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Speculazioni e testabilità in cosmologia: in difesa del metodo

Autore


Giovanni Covone – Luca Lo Sapio

Università degli Studi di Napoli Federico II

Giovanni Covone è docente di Cosmologia Osservativa e Fisica delle Galassie presso il Dipartimento di Fisica “E. Pancini” dell’Università degli Studi di Napoli Federico II Luca Lo Sapio ha conseguito il titolo di Dottore di ricerca in Bioetica presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II

Indice


  1. Introduzione
  2. Il modello cosmologico standard
  3. I problemi aperti in Cosmologia
  4. Le onde gravitazionali e il test del modello inflazionario
  5. Conclusioni

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S&F_ n. 18_2017

Abstract


Speculation and testability in cosmology: in defense of the method


The direct detection of the gravitational waves offers new means for the exploration of the cosmos: we can investigate the centre of supernovae, the physics of black holes and gamma flashes, and even push (in the future) our gaze at the early stages of life of the Universe. Cosmological research has allowed us to establish a robust framework of the structure and evolution of the Universe. However, some of his foundations are still mysterious as they were twenty years ago: the nature of dark matter or the value of the fundamental physical constants. Some theoretical proposals for solving these problems are based on theoretical entities beyond any possible verification, perhaps even in principle, fueling the controversy about the state of scientificness of part of contemporary theoretical physics. After briefly presenting the state of current knowledge in cosmology, we will introduce the problems of philosophical interest discussed in the community of physicists and cosmologists. Finally, we discuss the possibilities offered by the forthcoming gravitational wave observations. In this contribution, therefore, we focus our attention on the general picture of the universe provided by cosmology, the short-term prospects and the discussion of the epistemological value of some theoretical attempt.


Philosophical choices necessarily underly cosmological theory.
Unavoidable metaphysical issues inevitably arise in both observational
and physical cosmology. Philosophical choices are needed
in order to shape the theory.

G.F.R. Ellis, Issues in the philosophy of cosmology

 

 

  1. Introduzione

La cosmologia fisica, lo studio scientifico del Cosmo[1], è una scienza giovane. Ma nel volgere di un secolo, è passata dall’essere una disciplina quasi prettamente speculativa a una scienza empirica. Il grande progresso tecnologico applicato all’osservazione del cielo ci permette di osservare ogni galassia brillante nell’Universo e di osservare indietro nel tempo fino quasi all’epoca della formazione delle prime stelle.

Questo stesso progresso ha trasformato i buchi neri, ad esempio, da enti teorici nei modelli fisici del mondo esterno, a oggetti “reali”, che possono essere rivelati attraverso prove dirette (le onde gravitazionali).Inoltre, la recentissima osservazione diretta delle onde gravitazionali promette di ampliare l’orizzonte dell’indagine empirica fino ai primi istanti post Big Bang, e, verosimilmente, di indagare la realtà anche di enti teorici più astratti, previsti nelle teorie della formazione dell’Universo.

La data di nascita della cosmologia fisica può essere fissata a un secolo fa, nel 1917, quando Albert Einstein, nel pieno della guerra che sconvolgeva l’Europa e della sua creatività scientifica, scriveva un lavoro in cui la teoria della Relatività Generale, pubblicata solo l’anno prima, veniva applicata all’intero cosmo.

La Relatività Generale è una teoria geometrica della gravitazione: spazio e tempo non sono più lo sfondo assoluto su cui avvengono i fenomeni fisici, ma entità dinamiche. I fenomeni gravitazionali sono manifestazioni della curvatura dello spaziotempo: lo spazio-tempo agisce sulla materia, determinandone il moto. La materia agisce sullo spazio, determinandone la curvatura[2].

L’espressione matematica di questa relazione, nel linguaggio elegante e potente del calcolo tensoriale, è



dove sul lato sinistro dell’equazione ci sono i termini che definiscono la geometria dello spazio: il tensore di Einstein G descrive la curvatura dello spaziotempo; g è il tensore metrico;è la costante cosmologica. Sul lato destro dell’equazione, il termine che descrive le sorgenti fisiche del campo gravitazionale, il tensore energia-impulso, T.

Nel 1917 l’esistenza delle galassie non era nota: la Via Lattea appariva essere l’unico sistema stellare nel cosmo, un immenso «universo isola» di forma approssimativamente discoidale. Le prime dispendiose osservazioni spettroscopiche delle «nebulae» (a opera di Vesto Slipher e altri, a partire dal 1912)[3] avevano rivelato gli spostamenti verso il rosso degli spettri (redshift), ma questa caratteristica appariva come una inspiegabile curiosità. Einstein considera, quindi, un Universo popolato da una distribuzione omogenea di stelle e statico. Infatti, nessun ricercatore, nemmeno Einstein, metteva in dubbio che l’Universo, globalmente considerato, fosse un sistema senza storia. Solo pochi decenni prima Darwin aveva ipotizzato l’evoluzione delle specie viventi, ma il pregiudizio diffuso era che l’Universo non avesse avuto origine. Einstein condivide questo pregiudizio[4], e ciò gli impedisce di accettare una conseguenza naturale della sua teoria: l’espansione dell’Universo. Per costruire un modello statico, allora, Einstein introduce nelle equazioni di campo il termine di costante cosmologica e assume che esso abbia un valore che bilancia esattamente la densità media di materia osservata.

Entro pochi anni, i lavori teorici di Friedmann (1922) e Lemaitre (1927)[5] e i progressi nella misura della distanze cosmologiche (basati principalmente sulla scoperta di Henrietta Leavitt che le stelle variabili Cefeidi sono una classe di “candele standard”)[6] permettono di stabilire che l’Universo è in una fase di espansione, e quindi un sistema fisico in evoluzione.

Oggi, alla fine del 2017, la cosmologia è una scienza vitale, grazie in particolare agli importanti progressi osservativi degli ultimi due decenni. I risultati osservativi hanno portato all’affermazione di un modello cosmologico standard, basato sull’audace estensione della fisica locale alla struttura su larga scala dell’universo. Secondo questo modello, l’universo si è evoluto da uno stato iniziale di densità e temperatura estremamente elevate, espandendosi e raffreddandosi, dando origine a strutture su diverse scale: ammassi di galassie, galassie, stelle.

Questa estrapolazione delle teorie esistenti, dal laboratorio dove sono state verificate allo spazio cosmico, è possibile grazie a due ipotesi. La prima è che le leggi fisiche siano le stesse in ogni luogo e ogni tempo, dall’origine del cosmo. La seconda è che le nostre teorie siano valide anche in condizioni fisiche diverse da quelle dove sono state sperimentate direttamente (i laboratori terrestri e il Sistema Solare). In particolare, l’estensione della Relatività Generale su scale di distanze circa 14 ordini maggiori rispetto a quelle su cui è stata testata sperimentalmente richiede due nuovi ingredienti, nessuno dei due necessario nella descrizione dei fenomeni fisici nel Sistema Solare: la materia oscura e la costante cosmologica[7].

Scopo di questo articolo è la discussione di alcuni problemi concettuali alla base del modello standard e di alcune questioni di metodo che appaiono importanti quando la ricerca cosmologica si spinge in territori dove la verifica empirica dei modelli teorici è limitata[8].

 

 

  1. Il modello cosmologico standard

Descriviamo brevemente il modello cosmologico standard. Abbiamo menzionato che l’estensione della Relatività Generale al Cosmo comporta necessariamente l’introduzione di due nuovi elementi: la materia oscura e la costante cosmologica. Da qui il termine comunemente usato per indicare il modello cosmologico, LCDM. L sta per “lambda”, Λ, il simbolo comunemente usato per indicare la costante cosmologica; DM per Materia Oscura (Dark Matter). Infine, C sta per freddo (cold): il presente scenario teorico, che descrive la formazione dei sistemi gravitazionalmente legati su scala cosmica (ammassi di galassie e galassie), richiede che la materia oscura sia composta di particelle cinematicamente «fredde», ossia caratterizzate da basse velocità (basse rispetto alla velocità della luce, che in fisica è considerata l’unità di “misura naturale” della velocità).

Il modello cosmologico LCDM poggia su due pilastri: il cosiddetto Principio Copernicano e la Relatività Generale. Fondato sulla convinzione che il nostro luogo di osservazione non sia un luogo speciale, il Principio Copernicano afferma che a ogni fissato istante, tutti gli osservatori nell’Universo osserverebbero le stesse proprietà generali della struttura su larga scala. In effetti, la Terra appare essere un luogo di osservazione privilegiato: le caratteristiche fisiche sul nostro pianeta non sono comuni nell’Universo, hanno permesso lo sviluppo di forme di vita complesse, e, se non unica, la vita intelligente sembra essere quantomeno rara. Tuttavia, nella vasta scena cosmica, non abbiamo motivo di ritenere che il nostro pianeta sia, in quanto luogo di osservazione, speciale: osservatori in altri galassie, osserverebbero le stesse proprietà medie della struttura su larga scala[9].

Dato il Principio Copernicano, dalla isotropia della distribuzione di materia intorno a noi è possibile dedurre l’omogeneità della struttura su larga scala. La distribuzione su grande scala delle galassie è praticamente isotropa e isotropa è la radiazione cosmica di fondo (Cosmic Microwave Background, CMB). Si può dimostrare che uno spazio isotropo intorno a ogni suo punto è necessariamente omogeneo[10].

Due osservazioni sono necessarie a questo punto. La prima è che il Principio Copernicano non è una scelta “a priori”, come ritenuto in passato, ma verificabile osservativamente. Quando fu introdotto in modo rigoroso tra i fondamenti della cosmologia fisica[11], esso fu presentato come un’opzione filosofica[12], non direttamente falsificabile[13]. Ma recentemente alcuni autori hanno dimostrato la possibilità di verificare direttamente l’omogeneità dello spazio[14]: oggi, quindi, è possibile sottoporre a indagine empirica anche questo punto fondamentale del discorso cosmologico.

La seconda osservazione riguarda la semplicità matematica del modello cosmologico costruito sulle ipotesi di omogeneità e isotropia. Assumendo, in accordo con il principio Cosmologico, un Universo spazialmente omogeneo, le dieci equazioni differenziali di campo a derivate parziali della Relatività Generale si riducono a due sole equazioni differenziali, ordinarie, le cosiddette equazioni di Friedmann:



e



In queste equazioni, lo spaziotempo è descritto dal fattore di scala R(t), funzione del tempo, dal fattore di curvatura spaziale k (valori possibili -1, 0, 1) e dalla costante cosmologica . Il fattore di scala R rappresenta la distanza fra due osservatori fondamentali[15]. Il contenuto di materia ed energia è descritto dalla densità  e dalla pressione p[16]. Anche queste grandezze sono funzioni soltanto del tempo: in accordo con il Principio Cosmologico, esse sono grandezze omogenee. È interessante osservare che le soluzioni delle equazioni di Friedmann furono trovate entro dieci anni dalla pubblicazione della Relatività Generale. Queste soluzioni, note come soluzioni di Friedman-Lemaître-Robertson-Walker (FLRW), costituiscono la base dei modelli cosmologici tuttora utilizzati.

L’analisi delle equazioni di Friedmann rivela due importanti caratteristiche dei modelli cosmologici. La prima: essi sono modelli dinamici, in cui il fattore di scala cambia nel tempo. Nel suo primo lavoro cosmologico, Einstein era riuscito a ottenere una soluzione statica solo scegliendo un valore ben preciso della costante cosmologica (in modo da bilanciare esattamente l’effetto della densità di materia), ma sorprendentemente non riconobbe che questa soluzione non era stabile[17].

La seconda osservazione: dato che l’universo è attualmente in una fase di espansione, le equazioni di Friedmann implicano che l’espansione sia iniziata in un determinato istante nel passato, in cui il fattore di scala R è nullo (singolarità iniziale). L’Universo si è quindi evoluto da uno stato iniziale a elevata densità e temperatura, l’“Uovo primordiale” di Lemaitre[18] o Big Bang.

L’ipotesi generalmente condivisa nella comunità dei cosmologi è che i primi istanti siano stati caratterizzati da una fase di rapidissima espansione, nota come “fase inflazionaria”. Questa ipotesi[19] risolve alcuni problemi del modello del Big Bang. In particolare, in questa sede è interessante discutere brevemente il problema della isotropia della radiazione di fondo. Se osserviamo verso direzioni diametralmente opposte nel cielo, troviamo regioni della CMB (Cosmic Microwave Background) che hanno la stessa temperatura: in altre parole sono in equilibrio. Eppure queste regioni, data la loro distanza relativa e la dinamica delle soluzioni di FLRW, non avrebbero mai potuto essere in contatto causale tra loro per stabilire tale configurazione di equilibrio. Come mai hanno, allora, la stessa temperatura? La configurazione osservata nella radiazione cosmica di fondo è il risultato di una particolare condizione iniziale (in cui esiste un elevato grado di omogeneità) oppure di un meccanismo fisico che ha reso omogenea una situazione iniziale generica?

Una condizione inizialmente pressoché omogenea appare una soluzione insoddisfacente al fisico teorico medio. Si preferisce quindi introdurre un meccanismo che produca una configurazione finale quasi omogenea a partire da condizioni iniziali generiche[20].

Questo è reso possibile dall’introduzione nelle equazioni di campo di Einstein di un nuovo termine di sorgente, affianco al tensore energia-impulso: un campo scalare[21], l’inflatone, che (quasi come una molla fortemente compressa che spinga le pareti della scatola in cui è chiusa) fornisce l’energia per una rapida ed esponenziale espansione dell’Universo, tanto da determinare un aumento del suo volume di circa 1078 volte in circa 10−32 secondi[22].

Alla fine dell’inflazione, quando la temperatura dell’Universo scende al di sotto di un dato valore, il campo scalare decade[23] dando origine alla radiazione elettromagnetica e alle particelle elementari che formano gli atomi.

La natura fisica dell’ipotetico campo scalare è ignota: questa non può essere determinata da osservazioni nell’Universo attuale[24] e soprattutto non disponiamo ancora di una teoria fondamentale della natura che permetta di dedurne in modo necessario le caratteristiche.

Tuttavia, l’inflazione permette di spiegare le fluttuazioni che misuriamo nella radiazione cosmica di fondo. Queste osservazioni non dimostrano che l’inflazione sia la teoria giusta e non riducono nemmeno di molto il campo dei possibili modelli teorici ma, tuttavia, sono in accordo con le previsioni delle versioni più semplici della teoria[25].

Ma la stessa fase inflazionaria non può essere l’inizio della storia. Infatti, l’estrapolazione dei modelli FLRW fino ai primi istanti di vita dell’Universo incontra un problema fondamentale: la Relatività Generale non può essere applicata a tempi arbitrariamente piccoli (circa 10−33 secondi dopo la singolarità iniziale), dato che in questo regime l’universo avrebbe dovuto avere dimensioni così piccole (paragonabili alla lunghezza di Planck)[26] da rendere necessaria una descrizione quantistica della gravità. In assenza di una teoria quantistica della gravità[27], non possiamo descrivere le primissime fasi di vita dell’Universo. In altre parole, “non sappiamo nulla” è l’unica posizione scientificamente valida sulla primissima fase di vita dell’Universo.

L’Universo primordiale, per circa 380000 anni dopo la singolarità iniziale, è inaccessibile ai nostri telescopi. In questo periodo, infatti, la temperatura era troppo elevata per permettere l’esistenza di atomi: la luce non poteva propagarsi liberamente su grandi distanze, interagendo con le particelle cariche libere (protoni ed elettroni), rendendo l’Universo opaco alla radiazione elettromagnetica.

Circa 380000 anni dopo la singolarità iniziale, però, la temperatura scende abbastanza da rendere possibile la formazione degli atomi di idrogeno[28]: la radiazione elettromagnetica può finalmente propagarsi indisturbata, formando la cosiddetta radiazione cosmica di fondo[29]. Quest’ultima costituisce probabilmente il singolo dato osservativo più importante in cosmologia. La sua scoperta nel 1965 costituì una fondamentale prova a supporto della teoria del Big Bang, e ogni progresso osservativo ha marcato un importante passo in avanti nella comprensione del cosmo. A oggi, lo stato dell’arte è dato dalle osservazioni del satellite Planck.

Il quadro generale, sinteticamente descritto, appare robusto ed è generalmente condiviso nella comunità scientifica. Il modello cosmologico standard è corroborato dalla sua compatibilità con un crescente numero di osservazioni. Infatti, viene spesso indicato nella letteratura scientifica come “concordance model”, per sottolineare che varie osservazioni astrofisiche indipendenti sembrano tutte convergere verso la stesso scenario, quando interpretate nell’ambito della Relatività Generale.

L’esistenza della costante cosmologica è dedotta dalla espansione accelerata del cosmo, determinata tramite le misure delle distanze delle galassie lontane[30]; l’esistenza della materia oscura è conseguenza della dinamica delle galassie e dei fenomeni luminosi noti come “lensing gravitazionale”. Infine, il carattere “non relativistico” della materia oscura è dedotto dalla storia della formazione delle strutture cosmiche: solo la materia oscura non relativistica (“fredda”) avrebbe potuto portare, nei circa 14 miliardi di anni dall’epoca della ricombinazione, alla formazione di galassie e ammassi di galassie, a partire dai semi iniziali.

I parametri fondamentali del LCDM sono ben vincolati e, in alcuni casi, misurati con elevata precisione. L’esempio notevole è la misura della costante di Hubble, il parametro cosmologico che determina il tasso di espansione del cosmo. Una recente misura diretta[31] ha permesso di determinare la costante di Hubble con un errore inferiore al 3%[32], precisione inedita per un parametro cosmologico.

Un ulteriore supporto al “concordance model” è fornito dalle simulazioni numeriche su scala cosmologica. Le simulazioni numeriche sono oggi uno strumento indispensabile in fisica dei sistemi complessi, quando i metodi matematici analitici non sono adeguati. In particolare, in cosmologia, sono usate per studiare come la formazione delle strutture cosmiche proceda dalle fluttuazioni primordiali di densità (osservate nella CMB). Le simulazioni numeriche stanno rapidamente diventando uno strumento standard per testare l’attuale paradigma cosmologico.

C’è quindi un consenso molto diffuso nella comunità scientifica sul fatto che il modello cosmologico standard offra non solo una descrizione approssimativamente corretta della struttura ed evoluzione dell’Universo, ma che questa descrizione sia sostanzialmente vera. Vera nel senso che gli enti fisici da essa ipotizzati saranno rivelati in laboratorio (in particolare, le particelle che costituiscono la materia oscura) e che una teoria fondamentale che spieghi l’origine della fase inflazionaria sia a portata di mano.

In questa visione, la maggior parte dei cosmologi è impegnata a risolvere problemi nell’ambito di un paradigma dato come necessario. Ma già da questa breve esposizione sono evidenti alcuni problemi di fondo: qual è la natura della materia oscura? Qual è la natura fisica del campo scalare responsabile dell’inflazione? Come spiegare i particolari valori osservati delle costanti fisiche fondamentali (il problema del fine-tuning)?

La questione cruciale è se questi problemi possano essere risolti nell’ambito dello schema teorico oggi generalmente accettato, o se essi siano un indizio per prendere in considerazione idee alternative per interpretare i dati astronomici.

Nella prossima sezione discuteremo brevemente il problema dell’inflazione e del “multiverso”, una controversa idea speculativa introdotta per dare ragione delle caratteristiche particolari dell’Universo osservato[33].

 

  1. Alcuni problemi aperti

3.1 L’inflazione: un paradigma testabile?

Il consenso diffuso nella comunità dei cosmologi è che l’Universo osservato sia il risultato di fluttuazioni quantistiche espanse su scala macroscopica durante la fase inflazionaria.

 

  1. c) La natura fisica fondamentale della sorgente fisica del campo scalare è ignota.

La speranza è che la natura del campo scalare sia dedotta da una teoria più fondamentale della natura (come la gravità quantistica o la teoria delle stringhe), oppure che evidenze sperimentali di un campo scalare siano trovate negli esperimenti condotti nel Lar

a) La teoria inflazionaria è evidentemente una teoria incompleta.

L’inflatone, l’ente fisico introdotto per spiegare l’inflazione è necessario solo nell’ambito dell’inflazione stessa, senza alcuna connessione evidente con la fenomenologia della fisica delle particelle. Quella dell’inflatone appare, dunque, come una ipotesi ad hoc, simile all’etere nella fisica di fine Ottocento, responsabile della sola propagazione delle onde elettromagnetiche e senza alcun altro effetto fisico.

 

b) L’inflazione è uno scenario teorico piuttosto che una teoria ben definita.

Non esistono ragioni fisiche fondamentali che determinino la scelta dell’espressione matematica dell’energia potenziale del campo fra le infinite possibili. Quindi, non è ancora possibile dedurre da principi primi i dettagli della dinamica della fase inflazionaria. In letteratura si trovano centinaia di diversi modelli di inflazione: nell’“Encyclopaedia Inflationaris”, Martin et al.[34], al 2013, catalogano centinaia di modelli di inflazione.

 

c) La natura fisica fondamentale della sorgente fisica del campo scalare è ignota.

La speranza è che la natura del campo scalare sia dedotta da una teoria più fondamentale della natura (come la gravità quantistica o la teoria delle stringhe), oppure che evidenze sperimentali di un campo scalare siano trovate negli esperimenti condotti nel Large Hadron Collider, l’acceleratore di particelle al CERN di Ginevra. Il campo scalare associato al bosone di Higgs è l’unica grandezza di questo tipo a oggi nota in natura[35]. Certamente, una manifestazione dell’inflatone negli esperimenti al LHC fornirebbe una prova del legame fra la cosmologia e la fisica delle particelle elementari e la possibilità di un test diretto delle teorie sulle prime fasi di vita dell’universo[36].

 

d) L’inflazione non è uno scenario teorico falsificabile.

Un recente lavoro mostra il confronto fra le previsioni teoriche di 193 modelli diversi di inflazione e i dati del satellite Planck[37],limitandosi solo alle espressioni matematiche più semplici del campo scalare[38]. Il confronto con i dati esclude solo un terzo circa dei modelli; circa il 26% dei modelli, con 15 diverse scelte possibili del potenziale scalare, è compatibile con le osservazioni.La conclusione (non esplicitata nel lavoro) è che, qualunque fossero state le osservazioni pubblicate dalla collaborazione Planck, sarebbe stato comunque disponibile in letteratura un modello adeguato a “salvare il fenomeno”[39].

Il problema, d’altra parte, è ben noto anche agli esponenti più importanti della disciplina: in un simposio dedicato alle recenti osservazioni della radiazione cosmica di fondo (Harvard CMB Symposium, 2014), alla domanda se l’inflazione fosse falsificabile, Alan Guth rispose: «I think that is kind of a silly question. […] I think inflation is too flexible of an idea for that to make sense».

e) Un’ipotesi “ad hoc”?

L’inflatone risolve diversi problemi fondamentali, eppure non ha altre conseguenze osservative o sperimentali nell’Universo osservabile oggi. Esso è la “causa” sia della rapida espansione iniziale dell’Universo, sia della formazione di tutta la materia e radiazione presente intorno a noi. Eppure, la teoria non ci dice dove guardare per verificarne la realtà. Questo non esclude che una delle molteplici variazioni del modello sia un giorno verificabile e che l’idea sia sostanzialmente corretta (i.e., che l’inflatone si manifesti come un ente fisico reale). Tuttavia, l’idea sembra pericolosamente ad hoc.

Si assiste quindi a una iper-produzione[40] di lavori, con innumerevoli variazioni del modello di base, in cui solo pochissimi dei modelli inflazionari proposti finora hanno una base fisica. In genere, viene proposta una forma matematica ad hoc per l’energia potenziale del campo scalare e si calcolano poi (con i procedimenti matematici standard delle equazioni di Eulero-Lagrange) le conseguenze fisiche osservabili. La calcolabilità diventa quasi l’unico criterio di giustificazione di un’ipotesi matematica, altrimenti arbitraria, e quindi criterio di scientificità[41].

La causa fondamentale dello sviluppo di questa industria patologica è probabilmente sintetizzata nel motto “publish or perish” che ogni accademico conosce bene. Il successo scientifico di un ricercatore viene misurato principalmente con il numero di pubblicazioni e citazioni, incoraggiando pratiche nefaste per la ricerca scientifica, come la pubblicazione di lavori marginali, che discutono dettagli matematici all’interno di scenari teorici condivisi dalla comunità, senza sfidare i problemi di fondo della teoria. D’altra parte, dedicare tempo e risorse ad affrontare un problema fisico fondamentale è implicitamente scoraggiato: il rischio di non avere prodotto abbastanza pubblicazioni dopo pochi anni è troppo grande per un giovane ricercatore all’inizio della sua carriera.

f) È possibile falsificare il modello inflazionario con nuovi dati?

Le fluttuazioni quantistiche avrebbero prodotto non solo variazioni casuali nella distribuzione di energia del campo scalare (osservate su scala macroscopica nella radiazione di fondo), ma anche deformazioni dello spazio che si sarebbero poi propagate nell’Universo in forma di onde gravitazionali, una volta terminata la fase inflazionaria. Può la eventuale osservazione di queste onde gravitazionali primordiali fornire la prova, la “smoking gun”, la possibile falsificazione delle teorie inflazionare? Torneremo su questo argomento nella prossima sezione.

 

3.2 Il problema del “fine tuning” e il multiverso

Nelle leggi fisiche figura un certo numero di costanti il cui particolare valore non può essere al momento dedotto da una teoria fondamentale della Natura. Tuttavia, i valori osservati di tali costanti appaiono necessari per rendere possibile la vita come la conosciamo: valori di poco diversi avrebbero portato a un universo inospitale per la vita. Questo problema è noto come problema del “fine tuning”[42].

Per brevità menzioniamo solo due esempi dalla vasta letteratura sul tema. Nel mondo delle particelle elementari la differenza di massa tra protone e neutrone è fortemente vincolata. Si può dimostrare[43] che se la massa del neutrone fosse anche leggermente minore, questo renderebbe possibile il decadimento del protone e, quindi, impossibile la formazione di atomi stabili[44].

Un secondo esempio, sulla scala cosmica, è dato dal valore della costante cosmologica. Non disponiamo al momento di una teoria che permetta di prevederne il valore. Argomenti generali basati sulla gravità quantistica suggeriscono un valore di gran lunga superiore a quello misurato nelle osservazioni astronomiche. Tuttavia, se il valore della costante cosmologica fosse anche di poco superiore a quello misurato, le strutture cosmiche non avrebbero potuto formarsi[45]. Weinberg ha usato questo argomento proprio per predire con successo il valore della costante[46].

Esistono due diverse possibilità per la soluzione del problema del “fine tuning”. Si può argomentare che una soluzione sarà data da una futura “teoria del tutto”, in cui sarà possibile dedurre i valori numerici delle costanti fisiche fondamentali.

Un’altra possibilità è quella offerta dall’idea del “multiverso”, l’ipotetico insieme di tutti gli universi realmente esistenti. L’idea fondamentale è che il nostro Universo osservabile non sia l’unico: esisterebbe una moltitudine (potenzialmente infinita) di universi, ognuno dei quali caratterizzato da valori diversi delle costanti fisiche o addirittura da diverse leggi fisiche, e in genere non connessi causalmente.

L’idea del multiverso è sorta in modo indipendente in diversi contesti[47]. In cosmologia, esso è associato ad alcune particolari modalità dell’inflazione o alla teoria delle stringhe. Il modello inflazionario caotico prevede la possibilità che la fase inflazionaria abbia caratteristiche diverse in diverse regioni dello spazio, generando diversi domini in cui l’espansione ha momenti di inizio e durate diverse, generando universi separati. In questo contesto, si parla di dominii o bolle: in ognuno di essi, le costanti fondamentali della fisica avrebbero valori differenti. Il problema degli specifici valori numerici delle costanti fisiche non viene quindi spiegato in modo necessario, nell’ambito di una teoria della natura, ma si ipotizza che tutti i valori siano possibili, in qualche dominio del multiverso.

In connessione con il cosiddetto Principio Antropico[48], si ottiene, quindi, anche una spiegazione per l’esistenza della vita. Infatti, in molti degli infiniti universi possibili, la combinazione casuale di tali valori darebbe origine a universi senza la possibilità di formare stelle o galassie, inospitali per la vita; in altri domini, simili al nostro, la combinazione dei vari parametri fisici, invece, è tale da permettere la vita[49]. Pertanto, non ci sarebbe nulla di speciale o di necessario nel nostro universo: esso è semplicemente una delle infinite possibilità nel panorama del multiverso. L’idea di multiverso presenta però molti importanti problemi concettuali, scientifici ed epistemologici.

a) La nozione di multiverso è basata su teorie ipotetiche e non verificate.

La speculazione è il risultato di teorie fisiche (inflazione, teoria delle stringhe)[50] che non possono essere ancora testate sperimentalmente e quindi che non sono verificate a un qualche livello.

b) Il multiverso non è una conseguenza inevitabile dello scenario inflazionario.

Solo alcuni modelli dell’inflazione (ad esempio, l’inflazione caotica) comportano la possibilità del multiverso, e l’evidenza attuale dalla radiazione cosmica di fondo (vedi sezione 3.1) per l’inflazione non è evidenza per uno specifico modello. Notiamo inoltre che l’inflazione caotica passa dal tentativo di spiegare (come necessario) questo universo al rendere possibili tutti gli universi immaginabili.

c) Non è possibile un’indagine empirica del multiverso.

L’unica verifica empirica possibile dell’idea del multiverso è attraverso osservazioni nel nostro dominio. In questo caso non si possono pensare test diretti volti a corroborare l’idea, ma si può solo cercare di dimostrare l’esistenza di coerenze fra l’idea del multiverso e le osservazioni che possono essere fatte in questo universo. Inoltre è necessario assumere (senza possibilità di verifica empirica) che il mondo osservabile sia il risultato tipico o probabile nella varietà del multiverso.

 

d) Il concetto di probabilità sottende gran parte del discorso nella cosmologia moderna.

Evidenziamo qui un problema fondamentale[51] che meriterebbe maggiore approfondimento nella letteratura scientifica: la nozione di “fine tuning” sottintende la nozione di probabilità, in base alla quale valutare la improbabilità dei valori numerici che incontriamo nelle nostre equazioni. Senza definire una distribuzione di probabilità a priori, i discorsi sul multiverso perdono senso. Questa nozione non è mai definita, non esiste una maniera deduttiva per ricavarla da principi primi. Se anche fosse possibile, la sua esistenza implicherebbe una fisica, una legge superiore che ne determini le caratteristiche. Questo porta alla prossima e definitiva obiezione.

e) I problemi posti dalle limitate conoscenze attuali non sono risolti, ma rimandati.

Quale legge determina lo spazio delle possibilità del multiverso? Ossia: cosa determina il numero, le caratteristiche, la diversità dei singoli domini? Il problema fondamentale della cosmologia (perché questo universo?) non viene risolto ma semplicemente spostato a un livello superiore (perché questo multiverso?). Potremmo dire che il problema viene nascosto sotto il tappeto o, se si preferisce, spostato oltre l’orizzonte dell’Universo osservabile.

 

  1. Le onde gravitazionali e il test del modello inflazionario

Nel settembre del 2015, la collaborazione LIGO ha annunciato la rivelazione diretta delle onde gravitazionali[52]. È il punto di arrivo di una storia scientifica avvincente e l’inizio di una nuova era per l’esplorazione razionale del cosmo. La storia della ricerca delle onde gravitazionali è la storia di generazioni di ricercatori, impegnati da decenni nella costruzione degli interferometri LIGO e VIRGO. Il primo articolo[53] porta la firma di oltre mille autori. E alcuni di questi ricercatori, che avevano contribuito all’impresa scientifica dal suo inizio, non ne hanno visto il successo finale.

L’importanza dell’osservazione diretta delle onde gravitazionali non risiede tanto nella conferma della previsione della teoria della Relatività Generale. Nel 1993 infatti, l’osservazione del sistema binario di stelle di neutroni PSR1913+16 aveva già fornito una prova indiretta ma convincente della loro esistenza, tanto da giustificare l’assegnazione del Premio Nobel 1993 ai due autori della scoperta, Joseph Taylor e Russell Hulse[54]. L’importanza dell’osservazione diretta risiede piuttosto nell’avere aperto una nuova finestra per indagare il cosmo.

Le onde gravitazionali interagiscono molto debolmente con la materia, e infatti sono estremamente difficili da rivelare. Ma significa anche che possono viaggiare su scale cosmiche senza essere assorbite come la radiazione elettromagnetica. Questa caratteristica rende possibile l’osservazione diretta dell’Universo a epoche precedenti al momento della ricombinazione, quando l’Universo era opaco alla radiazione elettromagnetica ma trasparente alle onde gravitazionali. In altre parole, le onde gravitazionali permettono di vedere più indietro nel tempo rispetto alle radiazioni elettromagnetiche.

Può questa nuova finestra sui primi istanti di vita del mondo esterno permettere di testare teorie speculative sull’origine dell’Universo, come l’inflazione o magari la gravità quantistica? La produzione di onde gravitazionali nella fase di espansione esponenziale è una previsione di tutti i modelli di inflazione[55]. Pertanto, l’eventuale osservazione delle onde gravitazionali primordiali potrebbe costituire la prova diretta, la smoking gun della teoria dell’inflazione, un modo per studiare le caratteristiche del campo scalare primordiale. L’inflatone diventerebbe un oggetto “reale” come i buchi neri.

Le onde gravitazionali previste nello scenario inflazionario coprono un ampio spettro di lunghezze d’onda, da pochi centimetri alla dimensione stessa dell’Universo osservabile, con energia concentrata a lunghezze d’onda maggiori. Questo rende necessario per la loro rivelazione una nuova generazione di interferometri, su una dimensione lineare non realizzabile sulla Terra, ma nello spazio. Il primo osservatorio spaziale di onde gravitazionali sarà il Laser Interferometer Space Antenna (LISA), un progetto della European Space Agency, il cui lancio è previsto nel 2034. Il LISA sarà costituito da tre satelliti, sistemati ai vertici di un triangolo equilatero con lato di 2.5 milioni di km, posto in orbita eliocentrica. Come negli interferometri terrestri, la distanza fra i satelliti varia in conseguenza del passaggio di un’onda gravitazionale.

Potrà, quindi, LISA potenzialmente falsificare la teoria fisica dell’inflazione o almeno restringere in modo significativo il campo delle possibilità teoriche? Un elemento di dubbio è dato dalla considerazione che nel panorama dei modelli dell’inflazione è possibile trovare predizioni corrispondenti a ampiezze e spettri molto differenti per le onde. Anche la storia della presunta scoperta (per via indiretta) delle onde gravitazionali primordiali da parte della collaborazione BICEP[56], nel marzo 2014, ci porta a essere cauti su questo punto. È interessante ripercorrere brevemente quella vicenda scientifica.

Il 17 marzo 2014, in una conferenza stampa tenuta presso l’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics, la collaborazione BICEP annuncia di avere osservato nella radiazione cosmica di fondo il segnale indiretto delle onde gravitazionali primordiali[57]. È l’annuncio di una scoperta epocale, la conferma diretta della sostanziale correttezza dello scenario inflazionario e l’inizio dell’epoca dell’esplorazione empirica dell’Universo una frazione di secondo dopo la sua origine. La scoperta di «un telegramma in forma di onde gravitazionali inviatoci dall’Universo appena nato» (nelle parole di Marc Kamionkowski, Johns Hopkins University) viene riportata con dovuta enfasi dai giornali[58] di tutto il mondo. L’entusiasmo è grande nella comunità dei fisici teorici: mentre la cautela avrebbe dovuto consigliare di attendere analisi indipendenti anche da parte di altri esperimenti, si proclama di avere osservato la prova diretta della realtà dell’inflazione, dell’inizio dell’epoca “sperimentale della gravità quantistica” e persino l’evidenza dell’esistenza del multiverso. A. Linde, uno dei principali esponenti, afferma che «these results are a smoking gun for inflation, because alternative theories do not predict such a signal».

Nelle settimane successive, analisi indipendenti mettono in luce alcuni gravi problemi nell’interpretazione dei dati. In particolare, ricercatori esterni alla collaborazione BICEP dimostrano che era stato trascurato l’effetto della polvere interstellare sulla radiazione di fondo. L’analisi dei dati della CMB rappresenta una sfida tecnica e scientifica notevole, in cui è necessario comprendere l’effetto di molteplici fenomeni fisici che possono generare caratteristiche simili sulla CMB. La polvere nello spazio interstellare attraverso cui la radiazione si propaga induce anch’essa un effetto di polarizzazione. L’effetto dovuto alla polvere deve essere quindi sottratto, prima di poter affermare l’evidenza di onde gravitazionali primordiali nel fenomeno osservato.

Pochi mesi dopo, la pubblicazione della collaborazione Planck conferma che i dati dello strumento BICEP2 sono inconclusivi: non c’è evidenza alcuna di onde gravitazionali primordiali nei dati raccolti finora.

La reazione di parte della comunità dei fisici teorici alla smentita della scoperta è sorprendente: la quasi totalità di essi conferma la propria fiducia nei modelli teorici anche in assenza di un segnale di onde gravitazionali. Ad esempio, lo stesso Linde, in un’intervista al New Scientist (19 giugno 2014), in contrasto con quanto sostenuto in precedenza, afferma: «I don’t like the way gravitational waves are being treated as a smoking gun. If we found no gravitational waves, it wouldn’t mean inflation is wrong» L’affermazione mette in evidenza una nuova idea sul modo di fare scienza: l’esperimento non può mai dimostrare che la teoria dell’inflazione è sbagliata; tutto quello che farà è indicare quale delle innumerevoli varietà della teoria è esclusa, essendo sempre un’altra innumerevole varietà ancora in gioco. Il problema di fondo emerso nella vicenda dell’annuncio prematuro di BICEP è che lo scenario inflazionario appare essere troppo flessibile per poter essere falsificato.

Di fronte alle critiche sullo status di scientificità della teoria[59], si diffonde nella comunità scientifica la tentazione di ridefinire il concetto stesso di scienza. Alcuni fisici e filosofi[60] propongono un superamento del criterio di testabilità empirica come criterio di demarcazione della scienza: in assenza di verifiche empiriche, una teoria fisica potrebbe trovare conferma semplicemente nella sua capacità esplicativa e nella sua coerenza matematica. In sostanza, in cosmologia e fisica delle particelle staremmo assistendo alla nascita di una “scienza post-empirica”, in cui la speculazione (benché matematicamente fondata) può fare a meno della verifica sperimentale.

Il dibattito non riguarda semplicemente la teoria dell’inflazione o l’ipotesi del multiverso, ma piuttosto la natura della stessa impresa scientifica[61]. La polemica astratta diventa in questo caso una battaglia culturale di più ampie proporzioni, perché i tentativi di esentare le teorie speculative dell’Universo dalla verifica sperimentale minano la scienza stessa. Se, in assenza di ogni verifica sperimentale, accettiamo il carattere esplicativo di un’ipotesi come unico criterio di scientificità (come nel caso del multiverso), come potremmo difendere la scienza dall’attacco delle molte discipline pseudoscientifiche[62]?

  1. Conclusioni

La cosmologia è unica fra le scienze naturali.

  1. È unico il suo oggetto di studio: esiste un solo universo. Questo rende problematico il concetto di legge fisica, essendo difficile distinguere fra ciò che è contingente e ciò che è necessario. La stessa distinzione tra dato iniziale e legge fisica diventa confusa[63].
  2. L’oggetto da essa indagato è né più né meno la totalità entro la quale tutti gli altri oggetti si danno.
  3. È l’unica, fra le scienze fisiche, il cui oggetto di indagine si situa nel passato[64].
  4. Essa spinge la scienza ai suoi limiti. Infatti speculare sull’origine dell’Universo o sulla possibile esistenza di altri universi rappresenta un avvicinamento alle colonne d’Ercole della scienza. In altri termini, essa è costretta ad andare in territori dove l’indagine scientifica incontra un limite.

Quali sono le conseguenze di questa unicità della disciplina, nel rapporto con la filosofia e nel rapporto col metodo scientifico?

Abbiamo sottolineato che il tentativo di esentare del tutto le teorie speculative dell’Universo dalla verifica empirica costituisce una minaccia per la scienza stessa. Va precisato, però, che in alcuni casi la tendenza a sganciare l’indagine cosmologica da un ancoraggio al piano empirico può essere (anche) un sintomo di vitalità della disciplina, piuttosto che di un suo indebolimento: per questi motivi, la cosmologia esibisce una connessione non estrinseca con la speculazione e la filosofia.

Non va trascurato, infatti, che la cosmologia ha preso sulle proprie spalle un’eredità pesante. Quella di fornire risposte a interrogativi che l’uomo occidentale si è posto sin da Anassimandro[65]: perché il nostro universo presenta le caratteristiche che osserviamo? Il nostro è l’unico universo possibile? Perché si è sviluppata sulla Terra una forma di vita intelligente?

Così, se da un lato l’abbandono della verifica sperimentale e l’emergere di modelli teorici puramente speculativi rappresentano un pericolo per la tenuta della scienza cosmologica, dall’altro le speculazioni potrebbero costituire, purché se ne riconosca la natura filosofica, una fucina di idee dalle quali, poi, seguendo il metodo scientifico, elaborare modelli aderenti al piano empirico e riconducibili entro un’idea di scienza accettabile.

In particolare, sottolineiamo qui la possibilità di una terza via rispetto alle posizioni, inconciliabili, per cui la speculazione è da rigettare in quanto estranea alla scienza oppure, al contrario, da valorizzare in quanto espressione di un nuovo modo di fare scienza, non più legato alla necessità della testabilità empirica. In tal senso, la speculazione può rappresentare uno strumento euristico efficace per la formazione di idee e quadri teorici, in alcune circostanze utili per il successivo sviluppo di teorie scientifiche. Ad esempio, le speculazioni post-empiriche pur non potendo essere usate per confermare una teoria, possono invece dare indicazioni valide in merito all’opportunità di continuare la ricerca lungo alcune linee teoriche ancora lontane dal confronto con i dati.

La cosmologia è una disciplina scientifica in cui, per la natura peculiare dell’oggetto di indagine, la speculazione non può essere espunta del tutto e in cui, anzi, talvolta essa va, entro certi limiti, promossa. Non si tratta, allora, di eliminarla ma di riconoscerne il ruolo e il valore per la scienza. Si tratta, ci sia concessa questa suggestione, di ritornare allo spirito di Anassimandro, per stringere una nuova alleanza in cui speculazione, filosofia e cosmologia possano coesistere.

 

 


[1] In questo articolo, Cosmo e Universo sono (non casualmente) usati come sinonimi. L’Universo è sorprendentemente un Cosmo, un sistema regolato da un ordine compreso in modo approssimativo, ma, tuttavia, innegabile e investigabile. Concordiamo, pertanto, con Einstein quando afferma che «The eternal mystery of the world is its comprehensibility». L’affermazione è contenuta nell’articolo di A. Einstein, Physics and reality (cfr. A. Einstein, Physics and reality, in «Journal of the Franklin Institute», 221, 1936, pp. 349-382).

[2] Cfr. C.W. Misner, K.S. Thorne, J.A. Wheeler, Gravitation, W.H. Freeman and Company, San Francisco 1973.

[3] Cfr. E. Harrison, Cosmology: The science of the Universe, Cambridge University press, Cambridge 20002.

[4] Citiamo ad esempio A. Eddington: «Philosophically, the notion of a beginning of the present order of Nature is repugnant to me … I should like to find a genuine loophole» (in A. Eddington, The End of the World: From the Standpoint of Mathematical Physics, in «Nature», 127, 1931, pp. 447-453).

[5] Cfr. E. Harrison, op. cit.

[6] Le candele standard sono sistemi astrofisici la cui luminosità è nota a priori e la cui distanza può, quindi, essere dedotta dal flusso luminoso misurato al telescopio. Le stelle variabili e le supernovae di tipo Ia sono affidabili candele standard.

[7] Non ci soffermeremo sul problema della natura della costante cosmologica (o dell’energia oscura). Riteniamo infatti che questo problema sia di natura diversa da quello posto dall’esistenza della materia oscura e che l’introduzione di una grandezza dinamica come l’energia oscura non sia affatto richiesta dalle osservazioni cosmologiche attuali. Per una discussione del tema cfr. E. Bianchi, C. Rovelli, F. Vidotto, Towards spinfoam cosmology, in «Physical Review D», 82, 2010, p. 084035 (consultabile anche al link https://arxiv.org/abs/1003.3483).

[8] Per una discussione degli aspetti critici della prassi nella ricerca contemporanea in cosmologia, si veda ad esempio D. Merritt, Cosmology and convention, in «Studies in History and Philosophy of Science Part B, Studies in History and Philosophy of Modern Physics», 57, 2017, pp. 41-52.

[9] Come vedremo più avanti, il cosiddetto Principio Antropico propone una diversa centralità per la vita intelligente.

[10] Questo è spesso noto come il Principio Cosmologico, ma, in effetti, esso deriva dal Principio Copernicano (Cfr. E. Harrison, op. cit.).

[11] Cfr. H. Bondi, Cosmology, Dover publications, New York 20102.

[12] In questo contesto l’espressione “opzione filosofica” assume il significato specifico di “opzione aprioristica”.

[13] Una data affermazione A non è “direttamente falsificabile” se è possibile falsificare l’impianto teorico costruito su di essa, piuttosto che l’affermazione stessa.

[14] Cfr. C. Clarkson, B. Bassett and T.H.C. Lu, A general test of the Copernican Principle, in «Physical Review Letters», 101, 2008, p. 0111301 (consultabile anche al link https://arxiv.org/abs/0712.3457v2). La difficoltà maggiore di questi test risiede nel fatto che (data la velocità finita della luce) esplorare regioni distanti del cosmo equivale a esplorare epoche diverse nella storia del cosmo, in cui si prevede che la densità media di quest’ultimo sia diversa. A ogni diversa epoca l’Universo è omogeneo, ma i valori medi delle grandezze che lo caratterizzano (densità, temperatura, etc..) sono dipendenti dal tempo (i.e., l’Universo evolve).

[15] Un osservatore fondamentale è un osservatore situato in un certo punto dell’universo e a riposo rispetto alla materia circostante. In prima approssimazione, le galassie possono essere considerate localmente a riposo e, quindi, “osservatori fondamentali”.

[16] Queste due grandezze non sono indipendenti. Per ogni diversa componente materiale, esiste una relazione data dall’equazione di stato che caratterizza il comportamento microscopico della materia.

[17] In un universo instabile, qualunque minima variazione della densità di materia o della costante cosmologica conduce a un universo in espansione o in contrazione.

[18] G. Lemaître, Un Univers homogène de masse constante et de rayon croissant rendant compte de la vitesse radiale des nébuleuses extra-galactiques, in «Annales de la Société Scientifique de Bruxelles», 47, 1927, pp. 49-59. Vedi anche, per una sintesi della storia della cosmologia, E. Harrison, op. cit.

[19] Il primo lavoro in cui l’idea appare descritta in dettaglio è D. Kazanas, Dynamics of the universe and spontaneous symmetry breaking, in «Astrophysical Journal Letters» 241, 1980, pp. L59-L63. Il più citato lavoro di A. Guth è successivo (A.H. Guth, Inflationary universe: a possible solution to the horizon and flatness problems, in «Physical Review D», 23, 1981, pp. 347-356).

[20] Per una visione diversa, in cui una condizione iniziale semplice è un non problema si veda, però, S. Hossenfelder, Lost in math. How beauty leads physics astray, Basic Books, New York 2018.

[21] Un campo scalare è una grandezza fisica caratterizzata da un valore numerico per ogni punto dello spazio, come la temperatura o la densità di energia.

[22] Queste stime differiscono tuttavia fra le diverse versioni del modello inflazionario.

[23] Il decadimento è un fenomeno fisico spontaneo in cui una particella in uno stato instabile si trasforma in altre particelle meno massive.

[24] Esso non è presente nell’Universo attuale dato che sarebbe scomparso nel processo di decadimento.

[25] J. Martin et al., The best inflationary models after Planck, in «Journal of Cosmology and Astroparticle physics», 1403:039, 2014 (consultabile anche al link https://arxiv.org/abs/1312.3529).

[26] La lunghezza di Planck è l’unità naturale di lunghezza nel mondo microscopico, ricavata a partire da tre costanti fisiche fondamentali: la velocità della luce, la costante di Planck e la costante di gravitazione universale. Il suo valore corrisponde a circa 1,616252x10-35 m.

[27] Per una introduzione accurata e, tuttavia, non tecnica al problema della gravità quantistica, si veda il primo capitolo di C. Rovelli e F. Vidotto, Covariant Loop Quantum Gravity. An elementary introduction to Quantum Gravity and Spinfoam Theory, Cambridge Monographs on Mathematical Physics, Cambridge 2015.

[28] In cosmologia, questo evento è noto come “ricombinazione”. Va detto, tuttavia, che il termine appare fuorviante: prima di tale epoca, protoni ed elettroni non erano, infatti, legati (combinati) in atomi. D’altro canto, come molta parte della terminologia astronomica, il nome resiste per motivi storici.

[29] La radiazione cosmica di fondo ha la sua massima intensità alla lunghezza d’onda corrispondente alle microonde, da cui il nome.

[30] Cfr. ad esempio P.J.E. Peebles, B.R. Bharat, The cosmological constant and dark energy. in «Reviews of Modern Physics», 75, 2003, pp. 559-606 (consultabile anche al link https://arxiv.org/abs/astro-ph/0207347).

[31] Non entriamo nel dibattito relativo alla distinzione fra misura diretta e indiretta. È utile, tuttavia, per il seguito della discussione dare una definizione potenzialmente condivisa dalla gran parte dei fisici: parliamo di misura diretta di una quantità A se il rilevatore misura la quantità A; parliamo di misura indiretta se il rilevatore misura B e si utilizza una relazione tra A e B per ottenere A.

[32] A.G. Riess et al., A 2.4% Determination of the Local Value of the Hubble Constant, in «The Astrophysical Journal», 826, n. 56, 2016 (consultabile anche al link https://arxiv.org/abs/1604.01424). È importante notare che al momento esiste una discordanza piccola, ma statisticamente significativa, fra il risultato di questa misura diretta con le misure indirette ottenuta dalla collaborazione Planck.

[33] Per una discussione critica dell’ipotesi della materia oscura, rimandiamo a P. Kroupa, The dark matter crisis: falsification of the current standatrd model in cosmology, in «Publications of the Astronomical society of Australia», 29, 4, 2012, pp.395-433 (consultabile anche al link https://arxiv.org/abs/1204.2546).

[34] J. Martin et al., Encyclopaedia Inflationaris, in «Physics of the Dark Universe», 5, 2013, pp. 75-235.

[35] Non è, pertanto, casuale se alcuni autori hanno proposto l’identificazione fra il campo scalare di Higgs e l’inflatone.

[36] En passant, ricordiamo che la scoperta di un nuovo campo scalare negli esperimenti ha lasciato aperto il problema dell’identificazione con il campo scalare responsabile dell’inflazione.

[37] J. Martin et al., The best inflationary models after Planck, cit.

[38] Semplicità (come bellezza) è un termine vago. In questo contesto, gli autori hanno considerato soltanto i potenziali con un singolo campo scalare.

[39] Si veda anche A. Ijjas, P.J. Steinhardt, A. Loeb, Pop goes the universe, in «Scientific American», 316, 2, 2017, pp. 34-39.

[40] «There has developed what I consider to be a pathological industry dreaming up countless variations of the basic inflation model. [...] few of which have any physical motivation whatsoever», P. Coles, Inflationary Perturbation, consultabile al link https://telescoper.wordpress.com/2017/05/11/inflationary-perturbation/.

[41] Cfr. S. Hossenfelder, Lost in math. How beauty leads physics astray, cit.

[42] Per una introduzione al tema cfr. G.F.R. Ellis, On the philosophy of cosmology, Talk at Granada meeting, 2011, consultabile al link http://citeseerx.ist.psu.edu/viewdoc/download?doi=10.1.1.694.576&rep=rep1&type=pd.

[43] P.C.W. Davies, The Accidental Universe, Cambridge University Press, Cambridge 1982.

[44] Non esiste al momento alcuna evidenza empirica del decadimento dei protoni.

[45] Qualitativamente, la costante cosmologica agisce come un termine repulsivo. Un valore grande della costante cosmologica avrebbe aumentato l’espansione dell’Universo e impedito la formazione di strutture gravitazionalmente legate.

[46] S. Weinberg, The cosmological constant problem, in «Reviews in Modern Physics», 61, 1989, pp. 1–23.

[47] Kuhn ne elenca ben sette diverse classificazioni (L.R. Kuhn, Why this Universe? Toward a taxonomy of possibile explanation, in «The Skeptic», 13, 2007, pp. 28-39).

[48] Esiste una vasta letteratura sul tema. Cfr. ad esempio J.D. Barrow, F.J. Tipler, Il principio antropico (1986), tr. it. Adelphi, Milano 2002. Qui ci limitiamo a considerare una versione debole del principio, secondo la quale l’esistenza stessa di un osservatore sulla scena cosmica implica una forte selezione sulle osservazioni cosmologiche possibili. Ad esempio: non è possibile attendersi un valore nullo della costante cosmologica (vedi S. Weinberg, The cosmological constant problem, cit.).

[49] È interessante ricordare che alcuni autori saltano senza difficoltà dall’evidente fatto empirico (la vita esiste) a una interpretazione teistica (l’universo è opera intenzionale di una creatore). Ad esempio, Paul Davies, all’interno del suo modello inflazionistico, parla di un Creatore intelligente che ha generato l’universo esattamente per supportare la complessità e l’emergenza dell’intelligenza.

[50] In questo articolo ci concentriamo sulla nozione di multiverso che sorge come frutto di teorie di interesse cosmologico. Non affrontiamo quindi ad esempio la proposta di Everett che nasce da una particolare interpretazione dei fenomeni della meccanica quantistica. Notiamo en passant che non esiste alcuna base per identificare fra di loro i multiversi prospettati dalle diverse citate speculazioni.

[51] Cfr. G.F.R. Ellis, The domain of cosmology and the testing of cosmological theories, in The Philosophy of Cosmology, Cambridge University Press, Cambridge 2017.

[52] Cfr. l’articolo di Annalisa Allocca in questo numero della rivista.

[53] B.P. Abbott et al., Observation of Gravitational Waves from a Binary Black Hole Merger, in «Physical Review Letters», 116, 061102, 2016, pp. 1-16.

[54] J.M. Weisberg, J.H. Taylor, L.A. Fowler, Gravitational waves from an orbiting pulsar, in «Scientific American», 245, 4, 1981, pp. 74–82.

[55] M. Guzzetti et al., Gravitational waves from inflation, in «Rivista del Nuovo Cimento», 39, 2016, pp. 399-495.

[56] Background Imaging of Cosmic Extragalactic Polarization (BICEP) è un esperimento dedicato alla misura della cosiddetta polarizzazione della radiazione cosmica di fondo. A partire dal 2006 si sono seguite diverse generazioni di strumenti: BICEP1, BICEP2, Keck Array e BICEP3.

[57] È previsto che le onde gravitazionali prodotte nella fase inflazionaria lascino una traccia caratteristica nella radiazione cosmica di fondo (costituitasi circa 400mila anni dopo, al momento della ricombinazione), producendo un segnale di polarizzazione.

[58] Ad esempio, “Space Ripples Reveal Big Bang’s Smoking Gun” è il titolo in prima pagina del New York Times nello stesso giorno.

[59] Lo stesso dibattito si sviluppa in relazione alla teoria delle stringhe, una proposta teorica tesa a fornire una descrizione unitaria della meccanica quantistica e della relatività generale.

[60] Ad esempio, cfr. R. Dawid, String Theory and the Scientific Method, Cambridge University Press, Cambridge 2013.

[61] G.F.R. Ellis, J. Silk, Scientific Method: Defend the integrity of physics, in «Nature», 516, 2014, pp. 321-323.

[62] Un elenco parziale include creazionismo, astrologia, omeopatia, etc..

[63] Cfr. G.F.R. Ellis, The domain of cosmology and the testing of cosmological theories, cit. Dal momento che esiste un solo universo risulta problematico affermare che le leggi fisiche sarebbero potute essere diverse da come sono o, al contrario, che le leggi fisiche non sarebbero potute essere diverse da come sono. A questo proposito, ad esempio, è interessante menzionare la tesi del filosofo francese Quentin Meillassoux, per il quale la necessità della contingenza va posta come unica verità assoluta (da cui il corollario della contingenza delle leggi fisiche). Alla luce di quanto detto tale tesi non sembrerebbe fondata, né sotto il profilo logico, né fisico [cfr. Q. Meillassoux, Dopo la finitudine. Saggio sulla necessità della contingenza (2012), tr. it. Mimesis. Milano-Udine 2012].

[64] Essendo la velocità di propagazione della luce finita noi vediamo i corpi celesti per come essi erano nel momento in cui partiva il segnale luminoso. Per esempio, la luce del Sole impiega circa 8 minuti a raggiungere la Terra, sicché noi lo osserviamo come esso era 8 minuti fa.

[65] Rimandiamo a tal proposito al volume di C. Rovelli, Che cos’è la scienza. La rivoluzione di Anassimandro, Mondadori, Milano 2011.

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