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Postumano. Il corpo tra psicoanalisi, biopolitica, realtà virtuale e arte

Autore


Luca Lo Sapio

Università degli Studi di Napoli "Federico II"

Indice


 

Istituto italiano per gli Studi Filosofici
Napoli, 27 maggio 2016

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S&F_n. 16_2016

Abstract


Posthuman. The Body between Psychoanalysis, Biopolitics, virtual Reality and Art


The posthuman has become a topic of central interest for the definition of certain key-elements of Western thought. The May 27, 2016 in Naples an interesting meeting has been held, in which various speakers discussed on the effects that post-human and posthumanism have been producing in art, philosophy, psychoanalysis and literature. In particular, it was shown that the posthuman is a complex issue that requires multiple strategies to be addressed and understood effectively. The posthuman evokes fears and hopes and in particular it is directly connected with the vocation of man to self-transcendence, a somehow natural tendency which is leading to a general reorganization of Western man’s identity structures and to a general reshaping of his profound imagery.

  1. Postumano e nuovi percorsi di identità

Nel manifesto del postumano stilato da Robert Pepperell nel 1995 apprendiamo che «oggi gli uomini non sono più la cosa di maggior importanza nell’universo. Questo è qualcosa che gli umanisti devono ancora accettare […]. I corpi umani non hanno confini»[1]. Il termine postumano venne utilizzato, per la prima volta, nel catalogo di una mostra che si tenne a Losanna nel 1992. Jeffrey Deitch, gallerista e curatore della mostra, aveva introdotto questo neologismo per mettere a fuoco l’affermarsi di alcune tendenze generali nella costruzione di nuove coordinate di definizione della soggettività, che partendo dall’arte potevano poi avere diramazioni significative nella società e nella cultura in senso ampio. Così da neologismo usato in ambito artistico postumano è divenuto un termine-chiave per comprendere alcuni snodi del mondo attuale. In effetti, l’idea di fondo degli autori che si richiamano a questo termine, pur con cadenze differenti e con registri espressivi peculiari, è che l’uomo, sotto molteplici riguardi, avrebbe esaurito la sua parabola e che, pertanto, dovremmo prepararci alla strutturazione di una idea di uomo e umanità non più legate alle dicotomie del pensiero tradizionale (corpo-anima, materia-spirito, interno-esterno, etc.). Idee di uomo e umanità, in altri termini, aperte a forme complesse di ibridazione dove la componente dell’alterità non-umana (vuoi questa declinata nei termini dell’antropodecentramento evocato da Marchesini nella sua critica all’antropocentrismo e allo specismo, vuoi nei termini della cyborghizzazione richiamata da A. Clarke) diventa centrale per la costruzione di percorsi di identità inediti.

 

  1. Postumano tra arte, immaginario e riflessione filosofica

Il 27 maggio 2016 all’Istituto italiano di Studi filosofici a Napoli, la Scuola Lacaniana di Psicoanalisi del Campo freudiano (Slp), l’Istituto Freudiano per la Clinica, la Terapia e la Scienza e l’Istituto Italiano per lo Studio e lo Sviluppo del Territorio, sotto la regia organizzativa di Gabriele Grisolia e Fulvio Sorge hanno dato vita a un appuntamento in cui il tema del postumano è emerso in tutta la sua polisemia e ricchezza tematica. Gli interventi di questa giornata di studi, infatti, si sono strutturati avendo come centro focale l’idea che il postumano costituisce una sorta di humus, di minimo comune denominatore, a partire dal quale si diramano percorsi di riflessione estremamente complessi e articolati, che abbracciano l’arte, la psicoanalisi e l’indagine sul corpo, la riflessione teoretica, la riflessione politologica, la letteratura e la fantascienza, la biologia e l’antropologia.

 Fulvio Sorge, in apertura del convegno, ha ricordato come il postumano sia il termine di riferimento di una nuova filosofia nella quale il corpo viene visto come una pastoia da superare, qualcosa di obsoleto dal quale l’uomo è destinato, in un futuro non troppo lontano, a liberarsi. In particolare, postumano evoca la trazione al futuro che è presente nella nostra specie. Una trazione che è foriera di progresso ma anche, in taluni casi, di minacce e preoccupazioni da non sottovalutare. E allora, una riflessione a tutto campo sul tema del post che accompagna l’uomo occidentale non può che mettere in luce le innumerevoli diramazioni entro le quali si sviluppa e matura una inedita consapevolezza circa il destino dell’uomo e la sua posizione all’interno della realtà. A questo proposito, le riflessioni di Davide Tarizzo danno delle utili indicazioni per contestualizzare il “fenomeno postumano”. Quest’ultimo, infatti, ha innanzitutto evidenziato lo stato di “crisi della filosofia” e dei suoi modelli di comprensione della storia e dell’uomo. Una crisi, che assume talvolta la forma di uno “girare a vuoto”, senza agganci o ancoramenti oggettivi e che ha trovato la sua espressione specifica nella pregnanza del prefisso “post” che compare in molti segmenti del pensiero contemporaneo, dal post-strutturalismo al postmoderno fino ad arrivare, appunto, al post-umanesimo. Quello che sarebbe importante notare in questo tipo di discorsività-post è la logica che vi è sottesa. Il post, di fatto, ricodifica la parola che precede. Ma che cosa succede quando il prefisso va a ricodificare un intero campo discorsivo, come nel caso del postumano? Quello che avviene è, in effetti, una dislocazione del campo discorsivo. Nel postmoderno, ad esempio, gli stessi enunciati del moderno vengono (quasi parodisticamente) svuotati di senso. Il postumano, come per altro mette in luce Rosy Braidotti richiamata a più riprese da Tarizzo, non è solo ciò che viene dopo l’umanesimo. Esso è, in verità, ciò che sdoppia l’umanesimo, ovvero lo recupera, in un certo senso, contro se stesso. Ci sono, infatti, due binari paralleli nella stessa catena argomentativa. Da un lato il postumano prende le distanze dall’antiumanismo, il quale in realtà si porta dietro grossi pezzi di umanesimo, ossia di valori che sono tipici di una visione che associamo generalmente all’umano. Dall’altro, però, il postumanesimo si scopre anche autenticamente umanistico. Non è casuale, in tal senso, il recupero fatto da molti teorici del postumano, del concetto-valore della libertà. E la libertà, guarda caso, è tema centrale di qualsiasi umanesimo. E allora il postumanesimo, più che una posizione antiumanista, viene a configurarsi come una nuova concezione della soggettività. Una concezione in cui la soggettività è divisa da se stessa ed entro se stessa. Il postumanismo, in altri termini, è un pensiero della differenza. Ma in definitiva cosa comporta questo sdoppiamento e, ancora, quale riposizionamento viene a emergere per l’“homo novus”? Ebbene, se da un lato il potenziale emancipativo e la capacità di smuovere una certa idea, statica, di soggettività possono essere visti come effettivi guadagni per il pensiero e la riflessione filosofica, non va tuttavia trascurato che i nuovi percorsi aperti dalla tecnologia, dalla realtà virtuale, dall’ampliamento per la/della definizione di umano a elementi altri (protesi, impianti bionici, etc.) dovrebbero suggerci di valutare anche i potenziali rischi e le ricadute sull’uomo e sulla sua capacità di autonarrazione. È questo, nelle sue linee fondamentali, l’argomento sviluppato da Fabio Ciaramelli, per il quale il rischio principale, in questo complesso processo ridefinizionale dell’uomo occidentale, è di perdere il senso del limite. In particolare, sarebbe la dimensione relazionale quella che potrebbe ricevere i maggiori contraccolpi dallo slancio prometeico dell’homo technologicus. Nell’afflato all’onnipotenza terrena, conquistata attraverso il superamento dei limiti del corpo, l’uomo potrebbe, in altri termini, crogiolarsi nell’idea di una raggiunta autosufficienza, in base alla quale non ritenere più necessario continuare a coltivare la sua natura coesistentiva (il suo necessario con-essere legato anche alla sua insufficienza e ai suoi limiti).

Anche Gabriele Frasca ha sottolineato come il pungolo essenziale dell’uomo stia esattamente nella sua capacità di autotrascendimento ma, a differenza di Ciaramelli, si è concentrato sulla tesi che le presunte novità del postumano nasconderebbero, in realtà, nient’altro che la verità “umana, troppo umana” dell’umano. E di fatto la capacità dell’uomo di trascendersi si lega con il processo stesso di ominazione, il quale però non si reggerebbe propriamente sulla cultura (anche gli animali non-umani producono cultura) ma sul linguaggio. E questo perché attraverso il linguaggio l’uomo sviluppa le sue capacità plastico-simboliche. La retorica dell’uomo cyborg a volte dimentica questa caratteristica essenziale dell’uomo e proietta, di fatto, in un futuro fatto di ibridazioni biomacchiniche un tratto che l’uomo possiede già, da sempre.

Quello della vocazione all’autotrascendimento, che rappresenta, per altro, uno dei concetti-chiave dell’etica transumanista lo ritroviamo, in un contesto differente ma con analoga pregnanza, nella letteratura otto-novecentesca laddove l’uomo preso tra le spinte all’infinito proprie del romanticismo e gli scenari fantascientifici sollecitati dall’avanzamento delle scienze e della tecnologia, disegna una vera e propria tassonomia delle varie forme in cui si realizza l’impulso al superamento dei limiti.

 Daniele Pitteri ha ricordato, infatti, come la tendenza al trascendimento di sé abbia accompagnato costantemente la storia dell’uomo occidentale ma, d’altro canto, come tra il XIX e il XX secolo tale tendenza abbia trovato, sotto il profilo letterario, dei referenti illustri nelle opere di autori come Mary Shelley con il suo Frankenstein o nel Golem di Gustav Meyrink. Una tendenza che si è ulteriormente consolidata grazie all’immaginario fantastico di Isaac Asimov con il suo universo-robot, Michael Crichton o il William Gibson di Neuromante. Ma anche con romanzi come Un oscuro scrutare di Philip Dick o Mattatoio numero 5 di Kurt Vonnegut. Il campo letterario ha proceduto, per certi versi, parallelamente a quello delle arti visive e performative. E Gaetano Cantone lo ha ben sottolineato ricordando l’opera di artisti come Sterlac che con le loro sperimentazioni-ibridazioni cercano di proporre a chiare lettere un’idea di umano come ente in transito verso un futuro in cui i limiti della biologia e le carenze organiche siano sopperite da una tecnologia sempre più perfusiva. Il tema dell’arte e del suo ruolo nell’acquisizione e nel rilancio delle idee che saranno alla base del postumano non può che spingere poi a una riflessione sull’immaginario e sulle profonde modificazioni che la “svolta bio-tecno-antropologica” ha prodotto su di esso. Giovanni de Renzis ha evidenziato, a tal proposito, come l’importanza dell’immaginario e dell’immaginazione risulti centrale per una riflessione intorno all’uomo, tanto più alla luce delle fantasie evocate dal postumano. E qui è ancora il corpo che la fa da protagonista. Di fatto, si è chiesto de Renzis “il corpo a chi appartiene nell’era del postumano e come va a configurarsi?”. La risposta è che qualsiasi previsione intorno all’uomo che si sta costruendo non può che essere flessa sul presente e su ciò che l’uomo avverte di se stesso oggi, in un’autonarrazione che lo vede, nello stesso tempo, proiettato in avanti ma anche, per così dire, luttuosamente e ansiosamente costretto a coesistere ancora con ciò che ha di fatto dichiarato estinto: il suo corpo e la sua attuale configurazione. Ma allora cosa possiamo, verosimilmente, dire del postumano? In altri termini, cosa produce il post-umano oggi, quali effetti ha sui nostri corpi e sul nostro immaginario? Esso pare configurare una battaglia non intorno al corpo che uno ha, bensì intorno al corpo che uno ha intenzione di avere. Esso pertanto mette in movimento delle dinamiche complesse che attengono al ripensamento dello statuto del corpo nella sua dimensione di presenza al soggetto che si pensa come corpo, e si immagina a partire da determinate configurazioni e riconfigurazioni dello stesso.

Riconfigurazioni che, come hanno sottolineato Luisella Brusa e Antonio Di Ciaccia, mettono in questione alcune delle pieghe dell’immaginario femminile e dell’uomo con effetti potenzialmente difficili da prevedere.

 

  1. Conclusioni

In definitiva, che cosa si intende per postumano? Il convegno napoletano ci fornisce una risposta forse non esattamente rasserenante ma di certo molto stimolante sotto il profilo teorico. In apparenza termine ben chiaro nella sua definizione, quello di postumano si annuncia, in realtà, come un vero e proprio snodo di discorsività eterogenee. Non una risposta, quindi, ma una polifonia di risposte che, a loro volta, non devono costituire motivo di stasi ma di rilancio critico delle questioni sul tappeto. Riflettere sul postumano, in altri termini, può costituire l’occasione per un’interrogazione sistematica intorno alla questione che da sempre attraversa la filosofia: quella intorno alla struttura identitaria dell’uomo. Un’occasione quindi per rilanciare “filosofia” in un’ottica interdisciplinare che non sia, però, mera giustapposizione di voci che, alla fine, vanno a comporre un coro fuori sincrono, bensì espressione di uno sforzo di comprensione di un oggetto complesso e, per certi versi, irriducibile qual è l’uomo.


[1] R. Pepperell, The Post-human condition, Intellect Book, Exeter 1995, p. 180. La traduzione del manifesto si può trovare in «Kainos. Rivista telematica di critica filosofica», 6, 2006.

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