, e le prende per le cose stesse.
F. Nietzsche
La conoscenza, scientifica o filosofica che sia, si avvale spesso di modelli per avvicinarsi a una più compiuta comprensione del reale. Criticati, smascherati, rigettati e poi riabilitati, essi finiscono per giocare comunque un ruolo fondamentale nelle più diverse discipline, consegnando ogni volta l’illusione di fondare una “corretta” epistemologia. Lo stesso potrebbe dirsi quando, con maggiore presunzione teoretica, la questione si sposta sui modelli dichiaratamente “ermeneutici”. Che l’ermeneutica sia un arte, una tecnica oppure una metodologia ciò che resta nel più ricco piatto dei giocatori teoretici è una mera ispirazione in più ma ugualmente illusoria circa lo scandaglio della Verità. Che il dato sia mediato oppure immediato, che dietro vi sia un soggetto puro, un osservatore o un interprete, un modello resta pur sempre un modello, una struttura che, per essere, procede per arroganze, per postulati o per assiomi. I modelli restano, in ultima analisi, meri strumenti di comprensione e, in quanto tali, debbono all’andamento spurio del linguaggio più di quanto siano disposti a concedere. E allora: in quanto strumenti di comprensione, vale a dire di semplificazione di una realtà per definizione più complessa, non rischiano di rimanere, sempre e comunque, poco più che delle metafore? È forse possibile dire dei modelli teorici sviluppati dalle scienze quello che Nietzsche pensava delle metafore adoperate dai “ricercatori di verità”?