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Dalla tipografia di Comenio alla fabbrica di Darwin. Perché la pedagogia ha finito per incrociare il bisturi

Autore


Cristian Fuschetto

Università degli Studi di Napoli Federico II

Indice


  1. La casualità morale diventa intollerabile
  2. La fabbrica di Darwin
  3. Differenze di grado

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S&F_n. 10_2013

Abstract


In the middle of the 17th Century, Johann Amos Comenius (1592-1670) publishes the Typographeum vivum giving birth to modern Pedagogy. The aim of Comenius is essentially “to print typosless men”, i.e. to generate men with a deep-seated erudition in the three fundamental texts of Being (Bible, Nature, Soul). Only in this way it is possible to pretend to train men according to image and likeness of God. In the framework of the so-called athletic humanism developed by Peter Sloterdijk in You must change your life (2009), this paper proposes an analogy between the “pedagogical ambition” of Comenius and the “biotechnology ambition” of post-Darwinian eugenic thought.


  1. La casualità morale diventa intollerabile

Come è noto va a Peter Sloterdijk il merito di aver reintrodotto nel dibattito filosofico di alto livello il discorso sulle antropotecniche e sulla loro reversibilità tra ambito propriamente culturale e quello naturale o, se si preferisce, fisico e metafisico. Così, riferendosi all’Europa di fine Ottocento Sloterdijk ricorda come per estendersi dai pochi ai molti il Rinascimento dovette deporre la sua veste umanistica e riformularsi in termini di filosofia pratica, detto in breve, dovette interrogarsi su altre forme di vita dopo il cristianesimo. Tanto per citare qualcuno di un certo spessore, a porsi questa domanda è per esempio Friedrich Nietzsche che, a differenza dei contemporanei e di molti posteri, individua nel cuore della temperie rinascimentale la questione della riforma della vita in tutti i suoi aspetti.

La Lebensreform, sostiene Sloterdijk riprendendo Nietzsche, costituisce il programma stesso del Rinascimento, trasferito dalla storia dell’arte di matrice borghese all’arena in cui si svolge la lotta per il vero modus vivendi dei moderni. Porre l’autore dello Zarathustra in quest’arena significa datarlo anzitutto correttamente[1]. Non sfuggirà inoltre che il teorico dello Übermensch è colui che per primo esplicitamente intende l’uomo come «materiale sperimentale»[2], in un senso quindi affine a quello con cui oggi non senza isterismo siamo costretti a pensarlo al cospetto di apparecchiature biotecnologiche che potrebbero mutarne da un momento all’altro forma e sostanza.

La tensione verso la riforma della vita va quindi ricercata perlomeno agli inizi dell’età rinascimentale, va ricondotta all’umanesimo di un Lorenzo Ghiberti, di un Leon Battista Alberti o di un Pico della Mirandola, a gente che comincia a nutrire e professare fede nell’Uomo e nelle sue magnifiche possibilità[3].

Ora, poiché la secolarizzazione non è cosa che accada all’improvviso come fosse un On/Off, a esprimere meglio di altri i nuovi scenari innescati dalla volontà di riformare e rifondare la vita dell’Uomo è un Padre della Chiesa: Giovanni Amos Comenio (1592-1670), ispiratore della pedagogia moderna e autore di un progetto didattico dal nome che è tutto un programma: Typographeum vivum, “Tipografia vivente”. Lo scopo? Stampare uomini «privi di refusi», spiega Sloterdijk[4]. Nel 1639 Comenio lancia il suo ultimatum: Tempus est, il tempo è arrivato. È cioè arrivato il tempo di fabbricare esemplari della specie che abbiano le carte in regola per diventare “uomini in forma”. La tecnica per raggiungere lo scopo la illustra l’anno successivo nella sua monumentale Didactica Magna (1640), dove elabora le istruzioni per diventare a immagine e somiglianza di Dio. Sì, perché all’epoca essere in forma significa riuscire a somigliare a Dio. «Ciò comportava per i ferventi teologi riformati – spiega Sloterdijk – possedere un’erudizione poliedrica nei tre libri fondamentali dell’essere, custoditi nella natura, nell’anima umana e nelle Sacre Scritture»[5]. I nuovi plasmatori del Sé non possono più permettersi di aspettare che di tanto in tanto un singolo uomo riesca a ergersi al di sopra della quotidianità per crearsi una seconda vita a quote vertiginose. Bisogna porre le condizioni affinché questo genere di uomini prolifichi senza più essere un’eccezione.

Potrà apparire audace ma l’analogia tra l’impresa pedagogica e quella biotecnologica non è priva di una sua forza persuasiva[6]. Ascoltiamo ancora il pensatore di Karlsruhe.

Il cammino nell’epoca della produzione, che culmina nella produzione del produttore, è stato imboccato ben prima del XX secolo. Ogni volta che si verificava un avanzamento su questo percorso veniva annunciato in pompa magna ai contemporanei che l’uomo inizia ad avere accesso a se stesso. Il “centro reale di ciò che nella Modernità è considerato attuale consiste in continui resoconti sul modo in cui si accresce la possibilità che l’uomo disponga di se stesso. Simili novità (sotto la superficie di una generale disapprovazione per via dell’effetto perturbante da loro generato) hanno sempre prodotto sentimenti di adesione e di rifiuto fino a intonare toni apocalittici quando si tocca qualcosa di effettivamente nuovo su questo fronte “come per esempio intorno al 2000, quando fu imminente la decifrazione del genoma umano[7].

 

La preoccupazione di un’ortopedia dell’umano nasce quindi con la scoperta rinascimentale e poi riformatrice (nel senso della Riforma) della sua infinita plasticità. E così pure il tentativo di metterla in pratica (ovviamente secondo i mezzi e le priorità dettate dall’epoca). Quel che conta mettere in evidenza è il fatto che tale ortopedia rimane il cruccio della Modernità, e non solo. «Chi intende conoscere la fabbricazione dell’Uomo Nuovo in tutti i suoi stadi deve gettare e sue sonde fin dentro il XVII secolo, […] e ancor più indietro ai suoi preludi nella mistica tardo medievale. […]. Gli uomini moderni aggiunsero allo sperimentalismo ascetico degli antichi quello tecnico e artistico, e infine quello politico»[8]. La riscrittura del testo della condicio humana avviene cioè secondo partiture dapprima umanistico-cristiane (spirituali e pedagogiche), poi postumanistiche e postcristiane (un po’ più materiali, ibride e biotecnologiche). Si passa progressivamente dall’insofferenza verso l’uomo come prodotto della casualità morale all’insofferenza verso l’uomo come prodotto della casualità genetica.

 

  1. La fabbrica di Darwin

Non la definisce genetica perché la genetica è ancora in gestazione, ma non c’è dubbio che a porre l’accento sulla casualità della vita, più ancora di Nietzsche (sperimentatore per vocazione, talento e destino), è Charles Darwin. Alla luce della teoria dell’evoluzione per selezione naturale l’uomo diventa un problema biologico a tutti gli effetti riconducibile ai meccanismi che investono la produzione, la trasformazione e l’estinzione delle altre forme viventi. Una dinamica che trova nel “caso” la sua parola redentrice[9].

A chi la sappia intendere la pubblicazione dell’Origin[10] pone, tra le altre, immediatamente la seguente questione: se ogni organismo è imprevedibilmente mutevole e se ogni organismo è selezionabile in ragione di questa sua mutevolezza, cosa impedisce di intendere tutti gli organismi come tante variazioni in fase di sperimentazione? Cosa impedisce, cioè, di intenderli come tante prove di una continua attività selettiva? (Apro una parentesi per segnalare che, tra i contemporanei di Darwin, chi tira immediatamente le somme di questo discorso è suo cugino, Francis Galton,, non a caso fondatore nel 1883 di una scienza cui darà il nome di eugenics[11]). Da par suo Charles Canguilhem osserva che

per Darwin vivere vuol dire sottoporre una differenza individuale al giudizio dell’insieme degli esseri viventi. Questo giudizio conosce due sanzioni: morire oppure venire a far parte a propria volta, per un certo tempo, del tribunale. Finché si vive si è sempre giudici e giudicati[12].

 

Nell’orizzonte darwiniano ogni organismo diventa quindi un ente sperimentale che, coerentemente al suo statuto, rimane suscettibile a modifica. Modifica a sua volta sistematicamente sperimentata e giudicata dal tribunale dei viventi. Prima ancora che Nietzsche lo urlasse al mondo, è la teoria della selezione naturale di Darwin a illustrare la condizione intrinseca di tutti i viventi, uomo compreso: la sperimentalità.

Aldilà di fantascientifiche protesizzazioni robotiche del corpo[13] o da qualsivoglia riprogrammazione del sua mappa genetica[14], l’uomo diventa quindi un dato sperimentale soltanto in virtù di una mutata epistemologia di riferimento. Probabilmente è proprio sulla scorta di questa consapevolezza che già negli anni ’30 del XIX secolo, ormai conscio della nuova visione della vita e dell’uomo che gli si stava prefigurando, Darwin annota nei suoi taccuini parole che lette oggi svelano una profondità insieme stupefacente e inquietante: «L’uomo ha già prodotto varietà marcate e potrebbe un giorno produrre qualcos’altro […]»[15]. Come a dire che ciò che ora nomina la parola uomo altro non è che un effetto di un processo di produzione che in futuro potrebbe produrre qualche altra cosa. È cioè possibile supporre che l’orizzonte logico che informa queste parole non sfoci più soltanto nella naturalizzazione dell’uomo ma anche nella sua fabbricabilità. Se l’uomo diventa l’effetto di uno specifico processo di produzione, cosa impedisce, infatti, di pensare di poter governare le traiettorie di questo processo per provare a “produrre qualcos’altro”? Cosa impedisce di pensare che sia diventato davvero possibile stampare uomini senza più refusi?

Che piaccia o no, l’ipotesi della selezione naturale formulata da Darwin acquista un’immediata valenza progettuale, fornisce tracce utili a illuminare non solo la storia dell’uomo ma anche il suo futuro. Detto in altri termini la selezione naturale si mostra come un’immediata ipotesi di lavoro sulla producibilità di nuovi tipi umani, e ciò proprio grazie al fatto di mostrare che tipi umani differenti da quello attuale sono stati già prodotti in passato in virtù della medesima legge che continua a operare anche nel presente. Il processo casuale della selezione si configura come una chiave di interpretazione genealogica dei processi vitali e, allo stesso tempo, anche come uno strumento di pianificazione biopolitica: nel momento in cui l’uomo si scopre un ente selezionato (dal caso) e dunque scopre di essere un ente selezionabile, è evidente che si pone per ciò stesso il problema del controllo della sua selezionabilità (ovvero della neutralizzazione della casualità genetica e non più morale).

 

  1. Differenze di grado

Mettiamola così, Darwin ci mette di fronte a un ente sperimentale, altri si limitano a trarne delle conseguenze. Ed è in questa cornice di somatizzazione dell’elain umanistico-rinascimentale che dovrebbero essere ricontestualizzati i fragorosi discorsi sulla manipolazione della specie umana che ispirano senza tregua gran parte della convegnistica di settore. L’«ipotesi dell’uomo operabile», come lo definisce con meritoria lucidità già alla fine degli anni ’60 del Novecento il teologo tedesco Karl Rahner[16], nasce di fatto già nel laboratorio di forme sperimentali in cui Darwin trasforma il catalogo di tipi e prototipi della biologia sistematica e dell’antropologia tassonomica. L’“uomo operabile” in fondo non è altro che un uomo definibile a partire dalla plasticità che contraddistingue il materiale con cui si struttura il mondo-della-vita disegnato dall’Origine delle specie. È ovvio, esiste un’evidente differenza di intensità tra la sperimentalità di un uomo geneticamente modificato e quella di un uomo semplicemente evoluto. Ma la differenza è di grado e non di genere. Così come è di grado e non di genere l’intensità che animano i progetti di rifondazione dell’uomo partoriti rispettivamente all’indomani della Didactica Magna e dell’Origin of Species.

Nel momento in cui la natura e i meccanismi della materia prendono il sopravvento su Dio e le leggi dello spirito, c’è poco da stupirsi se il compito di fabbricare l’Uomo Nuovo assuma queste traiettorie. L’eugenetica è in questo senso una sorta di antropotecnica de-spiritualizzata. Ma attenzione: insieme ai mezzi e allo scenario, a marcare la differenza rispetto al pedagogismo totalizzante di un Comenio è qui la potenza di fuoco. Gli eugenisti comprendono l’enorme «potere selettivo della natura»[17], potere così ampio da decidere della forma, del destino e della produzione di ogni organismo vivente, e decidono seduta stante di trasferirlo nelle mani dell’uomo. Così come nel XVII secolo Comenio e soci non sopportano più la casualità morale, Galton e soci nel XIX secolo dicono basta alla casualità genetica. Non c’è poi troppo da stupirsi.


[1] P. Sloterdijk, Devi cambiare la tua vita. Sull’antropotecnica (2009), tr. it. Raffaello Cortina, Milano 2010, p. 39.

[2] «L’umanità è ancora un mezzo, piuttosto che uno scopo. Ne va del tipo: l’umanità è semplicemente il materiale sperimentale con cui si tenta di ottenere il tipo, è l’enorme sovrabbondanza dei malriusciti, un campo di rovine», F. Nietzsche, Frammenti Postumi, in Opere, ed. it. condotta sul testo critico stabilito da G. Colli e M. Montinari, a cura di M. Carpitella e M. Montinari, versione di S. Giametta, Adelphi, Milano 1986, VIII/3, 14 [8], primavera 1888, p. 13.

[3] Cfr. J. Burckhardt, La civiltà del rinascimento in Italia (1876), tr. it. Sansoni, Firenze 2000, p. 133 e sgg.

[4] P. Sloterdijk, Devi cambiare la tua vita. Sull’antropotecnica, cit., p. 386.

[5] Ibid.

[6] Su questa analogia si veda anche P. Sloterdijk, La domesticazione dell’essere. Lo spiegarsi della Lichtung, in Non siamo ancora stati salvati. Saggi dopo Heidegger (2001), tr. it. Bompiani, Milano 2004, pp. 113-184.

[7] Id., Devi cambiare la tua vita. Sull’antropotecnica, cit., pp. 386-387.

[8] Ibid., p. 389.

[9] «Aver aperto al caso senza il conforto della genetica e contro la filosofia dell’epoca è l’operazione certamente più azzardata e forse più felice delle operazioni dirompenti compiute da Darwin», osserva Giulio Barsanti (cfr. G. Barsanti, Una lunga pazienza cieca. Storia dell’evoluzionismo, Einaudi, Torino 2005, p. 258).

[10] C. Darwin, L’Origine delle specie. Selezione naturale e lotta per l’esistenza (1859), tr. it. della 6ª edizione del 1872 di L. Fratini, Bollati Boringhieri, Torino 1967.

[11] Cfr. C. Fuschetto, Fabbricare l’uomo. L’eugenetica tra biologia e ideologia, Armando Editore, Roma, 2004.

[12] G. Canguilhem, L’essere vivente e il suo ambiente, in La conoscenza della vita (1965), tr. it. Il Mulino, Bologna 1976, p. 196.

[13] Sebbene datato, la prima edizione è del 1985, si veda sul tema l’ancora utilissimo studio di Antonio Caronia sul Cyborg. Di recente è stato riedito in versione riveduta e aggiornata e, inoltre, corredato di un poscritto sul postumano. Cfr. A. Caronia, Il Cyborg. Saggio sull’uomo artificiale, Shake, Milano 2008. Sull’argomento rimangono importanti anche le analisi sulla scomposizione, parcellizzazione e moltiplicazione del corpo umano e dei suoi confini sempre più tecnicamente virtualizzati, di Donna Haraway, secondo cui adeguato specchio del sé nell’epoca della tecnica non può essere altri che la figura del cyborg. Cfr. D. Haraway, Cyborg Manifesto (1985), in ID, Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo (1991), tr. it. di L. Borghi, Feltrinelli, Milano 1995.

[14] G. Stock, Riprogettare gli esseri umani. L’impatto dell’ingegneria genetica sul destino biologico della nostra specie (2002), tr. it. Milano 2004. Per un approfondimento di spessore più marcatamente teoretico su questo tema si veda G. Giannini, Condizione umana, Il Nuovo Melangolo, Genova 2009.

[15] C. Darwin, Taccuino B, 215, in ID., Taccuini 1836-1844 (Taccuino Rosso, Taccuino B, Taccuino E), tr. it. Laterza, Roma-Bari 2008, p. 118 (corsivo mio).

[16] Cfr. K. Rahner, Experiment Mensch. Theologisches Über die Selbstmanipulation des Mensche, in H. Rombach (ed.), Die Frage nach dem Menschen. Aufriss einer philosophischen Anthropologie. Festschrift für Max Müller zum 60. Geburtstag, Alber, Freiburg-München 1966, pp. 45-69. «L’uomo deve voler essere l’uomo operabile – osservava Rahner a proposito di quello che egli chiamava Experiment Mensch – anche se la misura e il modo giusto di questa automanipolazione sono ancora ampiamente oscuri» (p. 53). Si tratta di uno scritto molto significativo. Innanzitutto per i contenuti. Rahner evita di considerare in modo aprioristico la manipolazione genetica come un atto di tracotanza dell’uomo nei confronti dell’ordine naturale, riconoscendone piuttosto le sue condizioni di possibilità nella capacità, specificamente umana, di autotrascendimento. Molto significativo è inoltre anche il periodo di pubblicazione. Probabilmente si tratta della prima riflessione di un teologo cattolico, peraltro di grandissima autorevolezza, sui problemi dell’ingegneria genetica e dell’autotrasformazione della specie. Il testo di Rahner, all’epoca, fu pubblicato anche in italiano a cura delle Edizioni Paoline: K. Rahner, L’uomo come oggetto di esperimentazione, in Nuovi saggi III, tr. it. Edizioni Paoline, Roma 1969, pp. 305-336.

[17] C. Darwin, L’Origine delle specie, cit., p. 172.

 

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