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La relazione uomo-animale. Il termometro dei tempi che corrono e la Zooterapia

Autore


Lucia Francesca Menna

Università degli Studi di Napoli Federico II

insegna Igiene e Sanità Pubblica veterinaria presso la Facoltà di Medicina veterinaria dell’Università degli Studi di Napoli Federico II

Indice


  1. Paradigmi
  2. Chimeriche creature?
  3. Rigore scientifico e dignità terapeutica

 

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S&F_n. 07_2012


  1. Paradigmi

In questi ultimi anni, a mio parere, stiamo assistendo a una profonda trasformazione culturale che si rende manifesta anche in Medicina, osservabile dall’influenza esercitata da altri paradigmi (Rapporto Istat). Come tutti sappiamo, il paradigma è l’insieme di assunzioni teoriche e sperimentali, che influenzano gli scienziati e indirizzano il lavoro scientifico verso una determinata direzione. Secondo l’epistemologo Kuhn, ogni periodo storico è caratterizzato dal proprio paradigma che consente così di sviluppare gli strumenti adatti all’avanzamento della conoscenza. Secondo Kuhn[1], però, il momento nel quale alle domande che si pone la scienza, non seguono risposte completamente soddisfatte dalle credenze e i metodi acquisiti, vuol dire che il paradigma sul quale si poggia l’indagine è in crisi. Questi sono i periodi che precedono le grandi rivoluzioni scientifiche e Sheldrake nel suo libro I sette esperimenti per cambiare il mondo[2], pone l’attenzione proprio ad alcuni quesiti di tipo sia terapeutico sia diagnostico che non possono essere spiegati secondo il paradigma molecolare che è quello sul quale si base gran parte della nostra ricerca scientifica. Queste osservazioni sono condivise da diversi epistemologi tra i quali si sta facendo strada l’idea che questo è il periodo nel quale si sente la necessità culturale di un superamento della rigida separazione delle discipline per arrivare a un approccio multidisciplinare[3]. Materie come la bioetica o la zooantropologia ne sono l’espressione. La zooantropologia studia la relazione uomo animale in tutte le sue espressioni fino a quello applicativo del quale la medicina comportamentale e la pet therapy sono le più conosciute[4]. Per quanto riguarda quest’ultima, diversi studi dimostrano che nel momento in cui si realizza una relazione con un animale, si attiverebbero delle strutture della corteccia cerebrale che determinerebbero lo stato empatico[5] e con esso la possibilità di apertura e miglioramento psicologico. Inoltre numerosi studi antropologici e psicologici confermano che la relazione con l’animale attiverebbe quell’immagine interiore che ognuno di noi porta con sé e proprio andando ad attivare quell’immagine archetipica si otterrebbero i risultati sperati di miglioramento della condizione della persona[6]. Il lavoro con un animale, quindi, se eseguito con competenza nell’ottica terapeutica, non è l’esecuzione di gesti ripetuti e consueti, ma significa attivare l’affettività e altre dimensioni della capacità di relazione dell’individuo e il suo svolgimento e la modalità con cui si compie è estremamente complesso[7]. La società contemporanea è il frutto della sua storia. Niente di ciò che abbiamo oggi, che si tratti di valori, relazioni, stili di vita, o modi di pensare, è scollegato dal cammino dell’uomo nella storia. Dal momento nel quale, quindi, l’uomo prende le distanze dalla propria origine animale e assume una posizione di predominanza nei confronti delle altre specie viventi sottomettendoli ai suoi bisogni, si realizza un atteggiamento improntato alla negazione dell’autonoma dignità dell’animale. Eppure il mondo animale ha continuato a esercitare nei confronti dell’uomo una forte attrattiva, quasi che, nel profondo, i legami fra i due esseri, l’uomo e l’animale, fossero rimasti ben saldi tanto che persino nell’era tecnologica, dove l’uomo delega a macchine moltissime delle sue funzioni pensando di riuscire a crearne una pienamente simile a se stesso (programma forte dell’Intelligenza Artificiale), l’uomo non può fare a meno di ispirarsi alla perfezione della natura per poter ricreare i propri artefatti.

 

  1. Chimeriche creature?

Dall’osservazione degli animali sono nate moltissime discipline epistemologiche, artistiche e tecnologiche. L’animale è utile, per mappare il territorio in base alla sua presenza (pensiamo al tempo dei sogni degli aborigeni australiani), per strutturare l’ordine sociale o per raggiungere stati alterati di coscienza (nello sciamanesimo). Secondo molti autori senza l’osservazione degli animali l’uomo non avrebbe mai potuto imparare a costruire macchine volanti o macchine natanti o sommergibili. Nel corso dei millenni il rapporto uomo animale è più volte mutato, spesso in conseguenza del contesto culturale del momento, ma sempre oscillando sostanzialmente tra due tendenze opposte: il distanziamento dall’animalità e l’avvicinamento a essa[8]. Molto interessante è l’osservazione delle cosiddette chimere nate dalla giustapposizione di componenti umane e componenti teromorfiche. L’esistenza di figure fantastiche che derivano dall’accoppiamento tra umani e animali sembra sia dovuta alla necessità dell’uomo di soddisfare i suoi inconsci bisogni. Il simbolo della città di Napoli, la Sirena Partenope, ne rappresenta un esempio. Le Chimere positive, come il centauro, per esempio, rispondono all’esigenza di creare una singolare alleanza contro le forze della natura: l’intelligenza e l’eloquio umano, giustapposte alla nobiltà e velocità del cavallo, quelle negative, invece,come la sfinge, soddisfano il bisogno dell’uomo di vedere puniti misfatti troppo gravi per trovare un’adeguata sanzione se non in un’entità mostruosa. L’animale è stato dunque utilizzato dall’uomo come chiave di lettura nell’interpretazione sia del mondo esterno che di quello interno, al fine di comprendere la complessità della Natura e i lati oscuri dell’animo umano stesso. È molto interessante notare che la fabbrica inconscia delle chimere si affianca al lunghissimo processo di domesticazione degli animali. In linea generale, la domesticazione è considerata una forma di modificazione totale dell’animale che è entrato, volente o dolente, a contatto con l’uomo. Quest’influenza risulta evidente sia sul piano morfologico, con la comparsa di nuovi e specifici caratteri filogenetici, sia sul piano comportamentale. Oltre a determinare nell’animale l’abitudine alla presenza dell’uomo, con conseguente perdita delle reazioni di evitamento e di fuga, la domesticazione ha comportato una serie di modificazioni del comportamento animale per quanto riguarda sia i rapporti tra animali e i loro simili, che gli adattamenti fisiologici (risposta agli stress ambientali, orari etc). Nella seconda fase del rapporto uomo-animale, l’uomo diventa “dominus”, padrone di tutte le creature, e l’animale è concepito come “utilità” ossia produttore di carne, latte, uova, pelle, lana, forza lavoro, etc. Successivamente, con la rivoluzione scientifica, l’uomo occidentale deliberò che la Natura fosse un unico insieme di comportamenti regolari, ripetibili e controllabili, e che qualsiasi fenomeno naturale, sia che esso appartenesse al mondo inorganico o a quello organico, dovesse essere interpretato mediante la matematica, unica lingua a disposizione dell’uomo per comprendere la complessità del mondo. L’omologazione di ogni genere di fenomeno naturale a un’unica entità matematica (mettendo sullo stesso piano la legge di gravità con l’ululato del lupo) ha spianato la strada a Cartesio, onde poter giungere alla conclusione che gli animali sono nettamente separati dagli esseri umani dalla mancanza di anima razionale e immortale[9]. Questa concezione è la base fondamentale per concepire l’animale in un rapporto utilitaristico, arrivando fino all’estremo della selezione artificiale di alcuni suoi caratteri produttivi per arrivare come obiettivo a un miglioramento delle caratteristiche maggiormente utili alle necessità umane. Nonostante ciò, anche nella seconda fase del rapporto uomo-animale è sempre esistita una distinzione fra gli animali allevati a scopo utilitaristico e quelli il cui significato nei riguardi dell’uomo era diverso: il pet o animale da compagnia. Questa prima differenziazione ha generato una diversa considerazione dell’alterità animale, portando a estendere all’interno della società occidentale anche una consapevolezza del valore intrinseco del vivente, riconoscendogli sia le proprie prerogative specie-specifiche, sia la sua influenza sul percorso evolutivo del genere umano. Nella concezione etica dell’animale, il soggetto è considerato come essere senziente, in grado di avvertire percezioni coscienti di gioia e di dolore, e di conseguenza riacquistare pienamente la sua soggettività. Diversi studiosi hanno formulato teorie riguardo alle motivazioni che spingerebbero l’uomo a ricercare un’interazione con l’animale. Tra questi, Edward Wilson, secondo il quale l’uomo in generale e il bambino in particolare hanno una sorta di predisposizione istintiva che rende l’animale interessante ai loro occhi e capace di esercitare un particolare fascino su di loro. Secondo l’autore, la specie umana è caratterizzata da un’innata e naturale tendenza, detta biofilia, a mostrare interesse e gradimento verso una figura animale piuttosto che qualsiasi altra cosa[10].

 

  1. Rigore scientifico e dignità terapeutica

L’antropologo Paul Shepard ha compiuto uno studio sulla capacità dell’uomo di vedere la forma animale in un insieme di segni: secondo i suoi risultati le persone scoprono il soggetto nascosto oltre il 90% delle volte se si tratta di un animale, mentre in altri casi non arriverebbero al 40%[11]. Tracciare un profilo del ruolo ricoperto dall’alterità non-umana in ogni momento della vita dell’individuo, significa come prima cosa ammettere che l’animale abbia un posto preciso nell’ontologia umana: i bambini che nascono nelle società miste fatte di uomini e di cani, per esempio, imparano non solo dagli umani ma anche dai cani stessi, questa socializzazione è di fatto un’ibridazione culturale che non solo trasferisce contenuti non presenti nell’umano ma altresì allarga la dimensione umana favorendo la sua permeabilità ai prestiti esterni. Partendo proprio da questa concezione che si deve affrontare il lavoro di terapia con l’aiuto di un animale per dargli rigore scientifico e dignità terapeutica. Perché lavorare in un setting terapeutico nel quale l’animale sia parte attiva, utile referente di ausilio diagnostico in quanto esperto del linguaggio non verbale così importante nelle malattie degenerative del sistema cognitivo,significa effettuare un evidente cambiamento epistemologico, significa rompere un tabù. Lavorare con un animale cooterapeuta, infatti, vuol dire aprirsi a un approccio della conoscenza diverso dal metodo intellettualista e dalla nozione corrente che la logica è la sola misura adeguata e il solo metodo per misurare e comprendere l’esistenza[12]. Significa avanzare ipotesi che ci sia un’altra intelligenza da prendere in considerazione da un punto di vista clinico e diagnostico[13] e che l’aiuto della relazione terapeutica mediata da un animale ci permetta di contattarla con più facilità, che il lavoro con un animale consenta di valutare la corporalità come funzione fondamentale e imprescindibile della conoscenza[14]. Uscire, quindi, dall’improvvisazione e dallo spontaneismo quando si esegue un lavoro terapeutico con un animale, considerarlo a tutti gli effetti una prestazione sanitaria[15], significa rappresentare quella necessità epistemologica di evoluzione del paradigma che si avvisa nei nostri tempi per avanzare verso una visione sistemica della conoscenza e della formazione culturale.

 


[1] T. S. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, tr. it. Einaudi, Torino 2009.

[2] I. Sheldrake, Sette esperimenti per cambiare il mondo, tr. it. Corbaccio, Milano 1994.

[3] E. Morin, La testa ben fatta, tr. it. Cortina, Milano 2000.

[4] Bioetica e professione veterinaria, a cura di G. Ballarini, Quaderni di bioetica, Macro edizioni, Cesena 1999.

[5] M. Iacoboni, M. Dapretto, The mirror neuron system and the consequences of its dysfunction, in «Nature Reviews Neuroscience», 7, 2006, pp. 942-951.

[6] J. Hillman, Animali del sogno, Raffaello Cortina, Milano 1991.

[7] R. Marchesini, L’identità del cane, Perdisa Editore, Bologna 2005; ma si veda anche Id., Specchio animale. Racconti di ibridazione, Castelvecchi, Roma 2007.

[8] S. Tonutti, Manuale di Zooantropologia, Meltemi Editore, Roma 2007.

[9] R. Descartes, Discorso sul metodo, in E. Lojacono (a cura di), Opere filosofiche di René Descartes, U.T.E.T., Torino, 1994, Vol. I, pp. 538-540.

[10] E. O. Wilson, Sociobiology and Human Natur, Harvard University 1978.

[11] P. Shepard, Thinking animal: Animals and development of human intelligence, Viking Press, New York, 1978.

[12] J. Hillman, L'anima del mondo e il pensiero del cuore, tr. it. Adelphi, Milano 2002; si veda anche L. F. Menna, Il Veterinario zoo terapeuta e il cambio di paradigma, 30 Giorni, Roma 2010; ma si veda anche H. Bergson, L’evoluzione creatrice, tr. it. Raffaello Cortina, Milano 2002.

[13] D. Golemann, L’intelligenza emotiva, tr. it. BUR, Milano 2011.

[14] M. Onfray, La potenza di esistere, tr. it. TEA, Milano 2011; ma si veda anche Id., La Scultura del Sé, tr. it. Fazi, Roma 2007.

[15] L. F. Menna et al., Evaluation of social relationship in elderly by Animal-Assisted Activity (AAA), in «International Psychogeriatrics», 24, 6, 2012, pp. 1019-1020.

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