Autore
Indice
Incontri di Filosofia e Arti a cura di
Daniela Calabrò, Adriana de Manes e Dario Giugliano
Jean-Luc Nancy
Mercoledì 28 maggio 2014 Aula Magna Accademia di Belle Arti di Napoli
S&F_n. 11_2014
Abstract
The metaphysical primacy of the Being, according Jean-Luc Nancy, is challenged from the Art: the artist invents some entities which do not respect the hegemony of the Being. The artworks do not resolve themselves in the rules of the classical ontology, on the contrary, they start a never-ending process of creation. Consequently aesthetics, as the subject that insists on the binomial art/technology, becomes the necessary medium of philosophy in order to understand the multiplicity of the real world, from the apparent dichotomy between body and soul.
Difficile immaginare una conclusione migliore. È uno tra i pochi maître à penser degni di questo nome, Jean-Luc Nancy, a calare il sipario lo scorso maggio sul primo ciclo di “Incontri di filosofia e arti” curato da Daniela Calabrò, Adriana de Manes e Dario Giugliano presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli diretta da Aurora Spinosa. Un’occasione per “toccare con mano” il pensiero di studiosi e artisti internazionali su temi nevralgici non solo per gli addetti ai lavori. Tutt’altro. Un esperimento (riuscito) centrato sul rapporto tra corpo, pubblico e privato, in un’epoca segnata dal fenomeno delle migrazioni e quindi di incontri, confronti e scontri tra culture.
«La scena di fondo di questo discorso – osserva Giugliano - è costituita dalla città, dove si vanno concentrando le masse umane a livello planetario. Per questo, tutti gli studiosi e gli artisti coinvolti hanno declinato queste questioni affrontando temi quali l’esigenza dell’estetica di farsi sempre più riflessione vicina alla quotidianità dell’esistere, come Aldo Trione. O l’emergenza del quotidiano e del problema della durata a partire dall’opera di un artista come Paul Klee, tema affrontato da Enrica Lisciani Petrini». E ancora sono stati discussi i rapporti etico-estetici e politici tra conoscenza e strutturazione dell’urbano (Raffaele Milani e Franco La Cecla); la considerazione dell’arte come fondamento di ogni cittadinanza umana, (Aldo Masullo); l’elaborazione del concetto di più-che-urbano e della questione dell’esigenza della fuga dalla città in relazione soprattutto ai nuovi media informatici (Mario Perniola ed Enea Bianchi); ancora la necessità della particolarità quotidiana spinta fino alla riflessione sulla carnalità (Andrea Bellantone).
Oltre agli incontri hanno riscosso successo anche i workshop. «All’interno di questo spazio – spiega de Manes - condotto dagli artisti Maria Thereza Alves e Jimmie Durham ci siamo concentrati, con gli studenti, sulla questione di una normalità europea in rapporto alla possibilità di un incontro con l’altro che non sia unicamente modellato sulla condizione del confronto/scontro».
Ma veniamo alla lectio del professore dell’Università di Strasburgo. «Il corpo non è involucro ma atteggiamento, sviluppo dell’essere che, nelle forme dell’arte, diventa aspetto», dall’etimologia latina di aspectus che indica l’atto di guardare ed essere guardato. Lo sguardo, ricorda sulla scia non solo di Lévinas e Merleau-Ponty, è sempre relazionale: il soggetto che vede e che pensa, diventa oggetto visto e pensato. «L’opera d’arte è un congegno dal funzionamento complesso, stabilizza questo moto circolare e svela l’esistenza del mistero, bloccando la visuale. Nell’arte, il corpo è consapevole perché è l’uno visto dall’altro, anche nell’inganno ottico della superficie».
Proprio per questo, la lettura del ritratto è indicativa delle possibilità di formazione di conoscenza di una cultura. Per esempio, la statuaria greca individuava il modello della perfezione nella kalokagathìa, un ideale fisico e sociale che si esprime nelle azioni e nell’aspetto degli eroi. Goya, fa notare Nancy, fu tra i primi a registrare un cambiamento di atteggiamento, i suoi corpi non erano più eroici ma de-figurati e instabili. Lo sguardo non è più esterno ma si immerge nella curiosità, nel tentativo estremo e impossibile di far venire alla superficie ciò che è invisibile. Il tentativo genera tensione e da questa tensione è genera un caos ottico, il panico della dispersione degli sguardi e la moltiplicazione simultanea dei punti di vista. In Fautrier, chiamato in causa dal filosofo francese, tutto il corpo è diventato occhio. L’osservazione è fuori portata, non chiarifica e apre un problema percettivo, oltre l’impressione colorata. Lo sguardo, così, perde identità.
Una condizione che a dire di Nancy diventa il crisma della contemporaneità. «Ci sono milioni di apparecchi che scavano nel vedere ma non c’è configurazione» come se nell’epoca della visione globale del mondo, ogni sua immagine complessiva fosse scomposta in frammenti. Nella produzione artistica, il passaggio dalla teoria – dal verbo greco theoréo, io guardo, osservo – ad altri termini e sensi, ha aperto la strada verso nuovi modi di fruizione e creazione.
«Con Jean-Luc Nancy – commenta Calabrò - abbiamo trovato intrecciati i luoghi di un’estetica e di un’ontologia della corporeità. In tale intreccio, che Nancy individua nel particolarissimo concetto di ex-peau-sition (esposizione), si gioca il senso della dimensione finita dell’esistenza che proprio a partire dall’espressione artistica disvela il suo scenario più significativo. Cos’è l’arte? E che cosa rende visibile, dischiude?». Se seguiamo le parole di Nancy, fa osservare la studiosa, troviamo espressa la condizione esistenziale come dimensione poietica: «Il pensiero comincia in questa piega nervosa del corpo che lo espone all’infinito di un senso, cioè di un’affezione che passa attraverso tutti gli altri corpi e che quindi li sopravanza in uno “sguardo dal cosmo” che solo i colori della pittura, della fotografia, dell’immagine riescono a realizzare – non toccando, toccati».