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Haruki Murakami – La fine del mondo e il paese delle meraviglie – tr. it. a cura di Antonietta Pastore [Baldini Castoldi Dalai Editore, Milano 2004, pp. 447, € 9.90]


« … parcheggiai nel posteggio di un ristorante nelle vicinanze, ordinai una birra, un’insalata di gamberi e delle cipolle fritte, e mangiai da solo in silenzio. I gamberi erano troppo freddi e le cipolle un po’ troppo gonfie. Gettai uno sguardo circolare per il locale, ma non vedendo altri clienti che si lamentassero con la cameriera o battessero contro il piatto, decisi di finire tutto senza protestare. È perché si hanno delle aspettative che si resta delusi» (p. 78).

 

L’indiscutibile versatilità che caratterizza la scrittura dell’autore nipponico rischia di contraddire, in parte, questa sua stessa considerazione esternata da uno dei suoi personaggi. L’eterogeneità contenutistica e stilistica propria di questa narrazione, infatti, si presta bene a soddisfare il consueto e ampio bagaglio di aspettative col quale un qualsiasi lettore si accosta a un nuovo testo. Difficilmente resterà deluso chi è alla ricerca di un racconto avvincente, ricco di azione e di suspense e capace di unire realtà e fantascienza. Allo stesso modo, resterà probabilmente soddisfatto il lettore che cerca una storia in grado di farlo riflettere pur senza sacrificare una scorrevolezza capace di alleggerire il peso delle circa 450 pagine.

Haruki Murakami ci proietta in due mondi differenti, ognuno con i propri personaggi, con la propria storia, con i propri linguaggi e con le proprie ragioni. Ognuno con un proprio nome.La duplice dimensione, lungo la quale si sviluppa l’intreccio, si rivela infatti in maniera esplicita fin dal titolo. È già in questo luogo del romanzo che i toni apocalittici (La fine del mondo) si affiancano a una fantasia che fa evidente appello alla dimensione favolistica (Il paese delle meraviglie). Chi penserebbe a due vicende assolutamente slegate l’una dall’altra, però, verrebbe bruscamente smentito a circa metà del racconto. Arrivati a questo punto, infatti, i due fili del tessuto narrativo, che fino a qui avevano camminato paralleli tra loro, si intrecciano per poi giungere, legati strettamente l’uno all’altro, al nodo finale della storia.

Il paese delle meraviglie è il mondo contemporaneo, dipinto da occhi a volte fantascientifici, a volte assolutamente realistici. Il protagonista è un Cibermatico (un esperto di informatica) che lavora per un’associazione governativa, il Sistema. L’uomo si presenta al lettore in un ascensore così lento da non lasciar percepire la direzione che sta seguendo e che apre le sue porte su un ambiente stranamente afono. A convocarlo è un vecchio e spregiudicato scienziato che lo ingaggia per criptare i dati di una sua rivoluzionaria ricerca sul suono delle ossa. L’importanza e la pericolosità delle informazioni contenute in quei dati rendono necessario l’utilizzo dello shuffling, un metodo che coinvolge il subconscio di chi lo adotta.L’agente del Sistema accetta l’incarico, entrando a far parte di una vicenda dove, fin dal primo momento, altri hanno scritto il suo destino personale. Da qui in poi la sua esistenza verrà messa a repentaglio da nemici Invisibili di nome e di fatto, da frotte di sanguisughe ammassate in cunicoli bui, da una guerra informatica tra il Sistema e la Fabbrica (società che ha il compito di violare e rubare i dati altrui), da un nano malvagio che ha, in un minaccioso gigante, un violento braccio esecutore. Il mistero sembra ruotare intorno al teschio di un unicorno. Una catastrofica ragione muove i passi della storia: la fine del mondo.

La funesta prospettiva della fine di tutte le cose dà il nome all’altra sezione che completa la struttura apparentemente binaria del romanzo. Qui, la Tokyo contemporanea nella quale si sono svolte le avventure del Cibermatico cede il passo a una realtà che sembra completamente frutto di fantasia, di una costruzione tutta interiore. La fine del mondo descritta nel romanzo è una città circondata da una Muraglia così perfetta da scoraggiare chiunque pensi di poterla violare, è una città abitata da unicorni che subiscono passivamente le logiche di quella dimensione particolare, è una città dagli inverni rigidissimi, ma soprattutto, è una città nella quale nessuno ha pretese particolari e dove tutto sembra essere governato da una perfezione che non tarda a mostrarsi solo come presunta e quindi apparente. In questa fantasiosa geografia si sviluppa un intreccio del tutto nuovo che sembra, come già anticipato, condividere poco o nulla con la topografia del paese delle meraviglie, con la sua realtà resa tanto verosimile da guerre, violenze e inganni. In questo luogo perso nei boschi, ogni abitante ha un posto dove stare e un compito specifico da svolgere.

Il nuovo arrivato viene destinato alla biblioteca locale. È qui che dovrà leggere i frammenti di vecchi sogni, custoditi nei teschi degli unicorni. Per volontà della città lui sarà il nuovo Lettore di Sogni. Il suo ingresso nella nuova città implica il rispetto di una condizione imprescindibile: abbandonare il suo vecchio mondo e tutti i ricordi a esso legati. Non si tratta semplicemente di non pensare al proprio passato: qui, rinunciare a quello che si è stato significa perdere completamente la memoria del mondo in cui si è abitato e della vita che è stata vissuta fino a quel momento. La cesura tra il presente e il proprio passato coincide con una separazione che tanti precedenti trova nella letteratura europea: è la scissione che stacca per sempre l’uomo dalla propria ombra e quest’ultima dalla propria radice. L’ombra portata, assurta a individuo, ha adesso una propria esistenza e una propria personalità. L’uno è diventato due e i rapporti di forza quasi si rovesciano. Non si arriva di certo a toccare l’arroganza con la quale l’ombra, in una delle fiabe dello scrittore danese Hans Christian Andersen (intitolata proprio: L’ombra), chiede al filosofo di coricarsi ai suoi piedi, ma da questo momento l’ombra, vissuta per anni come proiezione dell’uomo, gli si pone da pari a pari guidando il tentativo di recuperare un’unità perduta forse per sempre.

A eseguire questa particolare operazione di fenditura, con precisione quasi chirurgica, è il Guardiano degli unicorni. L’uomo, che quando non era impegnato con le docili bestie passava il suo tempo ad affilare lame, con una delle sue armi da taglio recide di netto l’ombra dai piedi del Lettore di Sogni. La separazione equivale al firmare un atto di cittadinanza: l’uomo è definitivamente un membro della fine del mondo. Il suo presente è finalmente immune dai pericoli portati dalle emozioni e dal cuore. Il suo passato non esiste più, come precisa lo stesso Guardiano: «D’ora in poi lei sarà il Lettore di Sogni. Si dimentichi il suo vero nome, ormai si chiama così»(p. 44).

Per il Lettore i giorni trascorrono tra la nostalgia di tutto quello che ha perduto o che non ricorda e il lento abituarsi alla nuova vita e alle nuove logiche cittadine. La speranza di riunirsi a un’ombra, ormai ridotta a debole assistente del Guardiano, si alterna a una curiosità che lo spinge a conoscere meglio quel luogo e ad affezionarsi alle persone che più gli sono vicine in quella nuova vita: il Colonnello e, soprattutto, la sua assistente in biblioteca. Molte prospettive e molte possibilità che si manifestano all’inizio cedono successivamente il passo a un consapevole senso di responsabilità, che induce il Lettore di Sogni a voler cambiare le cose di quel mondo, un mondoche tanto somiglia alla sua coscienza.

Malgrado le apparenze, il confine tra la realtà della capitale giapponese descritta ne Il paese delle meraviglie e la finzione della città perfetta che fa da sfondo a La fine del mondo risulta essere, a una lettura più attenta, meno netto di quanto si possa credere all’inizio. I contorni della verità e della finzione sono tutt’altro che nitidi. Così, le avventure del Cibermatico e l’esperienza del Lettore di Sogni finiscono per incontrarsi idealmente a metà strada, nel proseguire dei due protagonisti ognuno lungo il proprio cammino, entrambi alla ricerca di se stesso. A rendere accidentato il loro cammino, una serie di figure inquietanti diverse tra loro, che possono apparire quasi come una trasposizione letteraria delle paure di ogni uomo. Quella con i protagonisti della storia è un’identificazione, che risulta essere favorita da un particolare espediente narrativo: l’assoluta assenza di nomi propri. Nel corso di tutto il racconto il lettore sentirà parlare di un Cibermatico, di un vecchio scienziato, di una ragazza grassa in fissa con i vestiti rosa, di un Lettore di Sogni, di un Colonnello, di un Guardiano, di due bibliotecarie disponibili e attraenti. I personaggi, pur privi di un’esaustiva connotazione a livello fisico, sono presentati in maniera marcatamente caratterizzata dalla propria funzione all’interno del romanzo. In questo variegato mondo di personaggi-funzione, ciascun lettore può scegliere i panni che più sente propri e indossarli per proseguire lungo il percorso di conoscenza tratteggiato da Murakami.

Alla fine del viaggio la realtà esterna, che spesso sembra essere subita passivamente da chi la vive, cede il passo a una realtà intima e individuale, a una dimensione costruita attraverso una visione limitata dell’esistenza: «… la gente si può dividere in due categorie. Quelli che hanno una visione globale delle cose e quelli che ne hanno una visione limitata. Io direi che appartengo piuttosto alla seconda. Però non mi sono mai posto il problema se la mia limitatezza sia qualcosa di giusto o meno. Da qualche parte bisogna tracciare una linea, e per me la linea è quella».

Arrivato a questo punto spetterà solo al lettore la responsabilità di decidere da che parte stare.

Ciro Baldini

S&F_n. 8_2012

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