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Gould, Darwin e l’ombra dello Zeitgeist

Autore


Giacomo Scarpelli

Università di Modena e Reggio Emilia

Giacomo Scarpelli insegna Storia della filosofia e Storia delle idee all’Università di Modena e Reggio Emilia. È Fellow della Linnean Society of London e della Royal Geographical Society

Indice


  1. Un’evoluzione impaziente?
  2. Neotenia allo specchio
  3. Una maturazione verso l’infanzia

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S&F_n. 16_2016

Abstract


Gould, Darwin and the Shadow of Zeitgeist


The aim of this essay is, on one side, to explore the Stephen Jay Gould’s evolutionistic thought – from the theory of punctuated equilibria to the human neoteny – as a deep renovation of Darwinian theory of Natural Selection. On the other side, we will illustrate how Gould was able to find in Darwin’s scientific doctrine the influence of his personal liberal views, especially about the idea of evolutionary gradualism. Furthermore, we will also individuate in Gould’s work the effect of the socio-political climate of his time on his radical renewal of Evolutionism. At last, we will discuss about the relationship between scientific imagination and creative spirit of childhood, as an expression of psychic neoteny of Homo sapiens.


  1. Un’evoluzione impaziente?

L’ultima opera cui Charles Darwin dedicò le proprie energie declinanti, fu L’azione dei vermi nella formazione del terriccio vegetale (1881): un testo che dietro l’apparente settorialità di ricerca rappresenta un autentico lascito scientifico e che può essere letto come un’allegoria della stessa evoluzione biologica. Visti da vicino, gli umili lombrichi rivelavano sensibilità, reazioni e capacità di non ripetere errori nel loro ininterrotto scavare sottoterra; meritavano perciò di essere reputate creature intelligenti[1]. Di conseguenza, le doti di raziocinio non erano prerogativa assoluta della specie umana, bensì si erano sviluppate in quantità diverse lungo le direttrici filetiche. Inoltre, l’operosità del modesto anellide nel corso dei secoli aveva prodotto l’agglomerarsi dell’humus e il dissodamento della terra e, in definitiva, aveva concorso alla trasformazione del paesaggio[2]. Un simile lavorìo impercettibile e protratto, responsabile di esiti tanto grandi, non poteva fare a meno di richiamare alla mente proprio l’immagine della selezione naturale, che aveva operato occulta e instancabile, e nel corso di milioni di anni aveva tramutato il mondo vivente.

Nel messaggio finale di Darwin, l’evoluzione, operando una distribuzione graduale di facoltà e disposizioni, è dunque come il verme terricolo: cieca, paziente e generatrice d’immense trasformazioni[3]. Di qui possiamo considerare che Stephen Jay Gould abbia idealmente preso le mosse, da un lato rivalutando il Darwin meno celebrato e dall’altro mettendo in discussione un aspetto rilevante delle sue tesi evolutive, la rappresentazione gradualistica. Così facendo, il paleontologo e biologo americano, non ha inteso demolire la teoria della selezione naturale – lasciata deliberatamente aperta da Darwin – quanto piuttosto riattualizzarla e rinnovarla.

«I mulini della natura», ha ammesso Gould in riferimento all’Azione dei vermi, «macinano sia lentamente sia in modo estremamente fine»[4] e ha poi criticato proprio l’assioma dell’avanzamento regolare e omogeneo del progresso biologico, per sostituirlo con la cosiddetta teoria degli equilibri punteggiati. Secondo tale principio, nel corso dell’evoluzione ogni specie zoologica passa dallo stallo prolungato alla sostituzione brusca con una nuova specie. Più precisamente, se per Darwin il processo graduale consisteva nella trasmutazione filetica della popolazione centrale di una specie in un’altra (anagenesi), mentre la trasformazione per diramazione di una specie geograficamente isolata dal tronco parentale era vista come un’eccezione, per Gould e il suo collega Niles Eldredge, proprio la speciazione punteggiata (delimitata in un punto) costituisce invece l’asse portante del cammino biologico, in quanto si tratta di una mutazione relativamente rapida (alcune migliaia di anni) e dunque non rintracciabile nelle sequenze stratigrafiche studiate dai paleontologi, per i quali dieci-venti secoli rappresentano un istante appena nella storia della natura[5]. Smentendo l’opinione di Darwin e del suo mentore Charles Lyell – primo assertore dell’uniformismo dei processi naturali – sull’incompletezza delle testimonianze geologiche, Gould ha affermato che oggi è possibile comprendere che stasi e sostituzione rapida non sono assolutamente un sintomo di lacunosità, ma una registrazione puntuale dell’andamento evolutivo. In fin dei conti, «l’evoluzione non è un processo di maestoso dispiegamento ad andamento gradualistico», ha luogo invece quando un «equilibrio viene turbato a rari intervalli da eventi geologicamente istantanei di speciazione – equilibri punteggiati»[6].

La fede di Darwin in una modificazione degli organismi lenta e continua, per la verità era stata ritenuta superflua persino dall’allievo Thomas H. Huxley. Questi, il 23 novembre 1859, giorno precedente la pubblicazione dell’Origine delle specie, aveva infatti espresso il suo parere al maestro: «Vi siete gravato di una difficoltà non necessaria adottando Natura non facit saltum così senza riserve»[7]. Sulla scorta di questo indizio, Gould ha avanzato un sospetto: il gradualismo di Darwin e di Lyell va probabilmente interpretato quale inconsapevole intento di omologare l’ambito scientifico alla loro ideologia politica moderata, cioè di borghesi illuminati favorevoli al progresso, ma contrari ai cambiamenti lesti e drastici[8]. Qualcosa del genere aveva già intuito Marx, seppure da lettore appassionato dell’Origine delle specie, quando aveva comunicato a Engels, nella famosa lettera del 18 giugno 1862, come Darwin senza rendersene conto avesse ravvisato nel regno animale e vegetale «la sua società inglese, con la sua divisione del lavoro, la concorrenza, l’apertura di nuovi mercati, le “invenzioni” e la malthusiana “lotta per l’esistenza”»[9].

Il giudizio dell’autore del Capitale naturalmente era noto a Gould[10], il quale è da pensare ne abbia ricavato lo spunto per una propria riflessione più generale: «gli scienziati, allora come adesso, pensano di solito che le loro credenze emergano da una lettura della natura, e rimangono inconsapevoli di come la politica e la cultura premano sulle loro idee»[11]. Tali parole mi hanno personalmente stimolato, oltre tre decenni or sono, a una supposizione nei confronti di Gould stesso, analoga a quella da lui adombrata a proposito di Darwin e Lyell[12]. Figlio di un sindacalista di formazione marxista, studente negli anni di fermento della protesta giovanile per i diritti civili e contro la guerra nel Vietnam, Steve Gould era senza dubbio radical. Egli, inoltre, ha significativamente dichiarato che lui e Eldredge cominciarono a preoccuparsi intensamente della questione della discontinuità della trasmutazione delle forme viventi registrata negli strati geologici, proprio quando erano graduate students alla fine degli anni Sessanta[13]. Il punteggismo, inteso come teoria del cambiamento repentino e radicale delle specie, potrebbe quindi essersi realmente generato nell’humus nei movimenti politici di quel periodo storico e perciò dall’ideologia dei suoi creatori[14]. Gould e Eldredge come Darwin e Lyell?

 

  1. Neotenia allo specchio

L’eventualità che la concezione degli equilibri punteggiati, così come quella della selezione naturale, sia stata concepita sotto l’influsso di uno specifico Zeitgeist – espressione richiamata da Gould stesso[15] – ha trovato sostanziale riconoscimento dopo la prematura scomparsa dello scienziato, nel 2002[16]. La figura che gli si potrebbe accostare, secondo il compagno di ricerche e battaglie Richard Lewontin, è il britannico John B.S. Haldane, uno dei padri della moderna sintesi dell’evoluzione negli anni Trenta, marxista acceso e dotato di una scrittura approfondita ma sempre alla portata del lettore comune[17]. Apprendiamo che per parte sua Gould ha collaborato alla «New York Marxist School» e si definiva marxista altrettanto che darwiniano, sebbene non abbia mai chiarito cosa implicasse questa doppia identificazione. Il suo impegno si è comunque tradotto nell’avversare il credo creazionista e le pretese pseudoscientifiche del razzismo e della sociobiologia[18]. Ovviamente non gli sono mancate le accuse, come quella di essere un «confusionario, ipocrita, acciecato dal marxismo e intellettualmente disonesto»[19]. Attacchi simili non hanno tuttavia inficiato la dottrina punteggista, e d’altronde le critiche avvedute di Gould al gradualismo di matrice liberale non sono nuociute alla teoria di Darwin, le hanno semmai permesso di ringiovanire. Va riconosciuto che la singolare sensibilità di Gould tanto alla temperie intellettuale quanto alla cultura di massa, da un lato gli ha permesso di continuare a svelare i sotterranei legami tra ideologia, opinioni precostituite e soluzioni agli enigmi della natura escogitate dalla scienza; dall’altro lato ha contribuito a rendere evidente e convincente il suo pensiero anche a livello popolare. Tutto ciò vale particolarmente a proposito delle tesi sulla neotenia.

Come è noto, per neoteniche si intendono le specie zoologiche che raggiungono la maturità riproduttiva conservando le caratteristiche fisiche del cucciolo o della larva[20]. Ciò si riscontra in alcuni anfibi, quali l’Axolotl (Ambystoma mexicanum) e il Proteo (Proteus anguineus), i quali rimangono provvisti di branchie ed esclusivamente acquatici tutta la vita. Il fenomeno, evolutivamente generatosi al fine di ampliare le possibilità di adattamento all’ambiente naturale, non è però necessariamente stabile, poiché mutando l’habitat, può pur sempre verificarsi la metamorfosi dell’individuo in adulto: è il caso della Salamandra gigante del Giappone (Melanobatrachus maximus) e della Salamandra alligatore del Nordamerica (Cryptobranchus alleghaniensis), alle cui caratteristiche neoteniche si associano talvolta quelle definitive di adulto, a seconda delle situazioni locali di sostentamento (generalmente la larva della Salamandra è vegetariana, l’adulto carnivoro).

L’Homo sapiens possiede peculiarità neoteniche che nel corso dell’evoluzione si sono andate accentuando; rispetto agli altri primati conserva cioè in età adulta la morfologia e la fisiologia tipiche dell’infanzia, tra cui scarsità di pelo, pollice allungato, collocazione bassa della laringe, che forse ha permesso di passare dalla fonazione al linguaggio. Codificata dall’anatomista olandese Lodewijk Bolk oltre un secolo fa, la neotenia umana è stata indagata da Gould[21], il quale ha evidenziato come sia scaturita adattivamente dal rallentamento dei ritmi dello sviluppo, dalla gestazione alla fanciullezza, all’età avanzata. Le particolarità corporee definitive tipiche del cucciolo di per sé suscitano affetto e mitigano l’aggressività dei cospecifici[22]. Noi rassomigliamo più a uno scimpanzé giovane che a uno adulto, e da ciò discende un vantaggio rispetto alla durata della vita, che si allunga, ma anche all’evoluzione e alla trasmissione della cultura, in quanto fondata sul sentimento societario. D’altra parte, viene da osservare, Darwin non aveva forse congetturato che la simpatia e il senso morale sono il proseguimento di istinti nati nel mondo animale per assicurare la sopravvivenza del branco nella selezione della natura, e che un nostro progenitore di grossa mole, in grado di difendersi dai nemici grazie solo alla sua forza fisica, non sarebbe stato costretto ad aguzzare l’ingegno? Discendere da una creatura relativamente debole sarebbe stato tutto sommato un beneficio[23].

A detta di Gould – ecco la geniale trovata di uno scienziato che dichiarava di preferire Pinocchio a Quarto potere – un modo efficace per rendersi conto del modo in cui gli effetti della neotenia pervadono il nostro Zeitgeist è constatare quanto i caratteri neotenici si siano progressivamente riverberati nei personaggi creati da Walt Disney, principalmente in Topolino, in una sorta di percorso ontogenetico a ritroso. Nel corso dei decenni, la testa e gli occhi dell’eroe di fumetti e film d’animazione sono diventati più grandi rispetto al corpo, il muso si è arrotondato, il naso si è volto all’insù, gli arti si sono fatti paffutelli[24]. Topolino si è assicurato l’appagamento e la tenerezza dei lettori grandi e piccoli guadagnando definitivamente la morfologia dell’individuo non ancora formato in adulto.

Il protagonista disneyano dunque ci rispecchia perché è ringiovanito, o è ringiovanito perché ci rispecchia? «Ci siamo evoluti mantenendo nella maturità quelle che erano le caratteristiche infantili dei nostri antenati», attesta Gould, e precisa: «l’Australopiteco, come Topolino in Steamboat Willie,» il cartoon in cui fece l’apparizione nel 1928, «aveva una mascella pronunciata e una fronte bassa»[25]. In fin dei conti, Disney e i suoi disegnatori e animatori, nell’antropomorfizzare Mickey Mouse e altri personaggi del loro piccolo zoo, non hanno fatto altro che andare incontro (quanto inconsapevolmente?) ai precetti darwiniani, secondo cui esiste una continuità tanto fisica che psichica tra noi e gli altri animali. L’evoluzione lega le creature fra loro e questa somiglianza si coglie prevalentemente nei cuccioli e negli embrioni.

Di recente Giulio Giorello ha riconosciuto a sua volta in Topolino il campione del sapere interdisciplinare e il nemico della prevaricazione[26]. Tuttavia, siamo assolutamente certi che sia davvero lui il personaggio disneyano per il quale Gould nutriva maggiore propensione? L’interrogativo è meno ozioso di quel che sembra. Corre infatti l’obbligo di chiederci se per la mentalità radical dello scienziato americano Mickey Mouse, accanto all’aspetto neotenico, non abbia continuato a maturare un intelletto troppo raffinato, perdendo parte della sua spontanea irriverenza, e sia divenuto un tantino troppo a modo, per non dire imborghesito. Accettato il dubbio, se non Mickey, chi invece? Nell’intento di proseguire l’indagine nel retroterra della cultura e della scienza, come Gould stesso ha insegnato, ci sia concesso di ricorrere alla nostra personale memoria.

 

  1. Una maturazione verso l’infanzia

Nel novembre 1988, da giovane dottorando, ebbi la fortuna di trascorrere alcune giornate nella quiete delle aule del Museum of Comparative Zoology di Harvard. Un pomeriggio mi avventurai nei suoi ambulacri col proposito di conoscerne personalmente il direttore, di cui avevo letto e anche scritto qualcosa: Gould, appunto. Individuai il suo studio e mi affacciai. Il direttore non c’era e nell’ambiente regnava un’ammaliante confusione di raccoglitori stracolmi di conchiglie catalogate, pile pencolanti di volumi, un massiccio fermacarte di bronzo che ritraeva una scimmia in atteggiamento meditativo con un cranio di uomo in mano (era una riproduzione della scultura di Hugo Rheinhold che parodizzava Le Penseur di Rodin). E poi comiche scritte fumettistiche a pennarello e, appeso, il grande ritratto di una figura disneyana che non era Mickey Mouse, bensì la sua inseparabile spalla, Goofy, ossia Pippo, sovrastato dall’intestazione «Professor S.J. Gould». Sulla porta era addirittura inchiodato un paio di scarpe sformate che rammentavano le calzature del personaggio. Perplessità e ammirazione per l’anticonformismo presente nel cuore universitario d’America. Appariva in ogni caso evidente la predilezione del direttore per Pippo.

Più tardi, riuscii finalmente a incontrare Gould e a scambiarci emozionato alcune battute cordiali. Sguardo giocoso, viso rotondo reso più autorevole dalla barba, si potrebbe azzardare che mantenesse sembianti particolarmente neotenici. Lui stesso però aveva scritto che Pippo, muso spropositato, denti sporgenti, allampanato, era tra i comprimari della Disney che aveva subìto minori rimaneggiamenti per ringiovanire. Nondimeno, l’aveva anche definito «ingenuo adorabile»[27]. La verosimile ragione della passione e dell’autoironica immedesimazione in costui da parte di Gould potrebbe allora essere la seguente: Pippo è personificazione di una naïveté insopprimibile, che permette di porsi di fronte alla realtà della cose con la sguardo diretto al vero di chi è rimasto bambino nel profondo. Topolino si sarebbe totalmente snaturato se, guadagnato un aspetto di giovinezza eterna, avesse perso la sua metà semplice e candida rappresentata da Pippo, l’adulto rimasto mentalmente fanciullo.

Sotto la superfice ludica abbiamo qui appena sfiorato un tema delicato e vasto, diremmo di neotenia psichica: il rapporto tra spirito dell’infanzia, conoscenza e creatività. Bruno Schulz proclamava che il suo ideale di vita era una «maturazione» verso l’infanzia. Einstein sosteneva che «studio e ricerca della verità e della bellezza rappresentano una sfera di attività in cui è permesso rimanere bambini» per sempre[28]. In altre parole, nell’uomo provvisto di talento scientifico o artistico continua a bruciare la fiamma della curiosità, dell’immaginazione e dell’inventiva, propensione biologica originaria a investigare il mondo circostante, intesa come mezzo a disposizione del cucciolo che si prepara alla vita[29].

A cinque anni di età Gould aveva deciso che sarebbe diventato cacciatore di fossili, dopo essere rimasto incantato al cospetto di uno scheletro di Tirannosauro nel Museo di storia naturale e dopo aver assistito trepidante, nel film Fantasia di Disney, alla penosa marcia dei dinosauri avviati all’estinzione nel paesaggio desertico, sulle note di Stravinskij[30]. Per parte sua Darwin riconosceva di «essere davvero come un bambino troppo cresciuto» e il suo amico e collega Alfred R. Wallace dichiarava che in lui curiosità infantile sembrava non aver perduto della sua forza[31].

Se, come canta il poeta, il bambino è il padre dell’uomo, l’immagine che ci rimane di Gould in compagnia di Darwin è quella di scienziati che penetrarono i meccanismi reconditi del mondo vivente, facendo strumento della loro creatività intellettuale un’innocente spontaneità che era espressione della meraviglia, e di un’inesauribile necessità di scoprire peculiare dell’infanzia.

 


[1] C. Darwin, The Formation of Vegetable Mould, through the Action of Worms, Murray, London 1881; tr. it. a cura di G. Scarpelli, L’azione dei vermi nella formazione del terriccio vegetale, Mimesis, Milano-Udine 2012, pp. 39-40 e 49-80.

[2] Ibid., p. 168.

[3] Una lunga pazienza cieca è il testo di Giulio Barsanti sulla storia dell’evoluzionismo (Einaudi, Torino 2005).

[4] S.J. Gould, Quando i cavalli avevano le dita (1983), tr. it. Feltrinelli, Milano 1984, p. 125.

[5] Cfr. N. Eldredge e S.J. Gould, Punctuated Equilibria: An Alternative to Phyletic Gradualism, in T.J.M. Schopf (a cura di) Models in Paleobiology, Cooper & Co., Freeman 1972, pp. 82-115 e Punctuated Equilibria: The Tempo and Mode of Evolution Reconsidered, in «Paleobiology», III, 1977, pp. 115-151. Vedi, del solo Gould, The Structure of Evolutionary Theory, Harvard University Press, Cambridge (Ma.) 2002.

[6] S.J. Gould, Cambiamenti puntuativi e realtà delle specie, in M. Piattelli Palmarini (a cura di), Livelli di realtà, Feltrinelli, Milano 1984, p. 269 (l’intero saggio occupa le pp. 256-281).

[7] L. Huxley (a cura di), Life and Letters of Thomas Henry Huxley, Appleton, New York 1900, I, p. 189. Vedi anche C. Darwin, L’origine delle specie (1859), tr. it. Boringhieri, Torino 1967). Natura non facit saltum era il motto di Linneo.

[8] S.J. Gould, Cambiamenti puntuativi e realtà delle specie, cit., pp. 270-274.

[9] K. Marx, F. Engels, Carteggio Marx-Engels, Rinascita, Roma, IV, 1951, p. 103.

[10] Vedi S.J. Gould, Il pollice del panda (1980), tr. it. Editori Riuniti, Roma 1983, p. 81.

[11] S.J. Gould, Cambiamenti puntuativi e realtà delle specie, cit., p. 271.

[12] G. Scarpelli, Il numero dei mondi possibili, in «Nuovi Argomenti», 13, 1985, pp. 131-134.

[13] S.J. Gould, Cambiamenti puntuativi e realtà delle specie, cit., pp. 266-267.

[14] G. Scarpelli, Il numero dei mondi possibili, cit., pp. 134.

[15] S.J. Gould, Cambiamenti puntuativi e realtà delle specie, cit., pp. 270-274.

[16] Vedi S.A. Newmann, Nature, Progress and Stephen Jay Gould’s Biopolitics, in «Rethinking Marxism», 15, 2003, pp. 480-496 e V. Dusek, Steve Gould: Marxist as Biologist, ibid., pp. 451-465; D.F. Prindle, Stephen Jay Gould and the Politics of Evolution, Prometheus Books, New York 2009.

[17] R.C. Lewontin e R. Levins, Stephen Jay Gould. What Does it Mean to Be a Radical?, in «Monthly Review», 6, 54, 2002; ripubbl. in W.D. Allmon, P.H. Kelley, R.M. Ross (a cura di), Stephen Jay Gould. Reflections of His View of Life, Oxford University Press, Oxford 2009, pp. 199-205.

[18] Ibid.

[19] R. Monastersky, Revising the Book of Life, in «Chronicle of Higher Education», March 15, 2002, A14-A18.

[20] Il concetto di neotenia fu coniato nell’Ottocento dallo zoologo Julius Kollmann e dall’embriologo K.E. von Baer.

[21] S.J. Gould, Ontogeny and Philogeny, Harvard University Press, Cambridge (Ma.) 1977, pp. 352-404; vedi anche pp. 303-351.

[22] S.J. Gould, Il pollice del panda, cit., pp. 115-125. Gould si rifà all’ed. ingl. di K. Lorenz, Part and Parcel in Animal and Human Societies, in Studies in Animal and Human Behavior, Harvard University Press, Cambridge (Ma.) 1971, II, pp. 115-195.

[23] C. Darwin, L’origine dell’uomo e la selezione sessuale (1871), tr. it. Newton Compton, Roma 1983, pp. 88-90 e 145-151.

[24] S.J. Gould, Il pollice del panda, cit., pp. 117-120.

[25] Ibid., p. 124.

[26] G. Giorello, La filosofia di Topolino, Guanda, Milano 2013.

[27] S.J. Gould, Il pollice del panda, cit., p. 124.

[28] A. Einstein, Il lato umano (1979), tr. it. Einaudi, Torino 1980, p. 77.

[29] A riguardo invio al mio Infantilismo e genio scientifico, in «Intersezioni», 15, 1995, pp. 181-183.

[30] S.J. Gould, Questa idea della vita: la sfida di Charles Darwin (1977), tr. it. Editori Riuniti, Roma 1984, p. 124.

[31] Cfr. F. Darwin (a cura di), More Letters of Charles Darwin, Murray, London, I, 1903, p. 30; A.R. Wallace, Darwin’s “The Expression of Emotions in Man and Animals”, in «Quarterly Journal of Science», 37, 1873, p. 113.

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