Autore
Antonio Camorrino
Dipartimento di Scienze Sociali - Unina
insegna Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università degli Studi di Napoli Federico II; docente di Sociologia dei nuovi media presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli; e docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso la Scuola di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Napoli Federico II
Indice
- L’elettricità e l’invisibile: le radici immaginali dell’universo digitale
- Presi nella Rete e abbagliati dall’Informazione: l’immaginario digitale, una mitologia dell’immateriale
- Brevi notazioni conclusive: un nuovo materialismo, il «disincanto» dell’universo digitale
S&F_ n. 18_2017
Abstract
Immateriality. Sociological Analysis of Digital Imagination
The widespread success of new communication technologies is inextricably linked to what by many has been called «digital revolution». This phenomenon is merely a step, albeit decisive, of a long process in which the symbolic dimension played a decisive role. It is therefore necessary, for a proper understanding of the issue, to pay particular attention to the imagery underlying the digital universe. For example, information technologies seem to give life to an intangible world, not governed by the same laws that govern reality: a sort of a new «enchantment» of the world, in short, seems to invest the digital world. Network and Information – the result of the electrification of the world process – are the main concepts of the framework of the digital imagery and, with their peculiar nature, contribute to reinforcing this state of affairs. Yet, although largely just in the elite circle of specialists, the digital world has been hit by growing criticism. These criticisms, among other things, aim to «disenchant» the digital universe, especially by revealing its material nature. The aim of this essay is to investigate, through an analytical reconstruction, the genesis of digital imagery focusing on the issue of immateriality/materiality.
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L’elettricità e l’invisibile: le radici immaginali dell’universo digitale
Il dilagante successo delle nuove tecnologie della comunicazione è inestricabilmente connesso con ciò che da più parti è stata definita «rivoluzione digitale». Le trasformazioni prodotte dalla digitalizzazione della vita sociale attengono evidentemente agli straordinari mutamenti materiali occorsi in sua conseguenza, ma non si limitano a questo. Tale fenomeno costituisce infatti solo una tappa, per quanto importantissima, di un lungo processo in cui la dimensione simbolica ha giocato un ruolo decisivo. In tal senso, la «rivoluzione digitale» ha una sua propria mitologia fondata su una narrazione di progresso sociale, economico e politico: le nuove tecnologie dell’informazione giocherebbero un ruolo determinante se non addirittura – si scusi il brutto gioco di parole – «deterministico» nella metamorfosi del reale. Il mero processo di digitalizzazione rappresenterebbe dunque una forza in grado di modificare radicalmente gli assetti sociali ed economici, le forme di organizzazione della vita umana e i centri del potere. Una mitologia, quella del digitale, che trova difatti incarnazione – cosa sociologicamente nient’affatto peregrina – in figure appartenenti al mondo tecnologico (si pensi a Steve Jobs e Bill Gates, a esempio): nell’edificazione dell’olimpo dei modelli esemplari – una sorta di «pantheon postmoderno» – l’universo informatico sembra in costante espansione quale miniera di «icone», a detrimento della sfera politica e artistica, principali organi generativi dell’immaginario sino a qualche decennio orsono[1]. È assai complicato quindi, se non proprio impossibile, comprendere le ragioni alla base dell’affermazione dell’universo digitale se si sottostimano le profonde tensioni immaginali che hanno attraversato il lungo corso della sua genesi. In effetti, a voler ripercorrerne a ritroso i momenti cruciali, si rischia seriamente di regredire all’infinito. Anche se di primo acchito quest’affermazione può apparire forzata, è sufficiente dedicarsi a un’analisi appena più approfondita, per accorgersi che non si tratta di una semplice boutade.
È certo inconfutabile che, in assenza del processo di elettrificazione del mondo, le nuove tecnologie della comunicazione e il digitale stesso, non si sarebbero resi neppure concepibili. L’incapsulamento dell’intero pianeta in una sorta di «sistema nervoso» elettrico[2] rappresenta una questione dalla portata gigantesca le cui implicazioni sono impossibili da sopravvalutare. Gli effetti di questa nuova condizione globale non si esauriscono però nella mera constatazione formale di un mondo tecnologicamente unificato. L’elettricità – cioè la conquista tecnica che ha permesso tutto ciò – dotata di una natura assai ambivalente, ha reintrodotto nel mondo l’invisibile che il «disincanto»[3] moderno sembrava aver scacciato una volta per tutte. Contestualmente alla diffusione di tale straordinaria innovazione si propagarono in misura via via crescente credenze apparentemente estranee al campo tecnologico. Veniva infatti emergendo una incipiente sensibilità nei confronti di forze sovraempiriche che sembravano attraversare il mondo. Come nota Ernst Benz, i convincimenti intorno alle forme e alle modalità con cui il trascendente avrebbe dovuto dar testimonianza del suo «esserci», si sposavano in modo sorprendente con la «estetica» dell’elettricità. Difatti, tutta la simbolica concernente la luce, l’invisibile e l’immateriale rinviavano congiuntamente alla fenomenologia elettrica e al farsi manifesto della figura divina, soprattutto per come il Creatore veniva originariamente rappresentato nell’interpretazione medievale delle Scritture. Se da un lato quindi l’elettricità (come il magnetismo) pareva rivelare la presenza di Dio nel mondo, dall’altro sembrava addirittura svelare le meccaniche della creazione. Insomma, vibranti tensioni escatologiche permeano l’immaginario elettrico sin dalla sua fase aurorale, certificando la «incestuosa» relazione tra il dominio scientifico e quello religioso[4] – relazione peraltro nient’affatto cessata ai giorni nostri. Il carattere luminoso dell’elettricità ricorda assai da vicino quello «numinoso»[5] della divinità. Tale identificazione si compie per il tramite dell’immaginario della luce, massima espressione della «trascendenza», della «purezza» e della «ascensione» sia nella tradizione religiosa che in quella politica[6]. Il fascino immaginale dell’elettricità discenderebbe dunque per un verso dall’associazione inconscia – associazione di chiara matrice mistica – della luce agli ideali di «elevazione» e «perfezione» e, per l’altro, dal carattere prodigioso delle sue potenzialità[7]. Per queste ragioni, come notano James W. Carey e John J. Quirk, si diffuse la convinzione che fosse alle porte una palingenesi sociale – cioè una rivoluzione dell’esistente per mezzo del superamento delle storture dell’industrializzazione – resa possibile dalla realizzazione della «electrical utopia». Questa narrazione, basata sulla «“rhetoric of the electrical sublime”», tratteggia l’avvento di una società nuova, prospera e armonizzata con la sfera naturale. In sostanza, l’elettricità, per le sue caratteristiche intrinseche – del resto non lontane da quelle proprie di una forza divina – assicurerebbe all’uomo una rinnovata comunione con la natura, per mezzo dell’abbattimento di ogni mediazione materiale del vecchio sistema industriale[8]. Risulta in tal senso assai significativo l’episodio risalente all’invenzione del telegrafo e alla trasmissione del suo primo messaggio che recitava, in una curiosa commistione di temi magico-scientifici: «What hath God wrought? (cosa è questa cosa di cui Dio è artefice)»[9].
La potenza simbolica della luce, che ne fa il simulacro del trascendente, sarebbe dunque trapassata nell’«immaginario tecnologico»[10] tardomoderno per mezzo delle tecnologie dell’informazione. Queste ricevono in dono – secondo la tesi sviluppata da Erik Davis – l’aura sacrale dell’immaterialità, aura rafforzata e consolidata dalla stessa natura «ibrida» che le costituisce: da un lato produzioni artificiali dell’umano, dall’altro mezzi che, in modo apparentemente invisibile, mettono in contatto i pensieri e le menti degli uomini. In definitiva l’Informazione avocherebbe a sé le proprietà misteriose di cui prima era portatrice l’elettricità ingenerando sul piano dell’immaginario collettivo reazioni emotive non dissimili. L’energia – costrutto concettuale che si presta a una notevole ambiguità – invade un pianeta, enorme campo elettromagnetico, oramai nuovamente «spiritualizzato». Per queste ragioni, se l’universo digitale eredita le qualità del mondo sovrasensibile, le tecnologie dell’informazione assurgono al contempo a vettori di un certo «tecnognosticismo»: alla materialità corrotta del mondo si oppone la purezza immateriale degli spazi virtuali[11]. Fatto, questo, esemplarmente chiarificato dal celeberrimo manifesto a opera di John Perry Barlow dove si perora la causa dell’estraneità degli universi virtuali alle leggi ordinarie che regolano la vita terrena giacché esse «sono basate sulla materia. Qui [nel cyberspazio] non c’è materia»[12]. Insomma, l’immaginario dell’Informazione – declinazione contemporanea della simbolica della luce e dell’elettricità – concorrerebbe a reincantare il mondo[13], trasfigurando la reale natura dell’universo digitale per mezzo di una sovradeterminazione del suo carattere etereo, virtuale e immateriale.
- Presi nella Rete e abbagliati dall’Informazione: l’immaginario digitale, una mitologia dell’immateriale
Impossibile disgiungere, com’è ovvio, ogni discorso sull’apparente immaterialità dell’universo digitale dal trionfo contemporaneo del World Wide Web. L’avvento di Internet è stato salutato, tale è la sua importanza, come l’evento spartiacque che inaugura una nuova epoca della storia umana: la «Età dell’informazione», nelle parole di Manuel Castells. Fortemente intrisa – soprattutto nelle sue fasi iniziali – da un profondo sentimento libertario tipico di una certa controcultura statunitense, la Rete sembrava prospettare un futuro solidale, la diffusione di un nuovo sentimento comunitario in grado, potenzialmente, di abbracciare l’intera umanità[14]. In effetti il «mito dell’informazione»[15] e della Rete costituiscono l’ossatura della struttura dell’immaginario digitale. Questi due universi concettuali assai sfuggenti rappresentano una riserva di metafore e simboli pressocché inesauribile capace di alimentare la pervicace credenza in un mondo tecnologico immateriale. Una struttura, si diceva, eccentrica però, considerata la sua natura apparentemente eterea. Sembra essersi consumato una sorta di processo di «sublimazione» per effetto del quale allo scenario industriale del Ventesimo secolo, caratterizzato da un certa cifra di «pesantezza», di sostanze inquinanti e fumo di ciminiere, succede un pesaggio di «leggerezza», pulizia e ineffabilità: di nuovo, la digitalizzazione pare rappresentare il climax della dinamica inaugurata dall’elettrificazione di cui raccoglie il lascito simbolico e di cui l’Informazione – «merce-non-merce» per eccellenza – rappresenta insieme alla Rete il fulcro immaginale[16].
L’Informazione – a cui abbiamo già accennato prima – irrompe nell’«universo simbolico»[17] della società tardo-moderna già nella seconda metà del Ventesimo secolo quando il «bit» si candida a divenire ordine di grandezza decisivo, «un’unità di misura fondamentale […al pari del] metro, […del] grammo, […del] litro e […del] minuto»[18]. Da allora l’Informazione assurge a perno intorno al quale è possibile ricostruire la nostra comprensione del mondo. Un concetto (ma anche un ente e un giacimento di metafore) in grado di spiegare a un tempo la costituzione dell’universo umano e di quello non umano – dai circuiti elettrici dell’ingeneria alla struttura del DNA della biologia molecolare – colonizzando trasversalmente tutti i campi della conoscenza. Non sorprende il fatto che l’immagine del mondo si trasformi in consonanza a questa profonda ristrutturazione cosmologica per cui alla creazione divina della visione premoderna, e al «grande orologio» del paradigma meccanicistico, segue nella fase attuale un scenario immaginale in cui l’universo assume le sembianze di una «macchina cosmica di elaborazione delle informazioni»[19]. In ultima istanza, le tecnologie dell’informazione reintroducono l’invisibile nel mondo, determinando una nuova fase di «coinvolgimento» nella quale il pianeta – sempre più incorporato in un universo tecnico apparentemente immateriale – pare sempre più soggetto a una sorta di «reincanto»[20].
La Rete da parte sua, per come questa viene rappresentata nell’immaginario contemporaneo, contribuisce in modo rilevante a «dematerializzare» l’universo digitale. Essa – come ben evidenzia Lucien Sféz – prendendo «vita» agli occhi del fruitore solo al momento dell’avvenuta connessione, rafforza il carrattere illusorio della sua «virtualità». Internet sembra insomma «esistere» in un dominio qualitativamente distinto dal reale, uno spazio-tempo che trascende l’ordinario e che pare legittimare la titolarità di uno statuto ontologico privilegiato che lo definisce allo stesso tempo come – nelle parole dell’autore – «quasi-oggetto» e «quasi-soggetto». Per questi motivi la Rete sembra costituire una forza autonoma, sovrapersonale, collocata in una interstiziale zona liminale tra il livello mondano e quello sovramondano, un medium dalle proprietà straordinarie in grado di mettere in comunicazione un piano «realmente materiale e [uno] realmente divino»[21]. La Rete inoltre – afferma Pierre Musso in suo dettagliato lavoro sul tema – sembrerebbe garantire agli uomini l’emancipazione dai lacciuoli della condizione materiale. Essa prospetta un’ascesi quasi religiosa per mezzo delle nuove tecnologie della comunicazione grazie alle quali il «cyberspazio come spazio illimitato delle reti d’informazione permette di circolare senza ostacoli in uno spazio puro, senza frizioni, etereo e virtuale»[22].
Un caso particolarmente chiarificatore dell’immaginario digitale inteso come «mondo immateriale» è quello del «cloud». La metafora della «nuvola» rinvia in modo paradigmatico a un universo impalpabile, volatile e pulito cui accediamo attraverso dispositivi portatili, poco ingombranti e dal design minimalista e curato[23]. D’altra parte, dismettere un’intera gamma di ingombranti prodotti tangibili, fabbricati con materiali altamente inquinanti e che occupano uno spazio fisico (si pensi agli hard disk esterni, alle pennette usb, etc.) e, contestualmente, risolvere ogni problema di stoccaggio dei dati «salvandoli» su una «nuvola» nel cielo di una misteriosa dimensione iperuranica, è cosa che ha notevoli implicazioni sull’immaginazione umana. La persuasione generale che le ICT avrebbero «dematerializzato la società» si è consolidata però anche in virtù dei futuristici scenari profilati da tecnologie (tutte connotate semanticamente per il possesso di un seducente suffisso «tele-») che avrebbe dovuto riformare gradualmente ma inesorabilmente l’intera organizzazione della sfera economica e del lavoro, riducendo energicamente la componente fisica della vita sociale[24].
Le immense possibilità squadernate dalla digitalizzazione determinano una fascinazione cui è difficile sottrarsi. L’annuncio di una nuova società della conoscenza dalle immense prospettive di crescita e con un ridottissimo fallout ambientale per merito di tecnologie dell’informazione dematerializzate in cui algoritmi e codici succedono allo smog e agli scarichi industriali, appare plausibile in virtù dell’aura incantatrice propria del «sublime tecnologico»[25]. Il «sublime tecnologico» tenderebbe dunque a mistificare agli occhi degli uomini lo stato delle cose, contrabbandando versioni edulcorate di una realtà invece assai meno idilliaca. Il mito del digitale come industria pulita sarebbe inoltre debitore all’immaginario ICT della Silicon Valley, paesaggio caratterizzato dall’assenza di ciminiere, simbolo da sempre dell’inquinamento della fabbrica moderna[26]. Ma, più in generale, il carattere virtuale dell’universo dell’Informazione distrae dalla sua natura materiale e, al contempo, dalla sua azione altamente inquinante[27]. Insomma il «sublime digitale» – per dirla con Vincent Mosco – sembrerebbe promettere l’emancipazione dalle stringenti regole che irreggimentano i quadri dell’esperienza terrena, producendo una radicale riarticolazione delle coordinate spazio-temporali. Un luogo sacro, impermeabile all’irruzione del male e con una infima ricaduta sull’ambiente, considerata la sua ontologia virtuale[28]. Del resto, volendo fare un necessario passo indietro a monte della ricostruzione di questa composita architettura immaginale, va evidenziato in una chiave di lettura più ampia – come fa Philippe Breton nei suoi importanti lavori – il ruolo ricoperto dalla «utopia della comunicazione» nella genesi dell’universo digitale.
Alla base di questa visione riposa una concezione ingegneristica della società interamente fondata sull’impianto teorico unificante della cibernetica. La comunicazione assurge a valore fondamentale poiché, in questa peculiare visione del mondo, una società può definirsi democratica, «buona» e «giusta», solo quando c’è garanzia di una trasmissione costante e trasparente di informazioni[29].
Il progresso della civiltà umana – cioè l’opposto delle barbarie in cui si è inabissata l’umanità al tempo della Seconda Guerra mondiale – diviene perseguibile solo in una «società dell’informazione», in cui questa narrazione dalle tonalità «religiose […] al mondo della materia e del territorio, [oppone] la leggerezza, la trasparenza, la luce»[30], cioè a dire, di nuovo, l’immaterialità.
- Brevi notazioni conclusive: un nuovo materialismo, il «disincanto» dell’universo digitale
In conclusione occorre sottolineare quanto l’immaginario digitale, inteso alla stregua di un universo immateriale, stia conoscendo da qualche anno un sintomatico periodo di crisi i cui effetti non possono essere sottostimati. In concomitanza con l’intervento di differenti variabili, questa mitologia sta lentamente ma inesorabilmente perdendo legittimità. Soprattutto la critica «verde» viene ponendo in risalto le gravi problematiche ambientali legate alle nuove tecnologie dell’informazione. Gli studiosi di più campi sono quindi impegnati a produrre dettagliate analisi sull’impatto che le ICT producono in modo crescente sulla biosfera. Al centro delle analisi soprattutto gli altissimi tassi di consumo di energia derivanti dalla digitalizzazione della vita sociale e la spinosa questione dell’e-waste, dello smaltimento, cioè, degli scarti elettronici. Per motivi di spazio è impossibile approfondire il tema in questa sede[31], ma è tuttavia opportuno acquisire questo dato come un utile indicatore di una più ampia trasformazione dell’immaginario. È infatti certamente istruttivo notare come l’universo delle tecnologie dell’informazione abbia goduto per un lasso di tempo considerevole di una «immunità simbolica» che ha rappresentato una sorta di «scudo metafisico» dalle invettive «green» invece non risparmiate a nessun altro settore della produzione industriale. Se questo è accaduto, vi sono motivi rintracciabili legati, per l’appunto, alla privilegiata dimensione immaginale del fenomeno. Il «sublime tecnologico»[32] ha di certo fatto la sua parte ponendo sotto una cupola incantata questo eccentrico universo di oggetti, conferendogli così una natura apparentemente immateriale. Ma, come abbiamo visto, anche l’Informazione e la Rete, precipitato materiale e simbolico dell’elettricità – forza invisibile così misteriosa – hanno concorso a conferire al mondo digitale questo particolare statuto ontologico. Eppure, anche se in massima parte solo presso la cerchia elitaria degli specialisti, l’universo digitale è investito da robuste spinte critiche che sembrano inchiodarlo alla sua materialità: un crescente vento di protesta viene denunciando l’illegittimità dell’«immunità simbolica» cui prima abbiamo fatto cenno, poiché il disincanto di un nuovo materialismo, abbattendosi su questo mondo finora intangibile, ne va svelando la concreta e nient’affatto innocua esistenza.
[1] G. Balbi, P. Magaudda, Storia dei media digitali. Rivoluzioni e continuità, Laterza, Roma-Bari 2014, pp. 144-147.
[2] M. McLuhan, Understanding Media. The Extension of Man, McGraw-Hill, New York 1964.
[3] M. Weber, La scienza come professione. La politica come professione (1917/1919), tr. it. Einaudi, Torino 2004.
[4] E. Benz, Teologia dell’elettricità (1989), tr. it. Medusa, Milano 2013.
[5] R. Otto, Il sacro (1917), tr. it. Se, Milano 2009.
[6] G. Durand, Le strutture antropologiche dell’immaginario. Introduzione all’archeotipologia generale (1972), tr. it. Dedalo, Bari 2013.
[7] G. Bachelard, La formazione dello spirito scientifico (1938), tr. it. Raffaello Cortina, Milano 1995.
[8] J. W. Carey, J. J. Quirk, The Mythos of the Electronic Revolution, in «The American Scholar», 39, 3, 1970, pp. 395-396.
[9] E. Fano, Devoti, eretici e critici del progresso, in D. Noble, La questione tecnologica, Bollati Boringhieri, Torino 1993, p. X.
[10] A. Camorrino, L’immaginario tecnologico. Un’analisi sociologica della cosmologia contemporanea, in «Im@go», 7, V, 2016.
[11] E. Davis, Techgnosis. Miti, magia e misticismo nell’era dell’informazione (1998), tr. it. Ipermedium, S. Maria C. V. (Ce) 2001, pp. 24, 60, 115 e sgg.
[12] Cit. in ibid., p. 126.
[13] G. Pecchinenda, La narrazione della società. Appunti introduttivi alla sociologia dei processi culturali e comunicativi, Ipermedium, S. Maria C. V. (Ce) 2009.
[14] M. Castells, Galassia internet (2001), tr. it. Feltrinelli, Milano 2006.
[15] G. Pecchinenda, op. cit.
[16] P. Ortoleva, Prefazione, in G. Balbi, P. Magaudda, Storia dei media digitali. Rivoluzioni e continuità, Laterza, Roma-Bari 2014, pp. VII-VIII.
[17] P. L. Berger, T. Luckmann, La realtà come costruzione sociale (1966), tr. it. Il Mulino, Bologna 2007.
[18] J. Gleick, L’informazione. Una storia. Una teoria. Un diluvio (2011), tr. it. Feltrinelli, Milano 2015, p. 12.
[19] Ibid., p. 17.
[20] G. Pecchinenda, op. cit., pp. 137-148.
[21] L. Sféz, Le réseau: du concept initial aux technologie de l’esprit contemporaines, in «Cahiers Internationaux de Sociologie», Nouvelle série, 106, 1999, Nouvelles évaluations, Nouveaux programme en science sociale, pp. 11, 14 e 16.
[22] P. Musso, L’ideologia delle reti (2003), tr. it. Apogeo, Milano 2007, p. 211.
[23] G. Balbi, La bugia del cloud, in «Segnali», 3, 2016.
[24] R. Maxwell, T. Miller, Greening the Media, Oxford University Press, New York 2012.
[25] Id., The Environment and Global Media and Communication Policy, in The Handbook of Global Media and Communication Policy, a cura di R. Mansell, M. Raboy Blackwell, United Kingdom 2011, p. 469.
[26] S. LeBel, Wasting the Future: The Technological Sublime, Communications Technologies, and E-waste, in «communication +1», 1, 7, 2012, p. 7.
[27] J. Lewis, T. Boyce, Climate Change and the Media: The Scale of the Challenge in Climate Change and the Media, a cura di T. Boyce, J. Lewis, Peter Lang, New York Washington, D.C./Baltimore, Bern, Frankfurt 2009, p. 5.
[28] V. Mosco, The Digital Sublime Myth, Power, and Cyberspace, The MIT Press Cambridge, Massachusetts London, England 2004.
[29] P. Breton, L’utopia della comunicazione. Il mito del «villaggio planetario» (1992), tr. it. UTET, Torino 1996.
[30] P. Breton, La société de l'information: de l'utopie au désenchantement, in «Revue européenne des sciences sociales», 40, 123, 2002, La société de l'information état des lieux: XVIIIe colloque annuel du Groupe d’Étude «Pratiques Sociales et Théories», Actes édités par Gérald Berthoud, p. 38 (trad. mia).
[31] Ho approfondito la questione in un saggio di prossima pubblicazione.
[32] D. E. Nye, American Technological Sublime, The MIT Press Cambridge, Massachusetts London, England 1994.