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Storia, natura ed evoluzionismo. Sul senso etico della de-antropologizzazione dell’umano nel pensiero di S.J. Gould

Autore


Didier Alessio Contadini

Università degli Studi di Napoli - L'Orientale

svolge attività di ricerca presso l’Università degli Studi di Napoli – L’Orientale

Indice


1. Intro


2. Errori sintomali 


3. Smontare il progresso


4. Mala tempora currunt 


5. Dell’umano 


6. Tempora multa


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S&F_n. 11_2014


 

Abstract



Gould is an important paleontologist, an acute theorist, an enthusiastic scientific historian, and a pillar of science communication. In his theoretical attitude, that can be summed up as “Darwinian pluralism” and headed for catching every evolutionistic theory’s possibility and implication, he presents a point of view that concerns the human’s “stature”. This paper would highlight the fact that to bring back human in the wider background of natural dynamics and strategies doesn’t mean to reduce him to a simple natural being among others. Man is instead brought to square his natural character with the task of taking care of his own humanity beyond any essentialist superiority’s idea. So, the man must understand himself as part of the nature, as the holder of a specific point of view and, finally and for this very reason, as a whole not socially divisible by race, privileges and measurable qualities’ differences.


Se la torre Eiffel rappresentasse l'attuale età del mondo, lo strato di vernice sulla punta del suo pinnacolo rappresenterebbe la durata dell'uomo, e tutti percepirebbero che quel sottile strato fu ciò per cui fu costruita la torre. Io credo che lo percepirebbero, ma non lo so di sicuro.

Mark Twain, Was the World Made for Man?

  1. Intro

Stephen J. Gould appartiene a quella cerchia di rappresentanti del mondo delle scienze la cui immagine oltrepassa gli stretti confini della disciplina in cui opera, e ciò non tanto per una produzione sorprendentemente prolifica – 478 articoli scientifici, 22 libri, 300 saggi e 101 recensioni[1] – quanto, piuttosto, per l’intensità dello sforzo che muove le sue ricerche. Paleontologo, teorico evoluzionista, storico della scienza e divulgatore scientifico, Gould elabora la sua riflessione nell’orizzonte di un’interrogazione dello statuto e del ruolo dell’uomo, questione che viene declinata in modo da complicare tanto il discorso scientifico quanto la prospettiva etica che vi si delinea, così che ogni risposta formulata rimane costitutivamente aperta.

Lo sviluppo e l’affermarsi, tardomoderno e occidentale, del modello epistemologico evoluzionista interrompe la narrazione della centralità dell’umano all’interno dell’orizzonte di vita che l’uomo stesso costituisce per sé, producendo quella che Gould chiama la seconda rivoluzione nella Weltanschauung dell’uomo. Significativamente da questa genealogia americana della de-antropologizzazione dell’umano –: 1) Galileo; 2) Darwin; 3) scienza geologica (Hutton, Lyell); 4) Freud – rimane escluso Kant, mentre il terzo momento, «la grande limitazione temporale imposta all’importanza dell’uomo dalla geologia: la scoperta del “tempo profondo”»[2] acquisisce un ruolo, come vedremo, centrale. Questa frattura eccede da subito e costitutivamente il piano scientifico in senso stretto e produce delle ricadute che investono complessivamente i rapporti etici. Su questi aspetti il pensiero di Gould si sofferma sia in termini espliciti che impliciti. Vi si concentra quando critica il progresso, il determinismo evoluzionista, le teorie sociali e politiche che ne sono diretta emanazione – è quanto nei suoi lettori viene di volta in volta interpretato come espressione del suo comunismo o, più genericamente, del suo radicalismo. E vi ritorna poi anche nelle implicazioni, più o meno consapevoli, delle sue elaborazioni teoriche, come accade nel caso dell’idea della coesistenza sincronica di diversi strati temporali.

 

2. Errori sintomali

Gould concepisce la scienza come un medium, un luogo in cui si esprime e prende forma una concezione umana del mondo e, insieme, viene filtrato il rapporto alla materialità naturale. In questo senso, la scienza non è un luogo di verità assolute: «Può darsi che la scienza differisca da altre attività intellettuali per il fatto di concentrare la sua attenzione sulla costruzione e sul modo di operare di oggetti naturali», ciò non toglie però che «gli scienziati [siano] esseri umani, immersi in una cultura, e oper[i]no con tutti i curiosi strumenti di inferenza che la mente mette a loro disposizione: dalla metafora e dall’analogia a tutti quei voli di un’immaginazione feconda»[3]. La scienza è dunque un campo attraversato da direttrici: la teoria scientifica è linguaggio del tempo in cui è prodotta, è articolazione delle visioni del mondo che si danno in una data epoca, è percorsa dal tempo storico espresso nello sguardo dello studioso che vi ritorna, è costretta nel presente delle sue possibilità materiali. «Il nostro secolo non è uno standard per tutte le epoche; la scienza è sempre un’interazione della cultura prevalente, dell’unicità [eccentricity] individuale, e del vincolo empirico»[4].

La ricerca di Gould, tanto teorica quanto storica, risponde fedelmente a questo modello. Ciò significa, anzitutto, che essa non si fonda sull’espulsione dell’errore, né sul suo reinserimento nel sistema della pratica scientifica e, quindi, della spiegazione teorica (l’errore come elemento inevitabile, come mezzo per rilanciare e progredire nella ricerca,…). Si fonda, invece, sulla comprensione dell’errore come spia che segnala un’assenza, come sintomo che parla del non detto e connota il detto:

Solitamente gli errori mostrano di avere le loro buone ragioni una volta che approfondiamo in maniera adeguata il contesto in cui sono sorti ed evitiamo giudizi basati sulla nostra attuale concezione della “verità”.  Di solito sono […] illuminanti […], poiché sono segni [signs] di contesti che cambiano. Lo studio degli errori geniali [inspired] […] dovrebbe portarci a riconoscere che la capacità di sguardi profondi e acuti e di grandi errori sono le due facce di una stessa medaglia[5].

Lo studioso newyorkese presenta un approccio alla scienza e una sua visione per certi versi simili alla lettura sintomale althusseriana, dove lo spazio vuoto, ciò che non torna in quanto escluso, sottaciuto, emarginato, minimizzato, indica la presenza di una mancanza, una carenza prodotta dallo stesso «pieno» discorsivo[6]. Nella metalettura gouldiana, l’errore scientifico (poco importa qui che esso sia interno a una costruzione teorica, dovuto a una mal-comprensione di un elemento esterno, a una mancata considerazione di un aspetto, alla conservazione di un qualche elemento formale precedente, o altro ancora) indica la presenza di una mancanza nella visione della realtà che lo scienziato, come espressione della sua comunità storicamente determinata, porta con sé nel relazionarsi al contesto della materialità naturale che cerca di comprendere scientificamente. Indica, nel suo comparire, il cambiamento delle condizioni “ambientali” in cui il pensiero teorico lavora. «Argomenterò»,  scrive Gould in Ontogenesi e filogenesi, ripercorrendo le teorie scientifiche, «che la legge biogenetica cade solo quando diventa fuori moda nell’approccio […] e infine insostenibile nella teoria (quando [la nuova teoria] convert[e] le eccezioni precedenti in nuove aspettative)»[7], quando, insomma, il contesto è diventato maturo in quanto «il soggetto» ha «occupato nel nuovo terreno il suo nuovo posto»[8].

È in questa prospettiva che è possibile cogliere al meglio anche il senso dell’attività divulgativa che svolge negli articoli di giornali e riviste, insieme «un’accurata e acuta spiegazione delle scoperte e dei problemi scientifici»[9] e un’esposizione che non tratta «con sufficienza i propri lettori né semplifica eccessivamente la scienza». In fondo, l’intento che vi prende forma è quello di “aprire la mente” e il contesto sociale a un approccio nei confronti dell’uomo in cui questo sia spogliato di quell’auraticità prodotta dalla stessa costruzione di un senso comune che, da un lato, ne ha professato l’eccezionalità evolutiva e, dall’altro, ne ha perpetuato l’ordinamento e lo sfruttamento materiali[10].

Così, in uno dei sui articoli su Natural History, afferma

Gli esseri umani non possono sfuggire ai loro preconcetti [presuppositions] e guardare “puramente”; Darwin è stato un creazionista attivo per tutto il viaggio del Beagle. Il creazionismo [creativity] non è una fuga dalla cultura bensì un uso peculiare delle sue opportunità […] La scienza è uno sforzo collettivo […] dobbiamo liberarci delle leggende eroiche prima di poter iniziare[11].

Nel lavoro giovanile, scritto a quattro mani con Niels Eldredge, in cui introduce la teoria degli equilibri punteggiati (Punctuated equilibria) troviamo poi la precisa affermazione che «le aspettative della teoria colorano la percezione tanto profondamente che le nuove nozioni raramente sorgono dai fatti raccolti sotto l’influenza di antiche immagini del mondo»; piuttosto «le nuove immagini devono dispiegare prima la loro influenza» e solo successivamente «i fatti poss[o]no essere visti in una diversa prospettiva»[12]. Quindi, «le nostre interpretazioni sono tanto “colorate” dalle nostre percezioni quanto le affermazioni dei campioni del gradualismo filetico lo sono dalle loro proprie»[13].

Il prodotto finale (qualsiasi essere naturale) non è dunque una verità di natura, né l’espressione di una forza vitale autonomamente significante; esso è un montaggio: la forma apparente dello sguardo umano che, da un lato, lo inserisce nella costruzione di una narrazione (tanto epistemologica quanto etica) e, dall’altro, mette così in tensione e in discussione l’idea di una temporalità propria.

 

3. Smontare il progresso

Più che relativizzare lo sguardo scientifico, Gould si preoccupa dunque di mostrare come tale sguardo sia orientato dall’interesse dell’uomo storicamente determinato che lo pratica[14]. La scienza non po’ dunque obliterare l’esigenza di dar corpo a una maggior pienezza dell’umano, che si esprime nei diversi piani della realtà – e rimane da indagare se e in che misura possa darvi una risposta conforme. Allora, l’affermazione che «la specificità dell’Umano come centro e fonte di valori privilegiati non può più essere garantita da una presunta collocazione eccezionale nel mondo vivente» e che «l’umanità dell’uomo diventa essa stessa il prodotto di un’individuazione che coinvolge un ulteriore livello del vivente: quello delle condotte inter- e intra-specifiche»[15], più che una verità scientifica è la verità dello sguardo scientifico attuale e, insieme, un senso etico-politico dell’umano che l’uomo si costruisce nella contemporaneità[16].

In un lavoro intitolato Il paradosso del primo strato (The Paradox of the First Tier) – su cui ritorneremo –, la riflessione prende avvio da un’osservazione di carattere etico e dalle implicazioni di carattere politico: «Nei giorni gloriosi dell’impero vittoriano, quando una sterlina valeva più di cinque dollari americani, l’economia inglese operava su due livelli [tiers] distinti»[17]. Il primo livello, o strato, è quello del «working man» pagato alla settimana, privato della possibilità di risparmiare e di cambiare la propria esistenza, il cui orizzonte è chiuso dall’immagine di una sterlina di carta; il secondo livello, o strato, è quello parallelo del capitalista, che tratta gli interessi economici mondiali dell’impero in migliaia di sterline.

Questa riflessione introduce, fornendole la cornice, la teoria della complessità temporale e mostra il senso che riveste nella lotta contro le varie formulazioni del progresso. L’idea di progresso è una di quelle idee che, penetrate intimamente nei processi di ogni e qualsiasi ambito teorico, ha profondamente influenzato le costruzioni scientifiche della modernità sull’organizzazione e la struttura della natura. L’evoluzione darwiniana è stata oggetto di un’interpretazione potente in questo senso: si è arrivati a rappresentarla come la legge che spiega (e dimostra una volta per tutte) il movimento progressivo della natura, attraverso la selezione della lotta per la vita, verso forme più complesse, più evolute – per l’appunto –, dotate di un maggior grado di perfezione. Questo progresso delle forme è stato eminentemente dipinto come un progredire del tempo che le spinge ad accumulare l’esperienza, a farne tesoro, a mettere in rendita il capitale che ogni livello naturale si trova in eredità[18].

Nel procedere lineare del progresso delle forme e del tempo, l’umano si trova più che in una posizione privilegiata in una condizione vincolata, poiché il suo essere espressione del vertice superiore (se non supremo) lo costringe a riprodurre quei medesimi meccanismi che si vuole lo abbiano creato in quanto espressione massima.  Ma «l’umano non può avere uno statuto preferenziale quale quello di vertice [pinnacle] o culmine [culmination[19]. Gould spezza con quest’affermazione il circolo vizioso del progresso. Un’idea di questo tipo non solo «è, nientemeno, che una delusione fondata sul pregiudizio sociale e la speranza psicologica»[20], ma è soprattutto una costruzione ideologica, una «imagery»[21], che produce effetti disastrosi all’interno della trama dei rapporti umani.

Seguiamo brevemente i passaggi logici che Gould sviluppa, per cercare di chiarire l’operazione di destrutturazione epistemologica e di invalidamento etico-politico che porta avanti. Parlare di progresso in natura è una mistificazione, le cui origini e il cui significato risiedono nello sviluppo capitalistico e nel modello ideologico che lo accompagna nella crescita[22]. Il fatto che sia penetrato come concetto nell’ambito delle scienze fa sì che gli sia stata a lungo garantita un’oggettività ininterrogabile, che richiedeva solo di essere spiegata, argomentata e non dimostrata. Gould ritiene fondamentale, per poterne smantellare la forza ideologica, smontare i suoi presupposti sul terreno in cui si fonda e rinnova; così sin dai primi lavori opera teoricamente in questo senso costruendo una complessa formulazione della visione evoluzionista fondata da Darwin. Il primo importante studio della metà degli anni ’70, a cui abbiamo già accennato, si sviluppa in questa direzione: la teoria degli equilibri punteggiati articola l’idea che l’evoluzione degli esseri viventi non avvenga attraverso una progressiva e graduale speciazione bensì attraverso il comparire “improvviso” (in un sistema di riferimento temporale di ordine geologico) di nuove specie che si affiancano, almeno parzialmente e momentaneamente, alle vecchie da cui sono sorte. L’evoluzione così descritta risulta essere un complesso intreccio di fenomeni pluridirezionali, plurifattoriali, pluridimensionali e pluritemporali. Dunque, nessun processo che sia lineare e, in definitiva, armonicamente organizzato[23]. «Posso dirvi al secondo quando avverrà la prossima eclisse, perché è un sistema semplice con un numero limitato di interazioni», dichiara Gould, ma «non posso dirvi dove l’evoluzione umana si sta dirigendo»[24]. Non si stratta di una mancanza di elementi all’interno di un sistema di ricerca scientifica altrimenti in grado di predire il futuro. Si tratta invece del fatto che «la selezione naturale riguarda solo “l’adattamento a cambiamenti riguardanti un ambiente locale”»[25]; tutto quel che appare come progresso è un qualcosa di «assolutamente locale» e, dunque, di definito da uno sguardo contingente.

Gli elementi innovativi della sua riflessione rispetto alla teoria darwiniana – che si tratti dell’exattazione[26], dei «cross-level spandrels»[27], della portata dei fenomeni di neotenia, progenesi e pedomorfosi[28], della validità della teoria r e K[29] – mostrano come nella sua prospettiva tutti gli elementi partecipino, anche se con “valore” differente, a determinare il risultato. Il «pluralismo darwiniano» di Gould[30] è insieme una ricezione e un potenziamento della teoria darwiniana: un generico legalismo naturale connesso all’intervento (irreversibile) del caso. Tutti i punti di “rottura” sono diretti a complicare il discorso e a far interagire i piani uno con l’altro[31]. Così, dell’uomo non si può individuare in termini assoluti un fattore esterno che sia più significativo né un fattore interno che sia maggiormente determinante di altri[32].

 

4. Mala tempora currunt

La negazione e lo smantellamento dell’idea scientifica di progresso e l’indeterminazione essenziale dell’uomo in ambito scientifico si accompagnano in Gould alla problematizzazione dell’altra espressione, più difficile da demolire, dell’idea di progresso: il progresso culturale. Estraneo al positivismo razionalista, egli mostra di non credere che nella cultura si dia la manifestazione di una verità che si accresce/migliora allargando così la coscienza storica dell’uomo e la sua conoscenza. In questa prospettiva, egli rimane anche estraneo, nelle proprie esposizioni, all’idea di una corrispondenza tra enunciazione e realizzazione. Quel che dice della scienza o della sua storia non espone una verità che vi sarebbe racchiusa e che influenza senza mediazione la pratica ma, più classicamente (e, forse, meno illusoriamente), propone una prospettiva che intende entrare nel dibattito e complicarlo, stimolando la creatività riflessiva degli uomini.

Dunque, se non si può pensare un’idea di progresso nella cultura o, meglio, non si può pensare la cultura secondo l’idea di progresso, ciò non toglie che rimane possibile usare il concetto di progresso nel contesto della cultura, limitandolo al linguaggio tecnico, espressione qui da intendere in senso lato.

Leggere, scrivere, filmare, insegnare, esercitarsi, imparare – tutte attività caratterizzanti l’uomo [the distinctly human activities] che trasmettono le conoscenze tra le generazioni – agiscono come amplificazioni lamarckiane [Lamarckian boosters] della nostra storia culturale. Questo unico e peculiare stile lamarckiano dell’eredità culturale umana dà un carattere direzionale e cumulativo alla nostra storia tecnologica, carattere che nessuna evoluzione darwiniana può possedere[33].

Si tratta di un processo lamarckiano in senso metaforico: ogni miglioramento non eleva su una scala umana, approfondisce un percorso storicamente scelto; una scelta etica, del modo di intendere le relazioni inter- e infra-umane. In questo quadro è anzitutto da negare categoricamente ogni discorso che sia razziale e razzista.

Il pericolo maggiore viene soprattutto da quelle posizioni che si presentano come sinceri «sforzi di cambiamento sociale»[34], come tentativi di organizzare la convivenza umana su fondamenta alternative e libere dai vincoli di un pensiero ritenuto sorpassato, fosse quello della razionalità naturale o della «moralità cristiana». I riformatori che credono di trovare la chiave di lettura dei rapporti umani nell’evoluzionismo cercano di riformulare l’organizzazione di quegli stessi rapporti nello spazio chiuso definito dagli equilibri tra componenti già date del corpo sociale. In questo modo non si sottraggono al pregiudizio che ha determinato quelle componenti, anzi, associano il linguaggio tecnico all’azione preventivamente orientata, fondando così le norme discriminanti, disciplinanti o ordinanti secondo modelli (pseudo-)biologici i cui «dati» sono «privi di valore», poiché «non abbiamo mai avuto, e ancora non abbiamo, dati chiari sulle capacità mentali innate dei differenti gruppi umani – in ogni caso una nozione insensata poiché gli ambienti non possono essere standardizzati»[35].

Il determinismo biologico sostituisce «i metalli» di platonica memoria con i «geni», senza che però sia cambiata l’impostazione di fondo: «I ruoli sociali ed economici riflettono in modo preciso la costruzione innata degli uomini»[36]. È in questo quadro che Gould muove la sua forte critica nei confronti della teoria e della pratica della misurazione del quoziente intellettivo. Una prospettiva diffusa allora e presente ancora oggi, come ben emerge in quelle pratiche di valutazione scolastica che rivendicano per sé un’oggettività che si fonda ideologicamente sull’idea della neutralità dell’ambiente in cui ogni valutando può liberamente esprimere le proprie capacità (i cui caratteri, in definitiva, cos’altro sono se non innati?). Nella valutazione quantitativa del quoziente intellettivo sotto al presunto criterio neutro, che dovrebbe rispecchiare la realtà nell’ordine della verità, si nasconde un doppio meccanismo discriminante: l’intelligenza viene concepita come un cosa e come unica[37]; le variazioni che vi si riscontrano sono classificate secondo un ordine crescente espresso da «un singolo numero»[38]. Si ripropone sotto forme più moderne il determinismo biologico che assume i panni di un principio metastorico e metaculturale, il cui peso etico-politico rimane agli occhi di Gould innegabile: «Milioni di persone sospettano ora che i loro pregiudizi sociali siano dopotutto fatti scientifici»[39].

A questa operazione si affianca quella diretta contro le teorie esplicitamente razziste. Il primo elemento che Gould sottolinea è che le affermazioni razziste sono prive di una qualsivoglia validità oggettiva, questione che Gould analizza dal punto di vista dei modelli scientifici applicati nella formulazione del giudizio di valore razziale. Tali modelli condurrebbero infatti, secondo logica, a conclusioni contradditorie. Ma non è la logica o la coerenza interna del sistema che i teorici delle differenze razziali sono interessati a salvaguardare. Gli «argomenti razzisti forniti dalla scienza per giustificare la schiavitù e l’imperialismo», ed è questo il secondo elemento sottolineato da Gould, sono «semplicemente» espressione della «loro fedeltà alle concezioni predominanti degli intellettuali bianchi e dei leader della società europea»[40].

 

5. Dell’umano

Se la cultura non è espressione di un’evoluzione bensì di una storia, e l’eredità che vi si determina è orientata e progressiva solo in termini contingenti e relativi, allora è chiaro che per Gould la posta in gioco non è il rifiuto di un modello interpretativo dell’eticità umana di stampo ottocentesco, né la neutralizzazione di una prospettiva forte sciogliendola nei mille rivoli del relativismo culturale. Si tratta, invece, di assumere in piena coscienza (e conoscenza) la via che si è intrapresa: «Diverse grandi società hanno preso coscientemente la decisione di non perseguire il “progresso” tecnologico verso una distruzione inevitabile di un vecchio ordine»[41]. La preoccupazione di Gould è qui quella di evidenziare come il presente non appartenga a un ordine discorsivo ineluttabile ed esaustivo e non tanto quella di rivendicare la possibilità di una staticità degli ordini sociali. È questo il motivo per cui, proprio in questo passaggio, può presentarsi lo scorcio di una visione cosmica:

Sono stato a lungo colpito da una potenziale soluzione, forse proposta per capriccio [perhaps whimsically proposed], ma, ritengo, meritevole di un’attenta considerazione, al problema del perché non siamo stati contattati dal gran numero di civilizzazioni progredite che devono [ought to] abitare altri sistemi solari del nostro universo. Forse [Perhaps] qualsiasi società possa costruire una tecnologia per simili viaggi interplanetari, se non intergalattici, deve prima passare attraverso un periodo di potenziale distruzione in cui la capacità tecnologica eccede l’equilibrio [restraint] morale o sociale. E forse [perhaps] nessuna società, o molto poche, potranno mai [can ever] emergere intatte da questo evento decisivo[42].

La forza di questa immagine che abbozza scenari cosmici risiede tutta nel fatto che riguarda pienamente il presente, le scelte presenti fondate su una tradizione solida ma che «forse» può essere messa in discussione a partire dal senso delle relazioni umane che potenzialmente veicola. Questo discorso produce un ritorno potente sulla trama etica umana. Impedisce che si possa pensare a soddisfare la volontà di gestire, influenzare o anche solo definire un punto di vista che sia capace di orientare l’ordine dell’umano. Quand’anche si tentasse di farlo, ciò significherebbe produrre un’azione artificiale in senso sociale e politico e dotata di implicazioni imprevedibili, nel suo carattere naturale. Così, la panoramica gouldiana delle teorie che cercano di fondare con un discorso scientifico le posizioni razziste è diretta a mostrare proprio l’inanità dello sforzo oltre che l’errore del tentativo, fino ad arrivare forse alla tesi estrema secondo cui: nulla si può dire di scientifico dell’umanità dell’uomo senza che questa scientificità fraintenda il proprio essere espressione dell’uomo e dunque frutto del suo millenario desiderio di relazionarsi all’elemento naturale[43].

Non si tratta, dunque, di una visione catastrofista dell’uomo né di un discorso mitopoietico della sua umanità. Essa consente di non lasciare il giudizio nelle mani dello sguardo scientifico tecnicamente inteso che dimentica le proprie origini e il senso del proprio esistere, di complicare nel senso di quella quarta rivoluzione, che Gould stesso richiama, l’umanità dell’uomo, di fondare seriamente una visione dell’uomo che lo sottrae a un discorso ontologico ininterrogabile; senza dimenticare, però, i rischi che un’interrogazione di questo genere porta con sé, anche involontariamente, quando cerca di ripensare la trama etica dell’umano a partire da una riformulazione della sua soggettività individuale in connessione col suo costituirsi biologico.

 

6. Tempora multa

La visione cosmica, che abbiamo qui sopra richiamato, racchiude implicitamente una pluralità di tempi i cui tratti sono ben esposti da Gould nel breve articolo riguardante il Paradosso del primo strato, su cui ora torniamo. Con la denominazione di strati di tempo, Gould definisce tre temporalità distinte: I strato) «gli eventi evolutivi del momento ecologico»[44]; II strato) «le tendenze evolutive all’interno delle progenie e dei cladi» (della durata di milioni di anni); III strato) l’«estinzione di massa». I tre piani funzionano in maniera relativamente autonoma, cioè a dire, ognuno di essi può venir indagato separatamente, seguire regole interne sue proprie e, cionondimeno, influenzarsi reciprocamente con gli altri strati[45].

La molteplicità di queste temporalità è strategica per la struttura teorico-discorsiva gouldiana. Se il primo livello è quello in cui si mostrano funzionare i complessi meccanismi e le strategie degli esseri viventi secondo la legge darwiniana dell’evoluzione, il secondo livello introduce un’intima aleatorietà e rapsodicità all’interno di quel quadro, così che il discorso non può più rivendicare un valore immediatamente generale, predittivo e ordinante, e il terzo livello introduce delle cesure che non solo interrompono senza appello gli ordini discorsivi, li riconoscono limitati al qui e ora da un «colpo di lima per unghie» che può «cancellare completamente la storia umana»[46], ma fanno sì che siano soprattutto e ineluttabilmente legati all’ordine materiale esistente.

L’adesione di Gould alla teoria catastrofista della ricorrenza degli impatti meteoritici deve dunque essere letta – dal punto di vista delle implicazioni extrascientifiche – come declinazione di una prospettiva antiteleologica. 

Se l’estinzione di massa è veramente guidata da un ciclo regolare di impatti meteoritici, e se riorganizza [restructure] la biosfera o in modo casuale o secondo regole diverse da quelle funzionanti in tempi normali, allora i principi [validi] per il primo strato non spiegheranno lo spostamento della struttura tassonomica [shifting taxonomic structure] della diversità della vita. (Credo che tutti noi ammetteremo almeno che le creature [creatures] non possono prepararsi per catastrofi tanto distanti e che la loro lotta per l’adattamento sul primo strato può pertanto, al massimo, produrre processi exattivi per successive sconfitte)[47].

Non è la vita che finisce. A finire è anzitutto e soprattutto il mondo e l’uomo per come storicamente si sono costituiti, e ordinati nella conoscenza. In questo modo vi è una rinuncia al primato dello sguardo epistemologico e una silenziosa ma, ci sembra, abbastanza chiara esortazione di carattere etico sul qui e ora della convivenza umana[48].

La teoria degli equilibri punteggiati, che appartiene ai discorsi del secondo strato, presenta «l’origine e il dispiegamento delle specie in tempi geologici»[49] contro le idee di una predeterminazione dell’ordine dell’evoluzione, almeno per quel che riguarda i suoi meccanismi (leggi). Considera i cambiamenti morfologici lungo un lasso di tempo che è tanto lungo da non poter essere realmente concepito e solo concettualmente formulato in termini matematici. Svolge, infine, la tripla funzione a) di destabilizzare il ritmo ordinato del meccanismo evolutivo darwiniano introducendo l’aleatorietà, b) di sottrarre l’orizzonte temporale a ogni narrazione («novel ways»[50]) che cerchi di appropriarsene interamente, c) di permettere una riformulazione del concetto evolutivo di gerarchia smontando l’idea che vi si esprima un ordine verticistico prestabilito (com’è nel caso di Darwin) e introducendo l’idea che si tratti di una pluralità di movimenti bidirezionali in cui, da un lato, viene meno il predominio di un livello sugli altri[51] e, dall’altro, il concetto di individuo si sposta sul livello generale («“individuo” come il termine generale»[52]). Alla base della sua formulazione vi è l’osservazione empirica che i fossili presentano una quasi inesistente variazione all’interno di una specie fino al sopraggiungere dell’evento reiterato – di cui noi possiamo solo dare testimonianza a partire dagli effetti – di un’«improvvisa apparizione di specie derivate»[53]. Le nuove forme convivono con le precedenti. In questo “istante” geologico[54], dunque, i tempi si moltiplicano; l’“ordine” del mondo subisce uno spostamento infinitesimale ma significativo; gli eventi diventano più probabili e il caso trova conferma nel farsi tempo[55].

Quel che appare dal breve percorso che abbiamo fin qui tracciato nel pensiero di Gould è, da un lato, il fatto che l’interrogazione intorno all’uomo prodotta dallo sguardo scientifico assume i tratti di una sua de-antropologizzazione – la differenza casuale e quasi infinitesimale che produce l’abisso esistente tra l’uomo e ciò che lo attornia – e, dall’altro, che ciò non preclude, né esime, da una rivendicazione della sua specificità (come soggetto istituente lo sguardo scientifico e, soprattutto, come comunità storica di soggetti). Così, «i piccoli cambiamenti nei tempi di sviluppo»[56] che producono lo scarto tra l’uomo e lo scimpanzé, di cui parla in Ontogenesi e filogenesi, trovano il loro senso nella grandiosa visione dei tempi storici che attraversano il reale, proposta ne Il paradosso del primo strato, dove la premessa etico-politica sulla differenza tra il lavoratore e il capitalista si conclude con la considerazione che «il nostro mondo di tempi e di somme [of times and amounts] non è sempre continuo»[57]. Questa doppia faccia (scientifica ed etica) della sua proposta fa sì che l’uomo non possa diventare oggetto da vivisezionare e, piuttosto, venga sottratto alla retorica discorsiva dell’umanesimo, cioè alla retorica del carattere esclusivo e superiore dell’uomo rispetto al resto dei viventi – come già Twain ironicamente ricordava nel testo che abbiamo citato in esergo, in risposta all’antropocentrismo di A.R. Wallace – per sottolinearne invece l’interazione complessiva con il carattere naturale che gli coappartiene e rispetto al quale si differenzia per la capacità del suo ritorno riflessivo sul proprio stato e la sua rielaborazione complessa all’interno del corpo comunitario (di specie) in cui si organizza.


[1] M.B. Shermer, This View of Science: Stephen Jay Gould as Historian of Science and Scientific Historian, Popular Scientist and Scientific Popularizer, in «Social Studies of Science», 32, 4, 2002, p. 496.

[2] S.J. Gould, La freccia del tempo, il ciclo del tempo. Mito e metafora nella scoperta del tempo biologico, Feltrinelli, Milano 1989, p. 14, si veda anche p. 13; cfr. Id., Full house: the Spread of Excellence from Plato to Darwin, Harvard University Press, Cambridge-London 2011, p. 20.

[3] S.J. Gould, La freccia del tempo, il ciclo del tempo, cit., pp. 18-19.

[4] Id., Bathybius meets Eozoon, in «Natural History», 87, 4, 1978, p. 17.

[5] Ibid.

[6] L. Althusser, Dal Capitale alla filosofia di Marx, in Id. e al., Leggere «Il Capitale», Mimesis, Milano-Udine 2006, p. 22.

[7] S.J. Gould, Ontogenesi e filogenesi, Mimesis, Milano-Udine 2013, p. 155.

[8] L. Althusser, Dal Capitale alla filosofia di Marx, cit., p. 28 (cfr. anche la nota 8).

[9] R.C. Lewontin, R. Levins, Stephen Jay Gould – What does it mean to be a radical?, in W.D. Allmon, P.H. Kelly, R.M. Ross (a cura di), Stephen Jay Gould. Reflections on His View of Life, Oxford Univ. Press, Oxford-New York 2009, p. 203.

[10] Cfr. R. York, B. Clark, The Science and Humanism of Stephen J. Gould, Monthly Review Press, New York 2010.

[11] S.J. Gould, Darwin at Sea, in «Natural History», 92, 9, 1983, p. 15. Gould propone un’osservazione analoga riguardo a Galileo sottolineando come il pregiudizio di imparzialità, oggettività e purezza dello sguardo degli scienziati «ha spesso danneggiato la scienza trasformando il metodo empirico in una credenza» (S.J. Gould, The Sharp-Eyed Lynx, Outfoxed by Nature, in «Natural History», 107, 5, 1998, p. 19.

[12] S.J. Gould, N. Eldredge, Punctuated equilibria: An alternative to phyletic gradualism, in T.J.M. Schopf (a cura di), Models in paleobiology, Freeman, Cooper & Co, San Francisco 1972, p. 83.

[13] Ibid., p. 98. Cfr. S.J. Gould, La freccia del tempo, il ciclo del tempo, cit., p. 13-14.

[14] Cfr. D.H. Geary, The legacy of Punctuated Equilibrium, in W.D. Allmon, P.H. Kelly, R.M. Ross (a cura di), Stephen Jay Gould. Reflections on His View of Life, cit., p. 131.

[15] A. Cavazzini, Cellule, organismi, comunità. Il transindividuale nelle scienze della vita contemporanee, in E. Balibar, V. Morfino (a cura di), Il transindividuale. Soggetti, relazioni, mutazioni, Mimesis, Udine-Milano 2014, p. 248.

[16] «La Storia, come ho argomentato prima (p. 35), non deve essere rigettata come un fronzolo umanistico sulla solidità adamantina della scienza “reale”, ma deve essere accettata come il contesto di coordinamento per qualsiasi visione ampia della logica e della ragione che è dietro a un soggetto, così vicina al nocciolo della preoccupazione umana [to the bone of human concern] quanto la scienza della natura e struttura della vita», S.J. Gould, The Structure of Evolutionary Theory, Harvard University Press, Cambridge-London 2002, p. 47. Cfr. W.D. Allmon, The Structure of Gould: Happenstance, Humanism, History, and the Unity of His View of Life, in Id., P.H. Kelly, R.M. Ross (a cura di), Stephen Jay Gould. Reflections on His View of Life, cit., pp. 46-57.

[17] S.J. Gould, The Paradox of the First Tier: An Agenda for Paleobiology, in «Paleobiology», 11, 1, 1985, p. 2.

[18] Cfr. l’auto-intervista del 2000: S.J. Gould, The Spice of Life: An Interview with Stephen Jay Gould, in F. Hesselbein, Leader to Leader, 15, 2000, pp. 14-19. Sull’influenza del pensiero di Smith su Darwin, si veda A. Cavazzini, Oltre (e senza) la mano invisibile. Spostamenti concettuali tra economia e teoria dell’evoluzione, in «Aperture», 29, 2013, su http://www.aperture-rivista.it/sommario.asp?id=35.

[19] S.J. Gould, Full house, cit., p. 4.

[20] Ibid., p. 20.

[21] Ibid., p. 21. Il termine porta in sé insieme i significati di «immagine» e di «frutto dell’immaginazione».

[22] Se ci sono dei precisi luoghi testuali in Gould dove questa lettura emerge è anche vero che la sua visione può essere piuttosto compresa come genericamente prossima alle teorie critiche della società: «Dovremmo sollecitare l’opinione di un gruppo di storici, psicologi, teologi e sociologi per il loro specifico punto di vista sul motivo per il quale sentiamo un tale bisogno di verificare la validità [validate] della nostra esistenza come una preferenza cosmica prevedibile [predictable cosmic preference]», ibid., p. 19.

[23] Cfr. M. Buiatti, Biological Complexity and Punctuated Equilibria, in G.A. Danieli, A. Minelli, T. Pievani (a cura di), Stephen J. Gould. The Scientific Legacy, Springer, Milano 2013, pp.101-112.

[24] S.J. Gould, N. Eldredge, Punctuated equilibria: An alternative to phyletic gradualism, cit., p. 81.

[25] S.J. Gould, Full house, cit., p. 139.

[26] Cfr. R.D.K. Thomas, Gould’s Odyssey. Form May Follow Function, or Former Function, and All Species Are Equal (Especially Bacteria), but History is Trumps, in W.D. Allmon, P.H. Kelly, R.M. Ross (a cura di), Stephen Jay Gould. Reflections on His View of Life, cit., p. 285.

[27] T. Pievani, Born to Cooperate? Altruism as Exaptation and the Evolution of Human Sociality, cit., p. 54, si veda anche p. 53.

[28] Cfr. S.J. Gould, Ontogenesi e filogenesi, cit., pp. 205, 302-307.

[29] Cfr. ibid., pp. 262-266.

[30] Sul rapporto della questione generale che abbiamo impostato con il pluralismo darwiniano cfr.: T. Pievani, Kinds of Pluralism: Stephen J. Gould and the Future of Evolutionary Theory, in G.A. Danieli, A. Minelli, T. Pievani (a cura di), Stephen J. Gould. The Scientific Legacy, cit., p. 45; in generale tutto S.J. Gould, The Structure of Evolutionary Theory, cit.

[31] T. Pievani, Kinds of Pluralism: Stephen J. Gould and the Future of Evolutionary Theory, cit., p. 44. In generale si vedano i due capitoletti 2. Stephen J. Gould’s Pluralism e 3. His Way to Be a Darwinian, pp. 39-44. Sulla relazione tra evoluzione e socialità umana in Darwin, cfr. T. Pievani, Born to Cooperate? Altruism as Exaptation and the Evolution of Human Sociality, in R.W. Sussman, C.R. Cloninger, Origins of Altruism and Cooperation, Springer, Milano 2011, pp. 41-47.

[32] Cfr. G.B. Müller, Beyond Spandrels: Stephen J. Gould, EvoDevo, and the Extende Synthesis, in G.A. Danieli, A. Minelli, T. Pievani (a cura di), Stephen J. Gould. The Scientific Legacy, cit., pp. 85-96. Per lo sviluppo in questo senso delle implicazioni del discorso gouldiano all’interno di una prospettiva che interroga lo statuto stesso dell’umano, si vedano in generale I lavori di Gualandi e, in particolare: Id., Neotenia, exaptation, comunicazione. Un modello antropobiologico, in «Scienza e Filosofia», 3, 2010, pp. 138-148, in particolare p. 147; Id., L’occhio, la mano e la voce. Una teoria comunicativa dell’esperienza umana, Mimesis, Milano-Udine 2013.

[33] S.J. Gould, Full house, cit., p. 222.

[34] Id., Ontogenesi e filogenesi, cit., p. 117.

[35] Ibid., p. 123.

[36] S.J. Gould, Intelligenza e pregiudizio. Le pretese scientifiche del razzismo, Ed. Riuniti, Roma 1985, p. 12.

[37] Id., La freccia del tempo, il ciclo del tempo, cit., p. 15.

[38] Ibid., p. 16.

[39] Ibid., p. 20.

[40] Ibid., p. 122.

[41] S.J. Gould, Full house, cit., p. 222.

[42] Ibid., p. 223.

[43] Cfr. S.J. Gould, Intelligenza e pregiudizio, cit., p. 13.

[44] Id., The Paradox of the First Tier, cit., pp. 2, 3.

[45] Gould si esprime in termini alquanto chiari parlando dal punto di vista del compito che la paleobiologia si deve assumere: cfr. ivi, p. 3; R.D.K. Thomas, Gould’s Odyssey, cit., p. 286.

[46] J. McPhee, Basin and Range, ed. Farrar, Straus & Giroux, New York 1999, p. 126 citato in S.J. Gould, La freccia del tempo, il ciclo del tempo, cit., p. 15.

[47] S.J. Gould, The Paradox of the First Tier, cit., p. 3.

[48] L.N. Goeller, The Worldview of Stephen J. Gould, in www.sjgouldessays.com/content/TheWorldview of Stephen Jay Gould.pdf.

[49] S.J. Gould, The Structure of Evolutionary Theory, cit., p. 765. Cfr. S.J. Gould, The Paradox of the First Tier, cit., pp. 4-5.

[50] Espressione dal doppio significato: “nuovi modi”, “modi romanzati”; cfr. S.J. Gould, The Paradox of the First Tier, cit., p. 9.

[51] «Abbiamo bisogno di estendere e modificare il mondo di Darwin con una visione gerarchica [hierarchical view] della selezione che opera diversamente e simultaneamente su molti [several] livelli dell’individualità [individuality] naturale – e non segregare la selezione naturale in un’operazione esclusiva all’interno di un singolo ambito [domain], che sia dell’organismo [organismal] (per Darwin) o della speciazione [speciational] (per de Vries)» (S.J. Gould, The Paradox of the First Tier, cit., pp. 451). Si veda anche p. 620.

[52] Ibid., p. 601. Sulla costruzione della differenza tra individuo e organismo a partire dall’uomo e nell’uomo, cfr. ibid., pp. 602-604.

[53] S.J. Gould, The Paradox of the First Tier, cit., p. 5. Cfr. D.H. Geary, The Legacy of Punctuated Equilibrium, cit., pp. 127-138; N. Eldredge, Stephen J. Gould in the 1960s and 1970s, and the Origin of “Punctuated Equilibria”, in G.A. Danieli, A. Minelli, T. Pievani (a cura di), Stephen J. Gould. The Scientific Legacy, cit., pp. 5-18.

[54] S.J. Gould, La freccia del tempo, il ciclo del tempo, cit., pp. 14-15.

[55] Ritornano così, pur rimanendo nel retroscena – e richiedendo una considerazione specifica che qui non è possibile svolgere –, vecchie figure come quelle dei «mostri»: cfr. la lettura critica di R.L. Dorit, Genetics and Development. Good as Gould, in W.D. Allmon, P.H. Kelly, R.M. Ross (a cura di), Stephen Jay Gould. Reflections on His View of Life, cit., pp. 313-330.

[56] Id., Ontogenesi e filogenesi, cit., p. 363.

[57] Id., La freccia del tempo, il ciclo del tempo, cit., p. 20.

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