Autore
Fabiano Agliarulo
Università degli Studi di Napoli Federico II
laureato in Filosofia all’Università degli Studi di Napoli Federico II
Indice
- Incorporamento e memoria organica
- Il concetto di perfezionamento in C. Nägeli
- Teoria dei mutamenti di funzione e condizioni di esistenza nella biologia di K. Semper
- Il problema degli stimoli fra R. Virchow, W. Roux e J. R. Mayer
S&F_n. 07_2012
- Incorporamento e memoria organica
La biologia tedesca degli anni ‘80 definisce una linea di ricerca che nasce dallo sgretolarsi del mito dell’amorfo dominante nei decenni precedenti. Il nuovo indirizzo di studi parla chiaramente di «strutture protoplasmatiche»[1], questa biologia riconosce il primato dell’organizzazione e dell’individualità nella definizione della vita. Nietzsche utilizza la categoria di incorporamento [Einverleibung] per esprimere le funzioni ordinatrici che la coeva fisiologia attribuiva ai viventi[2]. Se la passiva relazione con i fattori esterni rappresenta l’asse fondante del darwinismo, nella sua rappresentazione della vita Nietzsche lascia emergere, di contro, un’interna capacità metamorfica dell’organico. Quest’ultima plasma la materia vivente nei processi di incorporamento. In altri termini l’organismo non esiste come entità compiuta. Piuttosto esso si frantuma e ricompone in quei processi, ricorsivi e diffusi, nel corso dei quali si compie l’incorporamento dell’alterità. Ogni processo fisiologico all’interno del corpo è rappresentato come un essere vivente[3]. A ognuno di essi Nietzsche attribuisce la capacità di patire l’altro, ma anche la forza di metabolizzarlo nella propria struttura. L’essenziale della vita organica è la costanza della metamorfosi e l’opera di William Henry Rolph, la cui lettura Nietzsche svolge nel 1884, offre uno schema direttivo per confermare questo assunto. Lo zoologo sostiene che l’individualità in natura venga messa in crisi da processi di scissione divenuti necessari al cospetto dell’impossibilità, per la cellula madre, di continuare a metabolizzare il surplus di nutrimento assorbito[4]. Scrive a tal proposito Nietzsche: «Il protoplasma che si divide ½ + ½ non = 1, ma = 2. “Con ciò” viene a cadere la fede nella monade spirituale»[5]. Rolph rielabora l’argomento del rapporto fra generazione e accrescimento attraverso il richiamo a un’irresistibile pulsione interna, di natura meccanica, definita «fame insaziabile»[6] [unersaettliche Hunger]. I viventi tendono ad assorbire tutto ciò che incontrano, essi si spingono oltre il loro limite metabolico e dunque assimilano indipendentemente dai bisogni strettamente connessi alla sopravvivenza. Il metabolismo diventa il processo regolatore di ogni variazione e differenza in natura. In base a questo schema, è possibile leggere l’Einverleibung quale crasi fra patire e agire aperta da una dissipazione, ovvero la prodigalità attraverso la quale l’io offre all’altro lo spessore e la vitalità della propria carne. La fisiologia non funziona come una prudente capacità di assimilazione, essa è invece la circolarità del rapporto che stringe patire e agire. Allo stesso modo cade anche ogni distinzione fra interno ed esterno. Il corpo è una labile cerniera tesa fra i meccanismi di autoregolazione interna e gli stimoli che vengono dall’ambiente esterno. In accordo con Nägeli, Nietzsche rappresenta il processo vitale sempre teso a strutturare e organizzare quanto dall’esterno viene assimilato[7]. Il vivente crea il suo stesso ambiente e, al contempo, viene da quest’ultimo creato. Il nodo polemico fra organismo e ambiente si presenta quale inedita prospettiva rispetto al primato assiologico dell’adattamento nella teoria darwiniana. L’Einverleibung intenderebbe definire un’opera di trasvalutazione dei valori biologici prevalenti. Dallo sgretolarsi della metafisica darwiniana nasce un’idea dello sviluppo filogenetico quale compresenza e scontro fra diverse prospettive. L’incremento qualitativo della specie risiede in una non-coincidenza delle sperimentazioni individuali con quanto tramandato dalla storia evolutiva, ovvero l’istinto gregario. Spezzare l’atavismo del nostro patrimonio istintuale significa rivolgere la funzione inibitrice della coscienza di specie in una nuova formula esistenziale incarnata da forti individualità. Sotto questa luce, la memoria transindividuale appare quale patrimonio di potenza accumulata. Essa non si riduce a contenere unicamente ciò che ha saputo adattare e costringere in una forma, ovvero le esperienze che sono divenute l’assetto normativo della specie. L’attività mnesica è anche costituita da tutti gli eventi che resistono all’assimilazione. In questo senso, la memoria è «[ … ] la massa di tutte le esperienze di ogni vita organica, che vivono, si ordinano, si plasmano a vicenda, lottano l’una contro l’altra, si semplificano, condensano e trasformano in molte unità»[8]. Questo deposito sovrabbondante di esperienze si realizza in una costante non coincidenza tra le sedimentazioni del passato, rappresentate da quelle esperienze che la memoria ha con successo incorporato, e inaudite possibilità di sviluppo. Queste ultime corrispondono a inusitate prospettive che alcuni individui sperimentali traggono da quello stock di esperienze che la nostra storia evolutiva ha dimenticato, senza per questo rimuovere completamente dalla sua memoria. La relazione ontogenesi/filogenesi viene reinterpretata da Nietzsche secondo le potenzialità di uno «stupefacente arbitrio»[9]. Il paradigma della memoria attiva si costruisce sul rifiuto del gradualismo haeckeliano contenuto in quella conflittualità e attrito con i quali la biologia morfologica immaginava lo sviluppo della vita[10]. Già nel corso degli anni '60 e '70, la relazione ontogenesi/filogenesi era infatti divenuta importante terreno di riflessione per il massimo corifeo del darwinismo in Germania, appunto Ernst Haeckel. Scienziato da Nietzsche conosciuto tramite la rivista Kosmos[11], gli scritti di J.G. Vogt[12] e quelli di O. Schimdt[13], Haeckel ipotizza che la memoria sia il tratto caratteristico dell’organico. La prima forma di memoria consiste nella ereditarietà dei caratteri determinata dalla generazione. Quest’ultima non è altro che continuità mnemonica, in altri termini l’assenza di qualsiasi alterazione dei plastiduli nella loro trasmissione al nuovo organismo. Il rapporto fra generazione e accrescimento viene letto da Haeckel quale illimitato incremento della vita fondato sull’accumulo ininterrotto di memoria organica. Dall’ameba all’uomo si verifica una crescita puramente meccanica della materia amorfa di cui è fatta la vita. La semplicità e l’omogeneità della cellula si trovano a fondamento di questa visione fortemente unitarista della filogenesi. Su questi presupposti, la legge biogenetica ritiene che nello sviluppo individuale si attraversino una serie di stadi corrispondenti alle fasi adulte degli antenati. Questa situazione implica che vi sia una somiglianza degli embrioni fra i diversi tipi di vertebrati. Nello sviluppo dell'uomo, ad esempio, abbiamo una fase precoce con fessure branchiali come quelle dei pesci[14]. L’eguaglianza tra embrioni di specie diverse, elemento fondante della teoria haeckeliana, trova riscontri critici nelle osservazioni di Nietzsche e prima ancora di Roux[15]. Il parallelismo fra sviluppo embrionale ed evoluzione filogenetica assume che la comparsa di specie più giovani, evento sul piano filogenetico successivo allo sviluppo delle forme di vita più antiche, si condensi a livello ontogenetico in un processo di addizione terminale. I caratteri propri delle specie superiori appariranno soltanto dopo una ricapitolazione delle caratteristiche appartenenti a quelle forme di vita inferiori che costituiscono gli antenati filogenetici. Lo sviluppo degli individui arricchisce e completa l’evoluzione filogenetica, l’elemento ontogenetico di innovazione viene quindi assorbito nel piano collettivo della specie e ne incrementa il percorso evolutivo. Sebbene Haeckel si proclamasse darwinista, la ricorsività del rapporto fra ontogenesi e filogenesi elegge Lamarck a privilegiato strumento epistemologico. Attraverso l’addizione terminale, i caratteri acquisiti vengono ereditariamente trasmessi alla discendenza. Parimenti quanto maturato all’interno della storia evolutiva viene inglobato nell’ontogenesi.
- Il concetto di perfezionamento in C. Nägeli
In un frammento composto tra la fine del 1886 e la primavera del 1887, Nietzsche rimprovera a Darwin l’eccessiva importanza da questi accordata al ruolo delle circostanze esterne: «Darwin sopravvaluta fino all’inverosimile l’influsso delle “circostanze esterne”; l’essenziale del processo vitale è proprio l’enorme potere creatore di forme dall’interno, che usa, sfrutta, le “circostanze esterne”»[16]. Questo passaggio risente fortemente dell’influenza esercitata dal botanico Carl Nägeli. Nella copia che Nietzsche possedeva della Mechanisch-physiologische Theorie der Abstammungslehre, pubblicata nel 1884, troviamo sottolineata la seguente affermazione: «la costituzione […] degli organismi è una conseguenza necessaria, nei suoi tratti principali, delle forze che ineriscono la sostanza […] indipendentemente da accidentalità esterne»[17]. Questo primato dell’interiorità sui fattori esterni sottrae le trasformazioni alle quali va incontro la vita, nel corso del suo sviluppo filogenetico, a una interpretazione di natura finalistica. La formazione delle corna dei ruminanti, scrive ad esempio Nägeli, non è certamente avvenuta in accordo con la teoria della selezione naturale. Nel corso delle prime cinquanta generazioni, quest’organo raggiunse una grandezza tanto insignificante da non concedere alcun vantaggio degno di nota[18]. Inizialmente le trasformazioni sembrano essere sempre esigue e senza utilità. Nietzsche recepisce questo ragionamento e lo traspone nelle problematiche della Genealogia della morale[19]. In alcuni passaggi, Nägeli associa il potere interno della vita al percorso di autocostruzione dell’individuo biologico che Johann Friedrich Blumenbach indica con il concetto di nisus formativus[20]. Blumenbach rigetta ogni meccanicismo preformista a favore di un vitalismo teleologico. Quest’ultimo appare teso a salvaguardare l’irriducibilità di quella vis formativa dalla quale dipendono i fenomeni di generazione, ibridazione, rigenerazione e finanche nutrizione[21]. Il richiamo al nisus formativus riguarda la descrizione del fondamentale e quasi automatico «impulso al perfezionamento» [Vervollkommungstrieb] delle strutture idioplasmatiche. Nägeli propone una teoria dell’ereditarietà alternativa alla spiegazione darwiniana. Darwin riteneva che nel corso della riproduzione ogni singolo carattere organico fosse affidato alla trasmissione di un granulo distinto. Secondo Nägeli, l’architettonica complessa delle cellule basterebbe da sola a squalificare l’ipotesi di Darwin. La comprensione dell’ereditarietà non ha bisogno di individuare un simbolo specifico e indipendente per ogni differenza. Si tratta, piuttosto, di concentrare l’attenzione su un particolare dispositivo che Nägeli distingue dal plasma nutritivo. La struttura in questione corrisponde al reticolo idioplasmatico, qualcosa di diffuso in maniera filiforme e ramificata nell’intero organismo. Per mezzo della congiunzione dei suoi elementi, le micelle, questa sostanza può esprimere qualsiasi combinazione di differenze. In virtù di un meccanico impulso al perfezionamento, l’evoluzione filogenetica è determinata dalla capacità delle strutture idioplasmatiche di mutare gli intrecci molecolari e di realizzare in tal modo figure e ordini sempre più complessi. Nietzsche riprende il «concetto di ‘perfezionamento’» come espressione di una maggiore complicazione e di un incremento di potenza[22], nella storia filogenetica, da contrapporre all’atavismo della memoria postulato da Haeckel.
Nägeli riteneva che le funzioni meccaniche dell’idioplasma avvalorassero in natura l’unica spiegazione possibile sui processi dell’eredità e del cambiamento filogenetico[23]. La funzione ordinatrice dell’idioplasma ha il merito di strappare queste strutture allo stato di soluzione indifferente e disciolta, quindi amorfa, e di definirle sempre per la loro capacità di porre in una stabile connessione le micelle. «La fecondazione e la crescita – si legge nelle pagine del botanico – presuppongono necessariamente una materia organizzata»[24]. Nägeli ne conclude che «nel corso della fecondazione si unifichino sempre idioplasmi (non dissolti)»[25]. La biologia degli anni '80 comincia a comprendere che la sostanza della cellula non è omogenea, bensì definita da intrecci strutturali che tendono a un sempre maggiore grado di complessità. Le differenze morfologiche insite nelle formazioni cellulari dimostrano l’infondatezza delle teorie relative alla trasmissibilità dei caratteri acquisiti. Questa intuizione toglie progressivamente sostanza alla rappresentazione della morale quale residuo fisso degli adattamenti più utili alla conservazione, radicato nella catena filogenetica attraverso la trasmissione di mutamenti organici acquisiti[26]. E’ possibile quindi concordare con Moore sul fatto che, a partire dagli anni '80, l’opposizione di Nietzsche alla morale tradizionale cerchi nel potere esplicativo della biologia la forza per svelare e capovolgere i valori prevalenti[27].
- Teoria dei mutamenti di funzione e condizioni di esistenza nella biologia di K. Semper
Con l’opera Die natürlichen Existenzbedingungen der Thiere, scritta nel 1880, Karl Semper elabora una teoria evolutiva tesa a dimostrare come nella genesi di un organo non agisca la sua successiva funzione, ovvero l’utilità finale. Semper afferma che, in linea teorica, «un qualsiasi singolo organo vivente è in grado, grazie alle proprietà che possiede in virtù delle sue cellule viventi, di trasformarsi in qualsiasi altro organo»[28]. Gli esperimenti condotti su alcuni molluschi e crostacei, ad esempio il Birgus latro, dimostrano la capacità di queste forme di vita di trasformare all’occorrenza le cavità branchiali in polmoni. Alcune limnee ritrovate nei fondali dei laghi alpini riescono, inoltre, a passare dalla respirazione polmonare a quella branchiale e viceversa, se ricondotte in superficie e costrette a riprendere le antiche abitudini della specie. Gli organi respiratori, come qualsiasi altra struttura organica, riescono «a mutare la propria funzione non solo gradualmente, ma anche in maniera del tutto repentina»[29]. In altri termini, le funzioni organiche «non si incarnano di necessità in determinati organi, ma piuttosto se ne impossessano, e stravolgono, se necessario, strutture e apparati nati per tutt’altri fini»[30]. Al pari delle osservazioni di Naegeli, l’interna forza di trasformazione che Semper riconosce alla vita diventa un importante strumento concettuale nella costruzione del metodo genealogico nietzscheano[31]. Siano da esempio le riflessioni sulla storia dell’occhio in Aurora[32]. Esse riprendono l’affermazione di Semper in base alla quale «l’occhio non può mai venir suscitato dalla vista, sebbene riesca, essendo già presente, a venir rimodellato da questa attività»[33]. I mutamenti di funzione dipendono dalla sovrapposizione di molteplici volontà organiche, ogni unità vitale appare definita da specifiche «condizioni di esistenza» [Existenzbedingungen]. Questa espressione di Semper trova ampio utilizzo all’interno del lessico nietzscheano degli anni '80[34]. Contro l’ingenuità dei biologi inglesi, Nietzsche riconosce una capacità di valutazione a ogni unità vivente[35]. La conoscenza è nient’altro che un sistema di valutazioni aderente alle condizioni di vita di una creatura[36], ovvero prospettiva modellata su particolari esigenze biologiche. L’apparato percettivo non è interessato alla verità, bensì al dominio delle cose. In questo senso, per l’uomo e tutte le creature inferiori «il primo confine di ogni “senso per la verità” è: ciò che non serve alla loro conservazione non importa loro»[37]. Le condizioni di esistenza sono pertanto la morale[38], dunque lo specifico valore per la vita attorno al quale ogni vivente costruisce il suo mondo. Con il suo meccanismo di incorporazione logica del reale, l’uomo non ha cambiato nulla in tutto questo. La sua specificità viene ricompresa sulla base della fondamentale pulsione a rendere uguale e dominare il cui schema direttivo Nietzsche trova, ancora una volta, nelle funzioni ordinatrici dell’idioplasma[39]. In altri termini, l’autoreferenzialità della conoscenza logica viene ricondotta ai suoi presupposti biologici. Nietzsche scardina l’assunto in base al quale la conoscenza si sarebbe costituita attorno alla contemplazione dell’ordine e della bellezza del mondo. L’origine del logico si trova, piuttosto, nella necessità di incorporare, cioè metabolizzare in senso proprio e non metaforico, il caos dell’universo[40]. L’atto conoscitivo mostra, in primo piano, il supporto dinamico del corpo.
- Il problema degli stimoli fra R. Virchow, W. Roux e J. R. Mayer
La scossa fisica che stimola il vivente alla digestione dell’alterità appare esattamente paragonabile al dolore che la malattia infligge al corpo sano. In tal senso, è forse possibile riscontrare in Nietzsche un’eco della biologia di Rudolph Virchow[41].
Maestro di Roux, Virchow pensa che tutta l’attività vitale presupponga un’irritazione consistente nell’alterazione passiva dell’assetto interno del vivente. Le alterazioni sono da Virchow ricondotte all’influenza di stimolazioni esterne[42]. Sulla scorta di queste considerazioni, Nietzsche ritiene che la conoscenza dipenda da una stimolazione originaria avvertita dall’organismo come dolore: «così la comprensione è originariamente una sensazione di dolore e il riconoscimento di una potenza estranea»[43]. La sofferenza di cui parla Nietzsche non è la mera ferita psicologica inferta dal nuovo, dunque un fenomeno non originario, superficiale e che giunge al termine del processo. Il dolore tende piuttosto ad assumere letteralmente il significato attribuitogli nell’argomentazione di Virchow. Il soffrire è inteso come quel patire che sconvolge la carne, esso diviene il tormento[44] che sempre accompagna la digestione dell’alterità.
La piena maturazione in Nietzsche di una teoria degli stimoli riceve, tuttavia, il suo più importante indirizzo dalla lettura dell’allievo di Virchow, l’anatomista Wilehlm Roux. A partire dal 1881, è attestata nelle annotazioni di Nietzsche la presenza di riferimenti all’opera Der Kampf der Theile im Organismus. Prima di Roux, l'anatomia si era limitata al confronto e alla descrizione delle formazioni organiche. Il nuovo indirizzo analitico/causale appare interessato, invece, all’adozione di una prospettiva morfogenetica finalizzata a capire come avvenga dall’interno, attraverso la lotta fra le parti organiche, la formazione della corporeità. La teoria di Darwin non viene rifiutata, ma pensata come incompleta. Roux si proponeva di completare l'evoluzionismo darwiniano trovando migliori spiegazioni per i più sottili finalismi interni degli animali. La molteplicità delle differenziazioni appartenenti alle proprietà delle pareti dei vasi sanguigni costituisce, ad esempio, un’interna realtà organica troppo ricca e complessa per poter essere ridotta allo schema della selezione naturale. In altri termini, questa, come altre strutture interne dei viventi, non si è prodotta come variazione casuale poi accresciuta nella lotta per l'esistenza. È necessario supporre che nel corpo esistano funzioni di autoregolazione [Selbstgestaltung] e autodifferenziazione interna. L'evoluzione dei vasi sanguigni viene spinta in una direzione determinata dal sangue che scorre : un organo agisce su un altro organo[45].
La lotta fra organi e tessuti trova nelle Molekel, strutture più piccole della cellula, la propria unità minima. Le particelle che nel ricambio organico assimilano più velocemente, con maggiore velocità anche si rigenerano e possono svilupparsi nello spazio. Roux descrive una lotta di natura meccanica, essa appare costituita da spinte contrastanti esercitate da forze, le Molekel, ognuna delle quali è un'organizzazione permanente e strutturata in maniera finalistica. Il meccanicismo della lotta cellulare viene assorbito in maniera problematica nella riflessione di Nietzsche. Questi ne fa soltanto una possibile interpretazione della corporeità[46] e ne modera la violenza accostandole una comprensione affettiva dell’organico. Nietzsche affida l’autoregolazione corporea al comando e alla capacità di dominare. Fin nei più semplici processi organici le gerarchie si fondano sull’affetto del comando. In questo senso, non si dà «lotta per la vita o per il nutrimento»[47], piuttosto la «lotta per la lotta»[48] costituisce la condizione propria dell’organico. L’istanza affettiva che permea il corpo si estende in una scala di gradazioni. Questo significa che la convinzione della propria superiorità, da parte di chi domina, corrisponde alla consapevolezza di dover obbedire insita nell’inferiore. Nel corpo troviamo la compresenza della sovranità di colui che comanda e la resistenza, consapevole di se stessa e quindi anche della necessità di sottomettersi, di ciò che obbedisce. La globalità corporea si presenta come enorme unione di esseri viventi, ciascuno dipendente e sottomesso, e tuttavia sempre imperante, in quanto capace di agire con volontà propria.
Si è già visto come la meccanica della Selbstgestaltung affidi all’azione degli stimoli, in particolar modo quelli trofici, il compito di differenziare e strutturare l’attività vitale. Aggiungiamo ora che la vita delle parti organiche viene suddivisa in due periodi. Inizialmente cellule e tessuti si sviluppano in modo autonomo; nel corso della seconda fase, crescita e ricambio organico avvengono solo sotto l’influenza degli stimoli. Questa seconda fase non appare capace, in ogni caso, di eliminare l’autostrutturazione delle parti[49]. Sul filo di questo ragionamento Roux arriva ad attribuire alle eccitazioni più violente in assoluto, le ferite organiche, un ruolo centrale nell’accrescimento della forza dell’organismo. L’esempio spesso utilizzato dall’anatomista è quello della rigenerazione cellulare che segue alle violente lesioni patite dal tessuto osseo[50]. Nietzsche assorbe da Roux il legame attivo che la Selbstgestaltung costruisce con i processi di stimolazione[51]. Questi ultimi non sono però riducibili a fenomeni fisiologici o chimici. L’intera fisiologia può essere semmai reinterpretata come stimolazione, ovvero emissione di energia. Lo stimolo è un impulso eccitante voluto dalla libera attività del ricettore. Quest’ultimo ricerca fattori eccitanti che gli consentano di scaricare la propria energia potenziale. Con il concetto di stimolazione si definisce, pertanto, un impulso interno della vita a liberare energia. Nietzsche riporta soltanto in parte il ragionamento di Roux quando afferma l’idea, secondo cui, l’accrescimento della potenza può avvenire unicamente là dove si produce «un gran numero di minutissime ferite, attraverso le quali si accresce il bisogno di appropriazione»[52]. Il ruolo della ferita va oltre la capacità di incentivare il lavoro attivo dell’assimilazione riparatrice. Ostacoli e ferite sono piuttosto voluti dalla vita. La resistenza diventa un ingrediente necessario ai viventi perché questi manifestino se stessi in scariche di energia. Sebbene Nietzsche si mostri più volte critico nei confronti del corpuscolarismo di Julius Robert Mayer, è innegabile che la concezione nietzscheana di scarica energetica debba non poco al saggio di questi Über Auslösung del 1876[53]. A partire dal 1881, Nietzsche fa sempre più uso di concetti quali emissione ed esplosione. La scarica energetica, nel senso proprio di Mayer o come un più generale scatenarsi delle energie potenziali, fa negli anni '80 il suo definitivo ingresso nel vocabolario di Nietzsche[54]. L’importanza del concetto di emissione si trova nel contributo da esso offerto alla fondazione di una nuova idea di causalità. In termini fisiologici, questo significa che lo stimolo non è più causa agente per successivi effetti, ma innesco. Mayer riconduce i fenomeni di movimento, comprese le dinamiche psicologiche e i processi inorganici, a emissioni non quantificabili in forma matematica. Questo tipo di argomentazione smonta la dipendenza degli effetti da cause di egual natura. In un passaggio de La gaia scienza, Nietzsche traduce queste osservazioni in una teoria della doppia causalità. Attraverso l’immagine del fiammifero e del barile di polvere, egli distingue la causa propria dell’agire, ovvero «un quantum di energia accumulata», dalla piccola circostanza fortuita in virtù della quale quel quantum ha la possibilità di liberarsi[55]. Questa fisica delle emissioni completa la comprensione affettiva del corpo e quindi il quadro dell’anti-meccanicismo di Nietzsche. Con Mittasch[56] è possibile ricordare come un simile anti-riduzionismo abbia trovato risonanze nella ricerca del XX secolo. Attraverso l’esempio di H. Spemann, Mittasch rileva come l’embriologia del secolo passato abbia cercato di spiegare processi intricati, quali la fecondazione e lo sviluppo dei germogli, tramite l’analogia psicologica dell’addestrare, del comandare e dell’obbedire. La “filosofia della natura” di Nietzsche, vicina ai risultati delle ricerche successive, avrebbe avuto pertanto una certa rilevanza scientifica[57].
[1] W. Flemming, Zellsubstanz, Kern und Zelltheilung, Vogel, Leipzig 1882.
[2] F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, in Opere, a cura di G. Colli e M. Montinari, Adelphi, Milano 1976, §230.
[3] F. Nietzsche, Frammenti Postumi, in Opere, cit., 1884 25 [401]. D’ora in poi FP seguito dall’anno e dal numero di ordinamento.
[4] W. H. Rolph, Biologische Probleme, Engelmann, Leipzig 1884, pp. 122-129.
[5] FP 1885-1886 2 [68].
[6] W. H. Rolph, op. cit., pp. 60-68.
[7] C. Nägeli, Mechanisch-physiologische Theorie der Abstammungslehre, Oldenbourg, München und Lepzig 1884, p. 116 e sgg.
[8] FP 1884 26 [94].
[9] Ibid., 1885 40 [34].
[10] W. Roux, Der Kampf der Theile im Organismus, Engelmann, Leipzig 1881, p. 233.
[11] A partire dal 1877 l’organo ufficiale del monismo haeckeliano.
[12] J.G. Vogt, Die Kraft. Eine Real – monististische Weltaunschaunung, Haupt und Tischler, Leipzig 1878.
[13] O. Schmidt, Descendenzlehre und Darwinismus, F.A. Brockhaus, Leipzig 1873.
[14] E. Haeckel, Antropogenia o storia dell’evoluzione umana (1874), tr. it. Unione Tipografico Editrice, Torino 1895, p. 13.
[15] FP 1884 25 [403]; W. Roux, op. cit., pp. 57-59.
[16] FP 1886-1887 7 [25].
[17] C. Nägeli, op. cit., p. 294.
[18] Ibid., pp. 312-16.
[19] A. Orsucci, Dalla biologia cellulare alle scienze dello spirito, Guida, Napoli 1992, p. 178.
[20] C. Nägeli, op. cit., pp. 31-32.
[21] J. F. Blumenbach, Über den Bildungstrieb und das Zeugungsgeschäfte, Dietrich, Göttingen 1781.
[22] FP 1885-1886 2 [76].
[23] C. Nägeli, op. cit., p. 81.
[24] Ibid., p. 217.
[25] Ibid., pp. 111-112.
[26] A. Orsucci, op. cit., p. 168.
[27] G. Moore, Nietzsche, Biology and Metaphor, Cambridge University Press, Cambridge 2002, p. 13.
[28] K. Semper, Die natürlichen Existenzbedingungen der Thiere, Brockhaus, I-II, Leipzig 1880, p. 18.
[29] Ibid., pp. 241-42.
[30] Ibid., p. 232
[31] A. Orsucci, op. cit., pp. 181-87.
[32] F. Nietzsche, Aurora, in Opere, cit., §122.
[33] K. Semper, op. cit., p. 122.
[34] A. Orsucci, op. cit., p. 187.
[35] F. Nietzsche, Genealogia della morale, in Opere, cit., I, § 17.
[36] Id., La volontà di potenza, a cura di M. Ferraris e P. Kobau, Bompiani, Milano 2005. In questo caso: § 256.
[37] FP 1884 26 [58].
[38] Ibid., 1884 1 [68].
[39] Ibid., 1886-1887 7 [9].
[40] C. Zaltieri, Insegnare l’ininsegnabile. Nietzsche, Foucault, Deleuze, in «Noema», I, 2011, http://riviste.unimi.it/index.php/noema.
[41] R. Virchow, La patologia cellulare fondata sulla dottrina fisiologica e patologica dei tessuti (1859), tr. it. Vallardi, Milano 1863.
[42] B. Stiegler, op. cit., p. 48 sgg.
[43] FP 1883 7 [173].
[44] Ibid., 1884 25 [8].
[45] W. Roux, op. cit., p. 165 sgg.
[46] Ibid., 1881 11 [199].
[47] Ibid., 1884, 26 [276].
[48] Ibid., 1884, 26 [277].
[49] W. Roux, op. cit., p. 180 e p. 200.
[50] B. Stiegler, op. cit., p. 64.
[51] FP 1883 7 [196].
[52] Ibid., 1883 7 [86].
[53] J. R. Mayer, Über Auslösung (1876), in Die Mechanik der Warme, J.G. Cotta, Stuttgart 1893.
[54] A. Mittasch, Nietzsche als Naturphilosoph, Alfred Kroner Verlag, Stuttgart 1952, p. 120.
[55] F. Nietzsche, La gaia scienza, in Opere, cit., § 360.
[56] A. Mittasch, op. cit., p. 87.
[57] W. Müller Lauter, L’organismo come lotta interna, in La Biblioteca ideale di Nietzsche, a cura di di G. Campioni e A. Venturelli, Guida, Napoli 1992, p. 188.