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Indice
- Introduzione
- Responsabilità: cemento dell’interazione sociale
- Etica, metaetica, etiche applicate o etiche speciali
- Incubi/sogni/inquietudini nell’interazione uomo-macchina
S&F_n. 13_2015
Abstract
Emerging technologies have been yielding constant modification regarding the conditio humana. This change affects not only the development of new devices and new options, but, especially when it involves androids and robots, also has an impact on the understanding of human identity and its specific normative dimension. Therefore, it is worth to investigate the ethical, legal and social aspects of emerging technologies. There are many questions that arise in our dealing with them. Films, as other features of our imaginary, help us to deepen philosophical arguments through their peculiar storytelling.
- Introduzione
È noto che i film, ma anche le serie e altre forme della cultura popolare possano servire per confrontarsi con gli aspetti etici e sociali dell’avanzante tecnicizzazione della conditio humana. Anche l’ultimo volume della rivista «Ethik in der Medizin» del mese di marzo di quest’anno è dedicato all’esplorazione delle potenzialità dei metodi e dei campi di applicazione all’intersezione di bioetica e cinema. Proprio nel campo della medicina c’è un esempio molto riuscito e anche abbastanza precorritore che illustra le sfide e le possibilità insite in tale processo di tecnicizzazione. Parlo di Doctor[1], il programma sofisticato che crea un ologramma che sostituisce il medico di bordo, il dottor Phlox denobulano sull’astronave Enterprise (NX-01) nella serie Star Treck Voyager. Oggi non abbiamo ancora degli ologrammi, ma certamente dei sistemi esperti in medicina che non sostituiscono il medico nella sua attività, ma lo affiancano specialmente nel momento della diagnosi[2]. Non solamente nel campo della clinica, ma anche nel campo chirurgico disponiamo di grandi innovazioni che stanno innescando cambiamenti significativi in chirurgia[3]. Questi ma anche altri tipi di dispositivi robotici, come le protesi, i robots sociali e le macchine autonome, sono stati analizzati nel corso del progetto RoboLaw con lo scopo di fornire delle raccomandazioni per la loro regolamentazione in Europa, consapevoli del fatto che i nuovi sistemi tecnici non sono meri oggetti, ma piuttosto dispositivi, portatori di potenziali valori. Ecco perché non solo la loro produzione ma anche la loro utilizzazione richiede di essere vagliata alla luce delle possibili conseguenze etiche, sociali e giuridiche. Tale analisi ha avuto per noi una specificità europea in considerazione del fatto che al di là dell’Atlantico e in Asia prevalgono altre ragioni e altri interessi. Nella nostra analisi abbiamo teso a sottolineare che il bisogno di regolare tali nuove tecnologie nasce dalla convinzione che esse debbano sostenere le nostre intuizioni rispetto a ciò che è buono e giusto e a non metterle in pericolo avventatamente, senza un’adeguata discussione.
- Responsabilità: cemento dell’interazione sociale
Questa valutazione presenta la difficoltà di analizzare i cambiamenti apportati alle azioni umane dalle nuove condizioni, rese possibili dalle tecnologie emergenti, alla luce delle categorie tradizionali. Pensiamo per esempio a una persona alla guida di una macchina con un braccio protetico che causi un incidente e lamenti un malfunzionamento dell’arto artificiale, in questo caso non è chiaro come procedere con l’ascrizione di responsabilità e quale sanzione ne dovrebbe conseguire una volta individuato il responsabile. L’aumentata complessità che si crea rende difficile l’inquadramento delle relazioni, ma non cancella certamente il significato della responsabilità che è profondamente radicato nella conditio humana e non soggetto a cambiare se non grazie alla trasformazione delle quotidiane motivazioni delle nostre convinzioni, tanto empiriche quanto normative, che nella cultura pubblica democratica sono certamente imbevute di razionalità tecnico-scientifica ma non sostituibili da essa[4]. La relazione di responsabilità, infatti, tiene assieme l’interazione sociale come una sorta di “cemento” analogamente a quanto affermato da John Mackie[5] a proposito della funzione del concetto di causa in un universo inteso in senso fisicalista. Per rendere conto del concetto di responsabilità si è soliti analizzarlo in termini di relazione tra i soggetti che partecipano all’interazione sociale. Le esposizioni più dettagliate arrivano a rintracciare fino a sette membri della relazione[6]. Ma anche la relazione ridotta a un solo elemento è in grado di fornire elementi per la chiarificazione del concetto di responsabilità[7]. La più comune descrizione della relazione di responsabilità si articola tra tre entità: 1. “Chi”, il soggetto che è responsabile, 2. “per cosa”, l’oggetto per cui è responsabile, 3. “verso chi è responsabile”, l’istanza (che può essere morale o anche giuridica). Anche la distinzione tra responsabilità retrospettiva e prospettiva porta allo scoperto un’altra condizione essenziale dell’interazione sociale: quella temporale[8].
La nota comune in tutti questi casi è che sempre più spesso siamo invitati a interrogarci su questioni che riguardano le nostre coscienze piuttosto che le nostre competenze. E questo è sufficiente per qualcuno per mettere in dubbio che le risposte fornite possano esibire valore di verità[9]. Le terze pagine dei giornali discutono di libero arbitrio (invece che di libertà umana), sulla natura umana, sull’accettazione e magari promozione di pratiche di potenziamento (tanto estetico che cognitivo che anche genetico (pensiamo alla questione del congelamento degli ovociti)[10], su come pensiamo di voler progettare il nostro futuro (nei paesi anglosassoni stanno fiorendo istituti dedicati al futuro), cambiamento climatico, demografico. Tutti questi temi richiedono riflessione e una presa di posizione. Tali richieste sono chiaramente segni che le nostre intuizioni etiche e le nostre credenze in qualche modo vengono messe in dubbio e perciò interrogate. C’è necessità di trovare orientamento rispetto a un mutamento dell’orizzonte. Se si guarda con la prospettiva della disciplina che principalmente si occupa di offrire il necessario chiarimento concettuale in tutti questi casi, l’etica, allora non possiamo negare che a partire dagli anni 80 del secolo scordo la letteratura in proposito è aumentata in maniera esponenziale.
Non è nemmeno difficile accertare che sono i grandiosi sovvertimenti teorici e tecnici, in corso nell’ambito delle scienze cognitive, dell’informazione, delle nanotecnologie e delle biotecnologie a sollecitare la nostra presa di posizione in merito. Essi non si compiono interamente all’interno delle più rigorose scienze particolari, ma hanno delle importanti ricadute sulla nostra esistenza sia come individui che come società di oggi e di domani. Tuttavia le trasformazioni da loro veicolate sono oggi ancora in alcuni casi troppo poco trasparenti nel loro significato per la filosofia e la forma di vita umana.
Tali cambiamenti pongono questioni che non si lasciano risolvere con un mero rimando a misure tradizionali e consolidate misure o perlomeno prima di poter essere ricondotte a pratiche già consolidate necessitano di essere analizzate e chiarite concettualmente. Perché spesso l’intuizione etica che accompagna le nuove misure tecniche sembra fare a pugni con il resto delle credenze e delle convinzioni che ci accompagnano.
- Etica, metaetica, etiche applicate o etiche speciali
L’affermazione che l’etica sta esplodendo si lascia ben spiegare se non la si intende come una sorta di sviluppo interno alla disciplina ma la si ricomprenda nell’ambito dell’articolazione della disciplina. È meglio spianare subito la strada da possibili fraintendimenti. L’etica come disciplina scientifica non aspira a fornire comandamenti o prescrizioni. Insomma l’etica non è come qualcuno ha suggerito ultimamente una sorta di bollino blu da appiccicare a un’azione, a una norma politica o a una persona. L’etica non è un’aggiunta superflua, un fronzolo o una superfetazione. L’etica come disciplina filosofica non si è sostituita alle agenzie morali del passato, le Chiese e la tradizione. Una volta precisato, anche se solo cursoriamente, cosa l’etica non è, è opportuno spendere qualche parola sulla sua articolazione. In ambito pratico occorre distinguere tra etica normativa, metaetica, ed etica applicata o speciale. L’etica normativa sviluppa i criteri del giudizio morale, la metaetica s’interroga sullo statuto di tali criteri. Sono essi espressione di preferenze e pertanto solo soggettivi, o invece ambiscono all’oggettività? Le etiche applicate o speciali si costituiscono in ambito di particolari settori della pratica umana in cui sono coinvolti diversi attori. L’ambito della tecnica è in realtà un ambito molto speciale perché non costituisce propriamente un sottosistema ma con le sue speranze e promesse coinvolge l’intera società. Sono quindi i progressi registrati nel campo delle scienze e delle tecnologie che spostando il confine della disponibilità tecnica della natura alla natura “interna” hanno modificato drammaticamente le condizioni non solo dell’ambiente, ma anche proprio di vita delle persone fino a spingersi alla possibile manipolazione tecnica delle facoltà mentali, il cosiddetto Neuroenhancement. Quindi vale in misura maggiore che quanto può tecnicamente accadere su questo terreno, quanto viene riflesso, discusso e dibattuto, possa essere in grado di modificare normativamente le convinzioni, gli atteggiamenti e le azioni e che tale modifica si rispecchi infine nelle teorie etiche che si fanno carico di sistematizzare tali principi. Come accade per esempio nel caso delle teorie della giustizia.
Nel corso del progetto abbiamo lavorato sui tre livelli dell’etica, rimanendo fedeli all’assunto che l’etica consiste proprio nell’attività di analisi e di chiarimento concettuale dei problemi volta a dirimere le contraddizioni che insorgono nella società. Abbiamo provato a mettere in pratica tali presupposti teorici interrogando anche campi di sapere della cultura popolare. Le tecnologie emergenti si presentano con una caratteristica che le rende peculiari. Tali tecnologie prima di poter essere effettive innovazioni si presentano a noi come visioni del futuro. E come tali appaiono spesso con una coloritura utopica a cui naturalmente fa da contrappeso anche la corrispondente distopia. Di nuovo è la cultura la prima interprete di tali paure e promesse. Quindi una valutazione dei rischi si trova già sempre in difficoltà rispetto alla loro valutazione. Come si fa a valutare qualcosa che si trova ancora nel limbo della sua esistenza? Questa è una delle ragioni per cui abbiamo scelto di non adottare un’ottica ristretta a un’analisi rischi/benefici ma abbiamo ampliato l’orizzonte e optato per una prospettiva che andasse a esplorare gli aspetti etici, culturali, sociali e legali delle nuove tecnologie. Abbiamo conseguentemente scelto di indagare anche l’immaginario. Ci siamo dedicati all’analisi dei plots e degli incubi/sogni/inquietudini latenti nelle nostre aspettative rispetto all’automazione e alla fusione umano/macchinale[11]. Questo ha richiamato la mobilitazione di discipline della cultura e delle scienze sociali. Purtroppo tali dimensioni raramente vengono indagate con intento sistematico nelle loro prime fonti, ovvero l’immaginario delle culture, spesso ci si limita invece a un mero approccio “bioetico” che concepisce la sua funzione come una sorta di cheklist. Molto più promettente è invece un approccio teso a indagare gli aspetti etici (appunto con la precisazioni sopra introdotte), sociali, culturali e legali. Diversa è la valutazione delle automobili senza guidatore da quella dei droni per scopi militari. La ricerca nel campo dell’intelligenza artificiale ha come obiettivi la costruzione di entrambi. Le auto autonome se sembrano da un lato promettere il controllo degli incidenti stradali dall’altro sembrano richiedere la rinuncia al diritto alla privacy, se il legislatore non interviene per regolamentare l’acquisizione, la conservazione e l’utilizzo dei dati raccolti sugli spostamenti delle auto. Nel 2006 la Corte Costituzionale tedesca ha dichiarato incostituzionale e perciò nulla la legge che prevedeva l’abbattimento potenziale di un aereomobile caduto in mano di terroristi in caso che questo avesse potuto costituire una minaccia per la vita di altri cittadini. La legge giustificava tale azione argomentando che in tal modo un numero maggiore di vittime avrebbe potuto essere evitato. La Corte ha giudicato tale argomento lesivo della dignità della persona, che in tale ragionamento veniva trattata alla stregua di un oggetto. Ecco: questioni come questa si pongono sempre di nuovo non solo nelle aule dei tribunali, ma anche nell’etica delle tecnologie.
- Incubi/sogni/inquietudini nell’interazione uomo-macchina
L’indagine sulle origini religiose, mitologiche e culturali di robot e androidi può fornire elementi di riflessione per affrontare le questioni etiche che tali innovazioni tecnologiche sollevano. Se il XXI secolo potrebbe essere considerato quello durante il quale gli androidi diventeranno parte della nostra vita quotidiana, non bisogna dimenticare che per la cultura popolare questa convivenza è stata vissuta e messa in atto nell’immaginazione, anticipando molte sfide che questa convivenza può rappresentare. L’universo simbolico è stato costellato da robot buoni o cattivi, da cyborg cattivi e buoni e da uomini malvagi che hanno infierito sugli androidi incuranti del fatto che il comportamento di questi ultimi esibisse gradi di coscienza non lontani da quelli umani. Insomma, ogni qualvolta un robot o un androide fa la sua comparsa in un film, le questioni sociali, etiche e politiche non sono mai molto lontane. Il primo tentativo di progettare “macchine morali” si è affidato alle intuizioni di Asimov e alle sue famose tre leggi della robotica. Ma proprio a partire da questo tentativo è stato osservato che ancora una volta l’approccio è segnato da elementi di “specismo” in quanto i robot vengono trattati alla stregua di “schiavi”. Proprio il testo di Nathalie Weidenfeld ha offerto una ricognizione di tutte le caratteristiche che di volta in volta nei vari film le macchine devono soddisfare per poter essere considerate “umane”. La risposta non è univoca si va dalla capacità di provare emozioni alla capacità di giudizio e di agire sulla base di ragioni[12]. Ciò che è chiaro comunque a livello di normatività è che occorre ammettere che una volta che le macchine dovessero soddisfare le condizioni di attribuzione della personalità non dovrebbe esserci nessun ostacolo per riconoscere anche loro come soggetti portatori di diritti. Oggi non siamo ancora a questo punto. Ma questa è una questione squisitamente empirica e non filosofica[13].
La nostra ricerca sull’immaginario ha avuto come risultato un workshop prima e un volume pubblicato in seguito che raccoglie gli atti del convegno e ospita anche un paio di contributi di autori non presenti al convegno. Il volume contiene una serie di contributi concentrati sulle questioni identitarie. Attraverso la riflessione su come robot e androidi sono presentati nei film e in altre forme narrative e su quali questioni etiche e sociali sono veicolate da queste storie il volume cerca di rispondere a una serie di domande: Gli androidi e i cyborg costringono a ridefinire che cosa significa essere umani? Quale tipo di soggettività esibiscono i robot nei film?
In generale sembra che l’innovazione tecnologica esonerando l’uomo da una serie di occupazioni modifichi le condizioni di vulnerabilità della conditio humana piuttosto che superarla una volta per tutte come sembra accadere nelle varie utopie transumaniste.
Nel suo contributo Barbara Henry va all’origine di tali utopie e individua nella proprietà di “non essere nati da una donna” il concetto generale sotto il quale sussumere tutti gli umanoidi. In questa ampia categoria rientrano le statue, i golem, i giocatori di scacchi e i cyborgs. A partire dalle origini mitologiche Barbara Henry spiega sia l’origine dei plots in cui agiscono i robots che lo sviluppo della loro immagine. La sua indagine consente di approdare a un risultato molto significativo. Mentre i plots occidentali mostrano un atteggiamento ambiguo nei confronti degli androidi, spesso espresso in un sentimento di repulsione nei confronti degli esseri creati artificialmente connotato da una sorta di “sindrome di Frankenstein”, la cultura giapponese, e più generalmente quella orientale, mostrano un atteggiamento positivo nei confronti degli androidi e immagina possibili e piacevoli occasioni di interazione tra esseri umani e androidi[14].
[1] http://it.wikipedia.org/wiki/Dottore_(Star_Trek) (ultima volta consultato il 14 maggio 2015).
[2] G. Markmann, Diagnose per Computer?: Eine ethische Bewertung medizinischer Expertensysteme, Deutscher Ärzteverlag, Köln 2003.
[3] Su questo mi permetto di rimandare all’analisi che Erica Palmerini (per gli aspetti giuridici) e io (per gli aspetti etici) abbiamo condotto del telemanipolatore “Da Vinci” nel report conclusivo del progetto europeo RoboLaw: Guidelines for Regulating Robotics, http://www.robolaw.eu.
[4] F. Battaglia, N. Mukerji e J. Nida-Rümelin (a cura di), Rethinking responsibility in science and technology, Pisa University Press, Pisa 2014.
[5] J. L. Mackie, The Cement of the Universe, Oxford University Press, Oxford 1974.
[6] A. Grunwald, Verantwortungsbegriff und Verantwortungsethik, in Id. (a cura di), Rationale Technikfolgenbeurteilung, Springer, Berlin 1999, pp. 175-195.
[7] J. Nida-Rümelin, Verantwortung, Reclam, Stuttgart 2011.
[8] M. H. Werner, Verantwortung, in A. Grunwald (a cura di), Handbuch Technikethik, J. B. Metzler, Stuttgart 2013, pp. 38-43.
[9] Vedi il dibattito in metaetica tra cognitivisti che affermano la verità dei fatti morali ed espressivisti che la negano affermando come questi siano solo espressione delle preferenze soggettive.
[10] F. Battaglia e A. Carnevale (a cura di), Reframing the Debate on Human Enhacement, in «Humana.mente» 26, 2014:
http://www.humanamente.eu/Issues/Issue26.html (ultima volta consultato 20.05.2015).
[11] Paradigmatico in questo senso è l’articolo di F. Scalzone e G. Tamburrini, Human-robot interaction and psychoanalysis, in «AI & SOCIETY», 27, 2012, pp. 1-11.
[12] N. Weidenfeld, Lessons in humanity, or: what happens when robots become humans, in F. Battaglia e N. Weidenfeld (a cura di), Roboethics in Film, Pisa University Press, Pisa 2014, pp. 93-106. Il volume raccoglie i punti salienti del dibattito del convegno “Roboetica e cinema”, svoltosi alla Ludwig Maximilian Università di Monaco di Baviera nel mese di febbraio del 2014, nell’ambito del progetto europeo RoboLaw coordinato dalla professoressa Erica Palmerini della Scuola Superiore Sant’Anna. Per informazioni si può consultare anche la pagina della Ludwig-Maximilians-Universität:
http://www.robolaw.philosophie.uni-muenchen.de/index.html (ultima volta consultato 20.05.2015).
[13] A. Grunwald, Can robots plan and what does the answer to this question mean?, in M. Decker - M. Gutmann (a cura di), Robo- and Informationethics. Some Fundamentals, LIT, Zürich, Berlin 2012, pp. 189-210.
[14] B. Henry, Embodied imaginaries and robotic plots, in Roboethics in film, cit., pp. 33-48.