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Il corpo della mente

Autore


Onofrio Gigliotta

Università degli Studi di Napoli Federico II

svolge attività di ricerca presso il Dipartimento di Scienze Relazionali, Università degli Studi di Napoli Federico II, e presso ISTC-CNR (Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione) di Roma

Indice


  1. Introduzione
  2. La reazione nera
  3. Il corpo
  4. Il corpo esteso
  5. Conclusioni

 

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S&F_n. 04_2010


  1. Introduzione

Con il termine mente comunemente ci riferiamo a tutte quelle facoltà che consentono a un individuo di pensare, risolvere problemi, comunicare, percepire,  provare emozioni,  interagire coi propri simili e in definitiva, parafrasando un fortunato libro di Andy Clark, di esserci[1]. Per esserci, tuttavia, la mente ha bisogno di un corpo, di un sostrato fisico che ne permetta l’esistenza e ne giustifichi l’evoluzione. 

La mente, infatti, è un fenomeno biologico e come tale è oggi un oggetto di studio posto al crocevia di importanti discipline come la psicologia, le neuroscienze, l’intelligenza artificiale, la robotica, la linguistica, l’antropologia e la filosofia. Il territorio delle Scienze Cognitive, dai tempi in cui è stato tracciato dall’esagono cognitivo[2], è in continua espansione, una espansione che riflette una corsa alla scoperta dell'organo più importante che l'uomo possieda: il cervello. Nelle prossime sezioni descriveremo con maggiore profondità l’estensione del corpo e le connessioni con la mente e la cognizione.

 

  1. La reazione nera

Cartesio ritiene la natura della mente completamente indipendente dal corpo: una mente immateriale capace di interfacciarsi col corpo solo attraverso la ghiandola pineale. A parte la mente, tutto il resto, dalla respirazione alla circolazione, poteva essere trattato meccanicamente. Contrariamente al filosofo francese, i frenologi nel XIX secolo cominciano invece a cercare di individuare nel cervello le aree deputate al linguaggio, al pensiero, alla percezione e così via, enumerando trentacinque funzioni distinte. 

Ora, il cervello è senza dubbio un corpo della mente, ma non saranno i bernoccoli dei frenologi a identificarlo come tale. Broca, per esempio, nell’800 individua in maniera più scientifica l'area responsabile della produzione del linguaggio, che in seguito prenderà il suo nome. Da Broca in poi verranno scoperte molte altre aree. In particolare il neurologo tedesco Brodman, utilizzando un principio di divisione citoarchitetturale, individuerà 52 differenti aree nel cervello, alle quali sono attribuibili specifiche funzioni cognitive.

Il cervello a questo punto diventa il centro della mente, e sulla sua natura dibatteranno due scienziati del calibro di Ramon y Cayal e Camillo Golgi. Il primo sosteneva che il cervello fosse costituito da unità più piccole, mentre per il secondo il cervello era un sincizio indistinto. Per ironia della sorte grazie alla scoperta di Golgi della reazione nera, una tecnica di colorazione del tessuto nervoso, Ramon y Cayal dimostrò l’esistenza dei neuroni dando inizio a quella che in neuroscienze viene chiamata la dottrina del neurone[3]. Il nitrato d’argento colorava il neurone e dava inizio all’era del brain imaging.

Se paragonassimo il cervello umano ad un social network sarebbe un social network formato da 20 volte il numero di esseri umani sulla terra, e ogni profilo conterebbe circa 10 mila amici. Senza dubbio una rete notevole.

 

  1. Il corpo

In natura non si è mai osservata una mente priva di un corpo. Il contrario, invece, è frequentissimo: un corpo senza una mente o è un manichino o è un cadavere. Nella storia della psicologia, contrariamente all’intuizione naive dell’uomo della strada, troviamo tutte e due i fenomeni ugualmente rappresentati. Per il comportamentismo il corpo non necessita di una mente, basta una black box capace di fare qualche piccola associazione; mentre per il cognitivismo, fattosi forte dalla scoperta del computer, il corpo è una inutile propaggine: la mente è immateriale, è un software. Per essere più precisi la mente dei cognitivisti è un elaboratore di simboli.

L'anno in cui viene sdoganata la mente è il 1956, l'anno del numero magico 7±2 di Miller, del logic theorist di Newell Simon e Shaw e della grammatica universale di Chomsky[4]. Il computer diventa la metafora della mente, in particolare l'hardware rappresenta il cervello mentre il software i processi cognitivi.

L'indipendenza del software dal suo substrato di silicio faranno tornare di moda il dualismo cartesiano. L'uomo è visto come un elaboratore di informazioni e queste informazioni seguono un flusso che va dalla percezione alla pianificazione e infine all'azione: il cosiddetto sandwich cognitivo[5]. L'impianto disembodied, ovvero senza un corpo, dell'intelligenza artificiale classica, tuttavia ha avuto scarsissimi risultati laddove serviva a controllare attuatori nel mondo reale, basti pensare a Shakey (robot sviluppato dalla Stanford University capace di muoversi solo all'interno di un mondo giocattolo, ovvero dove tutto è determinato e noto) o a robot come Dante (un robot progettato per penetrare all'interno dei vulcani). Il rumore e le pressanti richieste dell'ambiente reale hanno distrutto i sogni e le pretese di una intelligenza artificiale basata sul sandwich cognitivo.

A cavallo degli anni ‘80 e ‘90 Rodney Brooks, noto adesso per aver progettato e venduto milioni di robot aspirapolveri autonomi (Roomba), attacca questo approccio e ne inventa uno nuovo strettamente basato sulle interazioni corpo-cervello (controllore)-ambiente. Secondo Brooks i robot non hanno bisogno di rappresentazioni o simboli interni ma hanno bisogno invece di sfruttare la percezione e la propriocezione come attivatori di moduli comportamentali: il comportamento globale di un agente emerge dall'interazione di molti moduli comportamentali più semplici. Questo approccio viene definito robotica basata sui comportamenti[6]. L'approccio di Brooks tuttavia risulta essere poco ispirato alla biologia e di stampo puramente reattivo.

La Robotica Evolutiva colma il gap biologico applicando algoritmi genetici ispirati all'evoluzione e reti neurali artificiali che mimano il comportamento dei neuroni reali, e inoltre, attraverso l'uso di complesse reti neuronali artificiali, permette lo studio di quei compiti che richiedono l'uso di strategie non meramente reattive. La letteratura inerente la Robotica Evolutiva riporta molti esperimenti che dimostrano come l'interazione controllore-corpo-ambiente sia cruciale nella soluzioni di particolari compiti. Per brevità ne riporterò qui soltanto due: un un'esperimento di Nolfi e Marocco[7] e uno di Gigliotta e Nolfi[8]. Nel primo un robot dotato di sensori infrarossi e sensori di luce deve discriminare tra due oggetti cilindrici avvicinandosi al più grande. Nel secondo esperimento un robot dotato degli stessi sensori deve riconoscere delle locazioni spaziali all'interno di diversi labirinti.

Nel primo esperimento il compito è reso difficile dal fatto che la proiezione retinica dei due oggetti, sebbene diversi, a distanze differenti risulta uguale producendo così un alias percettivo. Il robot migliore, il cui sistema di controllo neurale era stato ricavato attraverso un processo evolutivo, risolveva questo problema producendo dei movimenti epistemici, cioè dei movimenti orari e antiorari capaci di disambiguare lo stimolo prodotto dall'oggetto da raggiungere.

Nel secondo esperimento il robot evoluto capace di risolvere il compito spaziale, fortemente affetto da aliasing percettivo, lo faceva attraverso la stretta interazione tra movimento del robot e le dinamiche interne della rete neurale capaci di rappresentare l'ambiente visitato dal robot in termini di configurazioni di stati interni.

Un esempio tratto dalla psicologia evolutiva riguarda il compito “A non B” studiato da Piaget. Questo è uno dei tanti compiti ideati dal grande psicologo. Nella descrizione fatta dallo psicologo elvetico, il compito consiste nel mostrare al bambino (dai 7 ai 12 mesi di età) molte volte un oggetto, per esempio un peluche, per nasconderlo subito dopo sotto una coperta A. Dopo una serie di presentazioni, lo sperimentatore nasconde davanti gli occhi del bambino l’oggetto sotto una coperta B. Dopo un breve lasso temporale viene consentito al bambino di cercare l’oggetto nascosto sotto la coperta B, tuttavia egli tornerà a cercare l’oggetto sotto la coperta A. Tale perseverazione è nota con il termine errore A-non-B, ed è stata utilizzata da Piaget come prova della mancanza nel bambino, a quella età, della nozione di permanenza degli oggetti[9]. Smith e collaboratori, contrariamente a Piaget e ad altri ricercatori, spiegano il comportamento errato come la risultante dinamica tra input visivo, direzione dello sguardo, postura, memoria e reaching. L’origine dell’errore viene quindi spiegata come emergente dall’interazione dinamica di più processi.

 

  1. Il corpo esteso

Il controllo dei movimenti del corpo si basa su una rappresentazione somatosensoriale definita col termine di schema corporeo[10]. Un fenomeno molto interessante riguarda la modificazione di questi schemi cerebrali quando facciamo uso di strumenti. In un esperimento condotto da Cardinali e collaboratori[11] viene mostrato come l'uso da parte di soggetti di un bastone dotato di una pinza alle estremità ne cambi la percezione del corpo. Quello che succede è che il cervello in qualche modo assimila la protesi all'arto originale attraverso modificazioni dello schema corporeo. Il cervello quindi costantemente dialoga col corpo aggiornandone la sua rappresentazione.

 

  1. Conclusioni

Il neurone, il cervello e il corpo inteso come organi di senso e appendici motorie rappresentano il corpo della mente ma non ne sono i soli componenti. La mente è costituita da relazioni con esseri umani, con strumenti e artefatti cognitivi. Il corpo della mente si va estendendo di pari passo con le tecnologie intelligenti che l'uomo crea, diventa più liquido o se vogliamo più nuvoloso, dove per nuvola o cloud intendiamo la capacità di distribuzione dei processi cognitivi che vanno dalla piccola scala del neurone alle interazioni fisiche e sociali con ambienti sempre più complessi, fino a scale molto più grandi. La mente è quindi un processo emergente dalla interazione cervello-corpo-ambiente, la mente è embodied, ha un corpo, ed embedded o situata, ovvero inserita in un ambiente. Essendo la natura di tali interazioni non lineare, dividere il corpo dalla mente può condurre solo alla perdita di componenti essenziali nella spiegazione di fenomeni psicologici complessi. 

 


[1] A. Clark, Being there, Bradford Book, London 1996.

[2] H. Gardner, The mind's new science, Basic Books, New York, 1987.

[3] M. S. Gazzaniga, R. B. Ivry and G. R. Mangun, Neuroscienze cognitive, Zanichelli, Bologna 2005.

[4] Cfr. R. Viale (a cura di), Mente umana, mente artificiale, Feltrinelli, Milano 1989.

[5] S. L. Hurley, Consciousness in Action, Harvard University Press, Cambridge 1998.

[6] R. A. Brooks, Intelligence without representations, in «Artificial Intelligence Journal», 47, 1991, pp. 139-159.

[7] S. Nolfi, D. Marocco, Evolving robots able to integrate sensory-motor information over time, in «Theory in Biosciences», 120, 1-3, 2001, pp. 287-310.

[8] O. Gigliotta, S. Nolfi, On the Coupling Between Agent Internal and Agent/ Environmental Dynamics: Development of Spatial Representations in Evolving Autonomous Robot, in «Adaptive Behavior», 16, 2-3, 2008, pp. 148-165.

[9] L. B. Smith, E. Thelen, R. Titzer and D. McLin, Knowing in Context of Acting: The Task Dynamics of the A-Not-B Error, in «Psycholocal Review», 106, 2, 1999, pp. 235-260.

[10] P. Schilder, The image and appearance of the human body, International Universities Press, Madison 1935.

[11] L. Cardinali, F. Frassinetti, C. Brozzoli, C. Urquizar, A. C. Roy and A. Farnè, Tool-use induces morphological updating of the body schema, in «Current Biology», 19, 12, 2009, R478-R479.

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