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Luigi Laino – Salvare i fenomeni. Saggio sulla fisica greca e sui presupposti della matematizzazione della natura [Mimesis, Milano-Udine 2015, pp. 269, € 22]


L’idea di una qualche corrispondenza tra pensiero e realtà non è un prodotto della filosofia. Ogni senso comune, qualsiasi visione del mondo, anche la più ingenua, deve partire dal presupposto che la ragione – il nostro pensiero, il nostro linguaggio o per lo meno la nostra sensibilità – abbia la capacità di riferirsi alle cose, di nominarle e dunque, cogliendole, di renderle oggetto della nostra capacità operativa. Prerogativa del pensiero filosofico, tuttavia, è mettere a tema questo rapporto, stupirsene e problematizzarlo. In questo senso, la filosofia è in primo luogo un’operazione riflessiva sul presupposto necessario del linguaggio, ovvero sull’idea che esso si riferisca a qualcosa d’altro da sé.Salvare i fenomeni è innanzitutto un’indagine sulle diverse modalità con cui questo rapporto è stato reso dai primi filosofi greci. L’indagine è svolta in vista di un traguardo ben preciso: quella specifica modalità che ha riconosciuto come base dell’omologia tra ragione e natura la possibilità di concepire quest’ultima in termini matematici. Se la seconda parte del volume è specificamente dedicata a delineare i tratti fondamentali che questo sforzo ha assunto a partire da Platone fino alla tarda antichità, la prima sezione del testo si rivolge piuttosto alla ricostruzione del percorso teorico che, a partire da Anassimandro, ha permesso al pensiero greco di porre i presupposti necessari a concepire una tale idea. In questo senso, e in prima battuta, Salvare i fenomeni si presenta al lettore come una archeologia delle scienze naturali.Approfondendo la lettura del testo, tuttavia, viene da pensare che il problema delle condizioni di possibilità per una scienza della natura in senso moderno, pur costituendo il termine ultimo della trattazione – che culmina con un’analisi del rapporto problematico e conflittuale tra fisiologia e astronomia matematizzata – non ne sia l’oggetto privilegiato. Piuttosto, il testo sembra rivolgersi al pensiero greco non nei termini di una “preistoria” dell’interpretazione fisico-matematica dei fenomeni naturali, bensì di una fase in cui la questione del rapporto tra pensiero e cosa viene posta nei termini più radicali. Se il percorso specifico assunto dal pensiero occidentale nelle sue prime battute ha stabilito definitivamente i confini e le modalità con cui la nostra civiltà ha pensato tanto la dimensione logica quanto quella naturale, Laino rinuncia al tempo stesso a una celebrazione nostalgica e mitizzante della fase aurorale del pensiero, ma preferisce piuttosto un’analisi serrata dei testi – dal punto di vista teoretico e filologico – tentando di individuare i singoli problemi e le alternative teoriche fondamentali che si sono parate dinnanzi ai primi pensatori.Gravitando nell’area d’influenza del neokantismo marburghese, ma rifiutando la tentazione di ridurre il pensiero greco a una mera “anticipazione imperfetta” del pensiero moderno – segnatamente, della rivoluzione trascendentale kantiana – Laino sceglie in qualche modo una via parallela, riconoscendo nel pensiero dei fisiologi la dimensione all’interno della quale è venuta maturando la questione dell’omologia tra pensiero e natura. Posta originariamente nei termini di un logos interno alla physis e a quest’ultima omogeneo, la questione si è andata evolvendo attraverso una progressiva problematizzazione del rapporto tra principio unificante e molteplice unificato. Questa problematizzazione, a propria volta, comporta una costante risemantizzazione dei termini correlati. In questo, la ricerca di Laino si configura come una genealogia dei concetti di logos e physis, il cui esito è l’investigazione di un nesso originario tra questi due elementi che Laino stesso tematizza nei termini di una “ipotesi fisiologica”. Questa ipotesi, ovvero il già da sempre esser presupposto di una qualche forma di correlazione tra logos e physis, è presentata come una posizione teorica che anticipa l’ontologia, ma al tempo stesso e in qualche modo prelude a quest’ultima. Nello scarto tra fisiologia e ontologia, tra un’interpretazione dei fenomeni nei termini di un nesso tra logos e physis, e un’interpretazione degli stessi fenomeni nei termini di un nesso tra linguaggio ed essente, Laino ricostruisce una serie di alternative teoriche che non si fa fatica a riconoscere come distinte immagini del trascendentale. Anche qui, d’altronde, l’obiettivo non è derubricare sbrigativamente il pensiero dei primi Greci come un’imperfetta intuizione del pensiero kantiano. Al contrario, nell’analisi del pensiero fisiologico e delle due prime grandi ontologie, quella platonica e quella aristotelica, Laino tenta piuttosto di lasciar emergere la possibilità di una concezione più ampia del trascendentale stesso, rompendo innanzitutto la necessità del nesso tra trascendentale e soggettività.In questo tentativo, chiaramente, risiede il vero nucleo problematico della ricerca: in che senso concepire un trascendentale che non sia né completamente naturalizzato – sarebbe d’altronde assai difficile chiamarlo ancora trascendentale – né ancora una volta relegato all’idea di un’analisi delle strutture a priori della soggettività? In questa domanda, chiaramente, risuona ancora una volta una certa ispirazione neokantiana. Tuttavia, rispetto alle istanze dei marburghesi l’impostazione dell’Autore sembra porre molto più fortemente l’accento sull’esigenza paradossale di superare Kant a partire dai Greci – e non banalmente tornando a essi. Questo, se non altro, nel senso che occorre recuperare la questione fondamentale della filosofia – perché di questo si tratta – al di là di facili distinzioni tra campi disciplinari come ontologia, teoria della conoscenza ed epistemologia. La stessa ispirazione archeologica del testo non serve allo scopo di decostruire o relativizzare il discorso scientifico, ma piuttosto di problematizzarlo a partire dai suoi presupposti più originari. La ricerca di Laino, come rivela il massiccio apparato di note, ha sempre sott’occhio l’attuale andamento delle scienze naturali, e muove esplicitamente a partire dal convincimento che il problema messo a tema – l’omologia tra logos e physis – sia il luogo in cui il pensiero filosofico può effettivamente donare un contributo decisivo all’avanzamento delle scienze.In definitiva, Salvare i fenomeni appare come una ricerca dotta e dal carattere molto ben definito – si tratta forse dell’unico trattato filosofico sull’astronomia antica uscito negli ultimi anni – nella quale al tempo stesso risuona la portata globale dei temi trattati. Partendo da una ritraduzione personale di tutti i testi, e da un’impostazione teoretica che non si riconosce nelle attuali tassonomie della ricerca filosofica, l’analisi di Laino appare senz’altro circondata da una certa aria di inattualità. Se ciò rende difficile inserirla immediatamente nel dibattito contemporaneo, allo stesso tempo costituisce un’ottima ragione per confrontarsi con un testo che si offre al lettore come una guida informata e speculativamente solida al pensiero antico nel suo complesso, così come alle questioni centrali della filosofia tout court.

Alessandro De Cesaris

S&F_n. 16_2016

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