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Matematizzazione e contingenza. Il problema dello statuto delle leggi di natura nel pensiero di Quentin Meillassoux

Autore


Alessandro De Cesaris

Università del Piemonte Orientale

Alessandro De Cesaris svolge attività di ricerca presso l’Università del Piemonte Orientale e presso la Humboldt Universität zu Berlin

Indice


 

  1. Intro
  2. Criticismo tolemaico. Scienza e assoluto
  3. Dal segno al numero. La fondazione a contingentia della matematizzabilità dell’ente

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S&F_n. 16_2016

Abstract


Mathematisation and Contingency. The Problem of natural laws Statute according to Quentin Meillassoux’s Thought


Our ability to find nature’s necessary laws has traditionally been based on the possibility to express natural beings’ properties in mathematical terms. In his groundbreaking book After finitude, Quentin Meillassoux turns this assumption upside down, arguing that we can prove the absoluteness of mathematical (quantifiable) properties thanks to the absolute contingency of natural laws – contingency that can be proved as well. On this basis Meillassoux tries to reconnect philosophical thought with hard sciences, and to escape from the “ptolemaic revolution” he sees in Kant’s transcendental turn. Aim of this paper is to give account of Meillassoux’s philosophical attempt starting from his first book and up to his latest papers. My thesis is that Meillassoux endorses a very one-sided interpretation of modern science, and that his attempt to reintroduce the distinction between primary and secondary qualities on the basis of his “principle of factuality” is – at least at the moment – still inconclusive.

  1. Intro

Uno dei punti programmatici centrali degli autori afferenti al cosiddetto “realismo speculativo” è la ricucitura di un rapporto proficuo tra il pensiero filosofico e le scienze esatte. Per la precisione, l’interesse di autori come Markus Gabriel, Ray Brassier, Graham Harman o Quentin Meillassoux si concentra nell’esigenza di rendere la filosofia capace di rapportarsi ai risultati delle scienze esatte, senza per questo trasformarsi in un pensiero di tipo ancillare rispetto a queste ultime: la filosofia possiede una propria autonomia e degli interessi distinti rispetto alle cosiddette hard sciences, ma per essere presa sul serio deve elaborare delle teorie che non si pongano in netto contrasto con le verità espresse dai dati sperimentali.

Il progetto filosofico di Quentin Meillassoux parte proprio da questa esigenza. Nella sua opera prima e più celebre, Dopo la finitudine[1], Meillassoux rivendica la necessità di «riconciliare pensiero e assoluto»[2], ma al tempo stesso di non ricadere in una qualche forma di ingenuo realismo precritico. Come Alain Badiou scrive nella sua prefazione al volume, il punto centrale del progetto filosofico di Meillassoux consiste nel tentativo di uscire dall’alternativa tra dogmatismo, criticismo e scetticismo[3]. Questo tentativo, come è noto, assume la forma di un pensiero “speculativo ma non metafisico”, ovvero di un pensiero capace di produrre verità necessarie ma che non affermi la necessità dell’esistenza di alcun ente. L’esito fondamentale di questo percorso è la tesi della necessità della contingenza, ovvero l’affermazione secondo la quale la verità necessaria rinvenibile dal pensiero è che non esistono enti necessari[4]. Nell’interstizio scavato da questa proposizione apparentemente paradossale Meillassoux crea lo spazio per una proposta filosofica piuttosto ambiziosa, che non intende fermarsi alla tesi appena espressa (denominata “principio di fattualità”), ma che anzi si spinge fino al tentativo di riabilitare alcune posizioni filosofiche classiche, come la distinzione tra qualità primarie e secondarie.

Pur nella sua brevità, l’opera di Meillassoux è un testo estremamente complesso, che non avrebbe senso ripercorrere nella sua interezza[5]. In questo saggio, piuttosto, cercherò di focalizzarmi su un aspetto particolare eppure decisivo della proposta del filosofo francese, ovvero il nesso tra pensiero filosofico e ricerca scientifica. In particolare, il problema è il nesso tra matematizzabilità degli enti fisici e la necessità delle leggi di natura.

Nella storia del pensiero filosofico-scientifico domina un’inferenza fondamentale: se l’ente naturale è pensabile in termini matematici, allora è possibile produrre un discorso epistemico capace di determinare le leggi che regolano con necessità i processi naturali. Che questo nesso tra matematizzabilità e necessità delle leggi di natura abbia dominato la storia del pensiero, non significa che esso sia stato sempre accettato: è senz’altro possibile negare a vario titolo la matematizzabilità dell’ente naturale[6]; è possibile anche negare la necessità delle leggi di natura[7]; è anche possibile negare l’inferenza stessa, ovvero che la matematizzabilità della natura implichi la necessità delle leggi scientifiche. Tuttavia, è difficile trovare nella storia del pensiero un’alternativa teorica radicale a questo modello, che di fatto ha strutturato – da Platone ai quanti – la natura del dibattito relativo allo statuto epistemologico e ontologico delle proposizioni scientifiche.

Intendo sostenere che nel pensiero di Meillassoux si configura una alternativa radicale a questa inferenza: nel progetto filosofico del pensatore parigino non è la matematizzabilità dell’ente a fondare la necessità delle leggi di natura, ma è la possibilità di dimostrare l’assoluta contingenza delle leggi di natura a permetterci di dimostrare che l’ente è matematizzabile, o meglio, che le proprietà matematiche degli enti ineriscono loro assolutamente e non correlativamente, “in sé” e non “per noi”. 

Il saggio sarà dunque strutturato in due parti: nella prima si effettuerà una sintetica ricostruzione della posizione meillassouxiana rispetto alla scienza; nella seconda, infine, ci si concentrerà più a fondo sull’inferenza appena messa in luce, cercando di illuminarne la genesi e di metterne in evidenza alcuni aspetti critici.

 

  1. Criticismo tolemaico. Scienza e assoluto

Meillassoux identifica nella svolta “correlazionista”, avvenuta in filosofia a partire da Kant, un momento di cesura tra discorso filosofico e discorso scientifico – una vera e propria “controrivoluzione tolemaica” che avrebbe rimesso l’uomo al centro del cosmo mentre Copernico apriva le porte a un universo indifferente alla vita umana[8]. A partire da questo momento, secondo il pensatore francese la filosofia avrebbe progressivamente perso due sue prerogative fondamentali: la capacità di pensare l’assoluto – inteso da Meillassoux come l’altro dal pensiero, che tuttavia può essere oggetto di quest’ultimo – e la capacità di rendere ragione delle proposizioni della scienza. In particolare, secondo Meillassoux il principio di correlazione – ovvero l’idea che la realtà sia accessibile al pensiero solo come suo proprio correlato, e che quindi il pensiero possa accedere alla realtà “per lui” ma mai a una realtà “in sé”, semmai questa esista – impedirebbe alla filosofia di prendere sul serio alcune proposizioni della scienza, ad esempio quelle che egli chiama “enunciati ancestrali”, o più in generale “tesi diacroniche”: si tratta, in questo caso, di quelle proposizioni che riguardano il mondo prima (nel caso dell’ancestralità) o dopo l’esistenza stessa del pensiero. Se infatti le scienze – l’astronomia, la paleontologia, la biologia evoluzionista – enunciano queste proposizioni come affermazioni assolute sul mondo, il pensiero filosofico post-kantiano non riuscirebbe a pensare queste proposizioni se non tramite la clausola correlazionista, ovvero attraverso l’aggiunta di un “per me” o “per noi” che salvi l’enunciato stesso dal pericolo di ricadere in un dogmatismo premoderno[9].

Secondo Meillassoux, l’aggiunta di questa clausola correlazionista farebbe esplodere di fatto il significato stesso delle proposizioni diacroniche, impedendo alla filosofia di prendere davvero sul serio la scienza senza trasformare il contenuto delle proposizioni di quest’ultima in qualcosa d’altro rispetto a ciò che esse vogliono effettivamente esprimere. L’esigenza più pressante per il pensiero, dunque, è quella di recuperare la distinzione tra qualità primarie e secondarie, identificando le prime con le proprietà matematiche, e affermando che quest’ultime sono effettivamente proprietà delle cose “in sé”, e non solo per noi. Secondariamente, tuttavia, questa distinzione va recuperata senza ricadere nel dogmatismo, ovvero senza ricorrere a un ente necessario che fondi la possibilità di pensare le qualità primarie come assolute. Per queste due ragioni Meillassoux differenzia la propria proposta dalla posizione di Descartes: le qualità primarie non vengono definite attraverso un riferimento all’estensione, bensì tramite l’idea di una matematica pura; la fondazione di questa matematizzabilità, inoltre, non può risiedere nell’idea di un dio verace che faccia da “garante” della coincidenza di realtà e pensiero[10].

La difesa della distinzione tra qualità primarie e secondarie, e dunque l’affermazione del carattere assoluto delle proprietà matematiche degli enti naturali, è il fine esplicito dell’intero sforzo teorico di Meillassoux in Dopo la finitudine. Il motivo di questo sforzo è inquadrato nell’esigenza di rimettere la filosofia in grado di rendere conto delle posizioni della scienza. E tuttavia occorre chiedersi: quale idea di scienza adopera Meillassoux nei suoi scritti? Due problemi, infatti, appaiono immediatamente.

Innanzitutto, pare che in Meillassoux le scienze vengano appiattite sul proprio carattere matematico. Alcuni critici hanno già notato che in questo senso la posizione di Dopo la finitudine appare insufficiente, dal momento che essa mette totalmente da parte un aspetto altrettanto importante della ricerca scientifica moderna, ovvero il suo tratto sperimentale. Modellata sulla base di una chiara predilezione per la fisica e l’astronomia, la proposta di Meillassoux non tiene conto delle scienze in cui l’aspetto matematico è meno incidente rispetto alla componente sperimentale o alla concettualizzazione teorica – si pensi ad esempio alle scienze biologiche[11]. Si potrebbe dire, insomma, che il criterio della pura matematizzabilità appare immediatamente insufficiente se sulla sua base si vuole giustificare filosoficamente il carattere assoluto delle proposizioni di tutte le scienze naturali.

Il secondo punto critico riguarda proprio la questione dell’esperimento. Meillassoux ha buon gioco nell’affermare che, dalla fisica classica a oggi, lo statuto delle proposizioni della fisica non è mutato, dal momento che una proposizione indeterminista – come nel caso della fisica dei quanti – ha carattere altrettanto assoluto di una proposizione determinista – come nella fisica galileiana/newtoniana. La preoccupazione principale di Meillassoux è accentuare lo scarto tra il correlazionismo imperante in filosofia – e dunque l’impossibilità di affermare alcunché su una realtà data “senza di noi” – e l’ispirazione ancora “assoluta” delle scienze, che scoprono sempre di più su una realtà indifferente all’uomo e al suo pensiero. E tuttavia, il problema dell’oggetto scientifico è stato messo in luce dagli scienziati e dai filosofi fin dai tempi di Galileo: il nesso problematico tra ontologia ed epistemologia non riguarda, come ritiene Meillassoux, l’idea che le leggi scientifiche possano sempre esprimere un nostro sapere finito riguardo l’essere della natura; piuttosto, questo nesso riguarda il modo stesso in cui la scienza procede fin dai tempi di Galileo, modo che proprio Kant individua come una rivoluzione di carattere proto-trascendentale. Interpretando il pensiero di Kant come un allontanamento dai risultati delle scienze, Meillassoux non considera l’analisi che Kant stesso fa della fisica classica, analisi che non riguarda tanto i risultati quanto la loro genesi[12].

In questo senso, Meillassoux rimane ancorato a un’idea protomoderna di scienza non perché rimanga ancorato all’idea di un sapere di tipo epistemico – posizione ancora oggi sostenibile all’interno della comunità scientifica – bensì perché egli continua a ragionare sulla base di una separazione tra soggetto e oggetto, tra osservatore e dato, che viene messa progressivamente in discussione proprio a partire dal modo in cui la scienza riconfigura se stessa nella prima modernità[13].

La distinzione tra qualità primarie e secondarie, peraltro, è tutt’ora piuttosto problematica nel dibattito filosofico. Essa, in realtà, appare controversa già nel pensiero di Galilei, dal momento che le qualità secondarie mostrano uno statuto fondamentalmente ancipite: colore e temperatura, ad esempio, sono senz’altro proprietà dei nostri sensi e non delle cose in sé, ma queste sensazioni sono dovute a loro volta alla capacità delle cose stesse di provocarle, capacità fondate su qualità primarie (ovvero matematizzabili)[14].

In sostanza, l’idea di scienza che Meillassoux sottende al proprio progetto filosofico è ancorata non solo alla prima modernità, ma anche a una certa interpretazione molto ben definita del pensiero di Galilei e Descartes. Questa interpretazione ignora deliberatamente la questione del metodo e si concentra pressoché esclusivamente sulla questione della matematizzazione[15]. A questo punto, tuttavia, appare curioso che Meillassoux descriva la propria posizione come neo-galileiana, e per due ragioni. La prima è che l’appello generico alla “matematizzabilità” della natura non dice ancora nulla sul senso in cui Meillassoux intende questa nozione. Affermare che «ha senso pensare come proprietà dell’oggetto in sé tutto ciò che di questo oggetto può essere formulato in termini matematici» («a una formula, a una numerizzazione»)[16] non dice ancora tutto sul senso in cui Meillassoux si rivolge al campo della matematica, senso che emergerà solo a partire da alcuni suoi scritti successivi. In Galileo, d’altronde, l’impresa scientifica rimane ancora legata a un sapere di tipo essenzialmente geometrico in senso classico (al contrario di quanto accade in Descartes, con la fondazione della geometria analitica in esplicita contrapposizione agli Elementi euclidei).

La seconda ragione di perplessità per il presunto “neo-galileismo” di Meillassoux è che Galilei rimane legato a una concezione classica dell’episteme: la matematizzabilità della natura è ciò che ci permette di formulare un sapere scientifico (universale e necessario) su di essa[17]. In Galilei, insomma, agisce con la massima chiarezza l’inferenza tra matematizzabilità e necessità delle leggi naturali richiamata nell’apertura di questo saggio. In Meillassoux, al contrario, l’obiettivo centrale è proprio quello di affermare al tempo stesso il carattere assoluto delle proprietà matematiche degli oggetti, e l’assoluta contingenza delle leggi naturali.

Rimangono dunque due questioni. La prima è quella di comprendere il senso specifico del “matematico” in Meillassoux. La seconda questione riguarda il nesso tra matematica e contingenza.

 

  1. Dal segno al numero. La fondazione a contingentia della matematizzabilità dell’ente

Nel testo di Meillassoux il carattere assoluto delle qualità primarie (ovvero matematiche) non è dato semplicemente per assunto. Rifiutando un semplice ritorno a un realismo pre-critico e ingenuo, il discorso di Dopo la finitudine si pone il compito di fondare l’assoluta matematizzabilità dell’ente senza ricorrere ad argomenti di tipo dogmatico (ovvero, nel linguaggio di Meillassoux, senza ricorrere all’idea di un qualsivoglia ente necessario). Questo compito, a dire il vero, non viene portato a termine nell’opera del 2006, ma viene progressivamente sviluppato a partire da alcuni lavori successivi che a propria volta non danno ancora una risposta definitiva. In Dopo la finitudine, tuttavia, si delinea il punto centrale dell’argomentazione di Meillassoux: data la possibilità di dimostrare argomentativamente il cosiddetto principio di fattualità – secondo il quale è necessario che tutto sia contingente, anzi l’unica cosa necessaria è la contingenza di ogni cosa – è possibile fondare su questo principio il carattere assoluto delle proprietà matematiche.

Qui non è il caso di soffermarsi sull’argomento che Meillassoux utilizza per dimostrare il principio di fattualità[18]. Occorre invece chiarire la posizione meillassouxiana in riferimento ad alcune distinzioni centrali. Meillassoux chiama “fatticità” la nostra ignoranza rispetto alla possibilità che qualcosa sia altro da sé. La fattualità, al contrario, è la non-fatticità della fatticità: la necessità della contingenza, che non è più il nostro non sapere se le cose possano essere altro da sé, bensì il nostro sapere che le cose possono essere altro da sé[19]. La contingenza, dunque, non è oggetto di un sapere negativo, ma positivo. Allo stesso tempo, tuttavia, essa non va confusa con la precarietà[20]: quest’ultima è l’essere destinato a diventare altro da sé degli enti, laddove la contingenza non implica la necessità del cambiamento, ma si limita a presupporne la pura possibilità (anche laddove questa dovesse non attuarsi mai). 

Tramite la dimostrazione del principio di fattualità, Meillassoux arriva dunque ad affermare un primo assoluto caotico. Con le parole di Meillassoux,

tutto può realmente collassare su se stesso – gli alberi come le stelle, le stelle come le leggi, le leggi fisiche come quelle della logica. E ciò non per via di una legge superiore che destinerebbe ogni cosa a perire, ma in virtù dell’assenza di una legge superiore che sia in grado di preservare una cosa qualsiasi[21].

 

Il problema, tuttavia, è come passare da questo primo assoluto caotico a un secondo assoluto di tipo matematico, ovvero come dimostrare l’assolutezza delle proprietà primarie nonostante la contingenza di ogni cosa.

La proposta di Meillassoux, piuttosto raffinata, è solo un primo avvicinamento alla questione. Il punto di partenza è il problema di Hume. Secondo Meillassoux né Hume né Kant hanno mai seriamente contemplato la possibilità che le leggi naturali fossero contingenti[22]. Nel caso di Hume non si tratta di affermare realmente che non esiste necessità in natura, ma semplicemente di negare la possibilità per il pensiero umano di dimostrare questa necessità. E tuttavia, per Meillassoux la risposta kantiana al dilemma humiano risulta insoddisfacente proprio in quanto si mantiene all’interno del problema epistemologico (come facciamo a essere certi che le leggi naturali non cambino) e non considera il problema ontologico (Hume scrive esplicitamente che non c’è nessuna necessità logica che costringa un certo effetto a seguire a una certa causa)[23]. Riprendendo un’analisi effettuata da Jean René Vernes, Meillassoux afferma che la soluzione kantiana – presentata nella sezione relativa alla deduzione dei concetti puri dell’intelletto nella Critica della ragion pura[24] – consiste essenzialmente in una dimostrazione per assurdo sorretta da un argomento di tipo frequenziale, che può essere ricostruito così:

 

  1. Se le leggi di natura fossero contingenti, esse cambierebbero frequentemente.
  2. Se così fosse, la realtà ci apparirebbe come un miscuglio inintelligibile di rappresentazioni, e non sarebbe possibile un’esperienza.
  3. Ma è un fatto che noi abbiamo esperienze.
  4. Ne segue che le leggi di natura non possono essere contingenti.

 

Tralasciando la correttezza e la completezza di una simile lettura di Kant, secondo Meillassoux – sulla scorta di Vernes – questo argomento ha un’occulta ispirazione statistica. Se le leggi di natura fossero contingenti, ma non cambiassero spesso, ciò apparirebbe come un lancio di dadi casuale che restituisse sempre la stessa faccia senza alcuna ragione. Pertanto, afferma Meillassoux, per smontare l’argomento kantiano occorre mostrare come è possibile pensare ragionevolmente delle leggi di natura stabili ma non necessarie, rompendo così il nesso inferenziale tra stabilità e necessità. La risposta è data dalla matematica del transfinito cantoriana: la successione degli insiemi transfiniti impedisce di pensare un “insieme di tutti gli insiemi”, dal momento che quello stesso insieme sarebbe minore dell’insieme dei suoi sottoinsiemi. Ma nel momento in cui non è possibile considerare la totalità delle possibilità, allora è impossibile applicare un criterio statistico che permetta di giudicare una data successione come più o meno probabile.

Secondo Meillassoux, dunque, la matematica del transfinito permetterebbe di scardinare la dimostrazione per assurdo implicita nella deduzione kantiana delle categorie. Questo procedimento argomentativo, come lui stesso ammette, è per forza di cose insufficiente, dal momento che non deduce la necessità dell’applicabilità della matematica del transfinito all’ente, ma mostra solo che questa applicazione è possibile e fruttuosa.

In uno scritto successivo, Meillassoux tenta di fondare la matematizzabilità dell’ente sulla sua contingenza a partire dalla nozione di «segno privo di significato»[25]. Definito il segno matematico come segno privo di significato, Meillassoux argomenta che questo segno è pensabile solo grazie alla nostra capacità di pensare l’assoluta contingenza di ogni ente. Senza entrare nel merito della dimostrazione, che si fonda sulle nozioni di iterazione e reiterazione, occorre notare che anche in questo caso Meillassoux ammette di non aver ancora dimostrato ciò che andava dimostrato, ovvero l’effettivo valore ontologico della matematica, bensì solo che la contingenza necessaria di tutti gli enti è la condizione necessaria al fine di pensare il segno matematico in quanto segno privo di significato[26].

Da questo punto di vista, dunque, il percorso argomentativo di Meillassoux si mostra ancora non concluso, indipendentemente dalla conclusività dei suoi passaggi intermedi. Se l’idea di fondo dell’impresa meillassouxiana – fondare la matematizzabilità dell’ente sulla contingenza assoluta della natura – è senz’altro di un certo interesse, rimangono delle perplessità relative al senso stesso del “matematico” nel pensiero del filosofo francese. L’idea di applicare la matematica del transfinito, così come l’identificazione del segno matematico con un segno privo di significato pensabile solo a partire dalla contingenza di ogni cosa, fa pensare a una matematizzabilità applicata alla (in)totalità degli enti, ma non a un ente determinato[27]. Ereditando da Badiou una concezione fortemente speculativa del discorso matematico[28], Meillassoux non lascia intravedere in che modo la matematica cui egli fa riferimento possa essere ricondotta alla matematica presente nelle scienze esatte. Non è un caso, infatti, che Meillassoux affermi esplicitamente di non essere interessato a creare un’iperfisica, e che nei suoi scritti si faccia sempre più evidente una certa presa di distanza da istanze di ordine naturalistico[29]. In definitiva, appare piuttosto difficile pensare che lo sforzo speculativo di Meillassoux possa effettivamente arrivare a dimostrare il carattere assoluto delle qualità primarie nel senso in cui le scienze pensano queste ultime. Il materialismo di Meillassoux ha senz’altro una forma piuttosto rigorosa, profilandosi come un discorso radicale sulla contingenza di ogni ente. Un discorso che lascia spazio alle scienze nella misura in cui produce verità più generali e fondamentali, ma la cui pretesa di fondare speculativamente queste scienze stesse appare, per il momento, ancora priva di giustificazione.

 


[1] Q. Meillassoux, Dopo la finitudine. Saggio sulla necessità della contingenza (2006), tr. it. Mimesis, Milano-Udine 2012.

[2] Ibid., p. 158.

[3] A. Badiou, Prefazione a Q. Meillassoux, Dopo la finitudine, cit., p. 8.

[4] Su questo tema mi permetto di rimandare ad A. De Cesaris, Contingenza della necessità e necessità della contingenza. Ragione, sistema e libertà in Meillassoux e Hegel, in «Itinera», 10, 2015, pp. 64-79.

[5] La migliore ricostruzione – con diversi spunti critici – rimane quella di R. Brassier, Nihil Unbound. Enlightenment and Extinction, Palgrave Macmillan, London 2007, pp. 49-96. Per una trattazione più generale si veda invece G. Harman, Quentin Meillassoux. Philosophy in the Making, Edinburgh University Press 2015.

[6] Il dibattito a riguardo è già paradigmatico nel pensiero antico. Cfr. L. Laino, Salvare i fenomeni. Saggio sulla fisica greca e sui presupposti della matematizzazione della natura, Mimesis, Milano-Udine 2015 (in particolare pp. 79-111), ma anche J. Klein, Greek Mathematical Thought and the Origins of Algebra, tr. ing. Dover Publishing, New York 1968.

[7] Oltre alla ricorrenza, nel pensiero moderno, dell’affermazione della contingenza delle leggi di natura a fronte dell’onnipotenza divina, la tesi della contingenza delle leggi fisiche è ampiamente discussa nel dibattito di area analitica. Si veda ad esempio D.M. Armstrong, What is a law of nature?, Cambridge University Press 1983, in particolare pp. 158-171. Occorre precisare, tuttavia, che nel dibattito analitico la contingenza è pensata a partire dalla semantica dei mondi possibili, assumendo un significato diverso – e più debole – rispetto al modo in cui la intende Meillassoux.

[8] Q. Meillassoux, Dopo la finitudine, cit., p. 139 e sgg.; in realtà la posizione era già stata espressa da Jean-Renè Verenes, autore cui Meillassoux si ispira esplicitamente. Cfr. J.R. Vernes, The Existence of the External World. The Pascal-Hume Principle, University of Ottawa Press 1999, pp. 19-26.

[9] Q. Meillassoux, Dopo la finitudine, cit., p. 22 e sgg.

[10] Ibid., pp. 43-44.

[11] A. Johnston, The World Before Worlds: Quentin Meillassoux and Alain Badiou’s Anti-Kantian Transcendentalism, in «Contemporary French Civilization», 33 (1), 2009, pp. 73-99, in particolare p. 98; A. Saldanha, Back to the Great Outdoors: Speculative Realism as Philosophy of Science, in «Cosmos and History: The Journal of Natural and Social Philosophy», 5/2, 2009, pp. 304-320, in particolare p. 320.

[12] A riguardo si veda A. Ferrarin, Galilei e la matematica della natura, ETS, Pisa 2014, pp. 70-76.

[13] Qui basti citare W. Heisenberg, Fisica e filosofia, tr. it. Il Saggiatore, Milano 2015, pp. 82-98; V. Cappelletti, Dall’ordine alle cose. Saggio su Werner Heisenberg, Jaca Book, Milano 2001, pp. 95-141; C. Altavilla, Fisica e filosofia in Werner Heisenberg, Guida, Napoli 2006, pp. 155-182.

[14] A. Ferrarin, op. cit., pp. 79-84.

[15] In questo senso Meillassoux si pone agli antipodi rispetto alle letture neokantiane dei progressi della scienza moderna. Si pensi ad esempio alla ricostruzione proto-trascendentale della filosofia cartesiana operata da Paul Natorp (P. Natorp, La teoria cartesiana della conoscenza. Saggio sulla preistoria del criticismo, tr. it. Aracne, Roma 2016).

[16] Q. Meillassoux, op. cit., p. 15.

[17] Questo ancora più radicalmente che in Descartes, il quale riconosceva la contingenza delle leggi naturali relativamente alla volontà divina e rifiutava l’idea di una identità intensiva tra conoscenza umana e divina per quanto riguarda le verità matematiche.

[18] Basti dire in questa sede che l’argomento assume la forma di una prova ontologica rovesciata, in cui la possibilità di pensare il proprio non essere implica la possibilità di pensare l’assolutamente contingente (Q. Meillassoux, op. cit., pp. 74-79).

[19] Ibid., p. 100.

[20] Ibid., p. 82

[21] Ibid., p. 73.

[22] Si veda anche Q. Meillassoux, The Contingency of the Laws of Nature, in «Environment and Planning D: Society and Space», 30, 2012, pp. 322-334.

[23] Meillassoux batte a più riprese sull’importanza di questa distinzione. Ancora più importante è la distinzione tra l’evoluzione delle teorie scientifiche e l’idea di una variabilità delle leggi (ontologiche) che regolano i processi naturali. A riguardo cfr. Q. Meillassoux, Science Fiction and Extro-Science Fiction, Univocal, London 2015.

[24] I. Kant, Critica della ragion pura, a cura di G. Gentile e G. Lombardo Radice, Laterza, Roma-Bari 2008, p. 107.

[25] Q. Meillassoux, Iteration, Reiteration, Repetition: A Speculative Analysis of the Meaningless Sign, (trascrizione di una lezione tenuta il 20 Aprile 2012 presso la Freie Universität di Berlino, nota anche come “Berlin Lecture”), tr. ing. disponibile su www.spekulative-poetik.de.

[26] Ibid., p. 37.

[27] Una critica simile è stata mossa da Arun Saldanha in riferimento a un altro aspetto del pensiero di Meillassoux, ovvero la pretesa di dimostrare il principio di non contraddizione a partire dal principio di fattualità. Cfr. A. Saldanha, op. cit., p. 314.

[28] Il riferimento è ad A. Badiou, L’essere e l’evento, tr. it. Il Melangolo, Genova 1993, pp. 7-36.

[29] Q. Meillassoux, op. cit., pp. 11-13.

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