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L’immagine naturale nel progetto

Autore


Antonia Auletta - Giacomo Cesaro

Seconda Università degli Studi di Napoli

collaborano all’Hybrid Design Lab, Dipartimento IDEAS I Industrial Design Ambiente Storia - Seconda Università degli Studi di Napoli

Indice


  1. La ricerca dell’armonia
  2. Ibridazione e design
  3. “Parassiti” e sostenibilità

 

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S&F_n. 06_2011


  1. La ricerca dell’armonia
[...] Landgon ... “Chi mi sa dire che numero è?” , un diplomato in matematica, ...“il numero phi”. [...] Mentre ricaricava il proiettore delle diapositive, Langdon aveva spiegato che il numero phi deriva dalla sequenza di Fibonacci, una progressione famosa non solo perché la somma di due termini adiacenti è uguale al numero successivo, ma anche perché il numero di quoziente di due numeri adiacenti tendeva sorprendentemente al valore 1,618 phi! [...].

Langdon aveva continuato a proiettare altre diapositive, ma assai più in fretta: una pigna e la sua suddivisione secondo due serie di spirali, la disposizione delle foglie sui rami, i segmenti di alcuni insetti. Tutti rispettavano in modo stupefacente la proporzione divina. “incredibile!” aveva esclamato qualcuno, “d’accordo” aveva commentato qualcun altro “ma cosa c’entra con l’arte?” Ah aveva esclamato Langdon “sono lieto che l’abbia chiesto”; proiettò un’altra diapositiva una pergamena ingiallita in cui si scorgeva il famoso nudo maschile di Leonardo da Vinci, l’uomo vitruviano [...]. “Nessuno capiva meglio di Leonardo la divina struttura del corpo umano. Leonardo disseppelliva i corpi per misurare le proporzioni esatte della struttura ossea umana. Fu il primo a mostrare che il corpo è letteralmente costituito da elementi che stanno tra di loro con phi 1,618[1].

 

La filosofia ha dato origine alla scienza, inizialmente indagando le origini e gli elementi che costituiscono le cose e la natura, e poi inda­gando sui colori, sui ritmi e sulle simmetrie degli elementi naturali individuando modelli di perfezione e di armonia che poi si traducono nell’ideale classico di bellezza, un’ideale da imitare. Questi studi portano a un approccio scientifico/matematico con una particolare predilezione per costanti filoni di ricerca, quali per esempio, l’esattezza e la regolarità che può essere riscontrabile in modo tangibile in ogni elemento naturale come filtro conoscitivo e cognitivo per leggere il mondo che ci circonda.

La proporzione Aurea nasce per l’appunto da un percorso filosofico che, avvalendosi delle scienze matematiche, si ripropone attraverso l’analisi e la reinterpretazione del noto percepito in noto formalizzabile, un percorso incrementale dove si procede per fasi, in cui dopo l’osservazione, l’imitazione, l’interpretazione formale-geometrica del mondo naturale, si giunge a un livello superiore di analisi dei processi e delle interazioni; in pratica il dialogo tra arte, filosofia e scienza che conduce “l’uomo ricercatore” a costruire modelli astratti sempre più raffinati e complessi che non si limitano più a registrare fotograficamente la natura ma si fanno a loro volta artefici di ulteriori modi di vedere.

E di fatti l’arte assume oggi, o almeno dovrebbe assumere, la capacità di aprire gli occhi[2] allo stesso modo in cui la scienza introduce modelli di conoscenza e di analisi nuovi in rottura con quelli precedenti[3].

La proliferazione di questi modelli di lettura ha di fatto generato una moltitudine di branche, filoni di pensiero, discipline, “quadri d’insieme”, in parte convergenti e in parte divergenti; una rete di saperi che condivide e viviseziona la conoscenza.

Proprio da questo Meltin’ Pot il designer, l’architetto e l’artista diventano figure che si fanno carico di tessere intrecci progettuali utili per la messa a fuoco di problematiche e scenari alternativi, attraverso soluzioni semplici nella loro intima natura strategica, concettuale e funzionale ma, allo stesso tempo, complesse nella loro sorprendente genialità.

Lo si può osservare, ad esempio, nelle grandi opere di Leonardo da Vinci, nella sua macchina per volare: dopo studi sul volo degli uccelli e indagini sull’anatomia di questi animali, Leonardo prese come modello la natura per inventare una tecnologia nuova. O ancora nella progettazione di Sir Joseph Paxton del Crystal Palace di Londra per ospitare l’Esposizione Universale del 1851. L’istallazione in sé, non ha nulla di nuovo, ma è la struttura che, sotto diversi punti di vista, risulta totalmente innovativa e assolutamente vantaggiosa. Si presenta come organismo architettonico destinato a essere smontato e rimontato, per questo strutturato con sostegni di ferro che percorrono tutte le facciate, permettendo una totale rinuncia ai convenzionali grossi pilastri e muri portanti.

Il botanico Paxton concepì la struttura del palazzo londinese, ispirandosi alle costole di cellulosa di una varietà di giacinto sudamericano: la victoria amazzonica. La particolarità di questa foglia è la sua forza e resistenza rispetto al peso che è capace di sostenere, infatti grazie alla sua particolare struttura è capace di sorreggere anche una persona di 130 Kg.

 

  1. Ibridazione e design

La ricerca sulla natura intesa come stimolo per la progettazione, continua in modo costante anche oggi trovando molteplici e interessanti espressioni con strategie progettuali che si distaccano dal semplice riferimento formale.

In Biomimicry Innovation Ispired by Nature, Janine Benyus definisce la natura «Un laboratorio di ricerca e sviluppo che da milioni di anni sperimenta ogni output prima di immetterlo nel mondo [...] Diventando più umili potremmo far tesoro di quello che ha da insegnarci [...] Basterebbe che imparassimo ad immagazzinare energia come fanno le foglie, tessere le fibre al modo in cui fanno i ragni, produrre ceramiche come fanno le ostriche per far si che la nostra impronta ecologica e soprattutto innovatrice si sviluppi di molto, in modo indiscusso»[4].

Tra le innumerevoli sfide, dunque, una in particolare è quella che conduce a inglobare funzioni, prestazioni e informazioni tipicamente biologiche, proponendo un design che “reinterpreta” il mondo naturale, artificiale e tecnolo­gico.

È il caso per esempio delle vernici bio-ispirate Lotusan ideate a partire dalle proprietà di resistenza all’acqua della pianta di loto o ancora di monitor perfezionati, grazie al principio di interferenza della luce delle ali delle farfalle, per rendere i colori più luminosi.

La rivoluzione culturale, tecnologica e industriale contemporanea ha indotto a interpretare, produrre e comunicare, in modo differente concetti e strategie che si rifanno al mondo progettuale. In questo caso, applicare principi naturali a prodotti e servizi, porta indubbiamente anche a confrontarsi e a cercare idee in grado di “ri-disegnare” la società in modo che possa dirigersi verso un futuro “più sano e sostenibile”.

«Stili di vita reduci della rivoluzione informatica, della cultura visiva, associativa, sincretista, interdisciplinare, ibrida perché basata sulla contaminazione di linguaggi, tecniche ed etnie differenti, si muovono in un blob metalinguistico che si può definire Mix Abili­ty ossia l’arte di mescolare insieme ingredienti diversi con generi di varia provenienza»[5].

Per questo, per il designer progettare vuol dire imparare a disegnare esperienze culturali e sociologiche, esperienze capaci ol­tretutto di una possibile risposta alla crisi ambientale in quanto, necessariamente, il progetto oggi oscilla fra due punti di riferimento: la cultura dell’inno­vazione e la cultura dell’ambiente, per questo il progettista non può prescindere dal considerare Ambiente e Innovazione come parti integranti di un unico orizzonte creativo.

Considerare nella progettazione Innovazione e Ambiente significa progettare l’intelligenza dell’artefatto, un requisito essenziale anche nella commercializzazione, che coincide con la ricerca dell’utilità e dell’ottimizzazione; strategia consolidata in natura, che vede nell’evoluzione di una singola specie l’introduzione di forti variabili aleatorie e di adattamento.

In questo rapporto che si viene a istaurare (Natura/Progetto Contemporaneo) gli oggetti, ma anche i materiali che li compongono, si “metamorfizzano”, diventano simili a organismi viventi, diventando auto-riparanti e interattivi, multifunzionali; così come i sistemi biologici cambiano in ogni momento per essere sempre pronti a rispondere con diverse possibilità funzionali alle continue esigenze e trasformazioni del loro habitat, anch’essi rispondono allo stesso principio.

Il design del comportamento di artefatti, servizi e strategie, e il design dei network e dei cicli interconnessi diventano sempre più la premessa di tutta la progettazione, così che si possa parlare di “bellezza organica” con canoni formali come estensione olistica del sapere in itinere. Il bello non è più confinato nell’io, nella soggettività di ogni individuo che la teorizza e la elabora, al contrario oggi la bellezza si oggettivizza perché figlia di un discorso collettivo fatto di premesse e obbiettivi che rispettano l’utilizzo di materiali, di forma, di peso, di processi di produzione, di durata, cioè tutti quegli aspetti cruciali che tendono a prevenire o minimizzare anche i rifiuti per giungere a un design capace di soddisfare le necessità contemporanee senza compromettere il potenziale di quelle future.

Come sosteneva anche Lester Brown[6]: la chiave di un buon design, è quella di un’idea che soddisfi le proprie esigenze e non danneggi quelle future, e inoltre, non è necessario inventare da zero, ma è possibile modellare gli artefatti a partire dagli ecosistemi presenti in natura, perché sostenibili per autonomia. Sostenibili in quanto ciò che può essere considerato scarto per una specie diventa nutrimento vitale per l’altra.

Se facessimo riferimento a uno schema per rappresentare un ecosistema, il sistema avrebbe un disegno ciclico, questo perché in natura la materia circola continuamente e pertanto gli ecosistemi, presi nel loro complesso vitale, non generano alcun rifiuto. A dif­ferenza delle attività umane, che prendono le risorse naturali, le trasformano in prodotti per venderle poi ai consumatori e diventare al termine del loro ciclo di vita rifiuti.

“Creare secondo natura” significa anche utilizzare strategie che, per esempio, fanno riferimento a energia autoprodotta attraverso l’uso delle fonti rinnovabili e non solo, mediando, le istanze dello sviluppo e dell’innovazione con quella di una più attenta politica delle risorse, che riesca a oltrepassare l’ostacolo considerando il limite un vantaggio.

 

  1. “Parassiti” e sostenibilità

È il caso per esempio del Parassitic Design, area di ricerca dell’Hybrid Design Lab. Il parassitismo è un fenomeno molto diffuso in natura soprattutto in quegli organismi che vivono traendo nutrimento da altri sistemi. In ambito di ricerca progettuale, invece, il parassitismo propone di interpretare questo concetto, non come qualcuno o qualcosa che vive a scapito di un altro, ma come un “parassita” che riesce a nutrirsi grazie a fattori esterni alla sua natura.

Le sperimentazioni di prodotti e servizi che sono definiti “parassiti” sono inconsuete ma interessanti ipotesi che “rubano” risorse energetiche da fonti esterne, come i sistemi basati su caricabatteria alimentati biomeccanicamente, o da energia dispersa dal corpo umano durante la deambulazione, sistemi che raccolgono l’umidità atmosferica per alimentare le piante, o altri che estraggono acqua potabile raccogliendo la condensa sulle rocce, sistemi basati su smart textiles che estraggono energia dalla traspirazione del corpo e dalla loro respirazione o abiti che traggono energia dal movimento di chi li indossa.

Questa specifica visione, insieme ad altre sperimentazioni e ricerche nel campo del design della sostenibilità ha fornito nelle attività del Lab metodolo­gie e strumenti utili e preziosi per un miglior stile di vita. La valenza dei prodotti parassiti infatti è anche di tipo educativo e mira a sensibi­lizzare indirettamente il maggior numero di persone verso quegli sprechi che caratterizzano ormai gli stili di consumo, ma anche di vita, per ricordare la preziosità delle risorse che utilizzano in tutte le attività giornaliere.

Le “visioni sostenibili” sicuramente richiedono tempi lunghi e grande dedizione, proprio perché di un prodotto deve essere valutata la storia “dalla culla alla tomba”, descrivendone le prestazioni energetiche e ambientali attraverso appositi modelli operativi. Tuttavia essi recano benefi­ci alle aziende, ai consumatori e infine alla società e risultano convenienti sia economicamente che in merito all’impronta ambientale. Il progettista (eco-designer) in questa “visone” valuta l’intero ciclo vita del prodotto/servizio determinando attentamente tutte le fasi legate a esso, dalla pre-produzione, alla sua dismissione e fine. I produttori beneficiano risparmiando materiali, acqua, ed energia, producendo meno rifiuti da gestire, riducendo di conseguenza i costi di produzione e distribuzione. I consumatori, al contempo, compreranno prodotti sicuri, riparabili e quindi più duraturi avendo così, anche un riscontro di risparmio. La società infine aprirà nuove frontiere verso nuovi possibili prodotti e servizi capaci di ridurre lo spreco di risorse comuni, aumen­tando la salvaguardia dell’ambiente e superando l’attuale visione consumistica.

In questo senso sono molti i centri ricerca e le sperimentazioni progettuali che propongono estensioni, integrazioni, approfondimenti di una consapevolezza ecologica che coincide con quella che James Lovelock nel suo famoso libro Gaia chiama “omeostasi” ovvero “il mantenimento di condizioni relativamente costanti mediante una regolazione attiva”[7] di una interconnessione tra tutti gli esseri viventi, e non, in un unico network vitale e auto-regolante (Gaia per l’appunto).

Ed è proprio l’autorganizzazione e l’importanza centrale dei feedback a divenire terra di confronto e di dibattito di discipline quali la cibernetica, la teoria della complessità o dei sistemi, la biochimica, la gestalt, solo per citarne alcune tra le tante che congiungono scienza e filosofia all’interno di metodi vitali e in evoluzione. Metodi in cui si prende coscienza che “L'insieme è più della somma delle sue parti”.

Progettare in chiave organica e sistemica, è un obbiettivo che si sviluppa a partire dagli anni Sessanta e Settanta, lezione oggi ripresa e aggiornata facendo riferimento alla Biomimetica, considerata la disciplina che cerca nella natura risposte alle doman­de per qualsiasi approccio voglia definirsi “sostenibile”, e che trascrive per questo l’organico in progetto, vale a dire attinge a un immaginario ben più ampio dell’intera osservazione del naturale, cercando in questo modo di prendere l’essenza reinterpretando la funzione.

Per questo le parti di una pianta o di un individuo possono diventare spunto di una ricerca progettuale, non solo in senso figurativo ma soprattutto funzionale.

La natura è perciò considerata sempre più un “ufficio brevetti” per trovare risposte e creare nuo­ve tecnologie, nuovi materiali, nuove soluzioni e sistemi di ibridazione.

La scienza, in sintesi, attraverso un processo di introspezione e di extrospection pone un approccio molteplice: indagare e divulgare tanto l’aspetto fenomenologico ed “estetico” quanto le regole e i meccanismi strutturali e generatori. Non è questa la sede per una accurata analisi, ma basta indicare uno dei suoi principali processi: “lo scardinamento del presente” necessario “all’ipotesi del futuro”. In questo contesto il fare progettuale finisce per rendersi valido costruttore di immaginari, a patto che non si chiuda in un’autoreferenzialità sterile. È invece auspicabile l’ibridazione, anzi l’ Hybrid Design.

 


[1] D. Brown, Il codice da Vinci, tr. it. Mondadori, Milano 2006, pp. 112-113.

[2] H. Gardner, Educazione e sviluppo della mente. Intelligenze multiple e apprendimento, tr. it. Erikson, Gardolo 2005.

[3] T. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, tr. it. Einaudi, Torino 1999.

[4] J. Benyus, Biomimicry, innovation Ispired by Nature, Harper Perennial, N. Y. 1997.

[5] G. Sgalippa, J. Ceresoli, Trans Design. L’identità ibrida e contaminata dei prodotti di inizio millennio, Tecniche nuove, Milano 2008, pag. 94.

[6] Lester Brown è fondatore e presidente del Worldwatch Institute, considerato il più autorevole osservatorio sui trend ambientali, nonché fondatore e presidente del Earth Policy Institute, un’organizzazione no-profit e interdisciplinare che si propone di elaborare un piano per un futuro sostenibile. Circa 30 anni fa contribuì alla definizione del concetto di sviluppo sostenibile, un’idea che è alla base del suo progetto di eco-economia.

[7] J. Lovelock, Gaia. Nuove idee sull’ecologia, tr. it. Bollati Boringhieri, Torino 1981, p. 24.

 

 

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