Autore
Indice
- Premessa
- Descartes e la tassonomia delle passioni
- La fisica degli affetti
- Qual è l’errore di Descartes?
S&F_n. 11_2014
Abstract
Damasio's criticism of the Cartesian cogito seems to deliberately ignore the cultural context and the epistemological foundations of the theory of man developed by the philosopher. Even the recent criticism has revised the Cartesian dualism setting emphasis upon the unity of the human being: in the overall framework of Cartesian thinking man is not identified with pure mind, but with the compound of thinking substance and extended substance. Therefore, the attack against Descartes seems entirely instrumental, functional only to explaining the theory on the primacy of emotions respect to the rational sphere of the human being.
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Premessa
Negli ultimi vent’anni le neuroscienze si sono ampiamente confrontate con la filosofia cartesiana: numerosi e importanti studiosi, tra cui Antonio Damasio, ma anche Edelman, LeDoux, Minsky, Gardner e Tononi, hanno ragionato sulla fisiologia di Descartes traendone spunti di indagine e intrecciando una rete di rapporti tra scienza e filosofia. L’analisi del legame dialettico tra la tradizione filosofica e la ricerca scientifica sul tema del binomio passione-ragione ha ricadute immediate sul versante etico e antropologico, in quanto gli autori cui si farà riferimento in questa sede applicano i risultati della propria ricerca sul corpo, la mente e le emozioni alla sfera pratica dell’uomo, costituita dai processi decisionali e le strategie di azione che l’essere umano elabora per condurre la propria esistenza nel mondo. Proprio la fisiologia, in particolare il tema del rapporto passione-ragione, è la parte della filosofia cartesiana che la critica medica ha ritenuto più caduca, ma la decostruzione di una teoria filosofica su base scientifica non può prescindere dal contesto culturale e dai fondamenti epistemologici sui quali si erge un impianto filosofico. La critica che il neurobiologo Antonio Damasio, autore de L’errore di Cartesio, fa della filosofia cartesiana riferendosi in particolare alla relazione tra l’universo patico e quello razionale, non è esente, essa stessa, da errori. Vediamo perché.
- Descartes e la tassonomia delle passioni
Nel trattato Le Passioni dell’anima, Descartes sviluppa il tema degli affetti assumendo il punto di vista del physicièn, una prospettiva che gli consente di sintetizzare le implicazioni derivanti da una nuova scienza dell’uomo e le prime rivoluzionarie prove della neurobiologia. Ultimo dei trattati cartesiani, Le Passioni dell’anima è data alle stampe nel 1649, pochi mesi prima dell’improvvisa scomparsa dell’autore, ma l’interesse di Descartes per il linguaggio delle passioni si manifestò per la prima volta nel Compendium musicae, la sua prima opera, edita nel 1618. In essa il filosofo esordisce annunciando il principio generale per cui «il fine dell’arte è muovere in noi le passioni»[1] e accennando subito dopo al carattere multiforme delle passioni umane, che si presentano però unite nell’espressione musicale. L’essere umano è capace di evocare e comunicare stati d’animo per mezzo di suoni e accordi, ma per spiegare questo singolare fenomeno fisio-psichico l’autore ha bisogno di conoscere in modo più approfondito i movimenti dell’anima, grazie a cui determinare esattamente il rapporto tra suoni ed emozioni. Il tema viene ripreso nel trattato L’Homme, che presenta anche il primo tentativo di denombrement e di classificazione delle passioni in rapporto al movimento degli spiriti animali, esaminati per numero, dimensione e agitazione. Intanto sia nel Discours sia nelle Meditationes Descartes sta provvedendo di un fondamento metafisico la propria distinzione sostanziale dell’anima dal corpo, presupposto necessario affinchè si possa parlare di passioni nel modo corretto. Nella quinta parte del Discorso l’autore si sofferma sui movimenti naturali che suscitano le passioni, mentre nella sesta Meditazione valorizza alcune indicazioni sulla nostra natura e in particolare i “sentiments”.
Ma è nei Principi di filosofia che l’autore tenta di dare una spiegazione generale dei processi attraverso i quali si produce una passione, provando a risalire fino al primo fattore scatenante di essa e a chiarire la natura stessa degli affetti, che egli vorrebbe distinguere da altri generi di passioni e sentimenti. Per scatenare il processo fisiologico produttore di una certa passione, potrebbe bastare innanzitutto, sostiene Descartes, anche solo un determinato pensiero che riguarda l’oggetto di questa passione e che sia in grado di produrre nel cervello una certa impressione, da attribuirsi, in questo caso, all’immaginazione. A partire da questa impressione iniziale e seguendo le forme ordinarie della causalità intracerebrale, gli spiriti animali si diffondono nei nervi, dai quali dipendono le modificazioni corporee corrispondenti a quella passione.
- La fisica degli affetti
Nel trattato sulle passioni la fisiologia degli affetti viene affrontata in maniera sistematica e rigorosa, Descartes esamina «per via genetica»[2] l’universo patico dell’essere umano, a partire dai primi sentimenti provati e dai primi movimenti o funzioni naturali del corpo. L’indagine cartesiana sul rapporto tra anima e corpo è propedeutica ad alcune chiarificazioni sulla beatitudine, la felicità e sulle regole cui improntare la propria condotta, nel cui ambito il filosofo contava di riprendere, stavolta senza alcuna “provvisorietà”, quanto già detto anni prima in materia di morale nel Discorso. In questo contesto e con questi obiettivi, l’attenzione del filosofo si sposta sul ruolo giocato dalle passioni umane, con la loro varietà e intensità, nel favorire o impedire lo stabilirsi di un vero piacere dell’anima, una beatitudine autentica che per Descartes appare inseparabile dalla gioia e dal benessere del corpo. Da qui il bisogno di esaminare le passioni in modo particolareggiato, individuandone genesi, numero, ordine e natura.
Il trattato cartesiano sulle passioni nasce dunque in questo delicato contesto di ricerca, nel quale Descartes «misura tutte le difficoltà di trasferire nello studio del composto umano molti punti fermi della propria fisica[3]. Non è possibile infatti comprendere la teoria cartesiana delle passioni senza considerarne la parte relativa alla fisiologia, anche perché per tessere una rete di rapporti con le moderne neuroscienze è indispensabile ragionare proprio su quest’aspetto dell’opera cartesiana, che la critica medica ha considerato come il più precario. Per le modalità con cui Descartes la svolge, la fisiologia umana delle Passions si presenta certamente meno estesa rispetto a quanto il filosofo aveva già detto ne L’Homme e persino nel Discorso, anche se da questi scritti egli riprende continuamente temi e soluzioni.
La teoria principale per spiegare l’attività dell’organismo vivente è quella della circolazione ematica, scoperta da William Harvey nel 1616, teoria nella quale il muscolo cardiaco svolge un ruolo fondamentale, pur essendo stato “ridotto” a esercitare compiti esclusivamente motori, regolati da ferrei principi meccanici, già utilizzati da Descartes per spiegare la costituzione e i meccanismi di azione della materia. Il sangue giunge al cuore mediante la vena cava del ventricolo destro e lì a contatto con il calore si agita e si rarefa. Spinto nella vena arteriosa raggiunge i polmoni, dove viene raffreddato e mandato nel ventricolo sinistro, lì subisce di nuovo la rarefazione e viene spinto grazie all’arteria aorta verso il cervello e il resto del corpo. A differenza di Aristotele e Galeno che trattano del calore vitale nell’ambito di una fisica di tipo qualitativo, in Descartes il calore vitale è un fenomeno puramente meccanico, responsabile dei movimenti corporei. Non è utile affrontare in questa sede la disputa tra Descartes e Harvey sulla causazione del moto cardiaco, dato che non investe direttamente il tema delle passioni, piuttosto occorre ricordare che nella fisiologia cartesiana i movimenti corporei sono causati dalla forza sprigionata dal sangue agitato, il quale attraverso una fittissima rete di vasi orienta il flusso degli spiriti animali dirigendoli verso l’organo o il muscolo implicato nella realizzazione di uno specifico movimento. Gli spiriti animali, di chiara eredità stoica, sono corpuscoli di dimensioni infinitesimali, strutturalmente a metà tra aria e fuoco, che svolgono un ruolo fondamentale nella fisiologia delle passioni. Essi, con il loro movimento, governano la relazione tra l’anima e il corpo, la cui sede è la ghiandola pineale o epifisi. Gli articoli XXXI e XXXII delle Passions e la lettera a Mersenne del 1640 sono dedicati alla descrizione della ghiandola e al suo ruolo di intermediazione tra carne e anima:
Dato che la nostra anima non è duplice, ma una e indivisibile, mi sembra che la parte del corpo alla quale è unita più immediatamente debba essere anch’essa una e non divisibile in due simili, e non riesco a trovare niente del genere in tutto il cervello al di fuori di questa ghiandola[4].
Nella ghiandola sono presenti dei pori che regolano il flusso degli spiriti animali, implicati nei meccanismi fisiologici connessi al sorgere delle passioni. Queste, che Descartes all’articolo XXVII definisce «percezioni, o sentimenti, o emozioni dell’anima, che riferiamo in particolare a essa, e che sono causate, mantenute e rafforzate da qualche movimento degli spiriti» sono dunque eventi che riguardano simultaneamente l’anima e il corpo, causando modificazioni in entrambi. Ma il nodo critico che emerge dalla trattazione cartesiana è il rapporto tra le passions e la sfera razionale dell’essere umano, intesa come intelletto e volontà. Si tratta di stabilire il potere reale dell’anima sulle passioni, tenendo conto dell’attività che essa esplica nei confronti del corpo e delle sue funzioni. Infatti Descartes nelle Passions, dopo aver completato lo studio scientifico dell’universo emozionale, vira verso il versante morale, per inferire sulla capacità dell’anima di utilizzare le passioni al fine di perseguire il proprio bene, soprattutto attraverso la saggia regolazione dei desideri. La teoria cartesiana dell’affettività ha numerose ripercussioni in ambito cognitivo e pratico, perché le straordinarie potenzialità della vita affettiva sono suscettibili di essere utilizzate sia per la qualificazione soggettiva delle conoscenze e dei loro processi, sia per la crescita morale individuale e sociale.
- Qual è l’errore di Descartes?
Proprio in questa direzione Damasio sferra il suo attacco contro Descartes, in Descartes’s Error. Attacco frontale e diretto, che qui è ben sintetizzato:
Eccolo, l’errore di Descartes: ecco l’abissale separazione tra corpo e mente – tra la materia del corpo, dotata di dimensioni, mossa meccanicamente, infinitamente divisibile, da un lato, e la «stoffa» della mente, non misurabile, priva di dimensioni, non attivabile con un comando meccanico, non divisibile; ecco il suggerimento che il giudizio morale e il ragionamento e la sofferenza che viene dal dolore fisico o da perturbamento emotivo possano esistere separati dal corpo. In particolare: la separazione delle più elaborate attività della mente dalla struttura e dal funzionamento di un organismo biologico[5].
Lo studioso considera Descartes il simbolo di una serie di idee sulla mente e il corpo che in un modo o nell’altro continuano a influenzare la scienza e la cultura occidentali. Egli ritiene, ad esempio, che la teoria computazionale della mente, in base alla quale la mente è considerata «il software che gira in un pezzo di hardware di un calcolatore chiamato cervello»[6], sia la derivazione della concezione dualistica per la quale Descartes separa la sostanza pensante da quella estesa. Un’altra rimostranza che Damasio rivolge a Descartes è quella di aver indotto la biologia ad adottare un modello meccanicistico per spiegare i processi della vita. Ma la critica principale che il neurobiologo rivolge a Descartes è relativa all’aforisma cardine della sua filosofia, il cogito cartesiano rappresenta infatti il contrario di ciò che Damasio crede riguardo l’origine della mente e delle sue relazioni con il corpo. Lo studioso ammette di prendere alla lettera il cogito ergo sum, individuandovi un nesso di causalità tra il pensiero e l’essere, quindi sembra ignorare deliberatamente il fatto che Descartes abbia utilizzato l’implicazione logica non per far derivare causalisticamente l’essere dal pensiero ma per scardinare il meccanismo del dubbio iperbolico, il quale è così pervasivo da riuscire a mettere in crisi persino la certezza della nostra stessa esistenza. La questione dunque è di ordine metafisico ed epistemologico, è funzionale alla costruzione di un nuovo concetto di scienza e quindi di un nuovo concetto di uomo e mondo.
Perciò, la critica di Damasio a Descartes appare del tutto strumentale, essa costituisce un espediente per esporre la sua teoria della coscienza, la quale emerge in un determinato momento dell’evoluzione umana:
E tuttavia, assai prima dell’alba dell’umanità gli esseri erano esseri. A un certo punto dell’evoluzione, una coscienza elementare abbia inizio. Con essa arrivò una mente, semplice; aumentando la complessità della mente, sopravvenne la possibilità di pensare e, ancora più tardi, di usare il linguaggio per comunicare e organizzare meglio il pensiero. Per noi, allora, all’inizio vi fu l’essere e solo in seguito vi fu il pensiero; e noi adesso, quando veniamo al mondo e ci sviluppiamo, ancora cominciamo con l’essere e solo in seguito pensiamo. Noi siamo e quindi pensiamo; e pensiamo solo nella misura in cui siamo, dal momento che il pensare è causato dalle strutture e dalle attività dell’essere[7].
L’attacco di Damasio contro Descartes è asservito a uno scopo ben preciso, ossia fondare il primato della dimensione sensibile rispetto a quella intellettiva, al punto che il neurobiologo nell’aforisma cartesiano sostituisce cogito con sentio, con particolare riferimento all’universo emozionale dell’uomo. Il primato delle emozioni è giustificato con metodo empirico, a partire dall’analisi di alcuni casi clinici che hanno sconvolto la neuropsichiatria. Damasio in Descartes’s Error espone e commenta una serie di casi di pazienti affetti da particolari lesioni cerebrali, i quali presentano difetti nel comportamento sociale e nella capacità di decidere, che costituiscono il livello più avanzato della nostra capacità di ragionare. Questi pazienti, pur conservando funzioni neurobiologiche di ordine superiore, ossia memoria convenzionale, linguaggio, attenzione di base e memoria operativa, dimostravano di non saper più condurre la propria esistenza in modo autonomo e di compiere scelte vantaggiose per sé.
In particolare, il caso di Elliot stimolò in Damasio una riflessione relativa al ruolo delle emozioni nel ragionamento e nella decisione. Affetto da un meningioma, Elliot fu operato con successo, ma gli si dovette asportare anche il tessuto dei lobi frontali che era stato danneggiato dal tumore. Le prospettive di guarigione erano ottime ma meno fausto si rivelò il cambiamento della sua personalità. Le sue doti intellettuali e le sue funzioni linguistiche e sensomotorie erano intatte, eppure egli non era più lo stesso. Pur essendo sano e intelligente, Elliot agiva come se fosse stato affetto da una patologia psichiatrica. «L’elaborazione dei suoi processi decisionali era talmente compromessa che egli non poteva più porsi come un essere sociale efficiente»[8]. Turbato da strane manie, ripeteva sempre gli stessi errori e spesso metteva in pericolo la sua sicurezza e quella dei suoi cari. Divenuto ormai incapace di ragionare e di decidere per provvedere a se stesso e alla sua famiglia, Elliot dimostrava di non essere più un essere umano indipendente. Eppure, sottoposto a una serie di esami psichiatrici egli rivelava che le sue competenze cognitive, logiche, operazionali e linguistiche erano integre. Il suo caso suscitò in Damasio i seguenti interrogativi:
«È possibile che ragionare e decidere nel dominio personale e sociale siano differenti dal ragionare e pensare in domini riguardanti gli oggetti, lo spazio, i numeri e le parole? Dipendono forse da sistemi neurali differenti?».
Il caso di Elliot determinò la necessità di sviluppare nuovi criteri di ricerca, perché i tradizionali strumenti della neuropsicologia erano insufficienti a spiegare le anomalie del suo comportamento. Bisognava cercare altrove la risposta.
«Mi resi conto che, per varie ragioni, mi ero preoccupato troppo dello stato dell’intelligenza di Elliot e degli strumenti della sua razionalità, curandomi poco delle sue emozioni»[9].
Dopo l’operazione, Elliot dimostrava un distacco emotivo impressionante rispetto a qualsiasi oggetto, situazione o circostanza. La sua stessa tragedia non lo faceva penare, egli raccontava il proprio vissuto come se parlasse di un estraneo. La sua disaffezione emergeva lenta ma inesorabile, sottoposto a ripetuti stimoli non manifestava mai tristezza, frustrazione o impazienza. Elliot era consapevole del suo stato, infatti dichiarò apertamente che il suo modo di sentire era cambiato dopo il male; argomenti che prima in lui suscitavano una forte emozione ora non gli provocavano alcuna reazione.
Stupefacente! Provate a immaginare di non sentire piacere quando contemplate una pittura che vi piace o quando ascoltate uno dei vostri brani musicali preferiti. Provate a immaginarvi completamente privati di questa possibilità, e tuttavia ancora consapevoli del contenuto intellettuale dello stimolo visivo e sonoro, e consapevoli anche del fatto che una volta vi dava piacere. Sapere ma non sentire, così potremmo riassumere l’infelice condizione di Elliot[10].
Comincia così a profilarsi l’idea che la riduzione delle emozioni e dei sentimenti in Elliot possa avere un ruolo nel venir meno della sua capacità decisionale. Secondo questa prospettiva l’universo passionale dell’essere umano, ben lontano dall’essere un intralcio per la capacità di ragionare e di decidere, ne è piuttosto una componente essenziale. L’assenza di emozioni, secondo la teoria di Damasio, sarebbe capace (paradossalmente) di compromettere la razionalità che ci rende peculiarmente umani e ci permette di decidere in armonia con un senso di futuro personale, di convenzione sociale e di moralità. In questo contesto, però, rimproverare a Descartes di aver diviso la sostanza pensante dal corpo risulta fuorviante: ci induce a credere che il filosofo non abbia riconosciuto il legame tra la mente e gli affetti e l’incidenza delle passioni sul meccanismo del ragionamento e della decisione. Dire che per Descartes il pensiero e il giudizio morale possono esistere separati dal corpo significa ignorare l’unione tra la dimensione fisica e quella psichica che il filosofo stesso ha analizzato nel Traitè. Inoltre, la critica recente ha sottoposto a revisione il problema del dualismo cartesiano, ponendo l’accento sull’unità dell’essere umano: nel quadro complessivo della riflessione cartesiana l’uomo non è identificato con la pura mente ma con il composto di sostanza pensante e sostanza estesa.
Damasio però radicalizza la sua posizione anticartesiana e la rafforza interponendosi nell’arco teso tra Descartes e Spinoza. Ne Alla ricerca di Spinoza, il neurobiologo arriva a sostenere che là dove Descartes separava l’intelletto dalle passioni, Spinoza invece, in una premonizione biologica di inquietante modernità, vi riconobbe la medesima sostanza: «La mente umana è l’idea stessa o conoscenza del corpo»[11].
Questa affermazione deriva da un procedimento geometrico attraverso il quale Spinoza dimostra la corrispondenza tra l’ordine della connessione delle idee e l’ordine della connessione delle cose. Nella terza definizione della seconda parte dell’Etica, dedicata proprio alla natura e l’origine della mente, Spinoza definisce l’idea come un concetto della mente che essa si forma in quanto è cosa pensante. L’uomo pensa e i modi del suo pensare, come l’amore o il desiderio, non sono possibili se nello stesso uomo non c’è anche l’idea della cosa amata o desiderata. L’essere formale delle idee è un modo del pensare e i modi sono le manifestazioni particolari degli attributi che Spinoza definisce con questa espressione: «ciò che l’intelletto percepisce della sostanza come costituente la sua essenza»[12]. I modi di qualunque attributo hanno per causa Dio in quanto è considerato solo sotto quell’attributo del quale essi sono modi, dunque o come pensiero o come estensione; ogni attributo infatti può essere concepito per sé, senza bisogno d’altro. Ora, in base al quarto assioma della prima parte dell’Etica, l’idea di qualsiasi cosa dipende dalla conoscenza della causa che l’ha prodotta. Concetto chiarificato dall’esempio del cerchio:
Il cerchio esiste in natura e l’idea del cerchio esistente che è anche in Dio è una sola e medesima cosa che si spiega mediante attributi diversi; perciò sia che concepiamo la natura sotto l’attributo dell’Estensione, sia sotto l’attributo del Pensiero, sia sotto qualsiasi altro attributo, troveremo un solo e medesimo ordine, ossia una solo e medesima connessione di cause, cioè le medesime cose che derivano l’una dall’altra[13].
Da questi presupposti discende logicamente che tutto ciò che accade nell’oggetto dell’idea costituente la mente umana deve essere percepito dalla mente stessa, dunque se l’idea della mente umana è il corpo, nulla potrà accadere in questo corpo che non sia percepito dalla mente. L’essere in atto della mente non è altro che l’idea di qualche cosa singola esistente in atto, non può essere l’idea di una cosa infinita perché una cosa infinita esiste sempre e necessariamente ma questo, in base al primo assioma della seconda parte, è assurdo. Infatti l’essenza dell’uomo non ne implica necessariamente l’esistenza, perché nell’ordine della natura può accadere sia che questo o quell’uomo esista sia che non esista. Perciò «l’oggetto dell’idea costituente la Mente umana è il Corpo, ossia un certo modo dell’Estensione, esistente in atto, e nient’altro»[14].
Se infatti il corpo non fosse l’oggetto della Mente umana, le idee delle affezioni del corpo non sarebbero in Dio e dunque non sarebbero nemmeno in noi, in quanto Dio costituisce l’essenza della nostra mente. Eppure noi abbiamo le idee delle affezioni del corpo, quindi il corpo è l’oggetto della nostra mente. Questo rapporto biunivoco tra l’ordine delle idee e l’ordine delle cose è stato definito parallelismo psicofisico e costituisce un nuovo modo filosofico di rappresentare il rapporto tra il corpo e la mente, che si differenzia da quello cartesiano della ghiandola pineale, da quello materialistico di Hobbes e da quello occasionalistico, secondo il quale materia e spirito pur essendo indipendenti, di fatto entrano in correlazione grazie all’intervento provvidenziale di Dio. Ebbene in Spinoza è l’ordine unitario dell’essere che garantisce e fonda la correlazione necessaria tra mente e corpo.
Secondo Damasio alla filosofia di Spinoza si deve la conquista della mente umana considerata alla luce di un meccanismo che realizza la «parità di statuto»[15] tra pensiero ed estensione. Lo studioso è particolarmente affascinato dal concetto spinoziano che la mente umana non possa percepire l’esistenza di un corpo esterno se non attraverso la modificazione del suo stesso corpo:
Qui Spinoza sta specificando una serie di dipendenze funzionali: sta dicendo che l’idea di un oggetto non può manifestarsi in una data mente in assenza del corpo o senza il verificarsi di determinate modificazioni a carico di quel corpo, causate dall’oggetto stesso[16].
Le implicazioni sul versante etico sono di immediata comprensione, perché dalla relazione mente-corpo deriva il concetto di passione e dei suoi affetti sul composto uomo:
La Mente e il Corpo sono una sola e medesima cosa che viene concepita ora sotto l’attributo del Pensiero ora sotto quello dell’Estensione. Per cui deriva che l’ordine, o la concatenazione delle cose, sono un’unica realtà , sia che la natura sia concepita sotto questo o quell’attributo e di conseguenza deriva che l’ordine delle azioni e delle passioni del nostro Corpo corrispondono per natura all’ordine delle azioni e delle passioni della Mente[17].
Là dove la ragione era assunta come specificazione essenziale, il proprium dell'uomo (animal rationale), le passioni, in stretta connessione con gli impulsi tipicamente ferini, finivano per essere l’elemento “perturbante”, ciò che adombra la cristallina chiarezza della razionalità e il suo orientamento al bene, perciò erano da evitare, sottomettere, estirpare. Spinoza rompe decisamente con questo schema antagonistico e propone di comprendere l'umano in tutte le sue articolazioni, analizzarlo sine ira et studio e riconoscere che le passioni, anche quelle tristi o turpi, appartengono alla natura dell'uomo, unità inscindibile di mente e corpo.
Lo sviluppo del pensiero filosofico giunge dunque, dal dualismo cartesiano al parallelismo psicofisico di Spinoza, la cui affascinante modernità ha generato temi e problemi ripresi poi dal padre della psicologia sperimentale, Wilhem Wundt, e dal padre della psicoanalisi, Sigmund Freud. Ma non si può non riconoscere il significativo contributo apportato verso la teorizzazione dell’uomo come unità inscindibile di mente e corpo, proprio da chi, inizialmente, aveva concepito separatamente il pensiero e l’estensione. L’evoluzione interna al pensiero cartesiano rappresenta proprio l’inarrestabile e progressiva maturazione del pensiero scientifico, che, strappando al magismo il tema degli affetti, conduce verso la delineazione di una nuova topica e un nuovo paradigma esplicativo dell’universo passionale, spingendo così il tema degli affetti verso una visuale razionale, nella quale ogni movimento dell’anima ha una sua precisa ragion d’essere, correlata al mondo fisico e spiegata in termini esclusivamente scientifici.
[1] R. Descartes, Compendium musicae, tr. it. Stilo editrice, Bari 2008, p. 89.
[2] G. Crapulli, Introduzione a Descartes, Laterza, Bari 1998, p. 196.
[3] R. Descartes, Le Passioni dell’anima, Saggio introduttivo, tr. it. Bompiani, Milano 2003, p. 18.
[4] Ibid., p. 29.
[5] A. Damasio, L’errore di Descartes. Emozione, ragione e cervello umano, tr. it. Adelphi 1995, p. 338.
[6] Ibid., p. 336.
[7] Ibid., p. 337.
[8] Ibid., p. 76.
[9] Ibid., p. 83.
[10] Ibid., p. 85.
[11] B. Spinoza, Etica, tr. it. Utet, Torino 2005, p. 154.
[12] Ibid., p. 85.
[13] Ibid., p. 139.
[14] Ibid., p. 142.
[15] A. Damasio, Alla ricerca di Spinoza. Emozioni, sentimenti e cervello, tr. it. Adelphi, Milano 2011, p. 254.
[16] Ibid., p. 255.
[17] B. Spinoza, Etica, cit., p. 192.