Com’è noto, Sloterdijk è una figura eclettica e problematica. Da uno sguardo sull’opera, si caratterizza come un pensatore poliedrico, trasversale, che riesce a inserire nel grande progetto di un’antropotecnica dell’umano riferimenti culturali di ogni derivazione, da quelli filosofici a quelli letterari, oscillando tra antropologia e biologia, tra la metafisica tradizionale e la contemporaneità storica e politica. Al di là dell’ampia varietà dei contenuti, a motivare l’ambiguità che solitamente accompagna la lettura dei suoi testi è l’ambizione fortemente decostruente nella quale si cimenta il suo pensiero, alla cui pars destruens, sostanziosa e accattivante, segue in realtà un esiguo e spesso problematico contributo construens. Sloterdijk non è un pensatore istituente – e ciò va tenuto presente. Tuttavia, se è vero che molteplici sono i temi e i problemi da lui affrontati, ciò non vuol dire che la sua speculazione manchi di un senso complessivo e di una direzione unitaria. Il rapporto tra soggetto, intersoggettività e alterità – o, detto altrimenti, tra individuo, collettività e mondo – e la spazializzazione di tale relazione ne rappresenterebbero infatti il fulcro centrale, e l’eterogeneità dei contenuti evocati in tale direzione non farebbe altro che arricchirne la solidità (p. 11).
L’antropotecnica sloterdijkiana sarebbe nientemeno che il tentativo eccentrico di una messa in chiaro dei processi di costituzione soggettivi e intersoggettivi, ossia di quei processi, tutti giocati sulla soglia tra interno ed esterno, che vanno a formare l’anthropos per quel che è. Nel rendiconto di quelle dinamiche già sempre operative tra la soggettività e la tecnica, tra l’intersoggettività e il fuori, nella ricostruzione degli albori genealogici dell’umano, e nella comprensione, alla luce di questi, dei fenomeni e dei paradigmi del mondo contemporaneo, ciò che filosoficamente emerge è il tentativo di scardinamento delle dicotomie della metafisica tradizionale secondo una radicale operazione di ripensamento (p. 201). Ogni polarità concettuale viene reinterpretata come punto di arrivo di processi oscuri, impersonali, materiali e relazionali – e mai come già data, come punto di partenza – rispetto a cui l’astrale differenziazione tra soggetto e oggetto, tra uomo e animale, storia e preistoria, cultura e natura, dentro e fuori, non può che emergere come ultimo e illusorio feticcio della metafisica tradizionale.
Dall’assunzione di tale sgretolamento, o meglio, dall’assunzione della complessificazione e dell’approfondimento dei paradigmi filosofico-culturali tradizionali, muovono i contributi de Lo spazio dell’umano. Saggi dopo Sloterdijk, a cura di Marco Pavanini. Il fine che il libro si pone non consiste nella mera esibizione dei contenuti sloterdijkiani, né nella loro esposizione critica mossa dal gusto dell’esercizio filosofico. Ciò che ci si propone è invece l’offerta di prospettive e itinerari, a partire da determinati nuclei concettuali del filosofo, con il fine di accogliere le sfide filosofiche, antropologiche e sociali cui la contemporaneità ci invita in modo sempre più stringente, rispetto a cui non è più possibile far fronte con concetti vecchi, con strumenti teorici che non consentono più alcuna profonda comprensione dell’umano e del contemporaneo, inadatti a fornirci un’effettiva efficacia operativa sul mondo.
Il punto di partenza dei contributi raccolti nel volume, infatti, consiste nella presa d’atto che l’itinerario di Sloterdijk è essenzialmente mosso da un’istanza etica, e ciò riguarderebbe l’opera tutta. La comprensione dei processi costitutivi e costituenti la soggettività e la società, nonché il radicale ripensamento cui essi sono sottoposti, non verrebbero posti al servizio di una speculazione accademica, dottrinale, che avrebbe nella collezione di vaste analisi e nel corrispettivo accrescimento culturale il proprio fine. L’esplicitazione e l’appropriazione di tali contenuti sarebbe piuttosto la prima risposta alla domanda, oggi come non mai ineludibile, che chiede: che fare? come devo agire nel mondo? (p. 167) L’antropotecnica non sarebbe quindi mera questione teoretico-speculativa, in quanto fondata su un’istanza prettamente etica: porre genealogicamente in luce come si costituiscano l’uomo, la società, il mondo, è un’operazione non fine a se stessa, ma fatta in vista di una comprensione della contemporaneità, sempre più complessa, che sappia fornire lucidamente direzione all’azione che è da farsi, in un’epoca in cui la crisi dei sistemi immunitari tradizionali (cognitivi, simbolici, materiali) non consente più di assorbire e addomesticare la violenza del “fuori” (p. 111); in cui l’unità del mondo si fa “schiuma”, frammentandosi nella molteplicità trasversale dei centri di potere (p. 44); in un mondo globalizzato in cui ogni differenza è parimenti esaltata e liquidata nel livellamento complessivo (p. 131); in una società nella quale è smarrita la genuina forza costruente e autodisciplinante l’esistenza, nelle pratiche narcisistico-consumistiche del comfort.
Appropriandosi degli strumenti sloterdijkiani, e accogliendo una tale sintomatologia del contemporaneo, gli autori del testo pongono all’attenzione quali siano le aperture da varcare per una riformulazione filosofica dei problemi che attanagliano il mondo, stimolando efficacemente l’interesse per futuri spunti di riflessione e una meditazione più consapevole su ciò che si fa oggigiorno sempre più urgente. La posta in gioco consisterebbe nel ripensamento tout court dei concetti di soggetto e società, con il fine di una ridefinizione dei rapporti di associazione e collaborazione in un mondo capitalistico e globalizzato, necessariamente inseriti in una prospettiva di integrazione con l’ambiente (p. 224) avente di mira la pari dignità di individuo e collettività, autonomia e socialità, umanità e animalità.
Il volume si apre con l’introduzione di Marco Pavanini, in cui troviamo una presentazione del filosofo e dei suoi relativi nuclei concettuali, in modo da fornire al lettore una panoramica complessiva utile alla lettura del testo, che non accattivi esclusivamente la simpatia di chi è già familiare con il pensiero di Sloterdijk. La riflessione di quest’ultimo viene principalmente concepita nell’ottica di una «diagnostica della contemporaneità» (p. 14), in quanto una profonda comprensione di quest’ultima non può che scaturire dalla messa in chiaro dell’origine stessa dell’umanità nei suoi articolati processi di antropogenesi, e ciò rappresenta il presupposto teorico a partire da cui prende forma l’intero volume. Per questo, come da noi poc’anzi accennato, sulla scia di Sloterdijk l’interesse di chi contribuisce a questo volume è pratico ed etico, nella misura in cui si tratta di ridisegnare le pratiche del vivere comune in un mondo schiumoso e capitalistico. Il primo saggio è di Bruno Accarino, che partendo dal riferimento alle problematiche dell’antropologia filosofica del secolo scorso affronta e problematizza il concetto sloterdijkiano di “atmosfera” in relazione al pericolo cui esso conduce se affiancato a una volontà di disintegrazione concettuale del sociale. Nel secondo saggio, di Gianluca Bonaiuti, partendo da una lettura di Maupassant si pone in questione il thymos quale dimensione primaria della libertà personale, il cui senso è da ritrovarsi una volta che il soggetto è concepito in una costitutiva tensione tra le pratiche collettive e sociali immunizzanti, ormai in crisi, e l’ascesi personale, schiacciata in forme consumistiche e capitalistiche di realizzazione. Vincenzo Cuomo parte invece dal problema del linguaggio per giungere a una messa in luce della crisi delle società contemporanee per quanto riguarda gli ordinamenti simbolici tramite cui era solitamente accolta e assimilata la violenza esterna, rappresentando in questo senso la crisi del “meccanismo di trasposizione” che non può più addomesticare l’irruzione del fuori nel mondo umano. Eleonora de Conciliis pone all’attenzione l’aspetto livellante dei processi di democratizzazione capitalistica del mondo contemporaneo, che operano a danno di ogni forma di aristocraticismo delle differenze, domandandosi quale spazio sia lasciato alla possibilità di un esercizio soggettivo di verticalità. Della differenza tra umanità e animalità si occupa invece Fabio Polidori, che partendo da un confronto tra Heidegger e Sloterdijk si chiede se nell’animale non sia forse l’assenza di linguaggio a salvaguardarne l’alterità, in una dimensione irriducibile alle dinamiche di umanizzazione cui esso è solitamente soggetto. Direttamente muovendo dall’istanza etica del pensiero di Sloterdijk si sviluppa la riflessione di Igor Pelgreffi, che pone il filosofo in continuità con Aristotele per quanto riguarda il problema dell’abitudine e dei processi di automatizzazione e de-automatizzazione, mettendo in rilievo quell’etica dell’esercizio che si tiene distante da ogni forma di etica deontologica. A concludere, Dario Consoli propone un dialogo tra la teoria del sociale di Sloterdijk e quella di Bruno Latour, la cui forte assonanza teorica può essere motivo per un ripensamento della partecipazione collettiva, in nuove forme di associazione, dopo la sostanziale ridefinizione del concetto di società, che non veda più questa come entità già costituita rispetto agli elementi che la compongono, ma che colga il rapporto biunivoco tra le forme dello stare assieme e la produzione dell’uomo, secondo la spazialità sferico-immunitaria.
Lo spazio dell’umano. Saggi dopo Sloterdijk è quindi un libro che ha la propria collocazione filosofica sicuramente a partire da Sloterdijk, ma che non si limita a compiere una semplice operazione di compendio. I nuclei concettuali del filosofo vengono infatti spinti in avanti verso la contemporaneità, ponendo in questione ciò che essi hanno da offrire non limitatamente alla teoresi filosofica, ma in vista della comprensione dell’attualità per un’azione di riscrittura di quest’ultima. Rinunciando a qualsivoglia chiusura sulla complessità dell’umano, e partendo dallo sgretolamento dei paradigmi tradizionali, l’analisi dei processi genealogici costituenti l’umanità è rilanciata nella domanda che chiede cosa (e come) possiamo fare in questo mondo, adoperando le categorie sloterdijkiane negli scenari ermeneutici che queste descrivono e in quelli che prospettano; ponendo in risalto, senza celarne la problematicità, la fruttuosità di tale sforzo.
Giovanni Battista Armenio
S&F_n. 25_2021